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mercoledì 14 febbraio 2024

Recensione di "Giuda Iscariota e Maria Maddalena" di Kahlil Gibran

Buonasera a tutti e bentornati sul blog! Oggi è il 14 febbraio e, per chi è credente, è anche mercoledì delle ceneri, giorno di inizio della Quaresima.
Si tratta di un caso, ma proprio stamattina - durante uno spostamento in bus - ho terminato di leggere un testo di Kahlil Gibran: "Giuda Iscariota e Maria Maddalena", edito da Edizioni San Paolo, per la collana "Sette minuti per lo spirito".


Ho individuato questo libriccino, di appena 31 pagine, mentre passeggiavo all'interno di una delle librerie religiose in via della Conciliazione di cui ero assidua frequentatrice quando ero studentessa presso l'Università Roma Tre e preparavo gli esami di Storia del Cristianesimo, o di Letteratura cristiana antica. Mi è andato all'occhio il nome di Gibran, di cui ho già letto tre libri (Il Profeta; Il giardino del Profeta; I segreti del cuoreAli Spezzate), e l'accostamento di due personaggi evangelici così controversi: Giuda Iscariota e Maria Maddalena.

Giuda Iscariota è il traditore per eccellenza, ma Gibran ci mostra un uomo di cui i Vangeli non narrano. Giuda di Gibran è un discepolo che ammira Gesù, lo seguirebbe in capo al mondo perché è il Messia, ma al contrario di quanto lui aveva inteso non libererà il popolo dal dominio romano. Gibran inserisce Giuda e Gesù nel contesto storico di quel tempo, un periodo in cui la Giudea era sede di rivolte capeggiate da uomini che si professavano "Messia", liberatori dal giogo imperiale. Basti pensare all'ultima rivolta giudaica del 135 d.C., capeggiata da Simon Bar-Kokhba, il "figlio della stella", soppressa poi dall'Impero.

Cimabue, Public domain, da Wikimedia Commons

Il Giuda di Gibran non capisce immediatamente che Gesù si riferisce a un mondo altro, un mondo non terreno. Gesù parla dello spirito, Giuda si interessa di ciò che è terreno e finirà deluso. Consegna Gesù in mano ai nemici, vendendolo, perché le sue speranze erano state disattese. L'amarezza accumulata da Giuda condusse alla morte Gesù che, tuttavia, pur in punto di morte, continuava a parlare di perdono e di amore. Furono queste le ultime frecce lanciate al cuore indurito di Giuda che, solo dopo la morte di Gesù, capì di aver commesso un tragico errore e decise perciò di raggiungerlo, di chiedere scusa e di farsi perdonare, pur morendo da assassino e da suicida. Sapeva, nel suo cuore, che Gesù lo avrebbe perdonato.

Tiziano Vecellio, Public domain, da Wikimedia Commons

L'altro personaggio è Maria Maddalena, donna di cui tanto si è parlato, soprattutto in seguito al fenomeno Dan Brown. La Maria di Magdala nominata da Gibran è la prostituta. Come può una persona del genere diventare discepola di Gesù? Una donna dall'animo sporco, una peccatrice? Eppure, nulla di più vero: Gesù si rivolgeva in primis ai deboli, agli ultimi, e ciò non deve quindi sorprenderci.
Gesù si reca più volte nel giardino della Maddalena, ma nonostante lei lo inviti e ne rimanga ammaliata, egli non entra in casa. Qualche scambio di parole fa comprendere alla donna che Gesù è diverso: non vede il suo aspetto fisico, ma scorge il suo cuore, un cuore che nessuno era mai riuscito a vedere oltre il corpo, usato e abusato. Maria Maddalena diventa poi una delle testimoni della Resurrezione di Cristo. Mai esiterà nel comunicare ciò che sa: è risorto e tanto basta.

Gibran cosa fa? Prende i due peccatori e ne scrive la storia "celata" all'interno dei Vangeli, dà voce ai personaggi più umani e vicini a noi, ma secondari, senza i quali nulla di ciò che conosciamo sarebbe, però, avvenuto. Ovviamente l'autore narra nel suo classico stile, leggero e poetico, quasi profetico.

"Giuda Iscariota e Maria Maddalena" è un libriccino da leggere, a mio avviso, sia per chi è credente che per tutti gli altri. Si tratta, se volete, di una storia e del profilo di due dei personaggi più umani e vicini a noi che la letteratura antica potesse ospitare tra le sue pagine.

Vi aspetto sempre qui con la prossima recensione!

domenica 4 febbraio 2024

Recensione di "Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano" di Eric-Emmanuel Schmitt

Buonasera e buona domenica, amici lettori! È così bello per me tornare sul blog un po' più di frequente. Significa che leggo molto e, quindi, rispetto i libri.

Oggi vi porto a Parigi, a Rue-Bleue, dove vive Mosé, un ragazzino ebreo, e dove lavora monsieur Ibrahim, il cosiddetto "arabo", che in realtà è solo musulmano.


Trama: Nel breve intreccio di strade di un popolare quartiere parigino dove i nomi delle vie hanno il sapore delle favole (rue Bleue, rue de Paradis), l'adolescente Momo vive con un padre sprofondato in una silenziosa e fosca depressione. Nello stesso quartiere vive anche monsieur Ibrahim, l'unico arabo in una via "ebrea", titolare della drogheria dove Momo si reca a fare la spesa quotidiana e non esita ogni tanto a sgraffignare qualche scatoletta di conserva... "È solo un arabo, dopo tutto!" pensa Momo, e, con suo grande stupore, il vecchio Ibrahim sembra leggergli nel pensiero: "Non sono arabo, vengo dalla Mezzaluna d'Oro". Così comincia la storia d'amicizia, intessuta di ironia, candore e profonda saggezza, del ragazzo ebreo e dell'anziano "arabo" nell'incanto di un angolo di mondo nel quale le puttane sono belle e cordiali e si accontentano di un orsetto di peluche in cambio dei loro favori e dove, come portata da un sogno, compare addirittura Brigitte Bardot. Come in una favola o un apologo che non pretende di dare lezioni morali ma soltanto proporre un sogno da decifrare, i due protagonisti si incamminano verso il grande mondo, acquistano un'auto che nessuno dei due sa guidare e si dirigono verso Oriente, oltre Istanbul, verso una libertà che li fa inerpicare verso l'alto, guidati da quell'arte di sorridere alla vita racchiusa nei preziosi fiori del Corano.

L'incipit lascia già senza fiato per la sua brutalità: «A undici anni ho rotto il porcellino e sono andato a puttane».
Un bambino di 11 anni che va con le prostitute, quando quella è ancora l'età dei giochi e della spensieratezza. Ma di Mosé si saprà qualcosa solo leggendo le pagine, andando avanti.
Mosé è stato abbandonato dalla madre alla nascita e affidato al padre, un avvocato, che non sembra interessato a lui e che riesce a fare paragoni solo con il figlio maggiore, Popol, andato via con la moglie tanti anni prima. Mosé è una creatura invisibile, un bambino alla disperata ricerca di amore.
Ogni giorno si reca alla drogheria di monsieur Ibrahim, chiamato l'arabo: è qui che compra qualcosa con i pochi soldi che il padre gli dà per fare la spesa, ma spesso ruba delle scatolette. Mosé e Ibrahim si parlano poco, poi sempre più spesso, finché tra i due non nasce una certa amicizia. Scopriremo che Ibrahim non è arabo, ma musulmano e ha un negozio sempre aperto; Mosé, che Ibrahim chiamerà Momo, si affeziona e chiede a Ibrahim tutto ciò che, in teoria, avrebbe dovuto chiedere a suo padre.

Foto di StockSnap da Pixabay

Il bambino impara così a sorridere, a stringere un rapporto con altri ragazzi della sua età, a sentire un pizzico di felicità anche quando la vita gliene concede molto poca. E Ibrahim, il musulmano, diviene di fatto il padre adottivo del ragazzo. Anche quando tutto va in frantumi e l'esistenza di Mosé viene nuovamente sconvolta, è monsieur Ibrahim a prendersi cura di lui. Insieme viaggiano attraverso l'Europa, diretti a Istanbul e il loro legame si fa sempre più bello, esattamente come quello di un padre con un figlio. E il compito di un genitore è proprio quello di accompagnare il proprio figlio durante il viaggio, lasciandogli a un certo punto la mano quando ormai è in grado di cavarsela da solo.
Ma da dove deriva tutta la saggezza di monsieur Ibrahim? Questo personaggio dice sempre di conoscere ciò che c'è nel suo Corano, che forse non corrisponde esattamente al libro, ma al proprio cuore.

Soprattutto in un momento come questo, in cui le guerre imperversano, questo romanzo di Schmitt ha molto da insegnare. Cosa importa essere nati ebrei, o musulmani? O cristiani? O buddisti? Non è la nostra fede a dirci chi siamo, ma il nostro cuore. Mosé ha scelto Ibrahim come padre e Ibrahim ha scelto Mosé come figlio. Non avrebbero potuto essere più differenti, ma tant'è. Quale ruolo ha la fede religiosa dei due? Nessuno, assolutamente nessuno. Ha importanza il loro ruolo come esseri umani, che si rispettano e si amano.
Schmitt si focalizza anche su un altro punto: quello dell'amore assente e dell'amore presente. Un bambino, senza una guida, cerca amore anche dove non dovrebbe. Triste è doverlo pensare a ricercare abbracci e baci nei letti delle prostitute, cui lui ingenuamente regala il proprio orsetto. Un orsetto che simboleggia la fanciullezza, l'innocenza buttata via.
E ancora, si vuol sottolineare la difficoltà di essere genitori. Non tutti riescono a mantenere un impegno che, prima di essere biologico, coinvolge l'animo.
Infine, Schmitt restituisce una speranza a Mosé tramite l'incontro con Ibrahim. Il bambino impara a sorridere, lui che non sapeva nemmeno come si facesse. Con il sorriso, il mondo sembra meno minaccioso e il prossimo meno crudele.
Un libro da leggere per imparare qualcosa, o sarebbe meglio dire, molte cose importanti.
Vi lascio con alcune frasi e vi aspetto alla prossima recensione!

P.S. di questo libro è stato girato un film. Se siete curiosi, guardate qui: (link)

Immagine tratta dal film

«È troppo bello qui, monsieur Ibrahim, davvero troppo bello. Non è per me, non me lo merito»
Monsieur Ibrahim ha sorriso.
«La bellezza è dappertutto, Momo. Dovunque tu giri lo sguardo. È scritto sul mio Corano, questo.»

«Tuo padre non aveva modelli. Ha perso i suoi genitori da piccolo, presi dai nazisti e morti in un campo di concentramento. Tuo padre non aveva mai superato il fatto di essersi salvato. Forse si sentiva in colpa per essere rimasto vivo [...].»

«Ferma la macchina. Lo senti? C'è odore di felicità, è la Grecia. Le persone se ne stanno immobili, si concedono il tempo di guardarci passare, respirano. Vedi, Momo, nella mia vita avrò anche lavorato molto, ma ho lavorato lentamente, prendendomi il mio tempo, senza dannarmi l'anima per incassare di più o accaparrarmi i clienti, no. Il segreto della felicità è la lentezza, proprio così. [...]»

venerdì 2 febbraio 2024

Recensione di "La libreria del Signor Livingstone" di Mónica Gutiérrez

Buonasera a tutti, amici lettori! Eccoci ritrovati qui in questo piccolo spazio virtuale che echeggia memorie della mia bella Sàkomar (per chi non sapesse di cosa parlo, provate a dare uno sguardo qui: link).

Dove vi porto oggi? A Londra. Ci siete mai stati? Io no, ma è una meta che ho sempre sognato di visitare, frutto del mio amore per la letteratura e la lingua inglese che, ai tempi d'oro liceali, mi avevano decisamente stregato.


Trama: A guardar bene, in fondo a una stradina di Londra, si può scorgere una palazzina su due piani tutta in legno dipinto di blu. Dietro le vetrine, pile e pile di romanzi. Aprendo la porta dalla curiosa maniglia a forma di penna, si incontra il signor Edward Livingstone, l'anima della libreria Moonlight Books. A prima vista può sembrare un po' burbero, ma non fateci troppo caso. Lo fa solo perché preferisce la compagnia dei libri a quella delle persone. Eppure, nessuno riesce a capire i bisogni dei lettori meglio di lui. Come quelli di Oliver, che, a otto anni, è un bambino prodigio, e passa in libreria molto del suo tempo, per non sentirsi solo; o Sioban, che tra quegli scaffali cerca l'ispirazione per un nuovo romanzo di cui ha perso le parole. Soprattutto, il signor Livingstone è stato capace di leggere nel cuore di Agnes. Un cuore un po' malandato che aveva deciso di chiudere le porte al mondo. Fino al magico giorno di pioggia in cui Agnes trova riparo alla Moonlight Books. È così che, tra i sussurri dei più bei versi mai scritti, Agnes scopre che la speranza di una vita migliore non deve mai morire. Che le strambe figure che abitano la libreria hanno l'immenso potere di farla sentire al sicuro. Perché il signor Livingstone ha riempito il suo negozio di generosità e di amicizia: all'avventura e agli imprevisti ci pensano i libri, con le loro storie che non smetteresti mai di leggere.

Non appena ho iniziato a leggere questo libro, che tanto mi aveva ispirata in libreria, mi è sembrato di avere sotto gli occhi la mia storia. Agnes è un'archeologa, una povera, triste e talentuosa archeologa spagnola, alla ricerca disperata di un lavoro (e di sé stessa), con il sogno di essere un giorno assunta al prestigioso British Museum.
Durante una giornata di pioggia, Agnes trova riparo all'interno di una libreria, la Moonlight Books. Il proprietario, Edward Livingstone, sembra un burbero signore uscito da un romanzo, gli occhiali inforcati, la pipa in bocca, parente del noto David Livingstone, di cui tiene il prezioso diario in una teca di vetro. Il locale, pieno zeppi di libri, è "abitato" da altre creature: uno scrittore residente che, sotto una lampadina blu, scrive romanzi; un bambino biondo di nome Oliver Twist, appassionato di stelle, che ama Peter Pan e il suo telescopio, puntato verso il cielo stellato visibile dal lucernario della libreria; Sioban, compagna di Edward, cui non manca mai un sorriso. E ovviamente, in perfetto stile "British", nella bellissima Moonlight Books non può mancare l'angolo romantico, dove si può sorseggiare un buon té in compagnia di un libro.

Foto di Emre Can Acer (https://www.pexels.com)

Agnes entra così in un mondo fatato, impressionata dai volumi e da quel luogo così accogliente. Edward, dal canto suo, sta cercando un'assistente e vede in quella "fatina dai piedi scalzi" (Agnes, infatti, bagnata dalla pioggia, era entrata togliendosi le scarpe) la persona ideale. L'archeologa ha un'opportunità per rimanere ancora a Londra e cercare il lavoro dei suoi sogni.
Tra acquirenti del tutto inusuali, letture di Peter Pan sottovoce in perfetta modalità "Wendy e i bambini sperduti", té aromatizzati e la caccia al ladro del diario di David Livingstone, Agnes troverà nella libreria Moonlight Books una seconda famiglia, in grado di accoglierla, proteggerla, curare le ali ferite e aiutarla a riprendere il volo verso il suo più grande sogno.
In tutto ciò, come nelle più belle fiabe, l'amore non è secondario: l'archeologa e l'ispettore Lockwood dagli occhi blu faranno sognare chiunque creda ancora nella magia dei sentimenti.

Foto di Vlada Karpovich (https://www.pexels.com)

Sarà perché Agnes è un'archeologa e, come me, disperata, con un pesante bagaglio di sogni infranti, che ho davvero amato questo libro. E sì, esattamente come lei, lavorerei molto volentieri in una libreria magica come la Moonlight.
Per il resto, la costruzione del personaggio di Edward Livingstone è, secondo me, la più interessante perché si tratta di uno scorbutico dal cuore tenero, un po' Ebenzer Scrooge e un po' Sherlock Holmes, ironico e pungente, difensore dei deboli, amante della letteratura e dei libri illustrati.
Se avete voglia di una fiaba moderna e dolce, proprio come un té inglese accompagnato da qualche biscotto, leggete il libro di Mónica Gutiérrez e non ve ne pentirete.

Vi lascio con qualche frase estratta dal libro e vi aspetto con la prossima recensione!

Foto di cottonbro studio (https://www.pexels.com)

«I libri non sono il nostro lavoro, sono la nostra vita. Da quando in qua vivere produce vantaggi economici?»

«Non dovrei neanche essere qui. Io sono un'archeologa.»
«È per questo che sei triste?»
«Non sono triste.»
«Se dico che sono un astronauta e resto sul pianeta Terra, mi deprimerò, perché che razza di astronauta non esce dal suo quartiere?» le spiegò pazientemente Oliver.
«Uno molto frustrato», borbottò di cattivo umore Agnes.
«Parli come la mia psicopedagoga.»
«Si sentirà così anche lei.»
«Il trucco è non dire "sono un'archeologa" o "sono un astronauta". Tu sei molte cose: una persona, l'aiutante del signor Livingstone, una bella ragazza...»
«Grazie.»
«... una brava lettrice di Peter Pan, una ragazza simpatica, sveglia... E tutte queste cose ti riescono benissimo. Non dovresti essere triste.»

«Non sapevo di essere triste», riepilogò, «ma forse in effetti lo sono. Non trovo il mio posto nel mondo, come se fossi un astronauta disperso nell'universo con una gran voglia di tornare a casa.»
«Allora io non mi preoccuperei.» [...]
«E perché?»
«Perché prima o poi arriva sempre qualcuno che ti vuole riportare a casa.»

«Ho degli amici innamorati dell'idea di innamorarsi, ma non riescono ad andare oltre la teoria», rifletté Jasmine nell'oscurità. «Altri non sanno stare soli e si convincono che ogni nuovo partner è quello perfetto e definitivo. Ma secondo me l'unica cosa perfetta è l'inizio di una storia d'amore, il momento in cui ci si guarda negli occhi e si capisce che la ricerca è finita, perché ormai ci si è trovati. La fine dell'attesa, quando tutto si risolve.»

«Esistono baci capaci di fermare il mondo. Paralizzano l'aria attorno, congelano il tempo e lasciano in sospeso il pensiero. La vita stessa ammutolisce, timorosa di spezzare con il suo palpito l'incantesimo di un così straordinario incontro. Solo i bambini che un tempo applaudivano forte perché credevano nelle fate possono capire da grandi che esistano baci così, capaci di trattenere il tempo.»
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