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lunedì 14 settembre 2015

Recensione di "La profezia dell'arca" di Michael Crane

Buonasera a tutti lettori! Faccio una nuova tappa sul mio blog per postare la recensione dell'ultimo libro che avevo iniziato durante le vacanze. Purtroppo ho impiegato più tempo a leggerlo. Qui a Roma ci sono anche altre cose da fare… e lo studio è incluso.
Devo dire che "La profezia dell'Arca" di Michael Crane lo avevo lasciato un po' indietro. Non so nemmeno io il perché. Ritrovandolo tra i millemila libri che riempiono la mia cameretta, ho deciso di portarlo in vacanza con me. Anche stavolta però ho dato la precedenza a romanzi più recenti. Sono scelte inconsapevoli a quanto pare. Questa è la trama:



Sarà il profeta a rompere il sigillo, nel giorno che secondo il calendario copto segna l'inizio del nuovo millennio. E lui solo potrà svelare al mondo il contenuto dell'Arca dell'Alleanza. Questo è scritto nel Kebra Nagast, il Libro della Gloria dei Re, il testo sacro della religione etiope. Ma più d'uno teme quel momento, ormai prossimo. Perché ciò che l'Arca cela e protegge può mettere a repentaglio il potere di molti, sulla terra e perfino in cielo. E quindi la verità deve morire, a costo di distruggere l'Arca, a costo di uccidere il profeta, a qualunque costo. All'oscuro di tutto questo, Mary Campion arriva in Etiopia al seguito di una ONG. Giovane avvocato, passionale e idealista, ha lasciato l'America per specializzarsi in adozioni internazionali. Il giorno dell'Epifania copta, ad Aksum, Mary si imbatte in Jack Miles. L'uomo, arrivato dall'Inghilterra per conto di una multinazionale, è in fuga da un mare di guai. Presto i due si ritroveranno coinvolti in un intrigo che affonda le sue radici nell'alba dei tempi, nelle grotte degli Esseni della comunità di Qumran, nei documenti segreti dei cavalieri Templari, nelle oscure stanze del Vaticano, e che arriva a loro per vie complesse e pericolose.



L'autore ha deciso di mescolare eventi apocalittici con misteri legati al Vaticano che, indubbiamente, suscita curiosità soprattutto dopo Dan Brown. In questo caso, i nostri tre eroi – Mary Campion, Jack Miles e Tom Baedeker – hanno una missione che scoprono solo dopo il loro arrivo in Etiopia per motivi differenti. 
Mary è nella culla della civiltà per occuparsi di un'associazione benefica di adozioni e, non potendo avere figli, decide di sottrarne uno alla nota situazione africana adottandolo. 
Jack Miles è immischiato involontariamente in un affare che coinvolge una multinazionale che si occupa di portare aiuti alimentari alle popolazioni disagiate (ovviamente c'è del losco… qualcuno ci guadagna su e i poveri muoiono di fame. Un classico). 
Tom Baedeker è un archeologo, dalla smisurata sete di conoscenza. Ha intrapreso degli studi biblici, ma molte delle sue teorie sono considerate fantasia dalla polverosa comunità scientifica (caro Tom, questi individui sono il vero morbo dell'archeologia… quando lasceranno le poltrone faremo i fuochi d'artificio e io sarò tra i primi!). Le sue indagini conducono all'Arca dell'Alleanza, reliquia biblica, nominata nel Vecchio Testamento. 



Secondo la leggenda, la cassa dorata con due statue di cherubini conterrebbe le Tavole della Legge e la virga di Aronne (di quest'ultima non si parla nel romanzo e ci si concentra sui manufatti più famosi). L'Arca dovrebbe essere custodita ad Aksum, ma solo uno potrà aprirla, l'11 settembre, giorno in cui inizia il nuovo millennio copto (è inevitabile che il pensiero corra anche alle Torri Gemelle...).



Il termine "profezia" già fa subodorare che, dietro le avventure dei nostri tre personaggi principali in Etiopia, passando per la famosa Lalibela (si vedano le sue magnifiche chiese), ci sia dell'altro. 



E infatti è proprio un bambino, Bale, ad essere il prescelto. A tutto questo si lega una curiosa interpretazione dei fatti biblici. Ci sono collegamenti con gli Esseni di Qumran, la divisione delle sette giudeocristiane e la discendenza di Salomone. 
È evidente che l'autore sappia di cosa stia parlando, nel senso che conosce bene la storia e l'archeologia biblica, e sinceramente mi sono divertita più a leggere l'invenzione storico-archeologica legata inevitabilmente a Gesù che ad esaminare tutta la trama, in sé semplice: tre personaggi e uno da proteggere; profezia; il cattivo che prova a uccidere il profeta; il piano del cattivo che fallisce; vissero tutti felici e contenti.
Dietro le macchinazioni malvagie si cela la trama di un cardinale che, preoccupato di una rivoluzione all'interno del cristianesimo odierno, vuole in ogni modo eliminare i soggetti fastidiosi, dando ordini a distanza e accordandosi con loschi individui.



Mary appare come una donna pia, dai pensieri puri, volti solo ad assecondare azioni benefiche. Osserva il piccolo Bale e comprende da subito che lui non è un bambino come gli altri.
Il legame come Jack si consolida a poco a poco, trasformandosi in amore (l'antifona si era già capita da tempo). Jack si configura come un eroe e ha occhi solo e soltanto per Mary.
Mary, Jack… non vi viene in mente qualcosa? Chi ha un minimo di conoscenze bibliche e di letteratura cristiana antica sono sicura che abbia intuito qualche indizio, di cui però non parlerò per evitare spoiler.
Tom, come dicevo prima, è invece l'archeologo, la guida e il rivelatore di misteri. Corrisponde esattamente alla figura che forse noi archeologi – della mia generazione – abbiamo un po' sognato di diventare da ragazzini, deviati anche da Hollywood. La mia simpatia per lui è andata man mano crescendo. Si rivela come un uomo distaccato dall'argomento umanitario, interessato solo e soltanto alla conoscenza. La sua ricerca è per lui fondamentale. Ha trascorso anni e anni su libri e scavi, ma questa nuova scoperta potrebbe cambiargli la vita, far sì che la sua carriera accademica possa fare un salto qualitativo (caro Tom, nessuno meglio di me ti comprende). Tom cercava la gloria… ed è effettivamente ciò che troverà… ma ho detestato però l'autore per il destino che gli ha riservato.
In questo piccolo estratto è custodito il suo esatto profilo... e una parte di ogni archeologo, me compresa:

"Nei giorni successivi Baedeker rimase chiuso nel magazzino che conservava gli antichi documenti. Usciva solo per brevi pause, e nessuno riusciva a strappargli una parola sui risultati delle sue letture, Dav Salomon non lo disturbava e non gli chiedeva nulla. Conosceva quel tipo di concentrazione, quando uno studioso a caccia di un segreto si sente vicino a un importante passo in avanti e nello stesso tempo è tormentato dal rischio di restare deluso".



Bale è il profeta. In una realtà povera, si inserisce lui, che appare come un qualunque ragazzino, interessato ai giochi e alla spensieratezza. Ogni tanto però si assenta e, come accade ai profeti, riesce a vedere ciò che è invisibile al resto del mondo e a sentire le parole della divinità. L'autore ha voluto un po' ricalcare la stessa figura di Gesù da bambino, spensierato come tanti, con la sola differenza che riusciva a compire prodigi meravigliando se stesso e i suoi coetanei (si leggano i Vangeli apocrifi per averne conferma).



Il mio grado di attenzione ha subito degli alti e bassi: all'inizio parte un po' lentamente, poi il grado di interesse aumenta, arriva a toccare l'azione, e poi si stabilizza di nuovo (a volte diventando un po' noiosa), effettuando un nuovo picco verso gli ultimi capitoli. La fine però non la comprendo appieno. La storia sembra non terminare completamente. Buone le ricostruzioni e le invenzioni storico-archeologiche, trama non troppo particolare, protagonisti abbastanza distanti dal lettore che talvolta non riesce a immedesimarsi nella situazione.
Lo consiglio solo per trascorrere un po' di tempo e soprattutto ai lettori cui piace molto la materia storica. Gli altri potrebbero seriamente annoiarsi.

giovedì 10 settembre 2015

Recensione di "So che ci sei" di Elisa Gioia

Buonasera a tutti! Eccomi di nuovo con un'altra recensione relativa a un romanzo che ho letto durante gli ultimi giorni di vacanza: "So che ci sei" di Elisa Gioia. Al momento è l'ultima perché il nuovo romanzo ce l'ho ancora in lettura. Non potendomi rilassare come al mare, adesso mi risulta un po' più difficile terminarne uno dietro l'altro.



Bene, "So che ci sei" l'ho visto in vendita in uno scaffale di un piccolo centro commerciale di Nettuno, decidendo però di acquistarlo a Latina. No, non sono pazza. La mia scelta è stata influenzata dal fatto che dovevo terminare "Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo – Le storie segrete".
Cosa mi ha attratto di questo libro? Dunque, la doppia spunta di Whatsapp in copertina devo dire che mi ha incuriosita. Sono andata a leggere la trama e ho sorriso perché il comportamento di Gioia è esattamente quello paranoico che abbiamo un po' noi ragazze, soprattutto quando siamo innamorate (palesemente o segretamente)… ed è quello di andare a vedere l'ultimo accesso di Whatsapp, la foto profilo e lo status del nostro misterioso lui.
Inoltre Gioia mi era parsa molto familiare: imbranata, con un animo romantico e il cuore spezzato, ma incellofanato e "tenuto al sicuro", che provava a rimettere in sesto la sua vita dietro l'apparenza professionale e disinteressata. Mi somiglia. Molto. Ho deciso e l'ho acquistato. Qui la trama: 

"C’è qualcosa di peggio che essere tradita e mollata dal ragazzo con cui pensavi di passare tutta la vita. Ed è vederlo online su WhatsApp, per tutta la notte, e sapere che non sta scrivendo a te, non sta pensando a te, ma a qualcun altro.
È proprio quello che capita a Gioia al suo ritorno da Londra, dopo aver passato mesi facendo di tutto per tornare da Matteo, cantante di un gruppo rock che sembrava irraggiungibile e invece quattro anni prima era diventato il suo ragazzo. Peccato che ad aspettarla all’aeroporto, al posto di Matteo, ci sia il padre di Gioia, l’aria affranta e un foglio A4 tra le mani, con la magra e codarda spiegazione del ragazzo che non ha neanche avuto il coraggio di lasciarla guardandola negli occhi.
Dopo mesi di clausura, chili di gelato e un rapporto privilegiatissimo col suo piumone, però, Gioia si fa convincere a passare un weekend con le sue migliori amiche a Barcellona. Non c’è niente di meglio di un viaggio, qualche serata alcolica e un po’ di chiacchiere tra donne per riparare un cuore infranto.
Se poi a questo si aggiunge un incontro del tutto inaspettato con un uomo che pare spuntato direttamente dalla copertina di un magazine di successo, la possibilità di ricominciare pare ancora più vicina.
E, soprattutto, la consapevolezza che l’amore vero non ha bisogno di “ultimi accessi” di status o faccine sorridenti. È tutto da vivere, là fuori, a telefoni rigorosamente spenti."



L'autrice, con uno stile scorrevole e molto colloquiale, dà vita ai pensieri frequenti con i quali noi ragazze ci ingarbugliamo il cervello davanti ai comportamenti degli uomini, in particolar modo se, come nel caso di Gioia, ci troviamo di fronte al bello e dannato, apparentemente pentito del tradimento (Matteo Perri), che per paura di rimanere solo (diciamolo chiaro e tondo) fa il passo indietro pensando che la sua lei sia la reincarnazione di Penelope, e lo paragoniamo al bellissimo "Mister Copertina" dal "sorriso illegale" – in tal caso Christian Kelly – che sembra volerci a tutti i costi, nonostante le notizie del web lo descrivano come playboy milionario e seriale (incredibilmente il suo volto ha sempre avuto le sembianze del bel David Gandy... e solo ora scopro che in tutte le fan art c'è proprio lui. Elisa Gioia, non è che ti sei ispirata almeno un po' al fantastico modello? E comunque ottima scelta!).



La storia di Gioia e dell'inatteso incontro con Christian è una piacevole lettura per trascorrere un po' di tempo in compagnia del solo sfogliare delle pagine, con la mente immersa all'interno di scenari che prevedono una tempesta ormonale… e sì, perché tra i due c'è stata una fortissima alchimia sin dal primo sguardo, proseguendo in baci passionali. Ma l'amore si sa, non è semplice. Prevede moltissime complicazioni e la povera Gioia si troverà a doverle affrontare, spesso aiutata da sua sorella Melly, da Ludovica, dall'esplosiva Bea e dal collega e amico gay Marco. Quando tutto sembra essersi risolto e la fiaba forse prevede il lieto fine, ecco il colpo di scena degli ultimi capitoli che lasciano prevedere una continuazione.



È una lettura che consiglio per svagarsi un po' e farsi qualche risata, ma… ci sono dei "ma" che non posso evitare. Per quanto riguarda lo stile narrativo, detesto profondamente intercalari che prevedono l'utilizzo di invocazioni, si veda "Dio, com'era bello!", oppure "Gesù, Giuseppe e Maria". Alcune persone usano queste espressioni durante i loro discorsi verbali. A me risulta piuttosto sgradevole sentirlo... figuriamoci vederlo scritto!
Le parolacce… brutta abitudine che abbiamo preso nell'inserirle in ogni dove: nei romanzi, nelle canzoni, nei nostri discorsi quotidiani. Non che mi sconvolgano. Le ho usate e le uso anche io quando strettamente necessario, ma perché ritrovarle scritte in un romanzo in cui se ne può fare tranquillamente a meno? Ci sta per la battuta, ci sta per l'insulto occasionale… non ci sta come modo di esprimersi.
Infine ci sono alcuni refusi, passabili in un autore self e non lo dico perché "faccio parte della categoria". Gli autori self devono fare tutto da soli: dai primi passi della pubblicazione, alla correzione, alla promozione e così via. In romanzi pubblicati da case editrici non lo tollero (uno, due al massimo possono sfuggire. Di più, no) perché ci sono figure appositamente scelte per lavorare alle bozze. 
E poi… sono inorridita davanti a un errore di ortografia molto grave che non era presente una volta sola, bensì ripetuto! "Gli" invece di "le" per intendere "a lei" non è accettabile. La mia maestra delle elementari mi avrebbe tagliato tutte e due le mani se avessi perpetuato errori del genere nei miei temi. Posso indicare anche le pagine: a pag. 205, riga 4; a pag. 266, riga 7 e nella stessa pagina riga 19. Per una scrittrice, questi sono errori inaccettabili, ma la casa editrice dove sta?

Ho notato nella narrazione la ripresa di caratteristiche presenti in un po' di film/libri, come "Notting Hill", "Bridget Jones" (in maniera particolare), "Scrivimi una canzone", "La verità è che non gli piaci abbastanza"…e poi il tormentone di "Cinquanta sfumature di grigio". 



Di quest'ultimo non ho visto il film e nemmeno letto il romanzo. Non fanno per me. Credo che alla fine potrebbe essere addirittura troppo ripetitivo. Ma è ovvio che tutti ne abbiano parlato, conosca la trama e anche il personaggio principale, Christian Grey. Christian Kelly gli somiglia molto, non solo per il nome, ma anche per il suo ruolo di uomo milionario e bellissimo, ferito dall'amore che trova la ragazza sensibile e indifesa con cui può giocare al predatore e alla preda.
Certo, Christian Kelly è molto affascinante… ma almeno poteva essere variato il nome per non riprendere in modo palese il suo omonimo Grey.
Carine le riprese disneyane, così come il bacio che gioca un ruolo fondamentale, come se l'autrice volesse comunicare il concetto tanto sottolineato in "Come d'incanto": il bacio ti fa capire se è quello l'uomo che vuoi con te (segue, il "bacio del vero amore", vero punto fisso nella politica Disney).



Ad ogni modo,osservazioni a parte, voglio sapere come andrà a finire la fiaba (non favola… che è un genere differente) di Gioia e Christian. Auguro a Gioia, la protagonista, tutta la felicità possibile. Almeno lei se la merita...

mercoledì 9 settembre 2015

Recensione di "Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo - Le storie segrete" di Rick Riordan

Buonasera amici! Sto riscoprendo il piacere di curare un blog. Non lo facevo da un'eternità, ma non credo durerà molto con altre ricerche che incombono. Intanto però, leggetevi la mia nuova recensione. Pronti? Via!



Ammetto di aver notato una miriade di libri che recitavano sopra la copertina il titolo "Percy Jackson etc." e di aver visto le locandine dei film in giro, ma non mi sono mai occupata delle avventure di Percy Jackson. Mi avevano detto che il film era carino (il primo), mentre dei romanzi non mi aveva ancora parlato nessuno. A dire il vero, non rientrava nei miei programmi leggere i romanzi di Rick Riordan perché avevo deciso di non cominciare altre saghe fantasy troppo popolari e troppo americane (gli italiani vengono "leggermente" snobbati dalle case editrici e la questione non mi va giù per niente, a prescindere dal fatto che io stessa tenti di scrivere fantasy). Inoltre, per la stesura di Sàkomar non volevo essere influenzata da nessuno, quindi avevo lasciato correre, ripromettendomi di recuperare – in caso fossi stata interessata – dopo la fine della mia saga.
"Percy Jackson e gli dei dell'olimpo – Le storie segrete" è stato però un regalo ricevuto per il mio onomastico, il 24 luglio, un pensiero. Io adoro i regali. Mi fanno sempre l'effetto "Ti ho pensata… e ho voluto comprarti questo per dirti che ti voglio bene". Ho un animo romantico in fondo… nel fondo più profondo, ma c'è.



Dicevo, un romanzo deve essere letto, sempre secondo la mia politica. Una volta che entra a far parte della tua collezione, in un modo o nell'altro, le sue pagine necessitano di essere sfogliate. Ho quindi intrapreso la lettura della raccolta di racconti di Rick Riordan. Ero titubante perché pensavo di dover leggere anche gli altri romanzi, ma quando ho aperto la prima pagina ho subito notato che non era necessario e che i tre racconti qui contenuti in realtà sono indipendenti.
Sono stata quindi catapultata nel mondo di Percy Jackson, semidio, figlio di Poseidone, che possiede straordinari poteri riguardanti ovviamente l'acqua e il suo controllo, affini alla mia Christine.



La ragazza con cui sta, Annabeth, è una semidea, figlia di Atena, dea della sapienza, e spicca per intelligenza e acume.



Ci sono poi due ragazzi, che praticano le arti magiche egizie, Carter e Sadie Kane.





Da quel che ho appreso, i quattro personaggi fanno parte di due saghe differenti, ma in questi racconti essi si incontrano e collaborano per provare a salvare il mondo da un coccodrillo gigante, dal dio Serapide e infine da un mago pazzo, figlio di Ramses il Grande, che vuole un potente talismano – la corona di Tolomeo – per diventare un dio.
Non è un caso che venga nominato Tolomeo e la sua discendenza che dominarono su un Egitto ellenizzato. I racconti si basano sull'unione dei poteri derivanti dalla mitologia greca e su quelli derivanti dalla mitologia egizia. Non rivelerò di più. La lettura è piacevole, essenzialmente per ragazzi. L'autore ha mescolato la realtà quotidiana con la mitologia, documentandosi anche su fatti storici.



Ho apprezzato molto questa linea un po' fantascientifica che attraversa la narrazione: è come se in un'unica realtà, la nostra, ne convivessero anche altre che però ai semplici umani sono invisibili. In tutto questo si inseriscono Percy e i suoi amici, con armi mortali camuffate sotto l'apparenza di oggetti d'uso comune (la spada di Percy è una penna biro ad esempio).
Premettendo che mi hanno coinvolta, i racconti sono però scritti con uno stile che a me pare un po' troppo cinematografico. A tratti mi è sembrato di leggere il copione di un film. Non è proprio il massimo per me, ma devo dire che a livello di narrativa per ragazzi credo che sia una tecnica molto in voga, che tenda a far appassionare i giovani lettori. Questo però non significa che sia lo stile corretto. Se io fossi stata bambina ad esempio e avessi letto Percy Jackson tra i romanzi a piacere che le tanto "adorate" maestre assegnano "amorevolmente" per l'estate, che cosa avrei imparato (contenuto a parte che è di pura fantasia)? Avrei imparato che un tema si può scrivere anche con un tono estremamente colloquiale, inserendo addirittura espressioni proprie solo di un discorso verbale e avrei magari iniziato a sviluppare i miei temi in questo modo erroneo. Ecco, vorrei sottolineare il mio punto di vista: carini i racconti, simpatico lo stile, ma è meglio usarlo solo ed esclusivamente per la cinematografia, non per la narrativa fantasy di ampia diffusione.
Per quanto riguarda i contenuti, ho trovato molte similitudini con la saga dell'alchimista Nicholas Flamel scritta da Michael Scott (Recensione del VI volume), pubblicato qualche anno prima di Percy Jackson. 
Il ritorno degli dei, l'addestramento nelle arti magiche, le parentele con gli dei stessi… tutti elementi che sono presenti già nella saga di Michael Scott. Ad ogni modo, ora mi sono incuriosita e probabilmente in futuro – dopo aver terminato le mie letture – sbircerò gli altri romanzi di entrambe le saghe. Valutazione positiva per Rick Riordan, in realtà più come "autore cinematografico" che per la narrativa vera e propria.

Buona serata a tutti e alla prossima!

martedì 8 settembre 2015

Recensione di "Una famiglia quasi perfetta" di Jane Shemilt

Buonasera amici! Eccomi di nuovo con una nuova recensione dopo aver trascorso il pomeriggio immersa nei miei deliri archeologici!
Bene, si comincia!



Con Jane Shemilt, autrice di "Una famiglia quasi perfetta", si torna nelle isole britanniche, con una narrazione sospesa tra il Dorset e Bristol, rispettivamente nel tempo presente e indietro di un anno all'incirca.
Jenny e Ted sono entrambi medici: lei è medico generico, mentre lui è un neurochirurgo parecchio affermato nell'ospedale in cui lavora.



Hanno tre figli adolescenti: due gemelli, Ed e Theo, e Naomi.
La loro sembra una famiglia normale, ma ognuno dei suoi componenti nasconde dei segreti inconfessabili che nel puzzle di eventi che si susseguono giocheranno un ruolo fondamentale. Naomi infatti scompare dopo una rappresentazione teatrale di cui lei era la protagonista. Jenny, sua madre, non riesce ad arrendersi e una pagina dopo l'altra viene descritta la sofferenza, l'angoscia, la paura, i pensieri che velocemente corrono a cercare anche i più piccoli dettagli, i sentimenti e le parole spesso taciute. 



Il sospetto si espande: da pochi indagati che erano investiti da un'alta probabilità di colpevolezza (uomini che avrebbero potuto vendicarsi) sono inclusi anche i membri della famiglia. Ted, quasi sempre assente da casa, sembra sapere più informazioni della stessa Jenny, la quale si ritrova ad interpretare la duplice parte della madre che cerca di conciliare lavoro e famiglia, ma allo stesso tempo anche quella della persona apparentemente informata dei fatti. Jenny dovrà infatti scavare a fondo nella psiche dei suoi figli e di suo marito, spesso facendo uscire le parole di bocca quasi con le tenaglie, per provare a ritrovare la sua amata Naomi.
Naomi che sembrava la figlia perfetta e retta… finché i suoi segreti escono allo scoperto e la verità piomba sulle spalle di sua madre come un pesantissimo macigno.



Quando sembra tutto perduto, Jane Shemilt inserisce il clou del romanzo proprio nell'ultimo capitolo, ottenendo l'effetto calamita sul lettore il quale non può fare a meno di domandarsi quale altro altarino sarà svelato dietro il sottile velo della "normalità".
I gialli non sono il mio genere, ma come ho spesso ripetuto ultimamente, trovando raramente fantasy validi (le saghe infinite diffuse in tutte le librerie mi rifiuto di cominciarle), sto provando nuovi tipi di narrazione. Devo dire che questo romanzo mi ha tenuta incollata alle pagine, mentre provavo a immedesimarmi nel personaggio di un detective per comprendere bene i motivi della scomparsa della giovane Naomi. Le descrizioni assumono sfumature cinematografiche, mentre i fotogrammi della vita di ogni personaggio scorrono davanti al lettore.



Certamente il fatto che l'autrice sia medico ha giocato un ruolo fondamentale all'interno della storia perché sia Jenny che Ted sono delineati con precisione chirurgica (per rimanere in tema). Allo stesso tempo la Shemilt riesce a descrivere magistralmente i problemi e i disagi adolescenziali che si scontrano quasi sempre con le idee del genitore.
Ne consiglio vivamente la lettura. Unica nota negativa, non per l'autrice, ma per la casa editrice italiana, la Newton Compton: perché questa traduzione del titolo? "Una famiglia quasi perfetta" rispecchia esattamente il contenuto del romanzo. È un titolo che però non c'entra assolutamente nulla con quello originale che è "Daughter" ovvero "Figlia". Infatti la storia è incentrata sulla sparizione di Naomi, figlia di Jenny e Ted.
Spesso ho notato questa tendenza, anche nel campo cinematografico, di tradurre quasi a piacimento i titoli originali, cosa che personalmente eviterei. Il titolo è la presentazione di un'opera che l'autore pensa e ripensa, in modo che sia idoneo a racchiudere – anche sotto una certa aura misteriosa – il contenuto. "Una famiglia quasi perfetta" come titolo tradotto, in un certo senso, svela già qualcosa. Propongo di rispettare la scelta dell'autore traducendo letteralmente. Anche i lettori ringrazieranno.

Buona serata a tutti voi!

domenica 6 settembre 2015

Booktrailer di "I Quattro Principi di Sàkomar - Il Quinto Elemento"... in arrivo tra pochissimo!

Da domani tornerò con le recensioni, ma oggi sono stata troppo impegnata a recuperare informazioni bibliografiche di carattere archeologico per riprendere a pieno ritmo le mie ricerche.
Ieri però ho lavorato al mondo di Sàkomar... chi mi segue sulla pagina Facebook e su Google+ lo sa già perché avrà visto tutto. Vi presento il nuovo booktrailer del terzo e conclusivo romanzo della saga di Sàkomar "Il Quinto Elemento".
In attesa della pubblicazione (il romanzo è pronto, ma le procedure non sono immediate), guardatelo, sognate... e fatevi un'idea di ciò che potrà accadere (se ci riuscite!).
Buona serata a tutti e ovviamente buona visione!

p.s. grazie, grazie, grazie di cuore a tutti coloro che mi seguono e che mi scrivono commenti, mi mandano messaggi e apprezzano il mio lavoro. Per un autore self, non sapete quanto sia importante tutto questo. Ogni volta che qualcuno mi scrive, un pizzico di felicità mi fa sorridere e sperare (e in questo periodo ne ho davvero bisogno, credetemi). Un abbraccio ai lettori e sostenitori!


venerdì 4 settembre 2015

Recensione di "Sepolcro" di Clive Cussler e Thomas Perry... con qualche precisazione archeologica

Buonasera amici! Come promesso, eccomi tornata sul blog con un'altra recensione. Il genere è totalmente diverso rispetto a quello esaminato ieri. Si tratta di "Sepolcro", un romanzo di Clive Cussler e Thomas Perry.


Cussler ormai accompagna qualche giorno delle mie vacanze estive quasi ogni anno. Iniziai a leggere i suoi romanzi consigliata da mio padre, che all'epoca (si parla di anni e anni fa) già lo seguiva da un pezzo. Ero (e sono ancora) innamorata perdutamente di Dirk Pitt, membro della NUMA (National Underwater and Marine Agency) e brillante avventuriero. Ho viaggiato con lui e il suo fidato amico Al Giordino in tutti i luoghi possibili, sotto le profondità marine e nei meandri del Sahara (dall'omonimo romanzo fu tratto un film con Matthew McConaughey e Penelope Cruz).



Ma come tutte le cose, anche le sue avventure sono terminate, per lasciare spazio ad altre serie scritte in collaborazione con vari autori (Craig Dirgo, Paul Kemprecos, Jack Du Bruil, etc.). Alcuni romanzi li ho letti ancora, ma il forte "legame" che c'era con il personaggio di Dirk non è mai tornato per me.
"Sepolcro" (scritto con Thomas Perry) è stato uno dei miei regali di compleanno. Era da tempo ormai che non leggevo più romanzi di avventura e ancor meno vicini all'archeologia. Come ho già spiegato in altre occasioni, quando una materia la si studia quotidianamente, servono anche argomenti di stacco e nei romanzi – che leggo nel tempo libero – necessito vivamente di narrazioni che siano lontane dal mondo antico. Magari è solo un periodo "buio" per me e passerà, ma al momento è così. Tuttavia, Clive per me è una garanzia e, fidandomi (ma essendo anche un regalo e soprattutto un libro), ho letto il suo nuovo romanzo.
I protagonisti sono Sam e Remi Fargo, una coppia di avventurieri e cacciatori di tesori, divenuti ricchissimi per via di una particolare invenzione tecnologica. Erano immersi al largo della Lousiana, conducendo alcune indagini su villaggi indigeni sommersi, quando arriva la telefonata di un loro amico, Albrecht Fisher, professore tedesco di archeologia classica, che richiede il loro aiuto per un'indagine che si prospetta molto interessante. Ed è così intrigante l'oggetto della ricerca che i tre non sono i soli a dedicarcisi. Ovviamente è sempre presente il cattivo per eccellenza, ricchissimo, con mille agganci malavitosi, che vorrà mettere per primo (ed esclusivamente) le mani sul tesoro in questione.


 
Fisher e i Fargo sono infatti alla ricerca dell'immenso tesoro di Attila l'unno, diviso in vari luoghi europei, rintracciabili soltanto tramite iscrizioni latine che si trovano contenute nelle varie tombe che saranno esplorate. Inizia così una corsa contro il tempo che condurrà i Fargo in Bulgaria, Ungheria, Francia, Transilvania e Italia. In quest'ultima per ben due volte: prima a Mantova e infine a Roma.
Attenzione ora dovrò effettuare un grosso spoiler, quindi non prosegua a leggere chi ha intenzione di intraprendere l'avventura con i coniugi Fargo. Da archeologa cristiana, non posso evitare di commentare due dei capitoli dedicati a Roma perché è proprio qui che si svolge l'ultima parte della caccia al tesoro e più precisamente nelle catacombe di Domitilla.
Premettendo che non voglio essere polemica, né critica perché il romanzo di Clive è opera puramente fantastica – e come tale tutto è consentito – ci sono alcuni punti che mi hanno strappato qualche sorriso.
In primis, è già la seconda volta che mi capita casualmente di leggere un romanzo in cui siano nominate le catacombe (si veda la recensione di "Il marchio del diavolo" di Glenn Cooper). Gli americani le adorano palesemente. Sono per loro luoghi misteriosi, quasi esoterici, in cui sono custoditi chissà quali misteri. Le ho visitate ed esaminate quasi tutte (parlo ovviamente di Roma. Per il resto, annovero tra le mie visite le catacombe di S. Gennaro e di S. Gaudioso) e posso assicurare che di così misterioso non hanno proprio nulla. Sono cimiteri sotterranei, in alcuni punti così profondi da sembrare di poter toccare il centro della Terra e da far venire un pizzico di claustrofobia anche a chi non ne soffre (fortunatamente non è il mio caso!). 



Comprendo però lo stupore di un americano che, visitando Roma, si trovi a scendere in antichissimi cimiteri sotterranei, suggestionato dalla luce delle torce e dalle ombre che si vengono a creare, mentre svariati personaggi osservano i turisti dagli affreschi dipinti sulle volte, sulle pareti, nelle lunette degli arcosoli, etc. E alla luce delle lampade talvolta appaiono resti scheletrici che assumono caratteri macabri e grotteschi. Siamo all'interno di cimiteri ed è normale, ma è ovvio che la mente umana vaghi con la fantasia.
Nella narrazione si dice che le catacombe di Domitilla sono state le meno devastate. Sicuramente sono conservate in maniera eccellente, ma inevitabilmente il mio pensiero corre al cubicolo del fossore Diogene, il cui affresco è stato visto per l'ultima volta integro da Boldetti nei primi anni del '700, il quale fu anche l'autore della "devastazione" provando a staccare la pittura. Avanzo solo quest'esempio perché non è un trattato di archeologia, ma è per dire che l'occhio meravigliato del visitatore si distingue in tutto e per tutto "dall'addetto ai lavori".



E poi la fantasia corre così tanto che uno dei Flavi, proprietari dell'ipogeo omonimo, parenti degli imperatori, avrebbe incontrato il temutissimo Attila durante una battaglia in Francia. L'unno poi sarebbe stato sepolto, alla sua morte avvenuta per avvelenamento in un'altra occasione (evito altri spoiler), all'interno delle stesse catacombe con il suo immenso tesoro.
Mi sono divertita a notare come i Fargo e l'archeologo tedesco Fisher abbiano svolto in completa tranquillità uno "scavo" all'interno del cubicolo interessato dalla sepoltura. Anche le altre volte si parla di scavo, che di stratigrafico non ha proprio niente. Si tratta più che altro di uno "svuotamento" delle tombe in questione, fotografando la posizione dei reperti e rimuovendoli tranquillamente dal sito. Addio contesto quindi. Ma non sembra un problema, anche per le autorità di tutela ministeriali che addirittura danno il permesso ai due avventurieri di portare via qualche pezzo per studiarlo, nonostante sia stato "scavato" così atrocemente.
Nel romanzo si fa poi appello a un accordo bilaterale tra l'Italia e gli Stati Uniti (dovrebbe essere quello rinnovato nel 2006) che si applica al periodo compreso tra il IX secolo a.C. e il IV secolo d.C. secondo cui i reperti non appartenenti ai secoli indicati sarebbero esenti dalla registrazione (credo che la questione sia però ben più complicata in materia legislativa). Sam e Remi Fargo quindi si prendono ciò che trovano per studiare e catalogare tutto a casa loro (bell'affare!). La Convenzione Unidroit non viene nemmeno considerata.
Ad ogni modo è opera di fantasia... La nota positiva è che stavolta almeno all'interno della storia compaiono i carabinieri del nucleo TPC, quindi si è consapevoli della loro esistenza come ente di tutela.



Infine, dato sbagliatissimo: le catacombe sono sotto la tutela del Ministero dei Beni Culturali Italiano. In questo Glenn Cooper, parlando di S. Callisto, si era almeno informato per rendere il tutto più veritiero. Le catacombe ricadono sotto la gestione della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, organo appartenente allo Stato Città del Vaticano, quindi il MiBACT non c'entra assolutamente niente.
Non proseguo a "demolire" i capitoli dedicati a questa avventura nel sottosuolo romano. Ripeto, è opera di fantasia e tutto è consentito, basta che il lettore di qualsiasi categoria tenga presente che si tratta di pura e semplice invenzione (altrimenti si finisce con gente che ha creduto alle parole di Dan Brown e a tutta la storiella che ruotava intorno al Codice da Vinci).
Per il resto, ho trovato alcuni capitoli da cardiopalma, con azione e sparatorie degne di Hollywood; in altre parti invece gli autori si sono soffermati troppo sulla descrizione di armamenti e di strumenti militari, così come sulle strategie, le quali risultano comunque ammirevoli per la loro approfondita conoscenza.


 
Mi sono poi trovata a riflettere sui Fargo come personaggi. Li ho ammirati, moltissimo, non solo per la capacità di adattamento e la velocità di azione, ma per il loro rapporto. Si amano davvero tanto, si stimano l'un l'altro e collaborano come fossero un'unica mente. Credo che una relazione così sia davvero da sogno. E qui concludo. Grazie Clive e Thomas per avermi fatto viaggiare con Sam e Remi scovando un sensazionale tesoro.

giovedì 3 settembre 2015

Ritorno sul blog e recensione di "Il segreto della bambina sulla scogliera" di Lucinda Riley

Buonasera a tutti! Eccomi finalmente tornata sul blog dopo le vacanze. Mi serviva proprio un periodo di stacco dalla routine quotidiana che era diventata alquanto stressante... gli stessi posti, le stesse persone, le stesse parole all'infinito mi avevano decisamente distrutta, dopo mesi difficili legati al mio infortunio. Adesso però ho nuove energie per proseguire ciò che era già stato cominciato e intraprendere nuove iniziative, anzi non vedo l'ora di rimettermi in moto!
Dove si sono svolte le vostre pause estive? Per quanto mi riguarda, prima c'è stato un viaggetto del tutto inaspettato a Venezia. Ahhh che città magica! Con quei canali, le viuzze, i "sottoporteghi" e le magnifiche chiese, la luna che si specchia nelle acque e il dondolio dei vaporetti... vorrei tanto abitarci!




Se volete saperla tutta, Roma non mi è mancata per niente, invivibile com'è diventata... sporca e con gentaglia che si aggira indisturbata a tutte le ore del giorno e della notte, libera di fare come vuole a discapito delle brave persone.
Venezia è stato uno stacco molto piacevole. E non dimentico di certo Murano, con le sue botteghe coloratissime per la lavorazione del vetro; 



Burano, con le sue case dai mille colori, i delicati merletti e le persone così gentili;



 Torcello, immersa nel verde della riserva, con la sua cattedrale dal magnifico mosaico con il Giudizio Universale (il mio cuore da iconografa ha fatto le capriole di felicità!).




Dopo ciò, tappa al mare, per qualche giorno di "cottura a puntino"sulla spiaggia, con la sola melodia delle onde di sottofondo (non delle rumorose macchine che circolano in città...) e dei buoni libri a farmi compagnia.
Ecco dunque che vi "presento" la recensione del primo romanzo che ho divorato. A dire il vero, lo avevo portato con me a Venezia, ma gli ho solo fatto cambiare aria. La sera ero talmente sfinita che non sono riuscita a leggere una pagina, eccezion fatta per manuali archeologici e storico-artistici legati alla città.
Il romanzo in questione è "Il segreto della bambina sulla scogliera" di Lucinda Riley, una garanzia per me. 



Avevo già affrontato un suo romanzo, "Il giardino degli incontri segreti", (Recensione) e l'autrice mi aveva conquistata con il suo stile elegante e delicato che introduce all'interno di luoghi di magnifica bellezza.
Stavolta ho letto "Irlanda" sulla quarta di copertina e non ho saputo resistere. Adoro quell'isola, così verde e misteriosa, insieme alla Scozia e all'Inghilterra. Avverto una forte attrazione verso quelle terre e la Riley mi ha trasportata nella vita di Grania, scultrice di successo, che torna in Irlanda, suo luogo di nascita, dopo aver vissuto a New York con il suo Matt, vero e proprio gentiluomo, dottorando in psicologia.



Grania ha subito un aborto spontaneo. Troppo scossa e misteriosamente infuriata con il bel Matt, fugge per riflettere, tornando nel grembo materno, quello della sua famiglia. Quasi come avesse sentito il suo dolore echeggiare a chilometri di distanza, Aurora, una dolce bimba di 8 anni dai boccoli rosso tiziano, la incontra sulla scogliera durante una notte tempestosa. 



Da quel momento la vita di Grania non sarà più la stessa. Legatasi fortemente ad Aurora, scoprirà un passato radicato in un periodo compreso tra le due guerre mondiali, custodito in un plico di lettere e in una misteriosa valigetta nascosta in una dimora londinese.
La Riley affronta il tema (difficile) dell'amore in tutte le sue sfaccettature:

- quello vero e tormentato di Grania e Matt (ho sempre tifato per lui, anche se in alcuni tratti l'ho detestato per aver trascorso del tempo prezioso con Charley)



- quello affettivo per un familiare (Grania e la sua famiglia; Matt e sua madre; Aurora e suo padre Alexander)



- quello affettivo in ambito adottivo (Mary e Anna, la nonna di Aurora dal passato molto misterioso; Grania e Aurora)



- quello non corrisposto (Matt e Charley)



- quello nascente, ma impossibile (Grania e Alexander, che assume a tratti l'aspetto di una narrazione fiabesca. A me ha ricordato un po' "La Bella e la Bestia")



- quello materno e tragicamente interrotto (Grania e il suo bimbo mai nato; Aurora e sua madre)



Ho citato solo alcuni dei protagonisti, ma tra magnifiche dimore, distese verdeggianti, il mare turbinoso e la scogliere si intrecciano tante vite, ognuna della quali nasconde un segreto che tiene il lettore incollato alle pagine. La storia è narrata da Aurora, piccola grande sognatrice, dolce e allegra con il nome di una principessa (è il mio nome preferito)… e devo dire che il finale dolce-amaro è parecchio imprevedibile.



Sono entrata in simbiosi con Grania, amando ogni giorno di più il caro Matt e legandomi alla dolce Aurora che è entrata nel romanzo con la grazia di un angelo. Ho terminato la lettura, una delle più belle, e proverò un pizzico di nostalgia per i suoi personaggi. Ma il bello dei libri è proprio questo: le loro pagine possono essere sfogliate infinite volte per rivivere le emozioni suscitate dallo scorrere incessante delle parole.
Grazie a Lucinda Riley per avermi fatto conoscere la storia dei Lisle e dei Ryan. 
Lettura ovviamente consigliata!

Buona serata a tutti e continuate a seguirmi, sia qui, che su Google+, ma anche sulla pagina Facebook!
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