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domenica 25 settembre 2016

Recensione di "La meccanica del cuore" di Mathias Malzieu

Yaaawn... che sbadiglio e che stanchezza! Buona domenica a tutti! No, non mi sono appena svegliata, ma ho ancora sonno. Ormai penso di averlo arretrato e che non lo recupererò mai più. In compenso oggi è una bellissima giornata di sole a Roma, con una temperatura un po' "rinfrescante", esattamente quel che NON piace a me, ma l'autunno è già entrato e mi dovrò abituare ai miei raffreddori in attesa della mia dolce e caldissima estate.
Chiacchiere a parte, siete curiosi di sapere quale fosse l'altro romanzo acquistato in coppia con "La ricetta del vero amore"? Dopo aver cercato tra volumi che avevano un aspetto di saggio politico (li odio) e un "Piccolo Principe" che ho nella mia libreria da quando avevo 6 anni, mi sono soffermata sul romanzo di Mathias Malzieu, "La meccanica del cuore".


Trama: Nella notte più fredda del mondo possono verificarsi strani fenomeni. È il 1874 e in una vecchia casa in cima alla collina più alta di Edimburgo il piccolo Jack nasce con il cuore completamente ghiacciato. La bizzarra levatrice Madeleine, dai più considerata una strega, salverà il neonato applicando al suo cuore difettoso un orologio a cucù. La protesi è tanto ingegnosa quanto fragile e i sentimenti estremi potrebbero risultare fatali. L’amore, innanzitutto. Ma non si può vivere al riparo dalle emozioni e, il giorno del decimo compleanno di Jack, la voce ammaliante di una piccola cantante andalusa fa vibrare il suo cuore come non mai. L’impavido eroe, ormai innamorato, è disposto a tutto per lei. Non lo spaventa la fuga né la violenza, nemmeno un viaggio attraverso mezza Europa fino a Granada alla ricerca dell’incantevole creatura, in compagnia dell’estroso illusionista Georges Méliès. E finalmente, due figure delicate, fuori degli schemi, si incontrano di nuovo e si amano. L’amore è dolce scoperta, ma anche tormento e dolore, e Jack lo sperimenterà ben presto. Intriso di atmosfere che ricordano il miglior cinema di Tim Burton, ritmato da avventure di sapore cavalleresco, La meccanica del cuore è al tempo stesso una coinvolgente favola e un romanzo di formazione, in cui l’autore, con scrittura lieve ed evocativa, punteggiata di ironia, traccia un’indimenticabile metafora sul sentimento amoroso, ineluttabile nella sua misteriosa complessità.

Non mi ha ispirato la copertina, ma la trama, un po' bizzarra e dark alla Tim Burton, con quel sapore di "The Nightmare Before Christmas". Il romanzo parla di Jack, nato nella più fredda notte dell'anno a Edimburgo, in un'atmosfera grigia di fine '800, nella casa di una donna, Madeleine, considerata una strega. E' proprio lei a salvare Jack che nasce con il cuore completamente ghiacciato, applicandogli un orologio a cucù che gli fornisca l'energia per avviarsi. 


Jack, che non è mai stato adottato per via della sua strana protesi, rimane con Madeleine per la quale è ormai un figlio. Durante una passeggiata in città, Jack incontrerà Acacia, una piccola cantante miope che non vuole indossare gli occhiali per vanità. I due intraprendono un duetto canoro nella piazza, finché Madeleine porta via Jack. Il ragazzo non potrà mai dimenticare però il sentimento bruciante che gli ha incendiato il cuore e, anni dopo, partirà alla ricerca di Miss Acacia, fino a trovarla a Granada, dove lavora in un circo. 


E deve sempre ricordarsi delle regole per il suo cuore: "Uno, non toccare le lancette. Due, domina la rabbia. Tre, non innamorarti, mai e poi mai. Altrimenti, nell'orologio del tuo cuore, la grande lancetta delle ore ti trafiggerà per sempre la pelle, le tue ossa si frantumeranno, e la meccanica del cuore andrà di nuovo in pezzi".
Ma all'amore non si può dire di no e a Jack non importa del funzionamento del suo strano cuore, quando al suo interno è vergato solo il nome dell'amata.
Ovviamente la loro storia non termina qui, ma potrei rivelare troppo e vi lascio con la curiosità.


Le mie impressioni? La storia inizialmente non era male, anzi, lo stile un po' estroso e poetico che mi ha introdotta in quell'atmosfera misteriosa e da notte di Halloween mi aveva lentamente stregata. Jack somiglia a un piccolo Pinocchio dal cuore di legno e dai sentimenti umani e Madeleine è un Geppetto in gonna che, come tutte le madri, cerca di tenere legato a sé il suo bambino, tentando di proteggerlo dalle emozioni negative e inaspettate che il mondo può suscitare.
Poi non so cosa sia successo. Tutto a un tratto, il ritmo inizia a mutare. I sentimenti di Jack sono eccessivi per essere quelli di un ragazzo di 10 anni e mi sono ritrovata un po' spaesata. L'amore bruciante che sfocia in passione per Miss Acacia ha un po' rotto la magia dark e favolistica che si era creata, trasformandosi in una storia molto comune e dal finale un po' deludente.
Tuttavia al suo interno sono ben chiari i messaggi dell'autore: si può amare nonostante le diversità, nonostante i difetti che, spesso, ci rendono interessanti agli occhi di un altro. E l'amore non è tutto rosa, ma a volte comporta sofferenza e dolore che il cuore deve sopportare, nonostante nessuno di noi sia mai preparato.

<<Un giorno o l'altro, tutto il piacere e la gioia che l'amore può suscitare si pagano con la sofferenza. E più si ama intensamente e più il dolore sarà moltiplicato. Sperimenterai l'assenza, poi i tormenti della gelosia, dell'incomprensione, infine la sensazione del rifiuto e dell'ingiustizia. Avrai freddo fino nelle ossa e il sangue formerà dei ghiaccioli che sentirai passare sotto la pelle. La meccanica del tuo cuore esploderà. Ti ho trapiantato io questo orologio, conosco perfettamente i limiti del suo funzionamento. Può darsi che resista all'intensità del piacere, e sarebbe già molto. Ma non è abbastanza robusto da sopportare le pene d'amore>>.


Dal libro è stato tratto anche un film d'animazione. Non come sia perché non l'ho visto, però penso che ormai la curiosità mi spingerà a trascorrere un po' di tempo con Jack e Acacia sullo schermo, provando ad apprezzare maggiormente le parti che non mi sono piaciute leggendo la loro storia.

sabato 24 settembre 2016

Recensione di "La ricetta del vero amore" di Nicolas Barreau

Buonasera amici, dopo aver terminato (o quasi) di effettuare le correzioni alla mia tesi, posso dedicami un po' al mio blog e alle recensioni lasciate in sospeso.
Come avrete capito, adoro entrare in libreria e di solito ne esco sempre con qualche libretto nello zaino, acquistato dopo aver vagato tra gli scaffali e aver effettuato una difficilissima selezione.
Qualche settimana fa, dopo una lunghissima passeggiata, mi sono ritrovata dentro la libreria La Feltrinelli della Galleria Alberto Sordi e ho di nuovo approfittato della promozione "due libri a 9,90 euro". Uno di questi due fortunati è stato "La ricetta del vero amore" di Nicolas Barreau.


Trama: È perennemente in ritardo. È bella come il sole. È socievole, estroversa e… irraggiungibile. L’amore di Henri Bredin – timido studente della Sorbonne, un po’ goffo e sempre puntuale – sembra del tutto senza speranza. Lui e Valérie Castel condividono la passione per gli stessi libri. Ma per Valérie, Henri è solo un compagno di studi e un buon amico, mentre per lui la ragazza con gli occhi acquamarina e il sorriso impertinente è la donna più charmante del mondo.
Quando Valérie trascorre le vacanze estive sulla Riviera ligure e perde la testa per un italiano, a Henri crolla il mondo addosso. Non ha nessuna possibilità contro quell’uomo affascinante, ricco e di dieci anni più grande di lui. O forse sì? Un giorno, curiosando tra le bancarelle di libri usati lungo la Senna, Henri si imbatte in un libricino rilegato in pelle bordeaux. Si tratta di un manuale del xvi secolo che contiene pozioni e strani infusi e promette di svelare niente meno che la ricetta dell’amore eterno, L’élixir d’amour éternel. Contrariamente a ogni logica, Henri decide di invitare a cena Valérie e di cucinare per lei un perfetto “Menu dell’amore”. Ma, tra tutte le sere possibili, quella è proprio la volta in cui la ritardataria Valérie decide di presentarsi nel piccolo appartamento di Henri in rue Mouffetard con largo anticipo... Un’incantevole e deliziosa storia sulle gioie e i dolori del primo amore e sui momenti magici della vita. Con otto “Menu dell’amore” dal libro personale di ricette di Nicolas Barreau.

Ogni tanto sono romantica anche io e questo libriccino mi ha proprio ispirata. "La ricetta del vero amore" si configura come il prequel di "Gli ingredienti segreti dell'amore".
E' la tipica storia d'amore tra il timido e quasi invisibile Henri e la bella Valérie che, agli occhi innamorati del ragazzo, sembra assolutamente perfetta con tutte le sue numerose imperfezioni.


Valérie frequenta già un altro, ma Henri le ha ormai affidato il suo cuore.
Spera che l'amicizia possa condurlo finalmente ad essere ricambiato e decide di utilizzare la sua arma migliore: la cucina. Henri è un ottimo cuoco e si applica per organizzare una cenetta creativa e di tutto rispetto, ma non crede troppo in se stesso, tanto da farsi convincere che un elisir d'amore, opportunamente preparato, possa avere un effetto magico. Non tutto procede come previsto, ma chissà se la magnifica Parigi e un cuore innamorato potranno ugualmente creare quell'incantesimo che Henri desidera tanto.


E' un libro di poche pagine, che si legge tutto d'un fiato... soffermandosi magari a provare le ricette che si trovano in fondo. Nicolas Barreau ha creato una storia delicata e molto dolce, presentando semplicemente una situazione che ognuno di noi si è trovato a vivere almeno una volta nella vita.
La lettura del prequel causerà la lettura del sequel, penso si sia capito. "Gli ingredienti segreti dell'amore" entra nella mia lista di prossimi libri da divorare.
Vi lascio con una citazione, dolce e molto carina... e non ho potuto fare a meno di immedesimarmi nell'impacciato Henri:

<<Chiunque abbia amato almeno una volta nella vita senza essere corrisposto sa che siamo pronti a fare le cose più insensate nella speranza di raggiungere il nostro scopo. C'è chi mangia la foto della persona amata e chi in una notte di luna piena sotterra a un incrocio una ciocca di capelli tagliata di nascosto. In confronto la mia idea di provare con un Menu d'amour non era poi così strampalata>>.


giovedì 22 settembre 2016

Recensione di Gregor (saga) di Suzanne Collins

Buonasera a tutti, amici lettori! Eccomi tornata con un carico di stanchezza davvero pesante... sto trascrivendo alcune cose in greco e sto maledicendo Word per non aver inserito la tastiera "Greco e copto" vicino a "Greco esteso", con il risultato che ci si impiegano ore a digitare anche solo due righe. Ma che bisogna farci? E' la dura vita dei dottorandi.
Dunque, come forse avevo anticipato da qualche parte (sulla pagina Facebook, mi sembra), ho letto tutta la saga di Gregor di Suzanne Collins. Sono approdata a questa serie perché mi era stato regalato il IV libro. Capirete che non avrei potuto iniziare da metà e mi sono diretta quindi alla ricerca degli altri volumi, scoprendo che mia sorella aveva già letto il I. Trovare il V è stata un'avventura. Non lo aveva nessuna libreria ed ero ormai rientrata nell'idea di acquistarlo online, ma poi l'ho trovato - ultima copia - nella libreria Giunti al punto del Centro Commerciale Sedici Pini a Torvajanica.
Ho quindi potuto terminare di leggere le avventure di Gregor nel Sottomondo.


Trama: Invece di passare l'estate a giocare con gli amici, Gregor si ritrova a gestire Boots, la sorellina di due anni, che parla come un alieno in miniatura. Un giorno, la piccola pestifera si tuffa oltre una grata e sparisce. Gregor si lancia all'inseguimento e finisce nel Sottomondo, un luogo straordinario e terribile, abitato da umani dalla pelle bianchissima e dagli occhi viola, che si sono anticamente rifugiati sottoterra per sfuggire a una persecuzione, e lì hanno creato un mondo parallelo, dove si vola in sella a pipistrelli giganti, ci si allea con gli scarafaggi e si combatte contro ragni e ratti bianchi? Gregor scopre che anche suo padre, scomparso qualche tempo prima, è disperso nel Sottomondo. Toccherà a lui cercarlo, sulle tracce di un'antica profezia.




Trama: Sopramondo, New York: il padre di Gregor e Boots soffre di una misteriosa malattia che gli impedisce di lavorare, e con il solo stipendio della madre e le medicine da pagare, la famiglia è in gravi difficoltà economiche. Non c'è un centesimo per festeggiare il Natale, e spesso per? no la cena è un problema. La situazione potrebbe precipitare da un momento all'altro.
Sottomondo, Regalia: nella capitale del mondo sotterraneo, nelle viscere di New York, i problemi sono ancora più impellenti. Il momento è giunto. La profezia del Flagello parla chiaro. Se non sarà compiuta, il Sottomondo sarà distrutto. Ares e Luxa sanno che la salvezza può venire solo da Gregor di Sopramondo. Che ha giurato di non tornare mai più.
Ma un modo per costringerlo c'è. E quando il ragazzo porta la sorellina a Central Park, a giocare con la neve, di colpo la piccola Boots scompare...




Trama: La Profezia del Sangue è alle porte.Ti prego, non abbandonare i tuoi amici.
Quando riceve questo messaggio Gregor capisce che è giunto il momento: lui e la sorellina Boots devono tornare nel Sottomondo. Insieme a Ripred il ratto, a Temp lo scarafaggio gigante, e guidati da una colossale lucertola, dovranno attraversare una giungla infestata da piante carnivore e sopravvivere a pericoli inimmaginabili.
Per sconfiggere la piaga mortale e mettere fine agli effetti devastanti dell'antica minaccia il guerriero di Sopramondo dovrà attingere a tutto il suo potere e a tutto il suo coraggio: solo lui può salvare il Sottomondo. E non solo. Perché il contagio si espande, e già due delle persone che gli sono più care rischiano di essere perdute per sempre.


Trama: Mentre Gregor e la sorellina Boots sono nella loro casa di New York, la madre malata è affidata alle cure dei Sottomondo. E benché la famiglia riceva frequenti aggiornamenti sulle sue condizioni di salute, tutti sanno che Gregor dovrà presto riprendere il proprio ruolo di guerriero, fondamentale per la sopravvivenza del popolo nascosto sotto la città. La situazione è tragica. I vulnerabili piluccatori, i topi, continuano a scomparire e la giovane regina Luxa vuole scoprire il perché. Accompagnato da Boots, Gregor unisce le proprie forze a quelle di Luxa, per difendere il Sottomondo e svelare un segreto più sinistro di quanto si possa immaginare. Il Flagello, il cucciolo di ratto bianco della profezia, ormai adolescente e cresciuto a dismisura, ha perso la testa ed è diventato preda delle forze del male...


Trama: I suoi amici hanno fatto di tutto per evitare che Gregor leggesse la Profezia del Tempo. Perché l'ultima rivelazione annuncia la morte del guerriero. E il guerriero è lui. Con un esercito di ratti in rapido avvicinamento e il tempo che scorre inesorabile, il ragazzino deve difendere Regalia dalla terribile minaccia e trovare il modo di riportare a casa la sua famiglia. Ma se non riuscirà a decifrare un antico codice che svela ogni mistero, tutto sarà perduto. Gregor deve vincere la sua guerra per porre fine a tutte le guerre. Perché il destino del guerriero di Sopramondo e quello dell'intero Sottomondo sono legati in modo indissolubile. Il travolgente episodio conclusivo della saga.

Li ho letti tutti è vero, ma mi sarei aspettata qualcosa di più. Tuttavia l'idea del Sottomondo con i suoi palazzi di roccia, con umani dagli occhi viola e con tutte le creature della terra (pipistrelli, ratti, topi, ragni, scarafaggi, formiche, etc.) è geniale. Suzanne Collins è riuscita a dar voce a uno scarafaggio e a far diventare simpatici persino alcuni ratti. Tutte quelle discese in un Sottomondo buio, tra laghi, foreste, miniere e vulcani hanno sicuramente il loro fascino, ma a tratti (e a distanza di libri) risulta noioso perché si ripetono luoghi e scene. Per non parlare della guerra... quando qualcuno si ferisce, torna immediatamente in ospedale a farsi curare. Insomma, non funziona proprio così... mi è sembrato di assistere a un gioco Pokémon in cui, se il mostriciattolo è ferito, si torna dal'infermiera Joy.
L'originalità c'è, ma personalmente avrei evitato le parti ripetitive, aggiungendo del nuovo a ogni romanzo. Tutto si impernia sulla medesima struttura basata sulle profezie di Sandwich. Essenzialmente la storia si svolge a seconda delle frasi del Nostradamus del Sottomondo. Per ogni libro vi è quindi una profezia diversa...


Gregor è un ragazzino undicenne, risucchiato in una cavità dalla lavanderia di casa sua, a New York, insieme alla sorellina Boots. I due affronteranno numerose avventure cavalcando i pipistrelli, accompagnati da scarafaggi e lucciole, guidati da un ratto burbero e da una principessa umana, Luxa.
Gregor è il guerriero della profezia e solo lui potrà, in sintesi, uccidere il Flagello che si rivela essere un gigantesco e folle ratto bianco, per far sì che torni la pace a Regalia.


Nell'ultimo volume, accanto a Gregor e Boots, compare anche la sorella di 8 anni, l'ansiosa Lizzie, intelligente e decifratrice di un codice. Ma soprattutto Gregor e Luxa sanno in cuor loro di amarsi e questo sentimento fornirà un po' più di pathos alla storia.
Eppure devo dire che a 11 anni non penso si possa parlare di amore di un certo livello. Gregor e Luxa sono ancora bambini, quindi mi è parso un sentimento non troppo credibile. Alla fine, dopo 5 volumi, scatta l'affetto del lettore verso i personaggi ed è forse questo che mi ha permesso di terminare la lettura della saga. Non vi aspettate però una lettura alla Hunger Games. Niente di tutto ciò. Il pubblico di Gregor è decisamente compreso tra gli 8 e gli 11 anni.


Ultima nota: come sempre adoro i personaggi burberi ed esclusi dal mondo. Li sento affini al mio carattere. Ripred, il ratto furia, mi è rimasto nel cuore. E' un guerriero nato, con un animo nobile e con un gran carico di sofferenza.
Tra tutti i volumi, i più belli sono stati "La profezia del sangue" e "La profezia del tempo" perché più movimentati, rispettivamente da una pestilenza e dalla guerra.
A tratti, lo svolgimento della storia mi ha ricordato molto la saga di "La guerra degli Elfi" di Herbie Brennan, che lessi parecchi anni fa... e non mi aveva entusiasmata particolarmente.
Infine... Suzanne Collins, ma che finale hai scritto? Soprattutto che significa? Sembra rimasto tutto in sospeso... ci sarà una continuazione? A questo punto me lo auguro.


Per stasera è tutto. Tornerò con altre due recensioni. Nonostante la pazzia da "correzione tesi in atto", leggo molto. Non si direbbe, eppure è la verità miei cari. Riesco a fare anche questo!
Buona notte!

domenica 18 settembre 2016

Recensione di "Io prima di te" di Jojo Moyes (romanzo e film)

Buona domenica, amici lettori! Come state? Qui a Roma ha iniziato a soffiare un venticello fresco che porta con sé i nuvoloni e l'odore della pioggia. Lo spirito autunnale è alle porte, ma io proseguo a parlarvi dei romanzi che ho letto durante l'estate.
E' quindi l'ora della bellissima storia d’amore che prosegue a commuovere le fan di ogni parte del mondo, la storia di Louisa Clark e Will Traynor. Nei miei programmi di lettura vi era quello di leggere il romanzo già da parecchio tempo, ma la lista di libri era diventata interminabile e acquistare altre storie non sarebbe stato troppo saggio. Poi mi sono resa conto che, durante il mese di agosto, nonostante non fossi stata molto in casa, ho divorato letteralmente tanti di quei romanzi che credo di aver recuperato il mio “debito” letterario di un anno intero. Ho quindi fatto le cose al contrario con “Io prima di te”: prima il film e poi il romanzo (attenzione: NON. SI. FA!... però stavolta l'ho fatto pure io...)


Ho acquistato il romanzo con la copertina riferita al film in preda a un attacco di innamoramento adolescenziale dovuto al magnifico Sam Claflin, già notato e apprezzato in "Hunger Games" nel ruolo di Finnick Odair. Tralasciando però le mie follie, passiamo alla recensione.
Louisa Clark è una ventiseienne, impacciata, buffa e particolare. Ama vestirsi in maniera bizzarra, sta con Patrick da ben 7 anni e lavora in un piccolo bar alle pendici del castello che domina il paesetto inglese in cui vive. Il suo mondo ovattato sembra andar bene così: Lou è nata lì e lì morirà quando sarà vecchia, senza grandi ambizioni.


La sua vita cambia quando perde il lavoro e, dopo aver accettato un’orrenda e deprimente occupazione in un’industria notturna di pollame, Lou decide di provare a sostenere il colloquio presso la famiglia Traynor, nobile e proprietaria del castello. Di certo la ragazza non si sarebbe mai aspettata di vivere ogni giorno al fianco di Will, il brusco, sarcastico ma incredibilmente affascinante e intelligente figlio dei Traynor, ridotto su una sedia a rotelle all’età di 35 anni. 


Will è stato vittima di un incidente: una moto lo ha travolto mentre, in una giornata di pioggia, andava a prendere un taxi per recarsi al lavoro nella City londinese. Da allora è tetraplegico e ha bisogno di cure, ma soprattutto detesta la sua vita così limitata, tanto da aver tentato il suicidio e da aver preso accordi con una clinica svizzera per provvedere all’eutanasia. Ha dato 6 mesi di tempo ai suoi genitori e a sua sorella (che ha un ruolo davvero nullo) per fargli cambiare idea. Lou diventa l’unica speranza dei Traynor. 
Quella buffa ragazza senza aspirazioni si trasformerà, grazie a Will, in una fantastica donna capace di trarre forza, coraggio e allegria da qualsiasi cosa nel disperato tentativo di far rimanere Will… quell’uomo che pian piano ha imparato ad amare.


Il romanzo è consigliatissimo e il film – quasi completamente attinente al libro – è decisamente meraviglioso, ma preparatevi i fazzoletti. Ho pianto pure io che non lo faccio mai. È il secondo film in tutta la mia vita che riesce a commuovermi, affiancandosi a "Saving Mr. Banks".
Complimenti all’autrice, Jojo Moyes, e ai 2 attori protagonisti per il film, Emilie Clarke (il suo cognome e quello di Lou si pronunciano in ugual maniera… caso o destino?) e Sam Claflin.
Ora, qualche considerazione personale che posso fare solo dopo aver terminato il romanzo che integra alcuni aspetti descritti nel film.
La famiglia di Lou è tremenda. Ma come si fa a far quasi credere totalmente scema una figlia (la maggiore per di più) per far sì che la più piccola, inguaiata (si è fatta mettere incinta da non si sa nemmeno chi) e sempre considerata troppo intelligente, possa proseguire i suoi studi e la sua vita senza lavorare?


La sorella di Lou, Treena, è una prepotente viziata, che però ha un cuore sensibile, disposto ad ascoltare e aiutare Lou quando accade l’irreparabile. 
Il padre di Lou non capisco con quale coraggio (ovviamente quello dell’ignoranza) riesca a umiliare la figlia con continue prese in giro anche pesanti. No comment. Fa una coppia davvero insopportabile con sua moglie, che risulta una madre veramente troppo apprensiva e tropo dedita al suo ruolo di chioccia.
E Patrick è l’uomo più detestabile in circolazione. Mi sono chiesta perché diavolo Lou abbia tollerato di avere accanto un tizio così pieno di sé per 7 lunghi anni (indipendentemente dall’incontro con Will).


Patrick è un uomo cui non importano minimamente gli interessi altrui, men che meno quelli della sua ragazza, cui vuole imporre le sue abitudini e le sue passioni (corsa, sport, triathlon) sopprimendo quelle di lei.
Infine c’è Will, un raggio di sole in ogni senso, che ha però imparato ad essere più umile solo grazie alla conoscenza di Lou. Will amava la sua vita, era uno spirito libero e qui più che mai si comprende come il denaro non sia essenziale, ma possa fare la differenza.
Lou non è mai andata da nessuna parte anche perché è povera e deve lavorare per mantenere tutta la sua famiglia, mentre Will è colto e ha girato il mondo perché nato ricco. Allo stesso tempo, sono quegli stessi soldi che da tetraplegico gli permettono di condurre una vita almeno dignitosa e di potersi avvalere di cura e assistenza. Un Will Traynor povero, molto probabilmente, avrebbe considerato più di una volta la possibilità del suicidio, senza riuscire a resistere per anni.


Will, con il suo carattere difficile (come biasimarlo?), ma estremamente dolce, cambia Lou, fornendole gli strumenti per la conoscenza di un mondo che, fondamentalmente, la spaventava, facendole acquistare fiducia nelle sue capacità e risvegliando in lei la curiosità per il nuovo. Lou accantona finalmente un destino che non aveva scelto per sé e che aveva permesso agli altri di scegliere per lei.
Allo stesso tempo, è ancora Will a sottrarla da quel rapporto univoco, inutile e apatico che aveva con Patrick, facendole comprendere cosa voglia dire amare veramente e riuscendo a farle aprire infine le sue ali, quelle della sua vita e della sua libertà.


Jojo Moyes ha creato due personaggi complessi, complementari e affascinanti, andando a toccare il difficile tema dell’eutanasia che, forse, non è comprensibile, né totalmente giudicabile se non si provano certe sensazioni in prima persona. Libertà è anche quella di morire quando la tua esistenza è ridotta a quella di un vegetale, nonostante quella stessa libertà possa comportare assurdi dispiaceri. È forse una scelta egoista, ma l’uomo deve poter essere libero di ragionare ed effettuare le proprie autonome e consapevoli decisioni.
Ora ho timore di leggere “Dopo di te”. Sono curiosa di sapere cosa farà Lou, ma allo stesso tempo ho timore del suo futuro. Perché? Leggete il romanzo e capirete. Poi guardate il film e innamoratevi perdutamente di Will Traynor, in quella magistrale interpretazione di Sam Claflin che ha saputo essere affascinante, anche se confinato su una sedia a rotelle.

«Così stanno le cose. Sei scolpita nel mio cuore, Clark, fin dal primo giorno in cui sei arrivata con i tuoi abiti ridicoli, le tue terribili battute e la tua totale incapacità di nascondere ogni minima sensazione. Tu hai cambiato la mia vita…»


giovedì 15 settembre 2016

Recensione di "La felicità delle piccole cose" di Caroline Vermalle

Buonasera a tutti, amici lettori. La tarda ora in cui scrivo il blog è indicativa del fatto che la correzione della tesi occupi molto del mio tempo (considerando molti fattori, direi che ci spendo pure troppo tempo, chissà...).
Ad ogni modo, eccomi qui per presentarvi un altro piccolo volumetto di cui ho sfogliato le pagine al mare, "La felicità delle piccole cose" di Caroline Vermalle.
Sarò sincera: ho preso tra le mani questo romanzo per la prima volta circa un mese e mezzo fa, attratta dalla promozione di La Feltrinelli (due libri a 9, 90 euro) e dalla copertina un po’ vintage e al contempo nostalgica, che mostra una sfera di neve con la Torre Eiffel. Come sempre, presa dai sensi di colpa derivanti dall’elevato numero di libri che riempie ogni angolo di casa, l’ho mirato e rimirato per poi rimetterlo al suo posto. In vacanza, mi è tornato prepotentemente davanti e, a causa della stessa passione per la lettura che affligge mia sorella Valentina, la quale non mi ha fermata, ho finito per metterlo nel carrelletto blu, conducendolo alla cassa. 


Trama: "È iniziato tutto nel giardino di Monet a Giverny. Lo ricordo come se fosse ieri. Era il dicembre del 1979. Da più di trent’anni, ogni sera mi domando come sarebbe stata la mia vita se non fossi entrato in quel giardino."
Parigi. La neve cade dolcemente sulla città, ammantando di bianco la Tour Eiffel, Notre-Dame e il Panthéon, come in una cartolina. Un uomo passeggia lungo la Senna diretto verso casa, un elegante palazzo sull’Île Saint-Louis. È Frédéric Solis, avvocato di successo con la passione per i quadri impressionisti. Affascinante, ricco e talentuoso, Frédéric sembra avere tutto quello che si può desiderare dalla vita. Gli manca una famiglia, ma dopo essere stato abbandonato dal padre molti anni prima, ha preferito circondarsi di oggetti lussuosi e belle donne piuttosto che mettere ancora in gioco il suo cuore ferito. Fino a quando, un giorno, scopre di aver ricevuto una strana eredità, che consiste in una manciata di misteriosi biglietti e in un disegno che ha tutta l’aria di essere una mappa. Cosa nasconderanno quegli indizi? Convinto di essere sulle tracce di un quadro dimenticato di Monet, Frédéric decide di tentare di decifrare la mappa. Grazie all’aiuto della giovane e stralunata assistente Pétronille, inizia così un viaggio lungo i paesaggi innevati del Nord della Francia, tra i luoghi prediletti dai suoi amati impressionisti: Éragny, Vétheuil, il giardino di Monet, con una tappa d’obbligo al Musée d’Orsay. Di incontro in incontro, di sorpresa in sorpresa, torneranno a galla ricordi che Frédéric credeva di aver dimenticato, e un tesoro ben più prezioso di qualsiasi ricchezza.
Frédéric Solis è un avvocato, ricco, affascinante, talentuoso. Ha una smisurata passione per le opere impressioniste, in particolare di Monet. Questo suo amore deriva da un passato che ha preferito archiviare quando era solo un bambino e attendeva quel padre che non era più tornato. Da allora, Frédéric si è fatto la promessa di non avere una famiglia per evitare ogni tipo di sofferenza, fin quando la sua vita cambia improvvisamente grazie a un’eredità indirizzata a lui da uno sconosciuto, un tale Fabrice Nile.


Fabrice sembra un uomo molto enigmatico, che ha preparato indovinelli, prenotato biglietti per il treno diretti a mete precise e ha disegnato una specie di mappa del tesoro con indizi che riconducono alla corrente impressionista. Frédéric crede che l’obiettivo della caccia sia un nuovo quadro, magari di Monet, e si lascia coinvolgere in un percorso che ripercorrerà punti cruciali per il movimento impressionista, come il giardino di Giverny con le sue ninfee, protagoniste delle opere di Monet.
Preso dalla caccia al tesoro, l’uomo non si accorge delle assurde coincidenze che si susseguono, fino a giungere alla conclusione che il passato, talvolta, non termina nei giorni trascorsi, ma in quelli futuri. Del proprio passato non ci si libera mai.


Ora devo fare alcune considerazioni personali, ma vi avviso che potrebbe sfuggire qualche SPOILER. Il romanzo aveva un ottimo inizio, con quel pizzico di mistero insito in una pseudo mappa del tesoro. Improvvisamente tutto si è fatto più malinconico, a tratti triste.
I rifiutati di allora erano gli impressionisti; quelli di adesso sono un gruppo di uomini ricoverati in ospedale, collegati tutti tra loro.
La storia è inoltre basata su un grosso elemento sentimentale e psicologico: il padre di Frédéric, dopo essersi fatto la sua famiglia, scopre di punto in bianco di essere omosessuale.
Ernest abbandona tutto per la sua nuova vita. Ora, rispetto tutte le scelte e gli orientamenti, ma mi pongo due domande:
- se sei omosessuale, lo sai da sempre. Non devi farti una famiglia in maniera etero per poi accorgertene. Non è concepibile e il fatto che ci siano parecchi casi di questo tipo, non giustifica comunque la situazione.
- la domanda conseguente alla prima è: come avreste reagito voi lettori se vostro marito o vostra moglie, dopo una vita passata insieme, vi rivelasse di essersi accorto del suo orientamento sessuale differente da quel che sembrava? Personalmente avrei avuto la stessa reazione della madre di Frédéric: non lo avrei voluto vedere mai più e avrei allontanato il bambino. Quel che i più chiamano “intolleranza” è solo un semplice meccanismo di difesa che attua il cervello umano davanti a un trauma di tipo sentimentale. Avrei pensato di aver vissuto nella menzogna, includendo in essa i sentimenti dichiarati e provati.
In fin dei conti è lo stesso atteggiamento adottato spesso (e di riflesso) se il partner ha l’amante… quindi non ci vedo nulla di strano in questa reazione che, nel romanzo, viene fatta passare quasi per cattiveria pura. La madre di Frédéric si impone, agli occhi del lettore, come creatura quasi cattiva, che non comprende i sentimenti genuini di suo marito.
Essenzialmente la storia è tutta incentrata su questa fuga di Ernest, che ha causato varie problematiche, e su una lettera mai letta.
Il romanzo è consigliato per Parigi e le sue descrizioni, che sono vere e proprie cartoline verbali, così come il percorso attraverso la storia dell’arte che tocca i luoghi più belli dipinti da Claude Monet.


La trama poteva essere sviluppata in maniera migliore e, sinceramente, l’elemento d’attualità dalla morfologia “buonista” non era necessario.
Inoltre l’amore è pensato in un modo che non condivido. Non si ama la persona che si ha accanto solo per il desiderio di maternità/paternità e neppure solo perché quella stessa persona è madre/padre di tuo figlio. Il figlio finirà così per essere il momentaneo “collante” di una relazione che non procede. Si ama perché è così, perché si prova un sentimento verso l’altro, indipendentemente dalla prole e dal desiderio riproduttivo. Ditemi che sono strana, ma non mi metterei mai con una persona pensando solo “sì, potrebbe andar bene come padre dei miei figli”. Starei con un uomo pensando “sto con lui perché lo amo, perché voglio conoscerlo e stargli accanto, perché voglio vivere con lui”. Il resto è secondario e, come tale, una semplice conseguenza dell’amore.
Termino con alcune frasi che mi sono piaciute e mi hanno fatto riflettere:

«[…] Tutti gli uomini desiderano la felicità, ma la felicità non è uguale per tutti.»

«Io preferisco dire che bisogna crederci. Non è granché crederci, possono farlo tutti: basta metterci un po’ di buona volontà, far tacere il rumore intorno, aprire gli occhi e vedere la propria buona stella. Le persone non credono più alla loro buona stella, ed è un peccato. Si sbagliano, non c’è dubbio: lei c’è per tutti, bisogna solo prendersi la briga di cercarla. A volte brilla dentro le piccole cose, cose minuscole. In una presenza, per esempio. Al mondo siamo in sette miliardi, eppure, per una sorta di miracolo, basta una voce, un cuore, un certo modo di vedere le cose per illuminare tutto di colpo. Ho conosciuto alcune persone speciali che brillavano persino quando nessuno le vedeva. […]»

Non me la sento di consigliarlo assolutamente. E' una buona lettura, ma lascia il tempo che trova.
A presto e buona serata!

mercoledì 14 settembre 2016

Recensione di "Non è la fine del mondo" di Alessia Gazzola

Buonasera amici lettori. E' stata una giornata stancante, forse la prima di tante che seguiranno, prima della fine del mio percorso da dottoranda. Sono in fase di correzione con la tesi che necessita della massima attenzione. Essendo però una certa ora, il blog potrebbe avere un effetto rilassante sui miei neuroni, quindi eccomi qui, a presentare un altro bel volume che ho letto durante quest'estate, "Non è la fine del mondo" di Alessia Gazzola.
Giravo intorno a questo romanzo ormai da qualche mese. Entravo a La Feltrinelli di Largo Argentina a Roma e lo vedevo là, in bella mostra, tra le novità. Lo prendevo tra le mani, sfogliavo qualche pagina e poi lo rimettevo al suo posto, convincendomi che avrei potuto attendere perché di libri ne ho tanti da leggere e, soprattutto, non ho più spazio per loro (ormai sono impilati in equilibrio precario a terra).
Eppure quella copertina gialla e fucsia e la trama che sembrava proprio riguardasse molti aspetti della mia vita (parole di mia sorella: "Cristì, è la tua storia"), mi suggerivano che non avrei potuto aspettare oltre e quindi questo romanzo è stato uno dei miei regali di compleanno, passato da poco più di un mese.


Trama: Emma De Tessent. Eterna stagista, trentenne, carina, di buona famiglia, brillante negli studi, salda nei valori (quasi sempre). Residenza: Roma. Per il momento – ma solo per il momento – insieme alla madre. Sogni proibiti: il villino con il glicine dove si rifugia quando si sente giù. Un uomo che probabilmente esiste solo nei romanzi regency di cui va matta. Un contratto a tempo indeterminato. A salvarla dallo stereotipo dell’odierna zitella, solo l’allergia ai gatti.
Il giorno in cui la società di produzione cinematografica per cui lavora non le rinnova il contratto, Emma si sente davvero come una delle eroine romantiche dei suoi romanzi: sola, a lottare contro la sorte avversa e la fine del mondo. Avvilita e depressa, dopo una serie di colloqui di lavoro fallimentari trova rifugio in un negozio di vestiti per bambini, dove viene presa come assistente. E così tutto cambia. Ma proprio quando si convince che la tempesta si sia finalmente allontanata, il passato torna a bussare alla sua porta: il mondo del cinema rivuole lei, la tenace stagista.
Deve tornare a inseguire il suo sogno oppure restare dov’è? E perché il famoso scrittore che Emma aveva a lungo cercato di convincere a cederle i diritti di trasposizione cinematografica del suo romanzo si è infine deciso a farlo? E cosa vuole da lei quell’affascinante produttore che continua a ronzare intorno al negozio dove lavora?

No, non è la fine del mondo, ma quando termini lo stage pagato una miseria e il contratto non ti viene più proposto perché la raccomandata di turno ha ovviamente la precedenza su di te e su tutti gli altri, il mondo sembra effettivamente crollarti addosso. A 30 anni, dopo un dottorato, un master e chissà quali altri corsi che fanno curriculum, Emma non ha un lavoro, né uno straccio di fidanzato. È stata l’amante di un uomo sposato per 4 anni, finché l’individuo è tornato al nido senza avere il coraggio di terminare un matrimonio fallimentare.


Emma è lì, spaesata e giù di morale perché il lavoro, per cui ha studiato e faticato quasi gratuitamente con lo stage, sembra un sogno sfocato e lontano, a tratti irraggiungibile, fin quando sua madre usa l’unico contatto che le viene in mente per far avere un colloquio di lavoro alla figlia in un’azienda cinematografica.
Il colloquio sembra essere andato bene, ma al momento di salutarsi Pietro Scalzi (il Produttore) cambia atteggiamento, urtato che Emma sia stata quasi raccomandata con un curriculum di tutto rispetto. La ragazza lo manda cordialmente a quel paese, decidendo di darci un taglio e di arrangiarsi, cambiando occupazione. Si imbatte in una piccola bottega di abiti per bambini, collocata nel quartiere Prati (Roma), in cui lavora una gentilissima signora cui fa compagnia il maestoso levriero afgano Osvaldo.


Emma si adatta, impara a cucire e giorno dopo giorno, nonostante la nostalgia del suo lavoro, inizia a vivere in un mondo diverso. Ma il destino ha voglia di giocare perché la simpatica vecchina è la madre di quell’antipatico di Pietro Scalzi e il mondo del cinema sembra aver fatto marcia indietro e cercarla. 

È un romanzo romantico, ironico e assolutamente attuale, nonostante lasci un po' di amarezza dovuta alla dura verità. Nell’Italia di oggi tutti noi giovani trentenni (o quasi) riusciamo solo a collezionare titoli, attestati ed esperienza – spesso senza percepire un soldo – che non risulta essere mai abbastanza perché il raccomandato di turno ha il posto in caldo che nessuno gli toglierà. E tu, depresso, prosegui ad aggirarti elemosinando un’occupazione, finché ti vengono chiuse tutte le porte in faccia e, pur essendo ultratitolato, ti accontenti di svolgere un lavoro che avresti potuto intraprendere almeno 10 anni prima, senza spendere denaro e tempo in specializzazioni, dottorati e master… senza essere l’eterna stagista o tirocinante.


Quella di Emma è una delle tante realtà che i giovani Italiani si trovano ad affrontare. Qualcuno più fortunato tra gli sfortunati abbandona il paese e si reca a lavorare all’estero, dove, spesso, una possibilità esiste. E perché in Italia no? Semplice! L’Italia prosegue ad affossarsi con il regno dei furboni, degli ultrasessantenni attaccati alla poltrona che ricoprono da quando avevano 20 anni, e dei loro pupilli, con conseguente natalità pari allo zero assoluto perché i soliti giovani non possono costruirsi una famiglia senza un lavoro con cui sfamarla (evito di intraprendere il discorso sulla campagna avviata dalla Lorenzin). In tutto ciò, le classi politicanti si parlano addosso, senza concludere nulla, promettendo il paese dei balocchi che mai ci sarà.
L’unica è affidarsi al caso, all’imprevisto, provando altre vie per sopravvivere, nonostante la rabbia e la frustrazione. Quando non li pensi più, certi sogni si avverano, a volte diversamente da come avresti pensato, proprio come accade ad Emma che, quando aveva ormai perso le speranze, ricomincia a vivere e a fare progetti per il futuro… anche con soli 14 euro rimanenti sul conto corrente.
Sì, non è la fine del mondo. C’è sempre chi sta peggio. Bisogna solo avere la forza di rialzarsi e continuare. Dietro l’angolo potrebbe celarsi il sogno di una vita che stava solo attendendo di poterti abbracciare.


P. S. Da quando ho letto questo romanzo e in questi giorni più che mai, proseguo a pensare a quale sarà il mio destino tra qualche mese. Forse mi ritroverò in una gelateria dietro un bancone, o in un bar a preparare caffè che non berrò più. E magari il mio diploma di dottorato sarà appeso da qualche parte nella stanza... o, ancor meglio, a fare da tovaglietta ai turisti del locale che mangeranno pizza e berranno cappuccino alle 12 in punto. Almeno a loro sarà utile.

domenica 11 settembre 2016

Recensione di "Il Segreto - La danza del destino" di Aurora Guerra

Cari amici, sono tornata! Ho effettuato un viaggetto a Ravenna per analizzare i magnifici monumenti di cui è costellata, concentrandomi in particolare sui mosaici. Essendo iconografa, sono proprio quelle tesserine colorate a farmi brillare gli occhi. Purtroppo il viaggio di ritorno non è stato il top, essendo tornata miracolosamente a Roma dopo un regionale rotto, uno in ritardo e un Frecciarossa 1000 che non andava nemmeno a 300 km/h ritardatario di 6 minuti. Narrerò anche questo. Mi occorre un attimo di tempo e dedicherò una paginetta alla descrizione di questi 3 giorni in Emilia Romagna e ai disservizi di Trenitalia.
Intanto si prosegue con le recensioni dei romanzi divorati durante questa estate. E' la volta di "Il Segreto - La danza del destino" di Aurora Guerra.
Eccomi perciò tornare nel piccolo e sperduto paesino di Puente Viejo, nella povera e rurale Spagna di fine ‘800. Ho seguito la fiction “Il Segreto” fino a buona parte delle II serie, poi ho dovuto abbandonarla (malvolentieri) per esigenze di studio. La I serie, quella che riguardava la meravigliosa e tragica storia di Pepa e Tristan, ha però occupato un posto d’onore nel cuore dei fan del Segreto e anche nel mio. 


Trama: Ogni abitante del villaggio di PuenteViejo porta nel proprio cuore una verità inconfessabile e contribuisce a quell’intreccio di trame e inganni che fa de Il Segreto una delle serie più appassionanti del momento. In questo nuovo romanzo, i tanti spettatori-lettori troveranno contenuti extra mai trasmessi in tv e rivelazioni inedite sulla storia dei loro personaggi preferiti. Nella stessa notte tempestosa vedono la luce due bambine, figlie dello stesso padre, Salvador Castro: Pepa (figlia di Águeda) e Soledad (figlia di Francisca). Quella notte, un bambino di nome Tristánveglia, gli occhi sbarrati. Da quando è nato, è sempre sembrato in attesa dell’arrivo di qualcosa o qualcuno d’importante. Non sa ancora che quel qualcuno è la bambina nata in quella notte, Pepa, e che il destino ha già iniziato a intrecciare in maniera indissolubile i fili delle loro esistenze, come in una danza struggente e appassionata.

In questo nuovo romanzo, Aurora Guerra ci trasporta all’interno dell’infanzia della piccola Pepa, figlia di Agueda Molero e Salvador Castro, padre spietato e totalmente folle che trascorre anni a rincorrere il frutto di una notte d’amore proibita. Pepa è stata portata in salvo dalla levatrice , Consuelo Balmes, e di fatto adottata. Mentre Pepa cresce povera ma felice, apprendendo il mestiere della levatrice, girando la Spagna e le case dei suoi abitanti, Salvador – soprannominato il diavolo – le dà la caccia per ucciderla. Una figlia bastarda avrebbe costituito un problema in futuro, per la sua reputazione e per il suo patrimonio.


Allo stesso tempo, alla Villa, Francisca Montenegro ha partorito Soledad, figlia anch’essa di Salvador, frutto di una violenza, una delle tante cui quel mostro ha sottoposto la moglie nell’arco del loro disgraziato matrimonio. Francisca detesta per questo la povera e innocente Soledad, mentre adora Tristan, quel bimbo figlio di Raimundo Ulloa, suo unico grande amore. 
Proprio Tristan possiede una particolarità: non dorme mai. È inquieto e passa le notti in bianco, a leggere e fantasticare, provocando il terrore dello stesso Salvador, ignaro del fatto che il bimbo sia invece un Ulloa.
Il ragazzino attende una persona che gli infonda calma e Pepa aspetta il suo scaccia diavoli che la avrebbe liberata per sempre dall’ombra del suo malvagio padre… il destino ha intessuto le sue trame sin dal principio. Tristan e Pepa non potranno sottrarsi alla sorte che li farà incontrare più di una volta (anche nella mia adorata Mérida), fino a quel giorno nella locanda di Emilia a Puente Viejo, quando il giovane è ormai un soldato e la donna una levatrice, bellissima, scontrosa e madre di Martin, sottrattole al momento del parto. 


Quello stesso Martin che costituisce un segreto perché, tra varie peripezie e follie (soprattutto queste), diventerà figlio di Tristan Castro Montenegro e della sua pazza moglie Angustias.


La Guerra trasporta in un mondo non troppo lontano nel tempo, in cui vige la superstizione, in cui le erbe sono la cura e le donne meri strumenti degli uomini per dar loro piacere e discendenza. 
I matrimoni sono combinati per stringere alleanze vantaggiose e arricchire il patrimonio, mentre l’amore vero è qualcosa di sotterraneo e leggendario, provato quasi mai tra le braccia del/della consorte. Forse di tutto ciò non ce ne siamo mai liberati in fondo. Nonostante i bei discorsi sulla parità dei diritti, l’uomo prosegue ad andare contro natura, considerando la donna debole e sottoposta, vittima di violenze e ingiustizie, dedita unicamente alla casa e alla famiglia, quando invece desidera un lavoro e l’affermazione nel mondo, talvolta facendole detestare la propria natura capace di generare una nuova vita. I matrimoni di convenienza ci sono ancora, quelli combinati pure (soprattutto in alcune parti del mondo), così come una certa mentalità superstiziosa. 


Quando la mente umana inizierà a funzionare davvero per il verso giusto, solo allora potremo considerarci creature evolute. Fino ad ora, vedo solo un mondo che nasconde, dietro il progresso tecnologico e la scienza, dietro la religione e la politica, tanta crudeltà e tanta ignoranza, relegando nelle carceri dell’animo la cultura e cancellando secoli di storia senza avere imparato nulla da essa.
L’amore, quel sentimento puro e genuino, raro da trovare, è l’unica cosa che talvolta conduce altrove. E mi piace credere che il destino esista, come per Pepa e Tristan, provati da tante sofferenze, eppure alla fine insieme come ognuno tra i fan sperava. 
Concludo con una frase tratta dal romanzo, un pensiero che mi piace molto e che ricorderò:

«Sinuoso è il fiume, profondo il mare, fuggire non puoi da chi devi amare».


p.s. ovviamente è un romanzo consigliato a tutte le fan della fiction "Il Segreto". Ci sono molti passaggi che non abbiamo visto in tv e che chiariscono decisamente le idee.

lunedì 5 settembre 2016

Recensione di "Tutto ciò che sappiamo di noi due" di Colleen Hoover

Bentrovati a tutti, amici lettori! Anche oggi, eccomi di nuovo qui, attiva sul blog, per condividere con voi le mie impressioni su un altro romanzo che ho letto durante le vacanze estive.
Si tratta di "Tutto ciò che sappiamo di noi due", continuazione di "Tutto ciò che sappiamo dell'amore", già letto e recensito (http://sakomar.blogspot.it/2016/06/recensione-di-tutto-cio-che-sappiamo.html).


Trama: La poesia ha insegnato a Will e Layken ad amarsi, per stare insieme hanno dovuto superare ostacoli che sembravano insormontabili, hanno dimostrato al mondo che quando si è uniti si può affrontare ogni difficoltà e riemergere più forti e determinati di prima. La vita li ha messi di fronte a enormi responsabilità: sono giovanissimi, ma devono prendersi cura dei fratellini, cercando allo stesso tempo di ritagliarsi un piccolo spazio dedicato soltanto a loro due. Ma un giorno, all’improvviso, il passato di Will torna a bussare alla porta, e lui, per non turbare il difficile idillio con Layken, decide di tenerla all’oscuro di tutto. Ma lei lo scoprirà lo stesso, e sarà costretta a chiedersi su cosa si fonda davvero il loro rapporto, arrivando addirittura a mettere in dubbio la sincerità dei sentimenti di Will. La loro storia è a rischio, devono decidere se lottare per un futuro insieme o se rassegnarsi a stare lontani. Fin dove sarà disposto a spingersi Will per dimostrare a Layken che il suo amore durerà per sempre? La sua risposta cambierà non solo la loro vita, ma quella di tutte le persone che li circondano.

Non potevo lasciare in sospeso la storia di Lake e Will. Non potevo e basta perché li ho adorati. Il loro amore così dolce e al contempo forte aveva però ancora bisogno di maturare, essendo cresciuto in fretta, vittima di eventi spesso non piacevoli. Lake e Will si ritrovano ad essere tutori dei rispettivi fratelli a soli 19 e 25 anni, dovendo affrontare responsabilità e problemi di cui prima non si erano mai occupati. Ma una storia che sembra andare a gonfie vele può incrinarsi per una mancata verità e la fiducia è difficile da guadagnare nuovamente. Per fortuna c’è la poesia che ha il potere magico di arrivare dritta al cuore, evocando ricordi che costituiscono i piccoli tasselli di una storia tanto complicata, quanto meravigliosa.


In copertina c’è una frase tanto bella quanto riassuntiva dell’intero volume: 

«A volte due persone devono perdersi per capire davvero quanto appartengono l’una all’altra»

… e non vi è più grande verità.
Si sottolinea l’importanza della famiglia, base della vita di ognuno, porto sicuro da cui partire e in cui tornare e che, quando viene a mancare, lascia la nave in preda alle tempeste.
Si evidenzia il valore dell’amicizia, quella vera, che a volte si confonde con semplici conoscenze di comodo.
E poi è affrontata la tematica del bullismo e della lotta ad esso. Il bullismo rovina la vittima, la segna per sempre, lascia delle ferite che saranno aperte per tutta la vita, spiragli dolorosi verso l’animo. Tutto ciò deve essere combattuto, ma l’indifferenza è complice, sia quella dei ragazzi che, e soprattutto, quella dei professori. 
Inserisco un estratto, tratto dallo slam di Kiersten: 

«Ho qualcosa da dirvi, e non parlo ai bulli o a quelli che tormentano. Mi riferisco a chi sta a guardare, a chi non si schiera dalla parte di chi piange, a tutti quelli che tra voi che… semplicemente chiudono gli occhi. Dopotutto, non sta succedendo a voi, non siete voi quelli maltrattati dal bulletto di turno, e non siete nemmeno quelli che si comportano male, perché non è vostra la mano che lancia il cibo. Ma… è vostra la bocca che non parla. Sono vostre le gambe che non scattano in piedi. Sono vostre le braccia che non tendono la mano. Ed è vostro il cuore che se ne fotte. Quindi schieratevi per voi stessi, schieratevi per i vostri amici. Vi sfido ad essere persone che non si lasciano sottomettere. Non lasciatevi sottomettere. Non lasciateli vincere».


Colleen Hoover ci introduce nel piccolo complicato mondo di Lake e Will e, allo stesso tempo, di tutti gli altri personaggi: Eddie e Gavin, Reece e Vaughn, Sherry e Kiersten, Kel e Caulder.
La vita ci pone sempre davanti a ostacoli difficili, talvolta quasi insormontabili. Si deve però avere il coraggio di andare avanti, anche se tutto sembra fare schifo, anche se sembra non esserci una chance, perché la vita ha sempre in serbo la strada alternativa.
Ho adorato il punto di vista di Will, più di quello di Layken presente nel primo volume. 
I ragazzi, dietro il loro essere duri, sono invece così dolci e semplici. Will è proprio il ragazzo ideale – devo dirlo – e Lake è immensamente fortunata ad averlo incontrato. 


L’autrice ha di nuovo usato il presente e, lo ripeto, non è il mio tempo preferito per una narrazione, anche se è stato un aspetto secondario di questa storia che mi ha rapita, provocandomi il batticuore e qualche lacrimuccia. 
Il titolo è profondamente differente, ma stavolta posso affermare che è molto più bello quello italiano, molto più romantico e poetico. L’originale si chiama “La ritirata” ed è strettamente legato a un episodio della narrazione che, tra tutti, è secondo me il meno importante. Lo stesso nome verrà dato al titolo di una poesia che reciterà Will per Lake… ma non anticipo nulla, altrimenti svelerei alcune parti del romanzo.
Infine qualche riga mi ha colpita particolarmente perché mi ha fatto riflettere… leggendola ho sentito alcune parole che mi sono state rivolte e adesso ho sorriso. Qualche anno fa non le ho capite e mi sono arrabbiata molto. Crescendo e facendo esperienza, ho compreso che dietro quella che a me sembrava ostilità, forse c’era anche un buon consiglio.. presentato non proprio delicatamente, ma ognuno ha le sue maniere e bisogna accettare le persone così come sono. Il pezzo di cui parlo è una parte della poesia recitata da Edmund Davis-Queen e intitolata “Scrivi pure male”:

«[…] E scrivi ancora. Scrivere è come ogni altra cosa. Non diventi bravo subito. È un mestiere, devi impararlo e migliorare piano piano. Non entri alla Julliard, se non ti eserciti. Se vuoi la Carnegie Hall, devi provarci e riprovarci… O sborsare un sacco di soldi. Come per ogni altra cosa, ci vogliono diecimila ore per diventare davvero bravo. Proprio come dice Malcom Gladwell. Perciò, scrivi. Sbaglia, metti su un foglio i tuoi pensieri. Poi lascia riposare. Lascia marinare. E solo dopo ti correggerai. Ma non farlo mentre scrivi. Ti rallenta soltanto i pensieri. Trova un modo quotidiano per esercitarti. Per me è scrivere in un blog. Ed è divertente. Più scrivi, più diventa facile. Più scorre liscio, meno te ne preoccuperai. Non è per la scuola, non è per i voti. È solo per far uscire i tuoi pensieri fuori. Tu sai che loro vogliono uscire fuori. Perciò vai avanti. Fa’ dello scrivere una pratica quotidiana. E scrivi pure male. Scrivi pure malissimo, scrivi con abbandono e potrebbe venire fuori qualcosa di molto, molto buono».


Io scriverò male, anzi malissimo, ma scriverò per diventare migliore di come sono e forse un giorno potrò dire di esser diventata brava. Forse un giorno potrò dare dei consigli anche io. Per ora mi impegnerò, come ho sempre fatto, nella scrittura e in qualsiasi altra cosa. Posso farcela.

domenica 4 settembre 2016

Recensione di "Mansfield Park" di Jane Austen. Si torna sul blog!

Buonasera e buona domenica, cari lettori! E' da circa un mesetto che il blog e la pagina Facebook sono stati fermi, ma la proprietaria - ovvero la sottoscritta - era davvero stanchissima e necessitava di una vacanza. Come avete trascorso i vostri giorni di pausa estiva? Avete avuto la compagnia di qualche libro? Per quanto mi riguarda, ovviamente sì. Penso di non averne mai divorati tanti. E' bello poter avere la mente libera da altri impegni per almeno un po' di tempo, accantonare il "lavoro" (vorrei lo fosse un lavoro nel vero senso del termine... in realtà, sono nel limbo tra la fine della stesura della tesi dottorale e la discussione in data indefinita) e dedicarsi anche ad altro.
Ora però è giunto il momento di tornare attiva e perciò eccomi qui.
Al mare con me ho portato come primo romanzo "Mansfield Park" di Jane Austen che avevo iniziato a leggere qui a Roma.


Trama: Fanny Price è diversa da tutte le altre eroine di Jane Austen: non ha il senso dell'umorismo di Elizabeth Bennet né la frivolezza di Emma, e nemmeno la consapevolezza di Elinor Dashwood o l'irruenza di sua sorella Marianne. Fanny è tutta buon senso, umiltà, riservatezza e vulnerabilità. è il personaggio più passivo del romanzo, eppure dal punto di vista dell'azione morale, Fanny è la più attiva perché è l'unica che riesce a vedere le cose nella giusta prospettiva fin dal principio.Nella sua immobilità, è un personaggio chiave, simbolo di quel mondo di pacata quiete e solidi valori che era l'Inghilterra rurale del primo Settecento, contrapposto alla frenesia e dinamicità di una Londra ormai alle soglie della Rivoluzione industriale. Con Fanny, Jane Austen disegna il ritratto di un'eroina positiva non per abbondanza, ma per difetto di qualità mondane: un'eroina che fa dell'immobilità la propria forza, e vince senza fare nulla.

Sono una lettrice relativamente giovane in materia “Jane Austen”, nonostante adori la letteratura inglese, una delle mie materie preferite al liceo. Dell’autrice ho letto, al momento, solo “Orgoglio e Pregiudizio”, apprezzandone lo stile narrativo e il carattere di Lizzie, frizzantino e contemporaneo. “Mansfield Park” è il secondo romanzo della Austen che leggo, volendo interrompere per un po’ la lettura di romanzi della mia epoca e volendo accrescere la mia cultura letteraria.
La Austen effettua un cambiamento in questo romanzo: se in “Orgoglio e Pregiudizio” le parole si susseguivano in un incessante fiume in piena, quasi impazienti di introdurre il lettore nel rapporto controverso tra Elizabeth e Darcy, in “Mansfield Park” lo stile è più pacato e lento, atto a voler presentare il contesto quotidiano in cui si svolgerà la storia.
Fanny Price, la protagonista, è una bambina docile e molto molto timida, cresciuta con la famiglia degli zii, insieme ai due cugini Tom ed Edmund, e le due cugine Julia e Maria. Fanny proviene da una famiglia molto numerosa e piuttosto povera, quindi giunta a Mansfield Park viene istruita come una persona dell’alta società.


Julia e Maria sono viziate e adulate da Mrs. Norris, zia in comune, che svolgerà il ruolo di educatrice/tata. Si evidenzia il netto stacco tra le due cugine, sempre considerate migliori e sostenute in questo dalla zia Norris, e la povera Fanny, ritenuta notevolmente inferiore in ogni campo. Tutto ciò cambia quando le due ragazza lasciano casa: Julia fugge con il suo pretendente, mentre Maria si sposa. Finalmente anche Fanny viene notata per il suo valore e apprezzata sia dallo zio Bertram che da sua moglie.


Le figure cui Fanny è più affezionata sono William, suo fratello maggiore, l’unico nella sua “tribù” di fratelli e sorelle che la consideri e la protegga, e Edmund, il cugino che ha quasi un ruolo di “mentore” e consigliere, amico e fratello quando Fanny va a vivere con i Bertram. E sarà proprio questo crescente affetto a mutare in amore nel cuore di Fanny. Il sentimento sarà però tenuto ben nascosto, soprattutto quando Edmund inizia a corteggiare Mary Crawford. Allo stesso tempo Henry Crawford, notoriamente dongiovanni, inizia a corteggiare Fanny, causando il suo dispiacere nel non poterlo corrispondere. Il dispiacere durerà ben poco però perché il lupo perde il pelo, ma non il vizio…
La Austen offre uno spaccato dell’alta società inglese tra tenute magnifiche, ville e balli, mezzi principali per conoscersi. È un tempo, quello di Mansfield Park, apparentemente così lontano dal nostro, eppure abbastanza vicino in termini storici. 


L’autrice sottolinea l’immenso divario tra l’agiatezza e l’ambiente culturalmente elevato di Mansfield e la povera dimora dei Price, adottando l’espediente di far tornare Fanny per 3 lunghi mesi a Porthsmouth, dove troverà un padre egoista che pensa solo ai suoi affari e a bere, senza curarsi nemmeno di salutarla; sua madre, per la quale Fanny appare come una dei tanti figli che ha partorito; i fratelli che, non avendola quasi mai vista, la considerano come un’estranea. Solo Susan e William la faranno sentire appartenente ai Price perché, in cuor suo, Mansfield è casa sua, così diversa dalla disordinata, piccola e sporca dimora di Porthsmouth. Lei, con maniere tanto raffinate, non tollera e non comprende più la sua “rozza famiglia”. Ci sono poi gli “scandali” derivati da matrimoni esclusivamente vantaggiosi, stretti per via della dote e non per amore che condurranno le redini del discorso.


Si percepisce una forte differenza tra Fanny e Lizzie, protagonista di “Orgoglio e Pregiudizio”. Mentre Lizzie è frizzante, ribelle, pungente e ovviamente orgogliosa, Fanny è il suo opposto, docile, pacata, timida, sottomessa. Entrambe sono donne forti, ma affrontano la vita diversamente: Lizzie è diretta, Fanny invece attende gli eventi. Tuttavia non mi sento di condannare totalmente Fanny Price perché è comunque reduce da una situazione particolare e, talvolta, ha avuto tutta la mia comprensione. È difficile emergere e far capire, specie in una famiglia numerosa, di pensarla diversamente da tutti gli altri, di avere un altro carattere e di non essere solo un numero.


Tra passeggiate placide per i campi, balli, sussurri e occhiate, pettegolezzi e frivoli passatempi borghesi come l’organizzazione di una rappresentazione teatrale, i giorni scorrono a Mansfield.
Nonostante la trama non sia malvagia, devo ammettere che questo romanzo mi ha annoiata in molte sue parti, in cui sono stati fatti eccessivi giri di parole corredati da una basilare lentezza nello svolgersi degli eventi.
Tuttavia Jane Austen è un pilastro letterario e come tale la ammiro tantissimo. Leggerò le altre sue opere (magari “Sense and sensibilità” oppure “Persuasione”, o ancora il gotico “Northanger Abbey”), scoprendo altri tasselli cronologici e abitudinari della società di fine ‘700-inizi ‘800.
E infine, avendo scoperto che di "Mansfield Park" esiste il film, lo guarderò ovviamente.

Al momento è tutto. Nei prossimi giorni seguiranno tantissime nuove recensioni! Buona serata!
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