book

giovedì 23 dicembre 2021

Recensione di "Abbiamo un bacio in sospeso (io e te)" di Riccardo Bertoldi

Buongiorno amici e bentornati sul blog! Vi state preparando al Natale? Personalmente vorrei avvertirlo maggiormente, ma l'animo da Grinch prende ormai il sopravvento da 3 anni a questa parte. Il motivo c'è, è evidente, ma esistono cose che non si possono evitare purtroppo. Così, nonostante ami le luci, gli addobbi, le passeggiate per le strade di Roma decorate, mi ritrovo ad essere piuttosto "verde", come il noto personaggio nominato.

Torniamo al blog e alle letture. Ho terminato proprio questa mattina un romanzo acquistato da La Feltrinelli poche settimane fa.


Trama: Leonardo fa il fotografo, ha trent’anni, gli occhi timidi di chi parla poco e una ferita al cuore che non riesce a rimarginare. Ogni giorno prende il treno per andare al lavoro e sulla carrozza numero 2 incontra il sorriso di Sara, che illumina per un attimo le sue giornate. Qualche volta, però, la paura di amare supera il coraggio di osare. E così, per Leonardo, quella sconosciuta che ascolta musica e scrive su un diario dalla copertina rossa diventa un modo per fantasticare: cosa accadrebbe se finalmente si facesse avanti e decidesse di sfidare il destino? Reduce da una lunga storia, Leonardo è tornato a Verona, la sua città, e ha ritrovato la vita che lì aveva lasciato. Un nuovo amore non era nei piani, ma si sa, il cuore fa i suoi progetti, e a volte ce li mostra nei modi più inattesi. Così un giorno Leonardo capisce che deve tuffarsi – a costo di sembrare un po’ pazzo, a costo di farsi male – e lascia sul sedile che di solito occupa la ragazza una fotografia che le ha scattato di nascosto. Il destino lo porterà dentro un negozio di musica, con la luce della notte che filtra dalla serranda semiaperta, insieme a lei: Sara. E gli ricorderà che a volte basta poco – uno sorriso rubato, una bella canzone, un bacio a fior di labbra – per aggiustare un cuore e ricominciare.

Cosa mi ha ispirata? Il fatto che Leonardo, il protagonista, dopo aver trovato il coraggio di tentare, lasci sul sedile di un treno la fotografia di quella sconosciuta che ha attirato la sua attenzione. Ho trovato sia un modo romantico, forse di altri tempi, così come l'amore scoccato tra quei sedili, mentre fuori il mondo scorre veloce, oltre i binari.


Leonardo, con alcune comprensibili difficoltà, lascia alle spalle una storia finita male, ferito e impaurito dai sentimenti. Sara, però, sembra quasi che sia stata ad aspettarlo da sempre. Tra le vie di Verona, la città di Giulietta e Romeo, e un negozio di musica, i due apriranno i rispettivi cuori, conoscendosi davvero, permettendo alle loro anime di sfiorarsi e di rimanere legate. Come nelle migliori storie d'amore, anche questa prevede degli ostacoli, in tal caso la lontananza: Sara, infatti, vive a Napoli, dove lavora ed è nata. Una storia a distanza sarebbe molto complicata perché a trent'anni non basta, ci si aspetta qualcosa in più, oltre la fiducia e la volontà di costruire un futuro insieme.
Tra fughe e ritrovamenti, Leonardo e Sara non riescono proprio a stare lontani l'uno dall'altra, ma l'amore, quello vero, richiede anche sacrifici. Saranno disposti a farli e a correre incontro alla felicità?


Riccardo Bertoldi introduce il lettore in un romanzo dalla trama molto semplice e lineare, ma forse è proprio così che devono essere le storie d'amore classiche e sempre attuali. I sentimenti scaturiscono dal cuore in maniera naturale, senza forzature, senza fastidiosi intermediari. E probabilmente, la storia di Leonardo e Sara ci riporta un po' indietro, non di tanti anni, quando le app di incontri e i social non erano l'unico (squallido) modo per conoscersi, per parlare, per uscire insieme.

Nonostate ci siano aspetti sicuramente apprezzabili, il romanzo mi ha, in realtà, un po' delusa per una serie di frasi fatte poste una di seguito all'altra che tolgono spazio, invece, a quello che avrebbe potuto essere lo sviluppo della storia. L'autore avrebbe potuto descrivere sensazioni e pensieri senza l'ausilio di frasi da social, o da Baci Perugina. I presupposti c'erano tutti... un'occasione, purtroppo, mancata.
La ritengo comunque una lettura piacevole, adatta solo agli inguaribili romantici. Vi saluto con qualche piccolo estratto.

«Mi manca avere accanto qualcuno con cui posso smettere di difendermi. Qualcuno che sappia vedere i miei difetti in mezzo ai pregi che vedono anche gli altri, e che abbia voglia di restare nonostant tutto. Vanno bene i sorrisi, i baci, l'amore e il sesso. Ma io qualche volta vorrei qualcuno con cui poter essere fragile.»

«Forse è vero, io e te non siamo stati niente. Ma mi hai insegnato che a volte il niente è fatto di baci, sguardi, carezze di notte, mani intrecciate, tramonti dentro una serranda chiusa a metà. Tu sei stato il mio niente che però è stato tutto. Un niente che non scorderò mai.»

«[...] Leo, ci sarà sempre una strada per te che porta a me, lo sai? Mi troverai dentro un brivido, dentro un sorriso che incrocerai per caso, dentro uno stupido dettaglio che per qualche motivo ti ricorderà di noi. Sarà la nostra strada segreta, quella. Una strada che ti permetterà di ripercorrere i tuoi passi e tornare a questa felicità che ci siamo cuciti addosso.»

martedì 7 dicembre 2021

Recensione di "Non è questo che sognavo da bambina" di Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio

Buon pomeriggio amici, anche se il cielo è già scuro, i vetri appannati fanno presagire una temperatura esterna molto bassa e gradirei una bella tazza di té bollente in perfetto stile invernale.

Entriamo, però, nel pieno di questo post e parliamo del romanzo "Non è questo che sognavo da bambina" di Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio.


Trama: Neolaureata. Coinquilina. Fuorisede. Precaria. Se dovesse descriversi, Ida lo farebbe così. E da oggi aggiungerebbe alla lista: stagista. Stagista in una grande-e-importante-agenzia-di-comunicazione. Non è quello che sognava da bambina, ma tant’è: dopotutto, non è la prima volta che le cose non vanno nella direzione sperata. Avrebbe voluto vivere ovunque tranne che a Milano, e vive a Milano. Voleva una relazione stabile, ed è stata lasciata. Ha studiato per diventare sceneggiatrice, e invece fa la social media manager. Ogni mattina si trascina verso l’ufficio e, tra meeting, brainstorming e tante altre parole che finiscono in -ing, lì resta fino a sera, impegnata in un lavoro che non riesce a capire che lavoro sia, circondata da colleghi che sono simpatici e brillanti, sì, ma solo tra di loro. Fino al giorno in cui, stanca di una vita che troppo spesso si riduce a essere un pendolo che oscilla tra un file Excel e la prossima sbronza, Ida capisce che, per sopravvivere, deve adattarsi, assomigliare più a loro - i suoi colleghi, il suo capo - e meno a sé stessa. E mentre le ambizioni cambiano e il confine tra giusto e sbagliato si fa inconsistente, rincorrere i suoi sogni diventa un capriccio che non può più concedersi. È ora di crescere: ridimensionare le aspettative e accettare i compromessi. Così, quando le arriva la notizia di un concorso a cui candidare il suo cortometraggio, Ida non sa che fare. Quasi non ricorda più cosa sognasse da bambina, chi volesse diventare. Ma non si può mai mentire del tutto a sé stessi. Almeno, non a quello che c’è in fondo alla propria anima.

Preparatevi: questa non sarà una semplice recensione perché l'argomento mi riguarda in prima persona. Cominciamo, però, dal principio: perché ho acquistato questo libro? Credo non sia difficile da comprendere per chi mi conosce almeno un po': archeologa, 10 anni di studi alle spalle, una laurea triennale, una magistrale, una baccalaurea, una licenza (che equivale a un'altra laura magistrale), un dottorato (riconosciuto in Vaticano e in Italia), un corso di perfezionamento, un master di II livello e mille altri corsi che hanno accresciuto il mio CV fino a farlo diventare un blocco di oltre 20 pagine, ricco di pubblicazioni accademiche e divulgative per giunta. Risultato? Disoccupata. Ma in Italia c'è archeologia ovunque, la storia è fondamentale, il turismo è il "petrolio" di questa nazione. Baggianate. In Italia lavora, almeno nel campo della cultura, chi ha le sue conoscenze (parlo del 99,9 % dei casi; esiste anche lo 0,1% che procede per meritocrazia, solo che non l'ho ancora incontrato) e, come me, esistono centinaia, o forse migliaia, di professionisti privati dei loro sogni, della loro indipendenza, del loro futuro (provate a chiamarci di nuovo bamboccioni, cari vecchietti incollati alle poltrone e traboccanti di denaro).
"Puoi andare all'estero, ci sono i cervelli in fuga!", dicono. Avete provato a leggere i bandi per post doc, o, comunque, per lavorare nel settore archeologico all'estero? Se non lo avete mai fatto, tentate, così vi farete un'idea di quanto ciò che sentite ai TG siano quasi tutte chiacchiere. All'estero si va solo e soltanto se un docente italiano ti presenta. Occorrono almeno 3 lettere di raccomandazione. Ora, non so cosa accada per gli altri settori, ma per il mio questa è la situazione. Si percepisce, purtroppo, un netto scambio di studenti tra università per far sì che il CV di ognuno sia il più "internazionale" possibile.
Quindi no, non posso nemmeno fuggire da questo paese perché i lor signori, coloro che comandano negli atenei e negli istituti di ricerca, hanno deciso che, pur avendo un cervello funzionante e avendo condotto studi importanti, non sarò mai fondamentale quanto gli "yes-men and women" loro sudditi. Ho scelto la libertà intellettuale e per questo sono stata punita. Va bene così, ma qualcuno ai piani alti si renderà conto, tra qualche anno, della situazione, quando le ricerche non andranno avanti e questo paese non produrrà più nulla, quando l'ignoranza dilagherà (purtroppo questo processo è già in atto) e la cultura verrà definitivamente relegata tra hobby e passatempo della domenica pomeriggio.

Torniamo al libro. L'ho acquistato perché il titolo rifletteva in tutto e per tutto il mio stato d'animo e la mia condizione. Ida, la protagonista, sognava di fare la sceneggiatrice e, per un po' di tempo, ha anche tentato a intraprendere quella via. Cosa l'aspettava? Progetti non retribuiti, tentativi su tentativi vedendosi passare avanti un pincopallino qualsiasi, tempi di attesa lunghissima nell'arco dei quali era ufficialmente disoccupata.
Ida, perciò, pur andando contro la sua vocazione, ha deciso di intraprendere uno stage presso la Meeto a Milano, azienda di comunicazione, e di fare la copywriter. In fin dei conti, scrivere le è sempre riuscito bene, quindi quel compito potrà essere tollerabile e fattibile, basterà pensare che grazie a qualche post condiviso sui social, locandine e organizzazione di eventi riuscirà a portare a casa un po' di soldi utili per pagare le bollette, l'affitto, uno spritz... e basta. Eppure non è così semplice: quel nodo in gola rimane, la sceneggiatura diventa quasi un hobby cui si dedica nei ritagli di tempo, i pianti in bagno sono la costante e i colleghi di lavoro sono talmente competitivi che non la invitano nemmeno a pranzo o a bere un caffè.
La vita privata, inoltre, non è un granché: Ida si è lasciata con il ragazzo e quella che considerava la sua migliore amica, Connie, ha deciso di baciarlo scatenando la terza guerra mondiale e una profonda delusione. Il capo ci prova, Ida resiste, poi cede un tantino ed ecco lì che, dallo sguardo un po' più intenso all'abuso di potere, è un attimo.
Solo Gio, la sua amica emigrata in Inghilterra, la capisce veramente e le è vicina nonostante la lontananza geografica. Le email tra le due sono sempre fitte e ricche di ogni sensazione provata.
Bisogna accontentarsi forse. E Ida lo fa, mette da parte i sogni perché quelli non portano soldi e i soldi servono per costruirsi un futuro, una stabilità, quella tranquillità tanto agognata. L'ufficio, d'un tratto, non sembra più un incubo e persino i rapporti con i colleghi si stanno mitigando, ma... è tutto così finto che l'incantesimo si spezza e Ida si ritroverà a scegliere se proseguire su una strada certa che non le appartiene, oppure cambiare e provare a cercare la felicità altrove.


Ida è il ritratto dei giovani d'oggi, o forse non più così giovani (fascia 30-40), quegli stessi dimenticati dalla politica e sui quali l'Europa ha pontificato suggerendo occupazioni che non esistono. Ci hanno detto "studiate con passione e sarete ripagati". No, non è andata così. E stiamo cercando di reinventarci, di combattere spesso da soli contro i mulini a vento, contro chi non ci ascolta, contro chi ci lascia in un angolo perché prendersi la responsabilità di un fallimento sociale sarebbe troppo impegnativo.
Questa è la storia di noi stagisti a vita, di noi che cerchiamo lavoro e ci viene risposto "lavora gratis", di noi che ormai detestiamo il volontariato perché siamo volontari da quando abbiamo terminato l'università, di noi che facciamo guerre tra poveri... perché non abbiamo nulla, se non i sogni che a volte riprendiamo e a volte rinchiudiamo in un cassetto. Questa è anche la storia di noi "giovani" che non possiamo farci una famiglia perché non abbiamo certezze, né soldi per costituirla... è la triste storia di un'Italia che non ha ancora capito come il lavoro possa produrre a sua volta lavoro. Non chiedeteci esperienze pluriennali che non ci avete mai fatto maturare! Non chiedeteci tutte le capacità del mondo, 7 lingue, laurea in informatica e al contempo skills organizzative, culturali, matematiche... dovremmo essere tuttologi. Voi lo eravate quando, a 25/30 anni, avete iniziato a lavorare? Qualcuno di voi non aveva neppure una laurea, invece cosa richiedete a noi giovani? Titoli, pezzi di carta da collezionare per poi non poter mai fare pratica.
Italia, svegliati! Il futuro è nelle mani di coloro che stai ignorando.

Grazie a Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio per aver ritratto, spesso con grande ironia (forse unica salvezza), l'assurda situazione in cui la gran parte di noi si trova ormai confinata da anni.

domenica 14 novembre 2021

Recensione di "Il Parnaso ambulante" di Christopher Morley

Buonasera amici, piove qui a Roma, anzi, diluvia come accade ormai da giorni. Sarà anche un problema legato al clima, ma è pur vero che ci troviamo nel bel mezzo di novembre ed è normale che ci siano brutte giornate.
Mi trovo, quindi, in questa domenica, a scrivere nella mia camera, accompagnata dalla luce della scrivania. Finalmente, dopo molto tempo, sono riuscita a leggere qualche libro in breve. Per me, abituata a studiare fino alle 02.00 di notte o a condurre ricerche, si tratta di una fantastica riconquista di libertà. Il lavoro è importante, ma lo sono anche gli attimi di respiro, quel riposo da occupare con le proprie passioni. Chissà se riuscirò anche a riprendere a suonare la chitarra? Sono anni che ci provo e non trovo mai tempo, ma mai dire mai.

Ebbene, proprio nel pomeriggio ho terminato la lettura di "Il Parnaso ambulante" di Christopher Morley, un libro acquistato "incartato", quindi al buio, senza osservarne la copertina, nel punto La Feltrinelli di Viale Giulio Cesare a maggio scorso. Ero appena uscita dall'appartamento di una mia amica e collega con cui stavo preparando un lavoro che poi non prese più il via (che novità...), quando ho deciso di fare una pausa letteraria per trovare conforto tra le pagine dei libri. Ed eccomi qui.




Trama: Viaggiare per le strade aperte della Nuova Inghilterra, a bordo di un attrezzato bibliobus trainato da un grande cavallo, con un cane al seguito, in compagnia di un professore-poeta agile e versatile come un elfo, vendendo libri utili e grandi classici a liberi contadini dai modi franchi, in fuga, per giunta, da un fratello egoista e correndo ogni tipo di avventura: questo genere di felicità - oggi impossibile, ieri a portata di mano purché intimamente liberi - Il Parnaso ambulante racconta. È una versione tenera, tra Mark Twain e Kerouac, del mito americano della frontiera e dell'individualismo ottimistico (e in effetti la protagonista si trasforma da massaia di campagna in intraprendente avventuriera, e poi ritorna, con una coscienza di sé rinnovata, casalinga, ma finalmente padrona del proprio destino). E un'idea, singolare in questo genere di storia, attraversa il racconto. Morley, da americano, non dubita che il modello compiuto di rapporto tra gli uomini sia lo scambio commerciale; ma il libro, merce tra le merci che attraversano le persone, ne conserva tutta la qualità e la sostanza umana. Sicché la vera missione on the road del Parnaso ambulante è «predicare l'amore per i libri e l'amore per gli esseri umani».

Non avevo idea di quale tipo di libro mi trovassi davanti quando scartai l'involto in cui era contenuto. Il nome, pure, era curioso: il Parnaso è il monte dedicato ad Apollo e alle Muse, simbolicamente la patria della poesia, dell'arte, della letteratura. La storia di un'altura "ambulante"? No, non era questo che mi attendeva, bensì la storia di un'avventura, di un'amicizia, della conquista della libertà e, infine, di un amore. Ma comincio dal principio. La protagonista di questa storia, narratrice in prima persona, è Elena McGill, trentanovenne nubile, governante di una casa nella campagna americana dei primi del Novecento, dove vive con il fratello Andrea, egoista e noto scrittore, sempre in viaggio, sempre intento in qualche attività in giro per il mondo.
La vita di Elena trascorre così, tra la cucina e la preparazione del pane, il riordino e la pulizia della casa, il nutrimento degli animali e la donna, ormai non più giovanissima, pensa che questo sia il suo destino. Forse nemmeno ci spera più in qualcosa di diverso. Un giorno, però, alla dimora si presenta un buffo signore, rosso di capelli, ma soprattutto di barba (tanto da meritarsi l'appellativo di "Barbarossa"), con un carretto trainato da un cavallo di nome Pegaso e accompagnato da un cagnolino. Si chiama Roger Mifflin e vorrebbe parlare con Andrea McGill, che è uno scrittore, per vendergli il "Parnaso ambulante".
Elena è incuriosita, tanto più che Andrea non c'è e si occupa lei stessa di parlare con l'ospite. Che cos'è il Parnaso? Si tratta proprio di quello strano carretto in cui è racchiuso un mondo intero: le ante si aprono e centinaia di libri sono lì stipati, mentre l'interno è occupato da una stanzetta e da un cucinino utile per gli spostamenti. Mifflin ha viaggiato per tanti anni con il Parnaso, fermandosi a vendere libri in ogni dove, diffondendo l'amore per la lettura. Ora vorrebbe solo ritirarsi a Brooklyn per poter scrivere un volume sulle sue avventure.
Elena ancora non lo sa, ma quell'incontro le cambierà la vita. La donna decide di comprare con i propri soldi il Parnaso, diventandone proprietaria. Sarà lei, e non il fratello, a viaggiare vendendo libri. Così, salta su e insieme a Mifflin si dirige verso il luogo in cui l'uomo prenderà il treno diretto verso New York.


Sinceramente non mi aspettavo di leggere un racconto carino, divertente e appassionante. Elena, single e rassegnata a fare da balia al fratello, si rimette in gioco, scoprendo il sapore della libertà, imparando a cavarsela da sola (egregiamente, considerando la vita svolta fino ad allora). 
Mifflin è quasi un mago: appare con il Parnaso proprio quando Elena ne aveva più bisogno e, ogni volta, si presenta nei luoghi in cui vi è necessità di un buon libro che trasmetta un insegnamento o qualche buona parola.
Il viaggio su quella carrozza piena di libri - e ammetto che mi piacerebbe proprio esistesse davvero! - si tramuta in un'avventura lungo i sentieri della campagna americana, nel bel mezzo dell'ancora incontaminata natura, condita dalle battute dll'autoironica Elena.
L'amore arriva anche per lei, ma la conquista più grande è quella della libertà, assolutamente non scontata, tanto più per una donna della sua epoca.
Vi consiglio di prendere qualche provvista e di salire sul Parnaso. Elena e Roger vi condurranno in giro per il mondo, vendendo libri e regalando emozioni letterarie a chiunque ne abbia bisogno.


«Quando si vende un libro ad una persona, non gli si vendono soltanto dodici once di carta con inchiostro e colla, gli si vende un’intera nuova vita. Amore e amicizia e umorismo e navi in mari di notte; c’è tutto il cielo e la terra in un libro, in un vero libro, intendo. […] È questa la cosa di cui ha bisogno questo paese: più libri!»

«Come vedete, non ero stato vaccinata contro l'amore da infatuazioni giovanili. Cominciai a fare la governante quando ero ancora una ragazzina, e una governante non ha molte occasioni per essere civettuola. Così ora mi sentivo colpita a fondo. È qui che una donna ritrova se stessa: quand'è innamorata. Non importa se è vecchia o grassa o casalinga o prosaica. Sente quel lieve palpito di cuore e casca giù come una prugna matura».

venerdì 12 novembre 2021

Recensione di "Le due culture" di C. P. Snow

Buon pomeriggio! Torno sul mio blog per parlarvi di una lettura un po' particolare, che non conoscevo. La signora che me ne ha parlato mi ha anche prestato il libro. Non si tratta di un saggio scorrevole, ma riflessivo: "Le due culture" di C. P. Snow.


C'è chi di letteratura non ne vuole sentir parlare, chi il latino lo considera una lingua morta, ma c'è anche chi con la matematica ci ha litigato da tempo e non ha mai compreso la fisica.
Le due culture citate da Snow sono esattamente la cultura umanistica e quella scientifica, in eterno contrasto tra loro. Un classico della storia: sin da quando ho memoria, sono sempre state "materie" contrapposte, ma non per questo totalmente separate. Tra le due infatti può esserci interazione.
Ho letto i commenti e le recensioni in merito al volumetto in questione: alcuni sostengono che gli scienziati cerchino la verità, mentre gli umanisti la bellezza. Ma se non fosse così? 
Posso guardarla dal mio punto di vista personale e sostenere che anche gli umanisti cerchino la verità. Sono un'archeologa. Di certo non sono insensibile davanti alla magnificenza di una scultura quando si presenta l'occasione di osservarla, o alla bellezza incarnata da un mosaico o da quegli affreschi che tanto amo, ma signori, forse sarete sorpresi: l'archeologo cerca la verità. Non si mette alla volontaria ricerca del dettaglio "bello". No, l'archeologo cerca la verità storica, tenta in ogni modo e con i mezzi posti a sua disposizione (si includano i c.d. mezzi "scientifici") di ricostruirla, anche quando le tracce sono veramente labili. Incrocia le fonti scritte e i reperti materiali per poterne venire a capo, e basa la sua esistenza sull'analisi degli strati di terra che sono contenitori di informazioni preziosissime.


Snow, ovviamente, generalizzava e forse, alla sua epoca, l'archeologo - che è la figura più scientifica tra quelle umanistiche - procedeva ancora secondo una concezione antiquaria.
Posso dire, però, che archeologo a parte, le due visioni di Snow non siano totalmente da considerare superate, anzi, basti pensare alla formazione in Italia. La suddivisione tra liceo classico e liceo scientifico (che per esperienza, molto spesso, di scientifico non ha nulla) fa sì che le neo matricole si dividano in chi ama la matematica, la scienza, la fisica e chi ama la letteratura, la storia, la storia dell'arte, disprezzandosi a vicenda. Vi dirò da soggetto atipico che, dopo aver frequentato il liceo scientifico si è iscritta poi ad archeologia (penando non poco con il latino e il greco), che la cultura scientifica e quella umanistica dovrebbero rivestire la stessa importanza perché entrambe contribuiscono a formare una persona intelligente e produttiva.
In Italia, attualmente, ci troviamo esattamente nella situazione che Snow descriveva per l'Inghilterra nel 1959: le persone dedite allo studio delle materie scientifiche studiano la metà degli umanisti, eppure trovano immediatamente impiego con retribuzione mediamente elevata; gli umanisti sono disoccupati o scarsamente retribuiti, pur avendo studiato oltre 10 anni.
Che cos'è che dovrebbe cambiare, si domandava Snow? La nostra educazione. Ebbene sì, bisognerebbe iniziare a capire che entrambi gli aspetti sono fondamentali per far sì che la società proceda e si evolva. Una "rivoluzione scientifica" che investe un X paese farà sì che quest'ultimo proceda tecnologicamente, ma dal punto di vista sociale e delle radici identitarie sarà scarso, anzi, rischierebbe di perderle tragicamente. Snow ne parlava tanti anni fa... adesso in Italia ne osserviamo le conseguenze.


E ancora: perché non integrare le due cose? Porto ancora il confronto con il mondo dei beni culturali. Se davvero funzionasse (ormai è sempre più un'utopia dal mio punto di vista, ma la speranza è l'ultima a morire...), potremmo osservare una sinergia tra scienziati e umanisti. Come? Per esempio, nell'individuazione di un'opera falsa non lavorano solo gli storici dell'arte o gli archeologi che, con la loro esperienza, potranno dare opinioni in merito, bensì anche esperti in diagnostica (fisici) che applicheranno strumentazioni e metodologie scientifiche volte a smascherare "l'inganno".


Potrei farne mille di esempi simili, ma il problema rimane solo uno: una integrazione dei due "mondi" culturali a livello centrale, partendo proprio dall'educazione. Sono sempre stata convinta che un liceo unico sia una soluzione. Perché approfondire più il latino e il greco tralasciando la matematica e la fisica? Si approfondiscano tutti gli aspetti per formare persone in grado di adattare le proprie abilità, persone in grado di comprendere le varie sfaccettature che compongono la realtà a 360°, senza giungere a criticare chi ama risolvere equazioni, o chi invece ama scrivere romanzi. E nel mondo del lavoro si collabori! Non è richiedendo "tuttologi" che si produce occupazione, né ricchezza sia dal punto di vista economico che culturale! Questo, purtroppo, siamo costretti - soprattutto noi della fascia 30-40 - a vederlo ogni giorno: richiesta figura con 10 anni di esperienza in economia, arte, museologia, in possesso di laurea magistrale, dottorato, scuola di specializzazione, etc., in grado di parlare francese, tedesco e inglese, automunito, che usi il PC a tutte le ore del giorno e della notte, capace di lavorare in team, ma anche in autonomia.
Chissà se Snow questo lo aveva previsto quando le parole della sua conferenza tenuta a Cambridge confluirono nel volumetto? Forse persino lui era ottimista nel volgere lo sguardo al futuro... e invece...


«Di fatto, la distanza che separa scienziati e non-scienziati è molto meno superabile fra i giovani di quanto lo fosse anche trent'anni fa. Trent'anni fa le culture non si rivolgevano da tempo la parola: ma almeno si sorridevano freddamente, attraverso l'abisso che le separava. Ora la cortesia è venuta meno, e si fanno le boccacce. Non si tratta soltanto del fatto che oggi i giovani scienziati sentono di far parte di una cultura in ascesa, mentre l'altra è in ritirata. Si tratta anche, che per essere brutali, del fatto che i giovani scienziati sanno che, con una laurea mediocre, otterranno un buon posto, mentre i coetanei e colleghi di Inglese o di Storia saranno fortunati se guadagneranno i due terzi. Nessun giovane scienziato provvisto di un certo talento penserebbe di non essere ricercato o di fare un lavoro ridicolo, come pensava il personaggio di Lucky Jim, e di fatto, una parte del malcontento di Amis e dei suoi compagni è il malcontento dei laureati in lettere sotto-occupati.
C'è una sola via per uscire da questa situazione: e naturalmente passa attraverso un ripensamento del nostro sistema educativo».

giovedì 4 novembre 2021

Recensione di "Più forte di ogni addio" di Enrico Galiano

Buongiorno amici, come state? Mentre questo autunno un po' piovoso (in alcune zone forse un po' troppo) ci accompagna insieme a una tazza fumante di té e alle tante sfumature di colore che assumono le foglie volteggianti per le strade, i buoni lettori non fanno mai a meno di un amico libro.

Il romanzo di cui stavolta vorrei parlarvi è "Più forte di ogni addio" di Enrico Galiano, edito da Garzanti. L'ho acquistato durante una serata piuttosto nostalgica a Nettuno, questa estate. Tra migliaia di libri, questo mi ha rapita immediatamente, forse perché rifletteva in parte il mio stato d'animo.


Trama: È importante dire quello che si prova, sempre. È importante dirlo nel momento giusto. Perché, una volta passato potremmo non trovare più il coraggio di farlo. È quello che scoprono Michele e Nina quando si incontrano sul treno che li porta a scuola, nel loro ultimo anno di liceo. Nina sa che le raffiche di vento della vita possono essere troppo forti per una delicata orchidea come lei: deve proteggersi ed è per questo che stringe tra le dita la collanina che le ha regalato suo padre. Per Michele i colori, le parole, i gesti che lo circondano hanno un gusto sempre diverso dal giorno in cui, cinque anni prima, ha perso la vista. Quando sale sul treno e sente il profumo di Nina, qualcosa accade dentro di lui: non sa che cosa sia, ma sente che lo sta chiamando.
Ogni giorno, durante il loro breve viaggio insieme, in un susseguirsi infinito di domande e risposte, fanno emergere l’uno nell’altra lo stesso senso di smarrimento. Michele insegna a Nina a non smettere di meravigliarsi ogni giorno. Nina insegna a Michele a non avere rimpianti, che bisogna sempre dare l’abbraccio e il bacio che vogliamo dare, dire le parole che non vediamo l’ora di pronunciare. Ma è proprio Nina, quando un ostacolo rischia di dividerli, a scegliere di non dire nulla. Di fronte al momento perfetto, quello in cui confessare che si sta innamorando, resta ferma. Lo lascia sfuggire. Nina e Michele dovranno lottare per imparare a cogliere l’istante che vola via veloce, come la vita, gli anni, il futuro. Dovranno crescere, ma senza dimenticare la magia dell’essere due ragazzi pieni di sogni.
Enrico Galiano, libro dopo libro, è diventato l’idolo dei lettori. Nessuno come lui sa parlare agli adolescenti e agli adulti attraverso il linguaggio universale delle emozioni. Dopo il successo di Eppure cadiamo felici, esordio più venduto del 2017, e di Tutta la vita che vuoi, per mesi in classifica, torna con un romanzo che ci ricorda che ogni momento è importante. Soprattutto quello in cui dire alle persone che amiamo che cosa significano per noi. Bisogna farlo subito, senza aspettare.

Non è il primo romanzo che leggo il cui protagonista è diventato cieco. Qualche tempo fa avevo letto "Una storia straordinaria" di Diego Galdino e, come nel caso del suo Luca, mi sono nuovamente ritrovata a riflettere quanto debba essere terribile ritrovarsi circondati da un mondo a colori che non puoi più vedere, da un mondo in movimento da cui a volte devi difenderti, da un mondo in cui sei comunque un diverso, non completamente autosufficiente. In quel mondo, però, le sensazioni sono tutto, si avvertono in modo migliore e forse si riesce a osservare, invece che guardare.
Michele, il diciottenne protagonista del romanzo, custodisce in sé il sogno di diventare un portiere di calcio e di parare rigori allo stadio San Siro di Milano. Un sogno, forse, tanto comune, quanto quasi impossibile, soprattutto se, a causa di un incidente, si perde la vista. Ogni cosa va in frantumi, un'esistenza giovane viene in qualche modo mutilata, ma è proprio da quell'esperienza che Michele riesce a trarre la forza di andare avanti, di vivere normalmente anche senza la vista. E ci riesce egregiamente, finché un giorno, in un vagone del treno che prende regolarmente per andare a scuola, avverte un profumo che non è solo quello: è mare, è il color indaco, è qualcosa che gli sconvolge il cuore e appartiene a una ragazza.


Lei si chiama Nina e ha il corpo tatuato di croci. Ha diciotto anni, ma ha sofferto tantissimo perché è una ragazza molto sensibile, "un'orchidea", e - si sa - chi è sensibile tende ad assorbire anche il dolore altrui, stando male egli stesso. I mondi di Michele e Nina si incontrano, apparentemente per caso, e sembrano essere così diversi l'uno dall'altra da non poter stare insieme. In realtà è proprio questo che è l'amore: due esseri diversi che, rispettandosi e completandosi, riescono a unirsi.
Proprio quando tutto sembra andare per il meglio (e Michele, ormai, è molto scettico su tutto), Nina scompare, senza nemmeno salutare il ragazzo. Al suo posto cominciano ad arrivare una serie di vocali che riveleranno un'amara e triste verità da cui scappare o da affrontare, sempre con immenso coraggio.


"Più forte di ogni addio" è un romanzo che invia un messaggio forte e chiaro: anche se si prova paura, che a volte è così forte da paralizzarci, bisogna trovare il coraggio di buttarsi, di farsi avanti, di lottare e di confessare i propri sentimenti. Non ci sono ostacoli troppo grandi per un amore autentico che non necessita di eclatanti dimostrazioni, ma solo della presenza, della vicinanza, dell'empatia.
Galiano esamina Michele e Nina mostrando di comprendere i ragazzi d'oggi (in fin dei conti è un professore, ma non tutti i professori sono capaci di stare vicino ai propri allievi), usando il loro linguaggio, scavando dentro il loro animo per far emergere i timori dell'età, a volte esorcizzandoli con una risata.
Michele è cresciuto in fretta, la cecità lo ha fatto maturare, "indurire" per così dire, ma per fortuna ha sempre lasciato aperte le porte del proprio cuore. Nina è fragile quanto un cristallo: è piena di crepe, a volte va in frantumi e per ricomporla ci vogliono molto tempo, costanza, pazienza, amore. Se loro due, così diversi e allo stesso tempo complementari, si sono incontrati, non è solo il caso ad aver dettato legge. Come dice Michele, che ha una mente matematica, due corpi finiranno per attrarsi a vicenda e incontrarsi secondo la gravità. Ed è allora un amore gravitazionale che li ha condotti a stare insieme.

Augurandovi buona giornata, vi lascio annotando alcuni estratti che ho particolarmente apprezzato.

«Avete mai provato a dire addio a qualcuno? Io ho una teoria: che gli addii siano il momento più bello di una storia d'amore. Quello più pieno, più intenso, più tutto. Pensateci: siete lì, state per salutarla per sempre. Sapete che fra qualche minuto non la rivedrete mai più, e con lei avete condiviso gli angolini più remoti del vostro stupido cuore: vi siete regalati sogni, desideri, paure e tutti i vostri deliri mentali e, tempo tre o quattro giri di lancetta, ciao. Saranno o non saranno i tre giri di lancetta più pieni di vita che avrete mai avuto? La risposta è sì. Sempre secondo la mia teoria, in un mondo perfetto, due che si amano - che si amano davvero dico - si stanno sempre dicendo addio.»

«L'amore dovrebbe ricordarsi più spesso che cos'è, nel profondo: un modo molto lungo, e molto dolce, di dirsi addio.»


«Il giorno in cui scopri di essere felice è anche il giorno in cui scopri quanto sei fragile.»

«"Tu senti tutto di più. Ti diranno che è una sfortuna, ma in realtà è un dono, perché ti basterà pochissimo, un gesto, anche una parola, qualcosa di piccolo, per essere felice. È un dono perché chi sente di più vuol dire che è più vivo: e tu sei la più viva di tutti!"»

«E quello che avevo capito è che l'amore, o almeno quello che vorrei io, è mettercela tutta per regalare la felicità a qualcuno, senza volere in cambio null'altro che sapere di esserci riusciti.»

«[...] l'amore non è parlare la stessa lingua. È, tipo, capirsi parlando due lingue diverse. [...] Non è un'anima gemella. È un'anima sola, divisa in due pezzi molto diversi.»

mercoledì 13 ottobre 2021

Recensione di "L'amore ai tempi del colera" di Gabriel Garcìa Márquez

Buonasera lettori, anche quest'oggi intendo trascinarvi all'interno di una lettura particolare, forse dai più conosciuta: "L'amore ai tempi del colera" di Gabriel Garcìa Márquez.
Giravo intorno a questo libro da un'eternità, osservandone la copertina dell'edizione Mondadori, sempre con il desiderio di sfogliarne le pagine, finché un giorno di settembre un mio caro amico non me lo regalò. Ovviamente non potei resistere e lo iniziai immediatamente.


Trama: Per cinquantun anni, nove mesi e quattro giorni Fiorentino Ariza ha perseverato nel suo amore per Fermina Daza, la più bella ragazza dei Caraibi, senza mai vacillare davanti a nulla, resistendo alle minacce del padre di lei e senza perdere le speranze neppure di fronte al matrimonio d'amore di Fermina con il dottor Urbino. Un eterno incrollabile sentimento che Fiorentino continua a nutrire contro ogni possibilità fino all'inattesa, quasi incredibile, felice conclusione. Una storia d'amore e di speranza con la quale, per una volta, Gabriel García Márquez abbandona la sua abituale inquietudine e il suo continuo impegno di denuncia sociale per raccontare un'epopea di passione e di ottimismo. Un romanzo atipico da cui emergono il gusto intenso per una narrazione corposa e fiabesca, le colorate descrizioni dell'assolato Caribe e della sua gente. Un affresco nel quale, non senza ironia, si dipana mezzo secolo di storia, di vita, di mode e abitudini, aggiungendo una nuova folla di protagonisti a una tra le più straordinarie gallerie di personaggi della letteratura contemporanea.


Una volta lessi che se una persona ti ama davvero ti aspetta. Sono sempre stata convinta che si possa aspettare per un po', ma poi ci si debba far avanti, rischiando anche il rifiuto. Aspettare per una vita intera non ha senso se il tempo passa senza la persona che, potenzialmente, avrebbe potuto ricambiare il sentimento. Florentino Ariza, invece, non la pensa come me. Lui è stato in grado di attendere la sua Fermina Daza per tutta la propria esistenza.
Florentino incrocia lo sguardo di Fermina quando entrambi erano poco più che bambini e fu subito amore a prima vista. Florentino, da sempre un poeta mancato, inizia una corrispondenza epistolare con Fermina, che in qualche modo la celava al padre.
Il loro è un amore molto platonico, eppure intriso di tenerezza e innocenza, di sogni che solo da adolescenti si possono fare ad occhi aperti. In seguito, però, all'allontanamento di Fermina dalla cittadina, il sentimento entra in una fase di pericolo. Scoperta la storia d'amore, ovviamente non accettata, dal padre di Fermina, la ragazza si ritrova a vivere per un periodo con alcuni parenti, crescendo e diventando una donna. Quando torna al paese, l'incontro con Florentino - sempre a distanza - non è come se lo sarebbe aspettato: forse per autoconvinzione, o forse proprio perché si erano visti molto poco, Fermina disprezza il ragazzo, considerandolo brutto, e interrompe bruscamente il loro fidanzamento. 
Florentino ha il cuore a pezzi, ma non può far altro che accettare la decisione. Di lì a pochi anni Fermina si sposerà con il noto medico Juvenal Urbino, benvoluto da tutti, anche dal padre della ragazza. A quel punto Florentino si promette che avrebbe atteso tutta la vita, finché il dottore non fosse morto, per riprendersi l'amore perduto e che avrebbe mantenuto la verginità per la sua Fermina.
Intanto gli anni trascorrono inesorabilmente. I due proseguono a incrociarsi durante gli eventi pubblici, in strada, a messa, ma conducono la propria vita. Florentino riesce ad affermarsi nel mondo del lavoro, finendo per dirigere una compagnia di battelli, mentre Fermina diventa la compagna del ricco medico, che può permettersi un'esistenza agiata e lussuosa.
Fermina non ama Juvenal e nemmeno lui la ama veramente, ma è stato un matrimonio conveniente per entrambe le parti. I due vivranno uno accanto all'altro sopportandosi e rispettandosi con affetto, ma mai animati dal vero amore e dalla passione.
Dall'altra parte, Florentino non riesce a dimenticare Fermina. Non si arrende al fatto che il destino abbia giocato contro di lui. Tentando probabilmente di dimenticarla e di sopire il dolore che lo pervade, affoga i propri dispiaceri nel sesso sfrenato e in deboli amori con le vedove, con le giovani donne, con le prostitute, con qualsiasi donna sia compiacente, persino con una quattordicenne quando lui era ormai settantenne.


Mai, però, riuscirà a far entrare nel proprio cuore un'altra donna oltre Fermina Daza. Quando Juvenal Urbino, in tarda età, muore per un incidente alquanto ridicolo - sottolineato da Márquez con amara ironia, caratteristica che impregna un po' tutto il romanzo - Florentino non ha ancora perso la speranza. Lascia la sua vita da settantenne playboy e si dedica alla riconquista di Fermina, ormai anziana, ma sempre orgogliosa.
L'uomo non ha perso il romanticismo, quindi con pazienza e con tutto l'amore che aveva messo da parte per lei, si impegna per far sì che Fermina finalmente lo veda come la persona che è sempre stata ad attendere di poterla amare.
La nota aspra del racconto riguarda proprio quell'amore che è stato ad aspettare così tanto tempo: quando i cuori sono pronti, il corpo invece è ormai vecchio e cadente, quasi incapace di reagire.
Riusciranno i due a ritrovarsi nonostante il destino avverso li abbia separati e riuniti molto tardi?

Tutto il romanzo è impregnato di ironia a volte tragica, a volte quasi comica, utilizzata per descrivere la società dell'epoca e gli eventi che coinvolgono i nostri protagonisti.
Il lettore non potrà far altro che provare un certo senso di pena per Florentino, abbandonato e rimasto in attesa, con quella scintilla di speranza sempre accesa. Fermina, d'altro canto, si adatta e a un certo punto sembra talmente abituata alla sua vita monotona con il medico al fianco e alle agiatezze prive di emozione, che il ritorno di Florentino e di un amore vero la spiazza, provocando in lei un reale shock emotivo.
Il paesaggio estremamente colorato, il verde che circonda la cittadina, il fiume e i battelli, lo stesso colera fanno da contorno agli episodi di questo romanzo.

Cosa ne penso? Che sia un libro da leggere indipendentemente dall'essere romantici o meno. Cercate una storia d'amore classica? Lasciate stare che non fa per voi. Cercate, invece, la storia struggente, avversata dall'uomo e dal destino? Mettetevi comodi e iniziate la lettura.

Vi lascio con alcune frasi piuttosto famose tratte dal libro. 

«Era inevitabile: l’odore delle mandorle amare gli ricordava sempre il destino degli amori contrastati».

«Con lei Florentino Ariza aveva imparato quello che aveva già provato più volte senza saperlo: che si può essere innamorati di diverse persone al contempo, e di tutte con lo stesso dolore, senza tradirne nessuna. Solitario tra la folla del molo, si era detto in un accesso di rabbia: «Il cuore ha più stanze di un casino». Stava versando lacrime per il dolore degli addii. Tuttavia, non appena scomparsa la nave sulla linea dell'orizzonte, il ricordo di Fermina Daza era già tornato a occupare il suo spazio totale».

«Si lasciò trasportare dalla convinzione che gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madri li danno alla luce, ma la vita li costringe ancora molte altre volte a partorirsi da sé».

«Quello sguardo casuale fu l'origine di un cataclisma d'amore che mezzo secolo dopo non era ancora terminato».

«Passò un colpo di spugna senza lacrime sul ricordo di Florentino Ariza, lo cancellò del tutto, e nello spazio che occupava nella sua memoria lasciò che fiorisse un prato di papaveri».

«Non ebbe mai la pretesa di amare né di essere amata, pur avendo sempre la speranza di trovare qualcosa che fosse come l’amore, ma senza i problemi dell’amore».

domenica 26 settembre 2021

Recensione di "Il momento giusto" di Danielle Steel

Buona domenica, amici! Siamo entrati nella stagione autunnale e io proseguirò ad avere nostalgia del caldo estivo. Sono un'inguaribile romantica, innamorata dei tramonti infuocati sul mare, delle letture in spiaggia, del sole sulla pelle, dell'abbronzatura dorata.
Per qualche minuto, quindi, vi riporto indietro di circa un mese, ad agosto, quando ho terminato la lettura di "Il momento giusto" di Danielle Steel.



Trama: Abbandonata dalla madre quando aveva appena sette anni, Alexandre Winslow cresce con l'adorato padre Eric, che infonde in lei un grandissimo amore per la lettura. Le sere passate a leggere insieme libri gialli portano Alex a cimentarsi nella scrittura, ed è già dai primi racconti che la ragazza dimostra di avere un talento innato. Eric, il suo primo sostenitore, la incoraggia a seguire la sua dote, mettendola però in guardia: pochi crederebbero che una giovane donna possa essere l'autrice di storie tanto terrificanti, e molti uomini ne sarebbero invidiosi. Per questo, se in futuro vorrà continuare a scrivere, le suggerisce di usare uno pseudonimo maschile. Nel tempo, Alex non abbandona mai la sua passione, e anche il dolore per la morte del padre trova sfogo sul foglio di carta. La ragazza scrive in ogni momento libero, dando vita a trame, temi e personaggi che popolano la sua mente. Così, a metà college finisce il suo primo romanzo, che incontra subito l'interesse di un editore. Ricordando il monito del padre, la ragazza sceglie di pubblicare sotto lo pseudonimo di Alexander Green, e il suo libro diventa subito un bestseller. Ma la fama attira anche le invidie di molti, e ogni uomo che Alex prova a fare entrare nella sua vita si rivela essere geloso del successo di Alexander. Troverà mai qualcuno a cui poter confidare la sua vera identità? La persona giusta arriverà al momento giusto, e sarà nel più inaspettato dei modi.

C'è un momento giusto per ogni cosa: per i propri sogni, per innamorarsi, per crescere. Questo Alex non lo sa ancora quando viene abbandonata dalla madre scapestrata e quando suo padre muore lasciandola sola al mondo. A farle compagnia c'erano unicamente i libri gialli che leggeva con il papà e la passione irrefrenabile per la scrittura. La vita ha in serbo per lei tante sorprese e un grande successo. Quella giovane ragazzina sfortunata, grazie a un avvocato e a un gruppo di suore, riuscirà a coronare il proprio sogno diventando un'affermata scrittrice di thriller.
La strada è soddisfacente, ma costellata di insidie, soprattutto a livello sentimentale. Gli uomini che Alex conosce sono invidiosi e soffrono di sindromi di inferiorità, lasciandola ogni volta ferita. La scrittura è la sua unica ragione di vita e, proprio quando non se lo aspettava, ecco giungere l'uomo giusto, quello capace di riattivare il cuore e rendere tutto più bello.


Danielle Steel "gioca" in casa: la protagonista vuole essere una scrittrice e ci riuscirà nonostante tutto; l'autrice, con ogni probabilità, inserisce elementi tratti dall'esperienza personale. Quello della scrittura è un mondo ambizioso, fatto di pregiudizi (le donne sono meno brave degli uomini a scrivere gialli) e di apparenze (ne è dimostrazione lo pseudonimo maschile adottato da Alex), però terribilmente affascinante.
Attraverso l'inchiostro prendono vita personaggi, storie, sentimenti che esistono solo nella mente dell'autore, condivisi poi con ogni lettore.
"Il momento giusto" è un romanzo dedicato a chi ha un sogno e farebbe di tutto pur di realizzarlo; a chi non si arrende mai, a chi spera sempre che domani sarà un giorno migliore.

sabato 18 settembre 2021

Recensione di "That guy" di Kim Jones

Buonasera amici, eccomi di nuovo qui a raccontarvi qualche dettaglio dei romanzi divorati durante lo scorso mese, agosto, chiamato comunemente "estate". Eh sì, anche se l'estate ha ufficialmente inizio il 21 giugno e termina verso il 22 o 23 settembre, per molti "estate" corrisponde al mese in cui possono ritagliarsi qualche giorno di vacanza, solitamente al mare.

Arriviamo al dunque e quindi al romanzo di Kim Jones che costituisce la mia quarta lettura "estiva".


Trama: "Avete presente quel tipo di ragazzo? Il frutto delle vostre fantasie più romantiche, il classico protagonista dei libri. E ricco, potente e, ovviamente, sexy. Vive in un appartamento stupendo, sa essere irritante ma di solito ha una buona ragione, ben nascosta nel suo passato, per giustificare il suo carattere. Ero convinta anche io che non esistesse. E invece ho conosciuto Jake. Mi chiamo Penelope e sono una scrittrice. Ho trascorso anni alla disperata ricerca di un uomo che fosse all'altezza dei miei protagonisti e, adesso che so che esiste, ho una missione: farlo innamorare perdutamente di me. Non dovrebbe essere un'impresa troppo difficile. C'è solo un problema: ho fatto una stupidaggine e adesso Jake mi odia. Ma sfortunatamente per lui... ho deciso che è quello giusto per me. E in un modo o nell'altro riuscirò a conquistarlo."

Tutto nasce da una vendetta e da un grosso equivoco: Penelope deve fargliela pagare all'ex ragazzo della sua migliore amica nonché coinquilina, incendiando una sacchetto di escrementi di cane; per fuggire dopo il furto di tale sacchetto, la stessa protagonista entra in una limousine fingendo di essere la donna che l'autista stava aspettando. Risultato? Penelope, giovane autrice in via di successo, si ritrova in un lussuoso palazzo appartenente al ricco imprenditore Jake Swagger, scambiata per la escort che avrebbe dovuto accompagnarlo a un importante evento. Chiarito l'errore, la nostra protagonista rimane comunque "incastrata" nelle dinamiche che Jake Swagger ha già deciso. E si dà il caso che lui sia, oltre che spaventosamente ricco, anche molto sexy, in grado di risvegliare ogni fantasia.


Come ho trovato questo romanzo? Sicuramente ho apprezzato l'ironia di Penelope, che non manca mai, anche se costellata di espressioni "scurrili" che non amo particolarmente nei libri. Per il resto è la solita storia che echeggia le "Cinquanta Sfumature": lui bello, ricco, potente e dannato con sfrenate pulsioni sessuali; lei, sprovveduta, che rimane intrappolata nella "rete del ragno", diventando improvvisamente lussuriosa. Si narra di avventure sessuali che sfiorano la fantascienza, di donne estremamente vogliose e di uomini che le trattano come un oggetto del piacere in un primo momento, per poi redimersi facendo emergere un barlume di dolcezza e facendo così scattare un innamoramento che sarebbe eufemistico definire "strano". Abbiamo sempre e comunque una donna in posizione inferiore, considerata per le prestazioni che può offrire, rapportata con un uomo superiore, ovviamente intelligente, che la domina.
Francamente non mi piace questa concezione della donna e dei rapporti sentimentali (che implicano altro, oltre il sesso e l'attrazione ovviamente) che vengono, a mio avviso, sminuiti. Ma del resto sembra che la linea pornografica letteraria mascherata sotto la categoria "romance" o "young adult" vada di moda e che le autrici possano trovare affermazione. In sintesi si tratta di una lettura leggera che non avrei scelto se non mi avessero regalato questo libro ormai molto tempo fa.

venerdì 10 settembre 2021

Recensione di "Prometto di sbagliare" di Pedro Chagas Freitas

Al calar della notte, quando i rumori iniziano a rallentare sopraffatti dal silenzio, anche in questa sovraffollata Roma, io sono qui, davanti a uno spazio bianco pronta a condividere con voi la recensione di un altro romanzo molto particolare.



Trama: Il locale è affollato e rumoroso. L'uomo è seduto vicino alla finestra e guarda il cielo grigio, annoiato come ogni lunedì mattina. Improvvisamente si volta e lei è lì, di fronte a lui. Gli occhi carichi di stupore e l'imbarazzo tradito dal tremito delle dita che afferrano la borsa. Sono passati anni dall'ultima volta che l'ha vista, il giorno in cui l'ha lasciata. Senza una spiegazione, senza un perché, se n'è andato spezzandole il cuore. Da allora, lei si è rifatta una vita, e anche lui. Eppure solo ora si rende conto di non avere smesso di amarla neanche per un secondo. Per questo, quando lei cerca di fuggire da lui, troppo sconvolta dalle emozioni che la scuotono, l'uomo decide di fermarla. E nel loro abbraccio, in mezzo ai passanti, prometterle di tentare, agire, cadere, sbagliare di nuovo. Amarla. Davvero e per sempre. Questa sembrerebbe la fine, ma non è che l'inizio della loro storia. Perché ogni loro gesto, ogni lettera che si scrivono, ogni persona che incontrano, ha un universo da raccontare. E l'amore è il filo rosso che lega tutto. Quante volte ci siamo chiesti com'era l'amore da cui siamo nati? Come si è sentito nostro padre la prima volta che ci ha tenuto in braccio? L'emozione più grande è quella di ritrovare quello che si è perso e amarlo di nuovo, come se fosse la prima volta.

È complicato scrivere la recensione dell'opera di Freitas, innanzitutto perché non si tratta di un romanzo benché sia definito tale. È più propriamente una raccolta di brevi e numerosi racconti, a tratti poetici, e di riflessioni in prosa sugli avvenimenti della vita legati tra loro da alcuni macroargomenti, primo fra tutti l'amore, la caducità dell'esistenza umana, lo scorrere del tempo, le scelte, le passioni.
C'è la coppia di innamorati che ha deciso di vivere ognuno la propria vita, finché non si reincontrano, come se non fosse trascorso tanto tempo; c'è il clochard che cerca la sua amata perduta anni prima; c'è l'innamorato segreto che non trova il coraggio di rivelarsi; il figlio che ha un sogno diverso dal futuro che i genitori si auguravano per lui; ci sono gli amanti, che spendono tutto negli istanti di passione; ci sono un uomo e una donna che si amano e farebbero di tutto l'uno per l'altra.
Sono storie di donne e uomini che rispecchiano aspetti della vita di ognuno di noi, esseri imperfetti, tendenti verso la perfezione offerta dalla felicità e dall'amore.


L'opera di Freitas, per tale motivo, non può essere definita strettamente un romanzo, non ha una trama, un inizio, una fine e un protagonista preciso.
Sono contenta di averla potuta leggere in un periodo di (relativo) relax poiché richiede riflessione e un'analisi lenta. Non può essere letta in modo spedito, ma intervallata da pause, in modo che non si trasformi in un impegno gravoso.
Libro consigliato ai sensibili, ai romantici, agli appassionati e a chiunque abbia voglia di un libro un po' diverso dal solito.

«Lo vedeva per la prima volta e già lo amava da sempre. L'amore è molto facile quando nessuno lo complica».

«L'amore può anche essere soltanto qualcuno che ci chiede di lasciarci proteggere, e ci protegge davvero».

«"Prometto di sbagliare". Fu l'unica promessa che le fece, tutta una filosofia in tre parole. Non credeva nella possibilità della perfezione, e neppure faceva nulla per raggiungerla, perché se non esiste a che serve cercarla? E si lasciava vivere per quello che aveva davanti, tutte le possibilità, tutte le porte. C'era sempre un'ora ideale per la felicità ed era sempre adesso. L'amore arriva solo quando smettiamo di essere perfetti».


«Silenzio, ché si comincia ad amare. Tutti gli amori cominciano così. Nel silenzio di uno sguardo, nel silenzio di una mano dipendente dall'altra, di un'altra mano vagant ch deambula per la città notturna del tuo corpo, nel silenzio delle labbra serrate, scambiate, massaggiate, abbracciate e riabbracciate. Tutti gli amori sono silenzio esteso. E tutti i silenzi meritano l'amore».

«Solo chi ha perso l'amore è in grado di dire la verità».

«L'amore ha tante cose ma non ha mai senso».

lunedì 6 settembre 2021

Recensione di "L'ultima lettera d'amore" di Jojo Moyes

Buonasera lettori, come state? Settembre porta con sé la voglia di ricominciare, ma anche tanta nostalgia verso l'estate. Con voi, però, vorrei condividere la recensione di un romanzo, uscito da poco, da cui è stato tratto un film Netflix, che ho trovato molto romantico: l'autrice è Jojo Moyes, ormai famosa per "Io prima di te".


Trama: Londra, oggi. Ellie, una giovane giornalista che lavora per The Nation ed è perdutamente innamorata di un uomo sposato con cui sta vivendo una relazione complicata, durante una ricerca negli archivi del giornale a caccia di una storia che le eviti il licenziamento si imbatte in una lettera degli anni Sessanta: è di un uomo che chiede alla sua amante di lasciare il marito e partire con lui. Incuriosita dalla storia dei due sconosciuti e nella speranza di trarne un buon articolo, Ellie decide di fare ulteriori ricerche per riuscire a sapere cosa ne è stato di quell'amore... Londra, 1960. La giovane e bella Jennifer si sveglia in un letto d'ospedale dopo un incidente d'auto in cui ha rischiato di morire. Non riesce a ricordare nulla: non sa più chi è, non riconosce l'uomo che dice di essere suo marito, il loro appartamento, gli amici comuni, la sua stessa vita. Un giorno però trova nella sua camera da letto una lettera nascosta in un libro, la lettera di un uomo che non è suo marito, e lentamente inizia a ricordare... "L'ultima lettera d'amore" è la storia di due donne di età ed epoche differenti che si ritrovano unite dallo stesso irresistibile sentimento d'amore, grazie al quale trovano il coraggio di essere davvero se stesse.

"Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano" diceva una nota canzone di Antonello Venditti. Ed è proprio questo che accade a Jennifer e Anthony (Boot), il cui amore nato apparentemente per caso è invece destinato a durare per sempre.
Le differenze sociali e le disgrazie che costellano le rispettive vite non affievoliranno mai quell'immenso sentimento. Jennifer è una donna dell'alta società, coniugata con Laurence, imprenditore nel settore dell'amianto; Anthony è un giornalista, un inviato in Congo. I due si conoscono in Riviera e da lì il sentimento si sviluppa spontaneamente, il più bello che mai si potrebbe desiderare: amicizia che è anche amore reciproco.


Nonostante la vita li abbia separati, i due non si sono mai dimenticati l'uno dell'altra ed Ellie Haworth, giornalista del Nation, si imbatte casualmente nelle loro lettere rimaste custodite per 40 anni nell'archivio del giornale. Ma come sono arrivate lì? E soprattutto quella corrispondenza sarà mai giunta a destinazione? È Ellie a far luce su una storia mai sopita, trovando cosa voglia dire amare davvero oltre lo spazio, il tempo e le circostanze.
"L'ultima lettera d'amore" è un romanzo romantico, nostalgico, pieno di "se fosse stato". Un romanzo che induce a cogliere l'attimo, ad assumersi il coraggio delle proprie azioni, a vivere la propria felicità. Perché la vita è una sola e trovare l'anima gemella è un privilegio riservato a pochi.


«Lei lo osserva. Da qualche parte ha letto che vediamo davvero l'aspetto di una persona nei primi minuti di conoscenza. Dopodiché resta solo un'impressione, condizionata dall'opinione che ce ne siamo fatti».

«La mia unica consolazione, in tutta questa vicenda, è sempre consistita nel sapere che c'era, da qualche parte, quest'uomo che mi amava, che in me vedeva sempre il meglio. Anche nel momento terribile del nostro ultimo incontro, sapevo che lui in me vedeva qualcosa, e questo qualcosa era ciò che più desiderava al mondo».

«Questa vicenda le ha dimostrato che l'età non basta a proteggerci dai rischi dell'amore».

domenica 29 agosto 2021

Recensione di "La voce nascosta delle pietre" di Chiara Parenti

Buonasera amici, come va? In una serata di fine agosto, che porta consé la consueta malinconia di fine estate, condivido con voi la mia recensione di un romanzo, letto ultimamente, che mi è piaciuto particolarmente: "La voce nascosta delle pietre" di Chiara Parenti.


Trama: «Segui le pietre, solo loro regalano la felicità». Luna è una bambina quando il nonno le dice queste parole speciali insegnandole che l'agata infonde coraggio, l'acquamarina dona gioia e la giada diffonde pace e saggezza. E lei è certa che quello sia il suo destino. Ma ora che ha ventinove anni, Luna non crede più che le pietre possano aiutare le persone. Non riesce più a sentire la loro voce. Per lei sono solo sassolini colorati che vende nel negozio di famiglia, mentre il nonno è in giro per il mondo a cercare gemme. Perché il suo cuore porta ancora i segni della delusione. Si è fidata delle pietre, di quello che nascondono, di quello che significano. Si è fidata di quel ragazzo di sedici anni che attraverso di loro le parlava di sentimenti. Dell'amicizia che cresceva ogni giorno e racchiudeva in sé la promessa di un amore indistruttibile. Leonardo era l'unico a credere come lei nel fascino dei minerali e dei cristalli. Leonardo che in una notte di molti anni prima l'ha abbandonata, senza una spiegazione, senza una parola. E da allora il mondo di Luna è crollato, pezzo dopo pezzo. A fatica lo ha ricostruito, non guardando mai più indietro. Fino a oggi. Fino al ritorno di Leonardo nella sua vita. È lì per darle tutte le risposte che non le ha mai dato. Risposte che Luna non vuole più ascoltare. Fidarsi nuovamente di lui le sembra impossibile. Ha costruito intorno al suo cuore un muro invalicabile per non soffrire più. Ma suo nonno è accanto a lei per ricordarle come trovare conforto: il quarzo rosa, la pietra del perdono, e il corallo che sconfigge la paura. Solo loro conoscono la strada. Bisogna guardarsi dentro e avere il coraggio di seguirle.


Luna e Leo, Leo e Luna: due realtà inseparabili da quando la vivace ragazzina ha incontrato Leonardo Landi, sconsolato, in cima a un albero, soprannominandolo così "bambino scoiattolo". E nonno Pietro, dai sinceri occhi di zaffiro, si è accorto fin dal primo momento che quei due "piccoli diamanti" sono destinati a stare insieme nonostante le difficoltà e lo scorrere del tempo.
Luna, Leonardo e Pietro trascorrono interminabili giornate a conoscere le pietre, a impararne le proprietà e a sognare avventure nei posti più magici del mondo. Proprio quando l'amore tra Luna e Leonardo sboccia, accade però un evento che cambierà ogni cosa: quel futuro sperato si allontana e tutto si trasforma in una pietra opaca.
Per fortuna, nonno Pietro ha afferrato i fili rossi del destino dei due ragazzi e non intende lasciarli perché l'amore vero è un miracolo che non si può far sfuggire per nessun motivo al mondo.


Chiara Parenti ha scritto una storia emozionante, ricca di sentimenti e sfumature, proprio come le pietre che guidano i nostri protagonisti lungo tutta la loro esistenza. Quello di Luna e Leo è un percorso di crescita fatto di sofferenze, di sbagli, di affetti e di ritorno a quei sogni che, in un cassetto, si erano assopiti. È la storia che ognuno di noi conosce, soprattutto quando le avversità della vita ci distanziano dai nostri desideri e dalla persona che amiamo.

«Stavo baciando il mio migliore amico, il compagno di tutta la mia vita, e non riuscivo a crederci perché era come se fossi sempre stata tra le sue braccia e conoscessi quelle labbra da sempre. Come se in un universo parallelo fossimo già stati insieme prima di allora, come se quel corpo mi appartenesse e io fossi venuta al mondo solo per lasciarmi avvolgere da lui».

«Il tempo, a volte, deve inchinarsi di fronte all'amore».

«Come l'amore, quello vero, i diamanti non hanno paura del tempo che passa, delle eruzioni vulcaniche, delle temperature elevatissime e delle enormi pressioni. Loro resistono. Loro aspettano. Sempre».


«Viaggiare è cambiare, tesoro... Non sarai più la stessa dopo aver sentito lo scricchiolio degli scarponi nella polvere e dopo aver visto la brillantezza della luna dall'altra parte del mondo».

«Anche il vero amore è così. Ha bisogno di forza, sacrificio, di una resistenza infinita. È un diamante che non ha paura del tempo che passa, delle tempeste, della furia degli elementi. L'amore resiste. Aspetta. E continua a vibrare per sempre».

giovedì 15 luglio 2021

Recensione di "La casa delle farfalle" di Silvia Montemurro

Buon pomeriggio, cari lettori, come state? Nel mezzo dell'estate, condivido con voi la recensione dell'ultimo romanzo che ho letto e terminato poco fa: "La casa delle farfalle" di Sivila Montemurro.


Trama: Quando la vita di Anita, trent’anni e una carriera accademica avviata, viene sconvolta da un tragico evento, decide di lasciare Hans, il suo compagno, per tornare sul lago di Como, dov’è cresciuta. Lì incontra Yoko, una bambina dai tratti giapponesi e dalla voce meravigliosa che, proprio come lei, è segnata da una ferita difficile da rimarginare. Presto Anita, leggendo il diario della nonna Lucrezia, scoprirà di essere legata a Yoko da una storia rimasta sepolta per anni che unisce le loro famiglie e risale al 1943, quando la casa di Lucrezia, la villa delle Farfalle, venne occupata da alcuni ufficiali tedeschi. Un romanzo intimo e corale, che attraversa tre generazioni di donne e che dagli anni della guerra arriva fino ai nostri giorni seguendo il volo leggero e delicato delle farfalle.

Anita, trentenne in carriera, ormai sconvolta da un episodio della sua vita che l'ha lasciata profondamente ferita (e di cui non ci è dato sapere se non verso la fine del romanzo), lascia la Germania e il fidanzato Hans per trasferirsi nella Villa delle Farfalle, sul lago di Como, dove anche sua madre, Margherita, si è ritirata da qualche tempo.
Madre e figlia non hanno mai avuto un rapporto particolarmente affettuoso e le cose tra loro sembrano procedere più per cortesia che per altri sentimenti, in una dimora in cui aleggiano segreti e misteri. In quel luogo è vissuta Lucrezia, nonna di Anita e madre di Margherita; una casa che, nel 1943, fu occupata dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, una casa in cui le vite di tre persone in particolare si sono intrecciate, influendo sul presente e sul futuro.
Nei dintorni della villa, Anita incontra una bambina giapponese, Yoko, dalla meravigliosa voce. Le due legano immediatamente, come se si conoscessero da sempre, ma Margherita è scettica: non vuole che Anita e Yoko si frequentino. Eppure le due iniziano un rapporto di amicizia, saldato anche da Filippo, padre di Yoko e vedovo di Cho, che le condurrà a restaurare e riattivare il farfallario di Lucrezia.
Ci sono però ancora troppi misteri che avvolgono quel posto e, conseguentemente, il passato delle persone che lo frequentano. Anita si cimenta, perciò, nella lettura del diario di sua nonna Lucrezia, venendo a conoscenza di quel che fu e ricostruendo una catena di eventi. In poco tempo la percezione della sua stessa esistenza cambia, le sue certezze si modificano e molte domande hanno ora una risposta.
Proprio come le farfalle, dal volo leggiadro e delicato, così Anita si soffermerà sui ricordi e i sentimenti che hanno coinvolto Lucrezia, Margherita, Cho, ma anche Will, suo nonno mai conosciuto, e Yu Kari, madre di Cho. Sfogliando le pagine e analizzando le sofferenze della sua famiglia, anche Anita riuscirà, finalmente e con l'aiuto di chi le vuole realmente bene, ad esorcizzare le sue paure e a liberarsi di un enorme peso sulla coscienza che non le permetteva di spiccare il volo verso la sua seconda opportunità di felicità.


Silvia Montemurro ha creato un romanzo delicato, che affonda le radici in un recente passato intriso di sofferenza e di grandi sentimenti, oggi a volte dimenticati, sottolineando l'immenso valore dell'amore, ma anche dell'affetto famigliare, sostegno di cui ognuno ha bisogno. Il rapporto madre-figlia viene ripreso più volte come base, così come quel filo rosso del destino che lega, a volte non si sa perché, svariate persone nel corso della loro esistenza.
Sono una fan dei romanzi di Lucinda Riley e quello della Montemurro mi è piaciuto; tuttavia, avrei voluto, da lettrice curiosa e romantica quale sono, conoscere più dettagli dei protagonisti uomini che, a tratti, sembrano privi di sentimenti o incapaci di esprimerli. Sono certa che Will avrà avuto una tempesta dentro che si sarà portato fino all'ultimo giorno di vita; Filippo, sconvolto dal dolore, ha provato a rialzarsi, aprendo il suo cuore a un'altra persona che non è la madre di sua figlia; Alfonso, fratello di Lucrezia, ha amato incondizionatamente, pur non essendo ricambiato allo stesso modo. Forse una descrizione più dettagliata li avrebbe caratterizzati maggiormente, ma queste sono mie riflessioni e richieste da lettrice esigente.
In sintesi, romanzo consigliato, ma attenzione: quando vedrete una farfalla, sarete sicuramente curiose di conoscerne il nome e le caratteristiche, trovando forse qualche risposta nell'incipit di ogni capitolo.
Vi auguro una buona serata, lasciandovi con qualche frase che mi è praticolarmente piaciuta.

«Ci sono persone destinate a incontrarsi e ad amarsi, qualsiasi cosa succeda intorno a loro».

«Ci sono amori che sono come piante bellissime: crescono in mezzo al fango, inizialmente non visti. Ma poi sbocciano e tutti si rendono conto della meraviglia che si sono persi. E ne diventano quasi gelosi. Allora possono decidere: proteggere la bellezza o distruggerla. Il loro amore era così. Per quanto facessero, per quanto provassero, ci sarebbe stato sempre qualcun altro in mezzo a loro. Qualcuno poco sensibile ai fiori nati sul selciato».

«Non era una donna forte, era solo una ragazza innamorata. C'era una bella differenza. Una donna forte può sopportare tutto. Una ragazza innamorata è come una farfalla esposta al gelo dell'inverno. Le sue ali rinsecchiscono e lei muore».


«Forse non tutti possiamo avere l'amore che ci meriteremmo».

«Un segreto si può custodire fino a che non inizia a fare troppo male».

«Koi no yokan» affermò lui. [...] «È un'espressione giapponese, intraducibile nella lingua italiana. [...] È la sensazione che provi quando incontri qualcuno per la prima volta e sai che è scritto nel tuo destino. Sai che comunque andranno le cose, avrà una parte importante nella tua vita, perché ti farà innamorare».

lunedì 31 maggio 2021

Recensione di "La ladra di ricordi" di Barbara Bellomo

Buonasera amici lettori e ben ritrovati su questo piccolo spazio virtuale!
Al termine del mese di maggio, torno a scrivere la mia recensione di "La ladra di ricordi" di Barbara Bellomo, il primo di una serie che vede protagonista l'archeologa Isabella De Clio, coinvolta in casi archeologici e gialli alquanto complicati.


Cosa accomuna l'omicidio, ai giorni nostri, di una dolce, vecchia signora dalla vita irreprensibile e i grandi protagonisti dell'età repubblicana Cesare, Lepido, Cicerone, Marco Antonio, la crudele moglie Fulvia e la piccola Clodia? È quello che dovrà scoprire un terzetto stranamente assortito, chiamato in causa per l'occasione. Isabella De Clio, giovane archeologa siciliana specializzata in arte antica, è bella, volitiva, preparatissima, ma ha un motivo particolare per temere la polizia. E il fatto che l'affascinante Mauro Caccia, l'uomo che la affianca nelle indagini, sia un commissario non l'aiuta più di tanto. Con loro c'è anche Giacomo Nardi, depresso professore di museologia e beni culturali... È l'inizio di una storia che intreccia la Roma del I secolo a.C. e l'Italia contemporanea, gli antichi intrighi politici e i mediocri baroni universitari dei nostri tempi, la violenza che si nasconde tra le mura di casa e la precarietà in cui i ragazzi di oggi, anche i migliori, sono costretti a crescere e a diventare adulti.

C'è una maledizione che impregna il cammeo di Clodia: sembra quasi che il suo ultimo possessore, alla fine, muoia in un modo o nell'altro. Ed è proprio a causa di quel cammeo che la vita della signora Luisa Velio viene stroncata, appena dopo aver telefonato misteriosamente a Giacomo Nardi, professore universitario e docente presso la Fondazione di Todi. L'uomo, in seguito alla tragica morte della moglie, non si è più ripreso, vivendo ormai solo di ricordi e di archeologia, immerso nella lettura di libri che riescano a distrarlo dalla realtà. Mai si aspetterebbe di ricevere una chiamata da quella che sarebbe poi diventata la misteriosa vittima...
Giungiamo, però, alla protagonista, Isabella De Clio, giovane archeologa di 28 anni, dai lunghi capelli rossi fiammanti, studiosa presso la Fondazione, dove conduce una ricerca sui cammei. Sarà proprio lei, grazie alla sua particolare specializzazione (e tutto ha un perché) ad essere coinvolta nelle indagini condotte dall'affascinante commissario di Polizia, Mauro Caccia.


Isabella deve trovare indizi storici, prove che riescano a far individuare almeno una traccia che giustifichi la morte della donna. I cammei costituiscono la sua materia, li studia ormai da anni, tanto da essersi candidata per un posto da ricercatore, laddove le sue speranze sono ridotte al minimo: le trame di raccomandazioni, amicizie e rapporti extra infangano l'ambiente accademico, riducendolo al regno del barone di turno (e riflettendo, aggiungo, esattamente la triste realtà, italiana ed estera, almeno nel settore dell'archeologia).
Isabella non si arrende: come un vero detective interroga i potenziali indagati, ricostruendo una fitta trama, e risalendo fino a un evidente furto di cui, all'epoca, nessuno sembrava essersi accorto. Eppure l'archeologa nasconde un segreto: è cleptomane. Ogni volta che ha intenzione di ricordare un momento specifico, sottrae un oggetto che possa rievocare quanto vissuto e lo inserisce in una scatola. Quel cammeo viola, con un ippocampo ed Eros bendato raffigurati, è magnifico, iconograficamente raro, se non addirittura un unicum... ma c'è qualcos'altro legato a quel manufatto che, rubato ingenuamente da Isabella, costituirà una prova schiacciante per incastrare l'assassino.


E Mauro Caccia? L'ispettore è occupato, eppure scatta qualcosa con Isabella, la brillante studiosa che guida una moto di grossa cilindrata. Lei si è lasciata con il ragazzo che, da pochi mesi, è stato accusato di bancarotta fraudolenta; lui è sposato, ma il suo matrimonio sembra essere giunto a un punto di non ritorno. Le indagini li porteranno ad avvicinarsi molto... ma quando l'archeologia chiama, Isabella risponde, soprattutto nel momento in cui le opportunità provengono dalla Sicilia, sua terra natale. Il lavoro rimane, l'amore a volte no.


"La ladra di ricordi" è un romanzo avvincente, adatto ad ogni tipo di lettore. Le note storiche ci sono, ma rivestono il ruolo di cornice del racconto contemporaneo, permettendo così di essere scorrevole. C'è anche quel pizzico d'amore che porta qualche pagina di batticuore e di aspettativa.
E poi, forse sarò di parte, ma ho subito una immedesimazione con la collega per tanti, forse troppi aspetti, dagli intrighi universitari che ostacolano la carriera (ahimé), alla ricerca iconografica e alla passione verso il passato che mi anima ormai da una vita, fino alle note più sentimentali.
Come me, Isabella proseguirà le sue indagini... e forse la sottoscritta continuerà a trascorrere qualche ora in lettura, curiosando tra le pagine di storie senza tempo.

P.S. Grazie all'amico in divisa che mi ha consigliato questo romanzo e quelli successivi!

«Sì, Eros è spesso associato all'amore. Ma anticamente era il simbolo di ogni unione. L'unione di elementi diversi nel rispetto della loro peculiarità. Anche se sono opposti o contrastanti».
«Non è questo l'amore? L'amore con la 'A' maiuscola?» intervenne Nardi, partecipe, posando la forchetta sul piatto. «Amare senza annullare mai l'altro».

«Isabella aprì l'armadietto che per due anni aveva custodito i libri e il materiale delle sue ricerche e cominciò a svuotarlo. Era triste. E infinitamente delusa. [...] Per la prima volta, da quando lei ricordava, non sapeva cosa fare. Da due settimane era disoccupata. Al pensiero si sentì ribollire dentro. Anni di studi per ritrovarsi senza prospettive, senza aspettative e senza sogni».

.
sito