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domenica 27 settembre 2020

Recensione di "L'arte di amare" di Erich Fromm

Buonasera amici, o forse, potrei dire già buonanotte. Di nuovo all'insegna di una giornata segnata dal diluvio, i libri mi hanno fatto compagnia. Condivido con voi la recensione dell'ultimo volume letto durante le mie vacanze.




Trama: Ogni essere umano avverte dentro di sé in modo istintivo e insopprimibile l’assoluta necessità dell’amore. Eppure, in molti casi, si ignora il vero significato di questo complesso aspetto della vita. Per lo più l’amore viene scambiato con il bisogno di essere amati. In questo modo un atto creativo, dinamico e stimolante si trasforma in un tentativo egoistico di piacere. Ma il vero amore è un sentimento molto più profondo, che richiede sforzo e saggezza, umiltà e coraggio. E, soprattutto, è qualcosa che si può imparare. Da un grande e insuperato maestro della psicologia del Novecento, un saggio da leggere tutto d’un fiato, un invito a vivere il vero amore che ognuno può fare proprio.


In un'epoca in cui siamo sempre di fretta, in cui ogni minuto di tempo libero dev'essere immediatamente occupato da attività spesso futili, in un momento storico in cui droga e alcool colmano quei vuoti dell'animo, per l'amore forse non c'è abbastanza spazio. Qualcuno non sa neppure cosa voglia dire "amare" confondendo il tutto con l'attrazione sessuale, con un bisogno temporaneamente soddisfatto che non fa altro che alimentare quell'esigenza di sentimenti, quella necessità di eliminare la solitudine.
Non troverete nel saggio di Fromm un manuale per individuare il vero amore o per imparare ad amare una persona, ma una serie di profonde riflessioni sul comportamento dell'essere umano, nonché alcuni "consigli" da seguire per riuscire ad amare nella quotidianità, facendo sì che diventi un processo spontaneo e naturale. 
Per amare occorrono umiltà, coraggio, volontà, pazienza, concentrazione, un mix di elementi difficili da conquistare e da possedere in maniera costante. Nella suddivisione dei tipi di amore – fraterno, materno, erotico, per se stessi, per Dio – Fromm si ritrova ad analizzare i comportamenti dell'essere umano dalla nascita alla maturità, tracciando uno spaccato della società. E se è vero che l'amore è la forza più potente, si giunge alla conclusione, forse un po' pessimistica, che purtroppo l'amore nella società attuale è l'eccezione, un fenomeno ormai divenuto marginale. 


«L'amore infantile segue il principio: amo perché sono amato. L'amore maturo segue il principio: sono amato perché amo. L'amore immaturo dice: ti amo perché ho bisogno di te. L'amore maturo dice: ho bisogno di te perché ti amo». 

«Amare qualcuno non è solo un forte sentimento, è una scelta, una promessa, un impegno». 

«L'amore dovrebbe essere essenzialmente un atto di volontà, di decisione di unire la propria vita a quella di un'altra persona» 

«Amare significa affidarsi completamente, incondizionatamente, nella speranza che il nostro amore desterà amore nella persona amata. Amare è un atto di fede […]». 


«Paradossalmente, la capacità di stare soli è la condizione prima per la capacità d'amare. Chiunque tenti di stare solo con se stesso scoprirà quanto difficile sia». 

«L'amore è possibile solo se due persone comunicano tra loro dal profondo del loro essere, vale a dire se ognuna delle due sente se stessa dal centro del proprio essere».

giovedì 24 settembre 2020

Recensione di "Finché il caffè è caldo" di Toshikazu Kawaguchi

Buongiorno amici! Avevo deciso di andare a vedere una mostra stamattina, visitando ovviamente il sito archeologico in cui è ospitata, e il diluvio universale ha pensato bene di farmi desistere, rimandando questo appuntamento culturale. In sintesi, mi sono svegliata presto per poi rimanere a casa a lavorare.
In questa breve pausa, mi dedico al blog e torno a parlarvi di uno dei libri che ho letto ad agosto scorso.


Trama: In Giappone c’è una caffetteria speciale. È aperta da più di cento anni e, su di essa, circolano mille leggende. Si narra che dopo esserci entrati non si sia più gli stessi. Si narra che bevendo il caffè sia possibile rivivere il momento della propria vita in cui si è fatta la scelta sbagliata, si è detta l’unica parola che era meglio non pronunciare, si è lasciata andare via la persona che non bisognava perdere. Si narra che con un semplice gesto tutto possa cambiare. Ma c’è una regola da rispettare, una regola fondamentale: bisogna assolutamente finire il caffè prima che si sia raffreddato. Non tutti hanno il coraggio di entrare nella caffetteria, ma qualcuno decide di sfidare il destino e scoprire che cosa può accadere. Qualcuno si siede su una sedia con davanti una tazza fumante. Fumiko, che non è riuscita a trattenere accanto a sé il ragazzo che amava. Kotake, che insieme ai ricordi di suo marito crede di aver perso anche sé stessa. Hirai, che non è mai stata sincera fino in fondo con la sorella. Infine Kei, che cerca di raccogliere tutta la forza che ha dentro per essere una buona madre. Ognuna di loro ha un rimpianto. Ognuna di loro sente riaffiorare un ricordo doloroso. Ma tutti scoprono che il passato non è importante, perché non si può cambiare. Quello che conta è il presente che abbiamo tra le mani. Quando si può ancora decidere ogni cosa e farla nel modo giusto. La vita, come il caffè, va gustata sorso dopo sorso, cogliendone ogni attimo.
Finché il caffè è caldo è diventato un caso editoriale in Giappone, dove ha venduto oltre un milione di copie. Poi ha conquistato tutto il mondo e le classifiche europee a pochi giorni dall’uscita. Un romanzo pieno di fascino e mistero sulle occasioni perdute e sull’importanza di quelle ancora da vivere.


Chi non ha mai desiderato di poter tornare nel passato, in un determinato giorno, per cambiare le cose, o dire qualcosa di importante a una persona speciale? Chi non ha mai voluto poter fare un salto nel futuro e sapere se i propri sogni, alla fine, si realizzeranno? 
In un piccolo caffè giapponese dall'aspetto retrò e tre orologi appesi che segnano tutti un'ora diversa, il salto nel tempo è possibile, accomodandosi su una particolare sedia e bevendo un caffè speciale contenuto in una caffettiera argentata. Ma non tutto è così semplice come sembra. Ci sono delle regole cui attenersi strettamente:

1. Le uniche persone che si possono incontrare nel passato sono quelle entrate nel caffè. 

2. Qualunque cosa si faccia quando si è nel passato, non si può cambiare il presente. 

3. Per tornare nel passato, bisogna sedersi solo e unicamente su quella sedia. 

4. Quando si torna nel passato bisogna restare su quella sedia e non ci si può muovere da lì. 

5. C'è un limite di tempo, ovvero bere tutto il caffè finché è caldo. 

È quindi in quel piccolo locale che si incrociano le storie di due innamorati che non si sono mai dichiarati esplicitamente; di marito e moglie che avrebbero voluto dirsi più speso "ti amo"; di due sorelle che si volevano bene, ma avrebbero voluto non doversi separare; di madre e figlia, che avrebbero voluto conoscersi. 
A volte la vita ci porta a compiere delle azioni e a prendere decisioni in modo troppo frettoloso, finanche a ferire le persone che ci sono care. Riflettendo, solo successivamente, pensiamo "se avessi detto…" oppure "se avessi fatto…" a quest'ora le cose sarebbero diverse. 


"Finché il caffè è caldo" conduce a soffermarsi sul valore dei piccoli gesti quotidiani, sui sentimenti e le mancanze, vivendo, senza rimanere ancorati al passato come il curioso e fondamentale fantasma della signora in bianco, ospite fisso del caffè. E, citando il noto film con Julia Roberts "Il matrimonio del mio migliore amico", ricordiamoci che quando si vuol bene o si ama una persona bisogna dirglielo subito e forte, altrimenti il momento passa ed è poi troppo tardi per rimediare all'errore commesso. 


«L'acqua cade dall'alto al basso, è la forza di gravità. Anche le emozioni forse agiscono secondo la stessa legge. Di fronte a una persona con cui si ha un legame profondo e a cui si sono rivelati i propri sentimenti, è difficile mentire e lasciar perdere. La verità vuole uscire a tutti i costi, soprattutto quando si cerca di occultare la tristezza o la fragilità. È molto più facile nascondere la tristezza a un estraneo, o a qualcuno di cui non ci si fida».

domenica 20 settembre 2020

Recensione di "La cacciatrice di storie perdute" di Sejal Badani

Buonasera amici! In una serata tipicamente autunnale, con il cielo grigio, qualche goccia di pioggia e una magnifica ma inquietante falce di luna rossa, torno sul blog per parlarvi di una lettura che ha un sapore orientale.


Trama: Jaya ha il cuore spezzato. Ha tentato a lungo di avere un bambino, ma dopo la terza gravidanza interrotta sta cominciando a perdere le speranze. Anche il suo matrimonio inizia a sfaldarsi e così, nel disperato tentativo di ritrovare sé stessa, decide di allontanarsi da New York per riavvicinarsi alle sue origini indiane. Non appena Jaya arriva in India viene immediatamente sopraffatta dai colori, dai profumi e dai suoni. Ogni cosa ha un fascino esotico, per lei, e ben presto il desiderio di riscoprire la cultura della sua famiglia prende il sopravvento. Ma ci sono segreti del passato a lungo taciuti che hanno il potere di influire sulle generazioni a venire. E così Jaya viene a conoscenza della storia di sua nonna e di un amore clandestino che è destinato a cambiare per sempre la sua vita. Solo dopo aver scoperto il coraggio e l’inarrestabile spirito di resilienza che hanno caratterizzato le donne della sua famiglia, infatti, Jaya si accorgerà di avere dentro di sé una forza che non avrebbe mai potuto immaginare di possedere.

"La cacciatrice di storie perdute" è un romanzo regalatomi un po' per caso che si è rivelato decisamente magnifico. Sejal Badani trasporta il lettore nell'India della colonizzazione britannica, quando Gandhi faceva la sentire la propria voce per far sì che il suo popolo fosse libero e indipendente. Un'India ancora arretrata, colma di credenze popolari dal fascino antico, ma anche di ingiustizie come quella dei matrimoni giovanili e combinati, quella della divisione in caste, per non contare l'assegnazione del ruolo sottomesso per le donne, considerate prima proprietà del padre e poi del marito. Quelle stesse donne cui era preclusa l'istruzione perché ritenute in grado di soddisfare unicamente il marito gestendo la casa e generando figli. 


"La cacciatrice di storie perdute" intreccia le vite di Amisha e Jaya, nonna e nipote, una libera nell'animo ma costretta alle convenzioni sociali, l'altra alla ricerca di se stessa, dopo un periodo terribile segnato da tre aborti spontanei. 
Jaya decide di volare in India, il paese d'origine di sua nonna e di sua madre, mentre riflette sul rapporto con il marito Patrick, sfilacciato dalla sofferenza. Ed è qui che, seguendo quanto scritto in una lettera giunta a sua mare, incontrerà Ravi, l'anziano domestico al servizio di sua nonna Amisha. Ravi era un intoccabile di nascita, considerato quasi un rifiuto della società, cui venne data la possibilità di riscatto grazie ad Amisha, diventandone così servitore, confidente e migliore amico. Proprio in qualità di confidente, Ravi conosce la storia di Amisha e sua figlia Lena, che rivelerà pian piano a Jaya. Finalmente, dopo una vita trascorsa credendo che sua madre Lena provasse poco affetto nei suoi confronti, Jaya riesce a ricomporre i tasselli di un'esistenza distrutta a causa di un amore impossibile, quello tra Amisha e Stephen, luogotenente britannico… e padre naturale di Lena. 


Amisha viene presentata come una donna coraggiosa e forte, anticonvenzionale ma destinata comunque ad adattarsi a quelle ingiuste decisioni prese da altri al posto suo in quanto donna. È una scrittrice dal talento innato e saranno proprio le storie che le sgorgano dal cuore a farla evadere da un matrimonio combinato e anaffettivo con Deepak, per incontrare lo sguardo verde del dolce Stephen, iniziando una storia di rispetto, di amicizia e infine di vero amore. Ma l'amore a volte non basta, spesso contrasta con la ragione e le leggi, e il destino è sempre in agguato dietro l'angolo. 


Tra i vicoli poveri e colorati dell'India, tra cuscini, statue di déi, templi e nuvole di incenso, Jaya si ritroverà a conoscere quella nonna di cui non sapeva nulla, scoprendo l'origine della propria passione per la scrittura che l'ha condotta a diventare giornalista. 
Sejal Badani ha creato un romanzo che è un piccolo capolavoro, presentando luci e ombre di una cultura e di una mentalità in evoluzione, trasmettendo al contempo emozioni e forti sentimenti. Da tempo non leggevo un libro così coinvolgente, in cui i protagonisti sembrassero tanto reali da poterli considerare amici in carne e ossa, senza scordare le splendide descrizioni dell'India che hanno avuto un solo effetto: quello di farmi desiderare un viaggio verso terre lontane ed esotiche. Un romanzo assolutamente consigliato! 

«Il sogno è l'unica finestra verso l'ignoto […]. Forse, verso una vita diversa». Amisha annuì. «Probabilmente, senza i tuoi sogni, saresti costretta a vivere i sogni degli altri». 

«Ognuno combatte le proprie guerre. Se il tempo che ho trascorso qui mi ha insegnato qualcosa è che non sempre sai chi è il tuo nemico. Ma se sei fortunato, chiunque sia il tuo avversario, riuscirai a combattere a testa alta».

 
«Amisha aveva vissuto nell'ombra per la maggior parte della propria esistenza. Aveva tenuto nascosto il sogno di scrivere come se fosse una maledizione di cui vergognarsi. Aveva dato alla luce i figli di Deepak e aveva soddisfatto i suoi bisogni. Ma le storie nella sua testa non sarebbero mai morte. Quando scriveva, veniva trasportata in un luogo in cui lei poteva scoprire la persona che era ma non sarebbe mai potuta essere». 

«La storia di Amisha rende ben chiaro quanto sia prezioso l'amore. Io ho dato il nostro amore per scontato, e quando è diventato troppo difficile mi sono allontanata, sicura che, da sola, sarei stata più forte. Ma amare lui non era un fardello. Eppure non era neanche una benedizione. Noi eravamo semplicemente due persone che si amavano alla follia e che stavano costruendo una vita insieme. Accanto a lui, mi bastava respirare per essere felice». 

«Le sue lotte e la sua determinazione mi hanno insegnato che ogni giorno è prezioso e che l'amore deve essere protetto come un tesoro inestimabile che solo i fortunati riescono a trovare e custodire». 

«Forse la vita non è altro che una sequenza di decisioni con l'aggiunta del "fattore destino". Forse si tratta di accettare che l'impossibile implichi l'apertura di un'altra porta. E forse significa che bisogna essere più forti proprio durante i momenti difficili della vita».

sabato 19 settembre 2020

Recensione di "L'isola dell'abbandono" di Chiara Gamberale

Buongiorno lettori! Finalmente è arrivato il weekend di una settimana piuttosto faticosa... perché quando si ricominciano le attività è sempre un po' così, macchinoso, finché non si prende l'abitudine e si spinge sull'acceleratore. Visto che nello scorso agosto sono stata una lettrice provetta, proseguo a condividere con voi le mie letture.


Trama: Pare che l’espressione “piantare in asso” si debba a Teseo che, una volta uscito dal labirinto grazie all’aiuto di Arianna, anziché riportarla con sé da Creta ad Atene, la lascia sull’isola di Naxos. In Naxos: in asso, appunto. Proprio sull’isola di Naxos, l’inquieta e misteriosa protagonista di questo romanzo sente all’improvviso l’urgenza di tornare. È lì che, dieci anni prima, in quella che doveva essere una vacanza, è stata brutalmente abbandonata da Stefano, il suo primo, disperato amore e sempre lì ha conosciuto Di, un uomo capace di metterla a contatto con parti di sé che non conosceva e con la sfida più estrema per una persona come lei, quella di rinunciare alla fuga. E restare. Ma come fa una straordinaria possibilità a rivelarsi un pericolo? E come fa un trauma a trasformarsi in un alibi? Che cosa è davvero finito, che cosa è cominciato su quell’isola? Solo adesso lei riesce a chiederselo, perché è appena diventata madre, tutto dentro di sé si è allo stesso tempo saldato e infragilito, e deve fare i conti con il padre di suo figlio e con la loro difficoltà a considerarsi una famiglia. 
Anche se non lo vorrebbe, così, è finalmente pronta per incontrare di nuovo tutto quello che si era abituata a dimenticare, a cominciare dal suo nome, dalla sua identità più profonda… Dialogando in modo esplicito e implicito con il mito sull’abbandono più famoso della storia dell’umanità e con i fumetti per bambini con cui la protagonista interpreta la realtà, Chiara Gamberale ci mette a tu per tu con il miracolo e con la violenza della vita, quando ci strappa dalle mani l’illusione di poterla controllare, perché qualcosa finisce, qualcuno muore o perché qualcosa comincia, qualcuno nasce. E ci consegna così un romanzo appassionato sulla responsabilità delle nostre scelte e sull’inesorabilità del destino, sui figli che avremmo potuto avere, su quelli che abbiamo avuto, che non avremo mai. Sulle occasioni perse e quelle che, magari senza accorgercene, abbiamo colto.


Chiara Gamberale ci conduce all'interno del complesso universo psicologico che regola i rapporti umani, soffermandosi sull'abbandono: lasciarsi senza una spiegazione, senza un preavviso, di nascosto, o premeditandolo. L'abbandono porta con sé porzioni di ricordi, persino di anima. E lascia un vuoto, a tratti incolmabile. 
La protagonista della storia è Arianna, mamma di Emanuele, che custodisce dentro di sé una miriade di pensieri, sensazioni, ricordi che talvolta la confondono fino a farle smarrire la via: c'è Stefano, il suo ex, un uomo psicologicamente debole, dipendente da droghe e psicofarmaci, da tradimenti, che aveva bisogno di qualcuno che si occupasse di lui come una mare; c'è Di, il surfista di Naxos, che raccoglie l'animo ferito e sperduto di Arianna, dandogli nuova vita, amandola senza compromessi, limpidamente come l'acqua del mare che adora; c'è Damiano, lo psichiatra di Stefano, che poi diventa anche quello di Arianna, sposato e poi amante, infine padre; c'è Emanuele, i cui occhi si sono appena aperti su questo nuovo mondo, il riflesso del futuro in un piccolo corpo di neonato. 


Arianna ha dentro di sé tutto questo e molto di più. È una donna che spesso si è annullata per amore e che ora si chiede se sarà all'altezza di essere una buona madre. "L'isola dell'abbandono" è un romanzo psicologico, interiore, in cui echeggia Freud; un romanzo che rispecchia, almeno un po', ognuna di noi quando siamo alle prese con i nostri sogni e alla stesso tempo con la paura di trascurare le persone che amiamo. 

«Se sapessimo di che cosa abbiamo bisogno, non avremmo bisogno dell'amore…» 

«Evidentemente l'amore, pensa lei […], mentre ci prende, ci tira via da quello che eravamo fino a un attimo prima e inganna tutti i nostri buchi… Non solo ci fa credere che non verremo più abbandonati, ci fa anche dimenticare di esserlo stati – dal nostro passato amore, da un amico, un altro amico, da nostro padre, nostra madre, dalla speranza che le cose andassero diversamente da come sono andate» 

«Ecco perché mi sto innamorando pazzamente di te. Perché quando parliamo e quando facciamo l'amore noi ci intendiamo proprio […]. È così, è esattamente così anche secondo me: il problema è sempre uno solo, sempre quello: abbiamo paura di non essere amati. E allora ci rifugiamo nel nostro trauma, nelle nostre ossessioni. Ma lo capisci il paradosso? Non lo vedi che, proprio perché ce ne stiamo lì, accartocciati nel nostro mito, nessuno ci potrà mai conoscere per quello che siamo e dunque ci potrà amare? Non è evidente che mentre crediamo di difenderci ci stiamo mettendo definitivamente a rischio?» 


«Costanza: quella che ci vuole per riuscire ad abbandonarsi. E però non abbandonare». 

«Era semplicemente un uomo. E lei lo aveva amato, se amare significa… che cosa significa amare? Significa esserci». 

«Sei proprio convinta che un lungo matrimonio tiri fuori chi siamo, mentre un amore che non è stato destinato a durare no, non lo possa tirar fuori? E se invece la nostra verità più profonda non fosse che un frammento e avesse a che fare proprio con quella purezza, con quello splendore divino?».

giovedì 17 settembre 2020

Recensione di "Prima regola: non innamorarsi" di Felicia Kingsley

Buonasera amici! Mentre l'autunno si avvicina, insieme ai suoi colori caldi intrappolati nelle foglie, continuo a postare recensioni dei romanzi che mi hanno fatto compagnia sulla spiaggia.


Trama: Silvye ha ventisette anni, una madre asfissiante e sogna solo una vita normale, con un lavoro normale. Ma la verità è che la sua vita è tutto meno che normale perché… è una truffatrice. Sì, una truffatrice, figlia di una truffatrice che l’ha istruita alla perfezione nell’arte del furto e dell’inganno. Ci sono solo due cose che Silvye non deve fare: mangiare carboidrati e innamorarsi. A lei, le regole proprio non piacciono: ok vivere senza innamorarsi, ma non senza carboidrati!C’è invece una persona a cui le regole piacciono moltissimo: Nick Montecristo, affascinante ladro-gentiluomo e astuto genio dell’arte. È un abile stratega, impermeabile ai sentimenti, e non ha mai fallito un solo incarico.
Nick e Silvye sono i prescelti da un ricco ed eccentrico collezionista, per mettere a segno un colpo sensazionale. Peccato che i due si detestino e abbiano qualche conto in sospeso da regolare. Lei è fuoco, lui è ghiaccio. Impensabile lavorare insieme, impossibile dire di no al colpo. Riusciranno Nick e Silvye a passare da rivali a complici, ed evitare che una fastidiosa quanto imprevista attrazione tra loro complichi le cose? Ma sì, in fondo sono due professionisti, basterà rispettare una sola regola…
Ecco un altro romanzo che mi ha fatto divertire e appassionare! Silvye e Nick si incontrano perché il destino ha voluto che le loro strade da truffatori e ladri si incrociassero. Entrambi, dopo una rocambolesca e a tratti imbarazzante "presentazione", vengono arruolati da un Lord scozzese per ritrovare un oggetto molto ricercato e importante, soprattutto per i collezionisti: il diario di Giacomo Casanova. 


Attraverso una missione che evoca i viaggi di Indiana Jones e quelli di Robert Langdon, protagonista del Codice da Vinci di Dan Brown, Nick e Silvye si dovranno confrontare, utilizzando ogni mezzo con persone capaci di uccidere per ottenere il prezioso manufatto… perché il diario di Casanova non è un semplice trattato di seduzione, bensì un enigma per arrivare a uno dei tesori più desiderati in assoluto. I nostri protagonisti viaggiano sull'Orient Express, arrivano a Parigi, fuggono tra le calli di Venezia effettuando inseguimenti in motoscafo, volano a Londra e Vienna, ma c'è una regola tra loro, la principale: non innamorarsi. Entrambi conducono una vita che non lascia spazio all'amore… ma riusciranno davvero a mantenere fede a questo proposito? 


Ho letto questo romanzo in 4 giorni: mi è piaciuto, mi sono divertita, ho viaggiato con la fantasia e mi sono innamorata di Nick Montecristo (inevitabile), il ladro che non ruba nei musei. L'autrice riesce ad usare la giusta dose di ironia mescolandola abilmente con situazioni ambigue e avventurose, introducendo inoltre descrizioni storico-artistiche e architettoniche che evocano spettacolari immagini dei monumenti e delle città in cui i nostri protagonisti si trovano ad agire. 


E poi… Felicia Kingsley mi ha conquistata quando ha nominato i Monuments Men, alludendo alle azioni di tutela verso il patrimonio culturale. Come potevo rimanere insensibile davanti a un romanzo che stava unendo tutto ciò che amavo, ovvero l'arte, la tutela della stessa, l'avventura, il mistero e un bellissimo ragazzo ironico dagli occhi azzurri e i capelli neri, che avrebbe voluto occuparsi di recuperare le opere d'arte perdute? 


A volte i romance non fanno per me. Li leggo, ma noto mille difetti, invece "Prima regola: non innamorarsi" contiene la giusta ricetta per far appassionare le lettrici, anche le più scettiche. Se uscisse un film, sarei la prima a correre al cinema. Complimenti Felicia! 


«Il mercato dell'arte si colloca al confine tra legalità e illegalità, tra bianco e nero. C'è tanto grigio entro cui muoversi. Il collezionismo è fluido, ci sono dei buchi normativi e nessuno fa domande […]». 


«Pensa all'arte come a un iceberg. Ciò che è esposto nei musei o nelle collezioni private è solo la punta, tutto il resto è sommerso. Le guerre, le razzie e gli smarrimenti hanno fatto scomparire la maggior parte delle opere che oggi sono proprio in quel cono d'ombra. Ed è lì che lavoro io: un'ombra tra le ombra», le spiego. «Hitler aveva requisito oltre seicentomila quadri, sculture e manoscritti che, ancora oggi, risultano dispersi. Solo una minima parte è stata ritrovata. Prima di lui, Napoleone ha depredato Europa ed Egitto dei loro patrimoni artistici e, anche se la maggior parte delle opere è stata ricollocata, ancora tante mancano all'appello. Il mercato dei furti d'arte produce un giro di affari da sei miliardi annui solo in Europa ed è praticamente impossibile da controllare». 


«I miei miti erano i Monuments Men». 
«Chi?» 
«Una task force di uomini incaricati di salvaguardare le opere d'arte durante la Seconda guerra mondiale. Tra il 1943 e il 1951 hanno recuperato oltre cinque milioni di pezzi che sarebbero andati perduti, come la Madonna di Bruges di Michelangelo o Ritratto di Adele Bloch.Bauer di Klimt. Io volevo diventare un recuperatore per il governo e riportare le opere perdute agli occhi delle persone». 


Con gli occhi rivolti verso l'alto, guardiamo il cuore rosa salire nel cielo grigio, diventando sempre più piccolo, finché non lo perdiamo di vista. 
«Non c'è più» mormora lei con voce tremula. 
«C'è ancora, solo che noi non lo vediamo. Anche quando ci saremo separati, non ci vedremo, ma nei miei pensieri tu ci sarai ancora. Ci sarai sempre». 


«Adesso ti sembra la fine del mondo perché è una cosa fresca, ma aspetta di vedere le cose in prospettiva. Non ci si può innamorare in otto giorni». 
«E se ne bastasse uno? Se bastasse un'ora?» 
«Al cuore basta anche un minuto», ribatte lei, «ma tu devi usare la testa».

martedì 15 settembre 2020

Recensione di "La donna dei miei sogni" di Nicolas Barreau

Buonasera amici, come state? Approfitto di un momento di relax per condividere con voi la recensione di un altro romanzo divorato durante l'estate.


Trama: "Oggi ho incontrato la donna dei miei sogni. Era seduta al Café de Flore, al mio tavolo preferito. E mi sorrideva. Purtroppo non era sola. Un uomo piuttosto attraente le stava accanto e le stringeva la mano. Sono un libraio e, se hai a che fare con i libri tutti i giorni, se vivi immerso nei romanzi, a un certo punto inizi a credere che siano possibili molte più cose di quanto comunemente si creda. Forse sono un inguaribile romantico, ma chi dice che quello che capita in un libro non possa succedere anche nella realtà? Ed ecco infatti che qualcosa è successo davvero. La donna dei miei sogni si è alzata e ha lasciato un biglietto sul mio tavolo. Un nome, un numero di telefono. Nient'altro. Il mio cuore ha fatto un salto. E così sono iniziate le ventiquattro ore più eccitariti della mia vita." Ma quel che promette di essere un romantico rendez-vous si trasforma ben presto in una cocente delusione: il numero di telefono non si legge bene e Antoine, l'intraprendente proprietario della Librairie du Soleil a Saint-Germain-des-Prés, deve buttarsi in una rocambolesca avventura per ritrovare la donna con l'ombrello rosso che lo ha stregato.

Finalmente una storia d'amore carina, né banale, né impegnativa, né talmente spinta da far invidia alle note "Cinquanta Sfumature"! 

Antoine è un libraio (moro con occhi azzurri) nella romantica Parigi. Ha sempre letto romanzi d'amore senza mai trovare riscontro nella realtà. Un giorno, entrando nel Café per la pausa pranzo, trova il suo tavolo preferito occupato da una donna sulla trentina, capelli lunghi biondo miele e occhi con pagliuzze dorate. Basta uno sguardo e Antoine sa di trovarsi davanti la donna della sua vita, quella che ha sempre sognato. Il colpo di fulmine scatta anche per lei che, uscendo dal locale con un uomo (dalle sembianze di Piton, il personaggio di Harry Potter), lascerà un biglietto ad Antoine con su scritto il nome Isabelle e un numero di telefono. 


Antoine vuole vederla, è convinto che la storia con Isabelle andrà a buon fine perché si è già innamorato. Peccato che il biglietto sarà rovinato da un escremento rilasciato da un uccellino di passaggio e che l'ultima cifra sia così scomparsa. Comincia quindi l'avventura di Antoine, che effettua mille chiamate cercando la combinazione telefonica corretta, mettendo in linea vari indizi e paranoie, finendo per inseguire la bella Isabelle per tutta Parigi. 


Una storia a lieto fine, con tanto umorismo e tenerezza, alla ricerca dell'amore a prima vista che si rivela non essere un semplice sogno, ma la stupenda realtà. 
Consigliato per ridere e sperare che anche le cose più impossibili,a volte, possano avverarsi con l'aiuto di tanta fortuna e di molta perseveranza. Terminato in 1 giorno, questo romanzo di Barreau tiene letteralmente incollati alle pagine, incuriosendo il lettore sulla sorte del goffo e innamorato Antoine. 


«In fin dei conti, l'unica cosa che resta sono i ricordi. Ma i ricordi di ciò che non sarebbe mai potuto accadere portano inevitabilmente con sé il lieve rimpianto dei desideri non realizzati. Come se la vita non avesse mantenuto le sue promesse».

giovedì 10 settembre 2020

Recensione di "Flower" di Elizabeth Craft e Shea Olsen

Buongiorno a tutti, amici! In questo settembre in cui ogni cosa riprende più lentamente del solito, avrei un solo desiderio: tornare al mare! Lo so, sono incontentabile, ma il clima ancora caldo, il sole e questo leggero venticello, mi fanno venire voglia di tornare sulla costa.
Oggi vi porto nel mondo di "Flower" di Elizabeth Craft e Shea Olsen.


Charlotte vive con la nonna ed è una ragazza con la testa sulle spalle: bravissima a scuola, lavora in un negozio di fiori per pagarsi gli studi e nel tempo libero si prepara per l’ammissione alla prestigiosa università di Stanford. È molto concentrata e non si concede distrazioni, niente uscite serali e soprattutto niente ragazzi: la sua più grande paura è infatti quella di fare la fine di tutte le donne della sua famiglia, che hanno rinunciato a seguire le proprie aspirazioni a causa dell’amore. Una sera, all’ora di chiusura, entra nel suo negozio un misterioso e affascinante cliente, ombroso ma gentile, che le fa strane domande. Nonostante ne rimanga colpita, Charlotte è sicura di non rivederlo mai più… E invece la mattina dopo le viene recapitato in classe un mazzo di rose purpuree, i suoi fiori preferiti. A mandarglieli è stato proprio Tate, il ragazzo della sera prima, che inizia a corteggiarla in modo molto discreto ma deciso. Charlotte, dopo le resistenze iniziali, decide di uscire con lui per una sola sera. Ma appena fuori dal ristorante vengono assaliti da folla di paparazzi che grida il nome di Tate… Chi è davvero quel misterioso ragazzo e cosa nasconde dietro quei bellissimi occhi malinconici?

Ho letto questo libro solo ora dopo parecchi mesi nel corso dei quali avevo dato precedenza ad altri romanzi e saggi. Questa è la storia di Charlotte Reed, ragazza studiosa, assennata, lavoratrice in un negozio di fiori, il cui obiettivo è non distrarsi in alcun modo per poter ottenere l'ammissione alla prestigiosa università di Stanford. Nella parentesi "distrazioni" sono ovviamene inclusi i ragazzi sui quali, in 18 anni di vita, non si è mai soffermata. Nella sua esistenza, però, entra improvvisamente e prepotentemente Tate che non è un ragazzo comune, bensì una rock star di Los Angeles. 


Quando inizia la conoscenza, Charlotte non sa chi si trova davanti: per lei è uno dei tanti esemplari maschili cui opporre una strenua resistenza. Non vuole, infatti, commettere gli stessi errori di sua nonna, sua madre e sua sorella Mia, sedotte, rimaste incinte e abbandonate molto giovani. Pian piano Charlotte si lascia comunque andare, rischiando per un ragazzo come Tate e imparando ad accettare i suoi ritmi. Ora che le cose si fanno più serie, Tate sembra però avere paura di innamorarsi davvero. 

Cosa dire? Ho terminato questo romanzo in 3 giorni e mezzo, ma non mi ha lasciato nessuna impressione particolare. La trama è banale: ruota tutto intorno al voto di "astinenza" e "castità" fatto da Charlotte e al desiderio crescente per Tate, peraltro mai completamente soddisfatto. 
Dietro l'apparente scudo della ragazza salda nei principi, si nasconde una Charlotte indecisa, che segue una strada che non le piace e che si è autoimposta, quasi come volesse punire se stessa per gli errori altrui. Dall'altra parte c'è Tate, ragazzo che si è trovato fortunatamente catapultato nel mondo della musica, che ha ceduto agli eccessi vivendo solo per quelli e che fronteggia un sentimento come l'amore che lo spaventa, anche a causa di un errore commesso in passato. 


Voto mediocre: non riflette quanto riportato in copertina ("successo mondiale"… mah!). Il titolo, almeno, è rimasto quello originale, "Flower", riferito al negozio di fiori dove lavora Charlotte e dove inizia la storia con Tate. Consigliato? No, ci sono letture nettamente migliori. Una cosa ho apprezzato: Charlotte, tra le sue mete di destinazione, sceglie Vernazza in Liguria, nella nostra bella Italia, come luogo di rifugio e relax. Evidentemente alle autrici l'Italia è rimasta nel cuore. Vi lascio con gli unici 2 piccoli estratti che abbia trovato belli. 

«Pensavo alla sensazione che danno le onde», aggiungo, «quando si sollevano sulle gambe. Da piccola ho sempre creduto che il mare fosse vivo, e cercasse di trascinarti con sé. È così… disperato, come se ti tirasse dalla parte più lontana del fondale. Qualche volta vorrei lasciarlo fare, lasciarmi trasportare nelle profondità dove potrei vagare per migliaia di chilometri, per poi ritrovarmi sulla spiaggia di un lontano continente. Mi piace pensarlo». 


«[…] È questo lo scopo di una storia d'amore, giusto? Due amanti sacrificano tutto pur di restare insieme». Non sono mai stata romantica, è ovvio, ma anch'io ho amato Romeo e Giulietta. 
«Loro si sono sacrificati». Tate si interrompe per scegliere le parole successive. «Rinunciano l'uno all'altro anche se sono innamorati. A volte la vita ci rende impossibile restare con la persona che amiamo».



martedì 8 settembre 2020

Recensione di "Nostra Signora di Parigi" di Victor Hugo

Buonasera lettori e ben ritrovati! Spero che abbiate trascorso delle buone vacanze, o quantomeno qualche giorno in assoluto relax. Nonostante non sia stata ferma un attimo, ho trovato tempo di leggere tantissimo. Complice il sole forse, il mare e quel venticello caldo che accarezza la pelle, ho "macinato" ben 9 libri in un mese e 3 fumetti. Sono compiaciuta.
Arriviamo al dunque e mi scuserete se gli spoiler saranno numerosi. 
Finalmente posso dire di essere riuscita a impegnarmi in una lettura come "Nostra Signora di Parigi" di Victor Hugo. Guardai il film d'animazione Disney al Teatro Sistina, nel corso di una proiezione dedicata alle scuole. All'epoca frequentavo le elementari e uscii da lì cantando, adorando il capitano Febo, ammirando talmente tanto Esmeralda da portare per il resto dei miei giorni una coda di cavallo con un fermaglio degli stessi colori della sua fascia e con il desiderio di voler visitare la cattedrale di Notre Dame. Quest'ultimo proposito, purtroppo, non l'ho ancora realizzato… nel 2010 sono stata a Parigi, ma il gruppo di colleghi con cui mi trovavo non volle entrare per non "perdere" l'intero pomeriggio. La salutai quindi da fuori, intonando nella mia mente la canzone iniziale di Clopin, promettendo di tornare in tutta tranquillità.


Passiamo, però, al romanzo vero e proprio. A mio avviso, non è totalmente diverso dal film d'animazione che, ovviamente, si ispira al capolavoro di Hugo, ma esistono delle enormi differenze. 
Quella storia, che crediamo di conoscere un po' tutti, in realtà presenta dettagli che la fanno apparire sotto una luce completamente diversa. 
Victor Hugo ci presenta un popolo parigino esaltato, non tanto per gli spettacoli teatrali che pur si tengono in piazza, ma soprattutto per la Festa dei Folli e le esecuzioni capitali. È un popolo impietoso, che si dirige senza una precisa ragione lungo la via indicata dai personaggi più influenti. Ed è Pietro Gringoire, filosofo e poeta, autore di commedie, che si configura quasi come narratore a introdurci in quell'atmosfera. L'incoronazione del re dei Folli punta l'obiettivo su quelli che saranno i personaggi principali: Clopin, uno dei "re" degli zingari (chiamati in tale sede "egiziani", per le origini credute orientali, nonostante fossero di derivazione spagnola); Esmeralda, la bella zingara sedicenne (!), che allieta insieme alla sua capretta, Djali, i cittadini parigini con i suoi spettacoli ballerini a ritmo di tamburello; Quasimodo, il campanaro gobbo e sordo, allevato e soccorso dall'arcidiacono; Claudio Frollo, l'arcidiacono per l'appunto, un prete apparentemente saldo nella propria fede e intimamente animato da una folle passione per Esmeralda.


In questo quadro si innestano altre fondamentali figure, principalmente due: il capitano delle guardie, Febo, bello e infido, promesso sposo della ricca Fiordaligi, eppur amato da Esmeralda; la cosiddetta "insaccata" (ovvero, vestita con un sacco) di nome Gudula, un'anziana prostituta diventata folle per aver perduto la propria figlia rapita dagli zingari. 

Il romanzo spiega come le vite di Esmeralda e Quasimodo siano strettamente intrecciate. Oltre al fatto che Esmeralda salvi Quasimodo dalla tortura, avvenuta per causa sua (il gobbo, infatti, era stato incaricato da Frollo di aiutarlo a rapire la zingara), e che il campanaro si innamori di lei trovando, purtroppo, un rifiuto per il proprio aspetto deforme, è nell'infanzia dei due che bisogna ricercare quel nodo cruciale. 

Gudula, infatti, che era una prostituta, aveva pregato il Signore per far sì che potesse avere una bambina. La sua preghiera viene esaudita. Quella bambina, di nome Agnese, è descritta come un piccolo angelo, bellissimo e accudito, ma un giorno viene rapita. Gudula si allontana per poco tempo dal suo alloggio; al ritorno trova la stanza aperta, una scarpetta appartenente ad Agnese e un piccolo fagotto che custodiva un essere deforme. Il bambino sarà abbandonato, trovato dall'arcidiacono Frollo e cresciuto nella cattedrale, con il solo compito di suonare le campane che lo renderanno completamente sordo; Gudula impazzirà e condurrà la vita di reclusa, maledicendo ogni zingaro presente sul suolo parigino; Agnese sarà allevata dagli zingari, soprannominata l'Esmeralda per via del piccolo sacchetto ricoperto di lustrini verdi che porta al collo e che contiene l'altra scarpetta, unico dettaglio che potrà farle ritrovare la propria famiglia. 

In tale frangente, Claudio Frollo, l'arcidiacono, uomo devoto e formatosi unicamente sotto la luce della Santa Madre Chiesa, comincia ad avvertire quelle debolezze della carne osservando casualmente un ballo di Esmeralda. Il desiderio verso la ragazza è talmente ossessivo che tenta di rapirla aiutato da Quasimodo. La missione viene però contrastata dall'arrivo del capitano Febo, che salva la zingara, provocando in lei riconoscenza, scambiata dalla giovane per amore. 

Febo, già promesso a Fiordaligi, decide però di concedersi una notte di puro divertimento con Esmeralda. Approfittandosi del fatto che la zingara fosse innamorata di lui, la attira verso un decadente ostello, dandole appuntamento, ma Frollo lo viene a sapere. L'arcidiacono, non sopportando che Febo tocchi la sua Esmeralda, si traveste e chiede al capitano di poter stare in uno stanzino accanto al luogo in cui avrebbe consumato la notte con la ragazza. Esmeralda arriva, si siede con Febo sul letto, si scambiano parole, effusioni, e mentre lei pronuncia parole d'amore, lui è semplicemente attratto. Frollo non riesce a guardare: mentre i due amanti sono intenti a procedere, lui aggredisce il capitano, pugnalandolo e lasciandolo privo di sensi in un mare di sangue. Esmeralda, che ha visto in volto il prete, ha un mancamento e viene accusata di aver ucciso il militare. Da qui inizia il processo per stregoneria nei suoi confronti e verso la capretta Djali: le due saranno condannate a morte. Più volte Frollo tenta di dissuaderla, di accettare di vivere l'esistenza con lui, ma Esmeralda si rifiuta, proseguendo in cuor suo ad amare Febo. Quest'ultimo, creduto morto, è in realtà vivo e si ripresenta al cospetto di Fiordaligi… assistendo persino alla condanna di Esmeralda senza fare nulla, nemmeno quando la giovane, avvistatolo, lo chiama a gran voce dalla piazza. 

In tutto ciò Quasimodo che ruolo avrà? Quello di reale salvatore di Esmeralda, quello di aver rappresentato l'amore puro e disinteressato contenuto in un corpo deforme, in contrasto con il capitano Febo, bello e vuoto. Ed è Quasimodo che, una prima volta, salva Esmeralda dalla morte, rapendola e portandola nella cattedrale, per poi invocare il diritto di asilo. Ma nemmeno quel gesto fermerà il popolo degli zingari deciso a riprendersi Esmeralda, e il popolino deciso invece a vedere morire la strega: l'assedio di Notre Dame viene letteralmente dipinto da Victor Hugo, con un Quasimodo che oppone resistenza, gettando pietre e piombo fuso sui cittadini che si presentano con forconi e torce davanti al portale della cattedrale.


Come termina il romanzo? Frollo, un uomo tormentato dalla fede, dalla passione e dal rifiuto, morirà precipitando dalla cattedrale; Esmeralda, dopo aver ritrovato sua madre Gudula (che darà la vita per la figlia), sarà impiccata in piazza; Djali seguirà Pietro Gringoire nelle sue "avventure" di poeta e filosofo; Febo si sposerà con Fiordaligi; Quasimodo, infine, vivrà… raggiungendo il corpo di Esmeralda, gettato in una fossa comune, e lasciandosi morire accanto a lei. 

Confronti con la Disney? Ce ne sono eccome e sono inevitabili, soprattutto per i lettori della mia generazione. 

Claudio Frollo è un arcidiacono, quindi un prete; per la Disney invece è un giudice, molto devoto, che odia gli zingari per i loro furti e il disordine che portano, eccezion fatta per Esmeralda, della quale è follemente innamorato... Il suo, però, è un amore morboso e possessivo, che lo condurrà a desiderare la morte della zingara.


Quasimodo è il gobbo campanaro, zingaro di nascita nel romanzo, così come nel film d'animazione Disney. In quest'ultimo, però, i genitori cercano di salvarsi fuggendo in barca da Parigi, ma si imbattono in Frollo che insegue a cavallo la madre di Quasimodo con il fagotto in braccio. Frollo la raggiunge e, dopo averla strattonata, la fa cadere sulle scale di Notre Dame. La madre di Quasimodo muore; Frollo apre il fagotto e scopre il volto deforme di Quasimodo. Vorrebbe gettarlo nel pozzo, ma l'arcidiacono lo ferma e lo obbliga a prendersene cura come fosse suo figlio, a patto che rimanga nascosto nella cattedrale "là dove nessuno lo vedrà". Quasimodo è innamorato di Esmeralda, che lo salva dalla derisione del popolo in occasione della Festa dei Folli, e salverà la zingara dal rogo in piazza invocando il diritto di asilo (questa parte ricalca il romanzo).


Esmeralda del romanzo ha 16 anni… quella della Disney ne dimostra almeno 10 in più. Anch'essa è accompagnata dalla fedele capra Djali, con la quale balla al suono del tamburello, ma la Disney non permette di conoscere le sue origini, incentrando la storia sul campanaro. La zingara si innamora del capitano Febo incontrandolo in piazza, poi in cattedrale, e durante alcuni degli inseguimenti ordinati dal giudice Frollo. Lei non crede in Dio, ma cerca la fede, dimostrandolo nella celebre canzone "Dio fa qualcosa".


Febo è il personaggio più deludente in assoluto. Chi ricorda il coraggioso e affascinante capitano della Disney non riuscirà nemmeno lontanamente a paragonarlo al personaggio originale delineato da Hugo. Febo della Disney è dalla parte del bene, aiuta Quasimodo ed Esmeralda, si inoltra nella Corte dei Miracoli, affronta Frollo, rischia la vita; quello del romanzo è infido, falso, approfittatore.


Infine, Clopin il narratore e giullare della Disney, incarna il Clopin del romanzo e allo stesso tempo la figura di Gringoire.


"Nostra Signora di Parigi" si configura come un romanzo dai toni gotici, oscuri, illuminati esclusivamente dai raggi dell'amore puro e innocente (provato da Esmeralda e Quasimodo), dalla speranza (provata da Gudula) e dalla fede. Magnifica è la descrizione che Hugo fa di Parigi dall'alto e della stessa cattedrale, scendendo nei dettagli architettonici e storici. Essendo un classico, il lettore dovrà aspettarsi un linguaggio contestuale all'epoca di Hugo; alcuni passaggi, inoltre, risultano molto lenti e difficili da superare. Ma vale la pena affrontare una lettura così impegnativa: dietro le pagine più noiose, si nascondono colpi di scena che incuriosiscono e appassionano, trasportando il lettore in un'altra epoca, fin sopra le torri di Notre Dame e nei vicoli di Parigi, navigando sulla Senna e ammirando le statue che dall'alto della cattedrale osservano silenziose ogni visitatore. 

Vi saluto con due passaggi tratti dal romanzo, aspettandovi alla prossima recensione. 

– Sapete che cos'è l'amicizia? – domandò. 

– Sì, – rispose l'egiziana. – Significa essere fratello e sorella, due anime che si toccano senza confondersi, le due dita della mano. 

– E l'amore? – proseguì Gringoire. 

– Oh! L'amore! – ella disse, e la sua voce tremava e il suo occhio raggiava. – Significa essere due e soltanto uno. Un uomo e una donna che si fondono in un angelo. È il cielo.


A volte, di sera, ella udiva una voce nascosta sotto il tettuccio del campanile cantare come per addormentarla una canzone triste e bizzarra. Erano versi senza rima, come può farne un sordo: 

"Non guardare il volto, fanciulla, guarda il cuore. Il cuore di un bel giovane è spesso deforme. Vi sono cuori in cui l'amor non dura. Fanciulla, l'abete non è bello, non è bello come il pioppo, ma serba il suo fogliame l'inverno. Ahimé! Che serve dir questo? Ciò che bello non è ha torto d'esistere; beltà ama soltanto beltà, aprile volge le spalle a gennaio. La bellezza è perfetta, la bellezza tutto può, la bellezza è l'unica cosa che non esiste a mezzo. Il corvo vola solo di giorno, il gufo vola solo di notte, il cigno vola notte e giorno".


P.S. se siete curiosi di leggere un mio articolo un po' particolare sul Gobbo di Notre Dame e sull'iconografia presente nella cattedrale, cliccate qui. Non ve ne pentirete!

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