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lunedì 26 dicembre 2022

Recensione di "Sempre con te" di Mattia Ollerongis

Buongiorno a tutti e buon Santo Stefano! Vi siete ripresi dalla Vigilia e dal Natale? Io sto lentamente cadendo in letargo, me ne rendo conto. Forse la stanchezza accumulata si fa sentire nei momenti di relax.
Oggi condivido con voi la mia recensione di "Sempre con te" di Mattia Ollerongis. Ho acquistato questo libro durante lo shopping natalizio. Per caso l'ho aperto, ho letto alcune righe che sembravano scritte per me e ho deciso che avrebbe fatto parte della mia libreria.



Trama: Non si sceglie di nascere con la paura: succede e basta. Il futuro spaventa, ma, se ci sono pericoli che si possono evitare, altri si devono affrontare. Riuscire a farlo dipende unicamente da noi. Kamilla ha solo sette anni quando una folla di bambini ancora sconosciuti, ma pronti a giudicarla, diventa l'insormontabile ostacolo da superare. Per la prima volta, da sola. Crescere non aiuta chi, come lei, custodisce dentro una versione speculare di sé, tremendamente più fragile. Quella ragazza vestita di fiori, che vorrebbe essere una rosa per proteggersi con le spine, allo specchio vede solo difetti e si odia per essere così diversa da come vorrebbe. Kamilla però stringe i denti e trova la forza per stravolgere tutto. Afferra quel giubbotto di salvataggio che le è stato lanciato e sopravvive alle tempeste dei colpi al cuore, delle delusioni, delle storie d'amore finite male. Finché, passo dopo passo, quella fragile bambina imparerà a conoscere se stessa attraverso gli occhi maturi della donna che è diventata. Dopo il successo di Ti stavo pensando, una nuova commovente storia di crescita, tra prosa e poesia, di Mattia Ollerongis, il poeta di Instagram che ha incantato migliaia di lettori.

"Sempre con te" non è il titolo di un romanzo d'amore. Si tratta invece di un libro psicologico, introspettivo, che focalizza l'attenzione sul passato e sul presente di Kamilla, una ragazza profondamente segnata dall'ansia e dalla paura che, a volte nella sua vita, hanno preso il sopravvento.
Quanto mi riconosco in lei, mi sono detta sfogliando le pagine. Mi riconosco quando mi sentivo (e a volte ancora mi sento) diversa dagli altri, quando le mie abitudini erano e sono completamente differenti, quando la mia sensibilità cozza contro un mondo che è sempre pronto a deriderti. E ancora, mi riconosco quando mi ritrovo ad avere paura di amare perché so di dare tutta me stessa, mentre l'altro vuole solo giocare, trascorrere il tempo, divertirsi un po' e passare a una nuova avventura, senza alcun impegno... perché impegnarsi è faticare, è prendersi cura del prossimo.
Giungono così le insicurezze: sono io ad essere brutta, poco interessante, le altre sono migliori di me, io non sono nulla in confronto, non merito di essere felice. Ricordo bene cosa si possa provare, ricordo quando si comincia a camminare tenendo la testa bassa, perché tanto il mondo non risplende e tu non attiri proprio nessuno. Quel fantasma oscuro ti fa sempre compagnia: puoi chiamarlo ansia, insicurezza, panico... qualsiasi sia il suo nome ti getta in una melassa buia, da cui è difficile uscire.

Foto di Liza Summer (da: https://www.pexels.com/)

Kamilla subisce il distacco e la scomparsa del padre, dopo la separazione dei genitori; riflette, quindi, in ogni ragazzo che incontra - e purtroppo avrà ragione - la persona pronta a farla affezionare, per poi lasciarla, senza un motivo davvero valido. Kamilla non riesce più a fidarsi e, nonostante tutto, prova ancora. A volte se la prende con la madre, che invece ha dovuto accollarsi anche le responsabilità del marito nell'educazione della figlia, ma sa che in fondo non è colpa sua. Le persone più sensibili sono quelle che soffrono maggiormente, che si fanno tanti problemi, che non riescono a vivere totalmente spensierate e che devono combattere battaglie, talvolta insostenibili, con loro stesse. Kamilla è così. Desidera vivere senza angoscia, ma allo stesso tempo le sue paure la tengono legata, finché cresce, riprende in mano la sua vita: scrive, scrive tantissimo, e parla con la sua amica, poi con il suo psicologo. Pian piano giunge l'equilibrio: l'ansia non è scomparsa, ma è diventata piccolina, convive con Kamilla; si fa sentire ogni tanto, ma la sua voce è flebile e Kamilla non la ascolta. Ha vinto la sua battaglia al momento, è stata forte e dovrà esserlo in futuro. E sì, Kamilla è diversa dalle altre: non è superficiale, ha ancora dei valori in cui credere, desidera un amore che sia alla sua altezza e che, finalmente, arriverà.
Non conoscevo Mattia Signorello, in arte Ollerongis. Attraverso una breve ricerca sul web deduco che molti suoi pensieri sono stati condivisi sui social, ma a me non sono mai capitati davanti. Sono contenta però di aver letto questo breve e intenso libro. In Kamilla ho ritrovato me stessa, quella di un tempo e quella attuale che ancora combatte estenuanti battaglie contro le insicurezze.

«Ci sono persone meravigliose che non sanno di esserlo. Bellissime presenze che con il tempo sfumano fino a trasformarsi in fantasmi, versioni sbiadite di ciò che sarebbero potute essere, solo perché qualche brutto pensiero passa loro per la testa.
Non vai bene.
Sei tu il problema.
Dove pensi di andare?
Guardati, dai.
Non hai niente da offrire.
Sei inutile.
Pensi di essere simpatica?
Una freccia dopo l'altra, finché il dolore è così intenso da non sentire altro, da non ricordare più come ci si sentisse prima. L'insicurezza è il mezzo più rapido per non raggiungere i propri sogni».

«Ciao, ragazza tutta sospiri,
cuore un po' a pezzi,
occhi carichi di nostalgici momenti
e lacrime che sanno di mare.
Quando ridi sei poesia,
quando piangi sei l'amore.
Mi ricordi l'estate,
quei tramonti pazzeschi,
la pelle bruciata,
le labbra infuocate.
Mi ricordi alluvioni
quando ti apri un po',
quando ti arrabbi,
fai disastri,
scali montagnee a volte precipiti.
Il tempo è ballerino dentro di te
un po' come il tuo umore
turbato
dal passato.
Perché una volta ti fidavi,
parlavi di più,
e non ti tormentavi.
Ma qualcosa è cambiato,
ma tu non hai smesso di accecare,
di resistere
per conservare
la tua parte gentile, quella bella,
quella che assomiglia un po' a un fiore,
quella dolce, che sfuma in tutti i colori del mondo.
Non sei mai stravolta per piacere,
sei sincera,
se qualcuno ti fa ridere
è già un po 'dentro al tuo cuore,
e se c'è da piangere, piangi,
e se c'è da baciare, sei arte,
e se c'è da resistere, ti superi,
e se c'è da stupire, ti mostri.
Sei un capolavoro.
Sei sempre stata così.
Ecco, sei sempre stata.
In quanti possono dire lo stesso?
Ha fatto male
essere te
per tutto questo tempo?»

Foto di DanaTentis da Pixabay



giovedì 8 dicembre 2022

Recensione di "Il quadro mai dipinto" di Massimo Bisotti

Buonasera a tutti amici e bentornati a Sàkomar che, già da qualche settimana, ha cambiato colore. Amo l'azzurro da sempre, ma un rosa più sfumato rendeva il testo più leggibile e ho effettuato questa modifica sulla base di un consiglio molto gradito.

Dove vi porto oggi? Tra Roma, Venezia e Santiago, con "Il quadro mai dipinto" di Massimo Bisotti.


Trama: Patrick è un insegnante e un pittore con l'ossessione per la perfezione. In una mattina di giugno entra per l'ultima lezione nella sua aula dell'Accademia di Belle Arti. È pronto a lasciare Roma per ripartire da zero a Venezia, città fatta d'acqua e d'incanto. Torna a casa e prima di partire decide di andare in soffitta per dare un ultimo sguardo al quadro che ritrae la donna che ha molto amato, la donna il cui ricordo porta sempre con sé. Ma, quando scopre la tela, la vede vuota: la donna sembra avere abbandonato il quadro. Sgomento, Patrick copre nuovamente il dipinto. In fretta e furia abbandona la soffitta e Roma, e corre all'aeroporto. Durante il volo, però, batte la testa e all'arrivo si ritrova confuso, non riesce a ricordare bene il motivo per cui è partito. Ma in tasca ha un biglietto con un indirizzo e un nome: "Residenza Punto Feliz". Si recherà là e troverà una nuova e strana famiglia pronta ad accoglierlo. Miguel, il proprietario della pensione, uno spagnolo saggio cui è facile affidarsi; Vince, gondoliere con il cuore spezzato da un amore andato male; e il piccolo Enrique, curioso ed entusiasta come solo i bambini sanno essere. La nuova vita di Patrick scorre tra amnesie e scoperte, finché a una festa incontra Raquel e non ha dubbi: è lei, la donna che è fuggita dal suo quadro. Un libro sul perdersi e il ritrovarsi, sulla memoria e l'accettazione di se stessi, sull'importanza di restare fedeli al precetto più vero e necessario: "mai controcuore".

Avrei voluto scrivere di più oltre alla quarta di copertina che, in qualche modo, tratteggia la trama del libro stesso, ma non ci riesco. Purtroppo questo romanzo, se così si può chiamare, è stato una totale delusione, a dispetto della copertina molto bella e di quanto prospettavano le prime pagine.
Prima che Patrick, insegnante di arte e pittore, avesse un'amnesia temporanea dovuta a un forte colpo alla testa preso in aereo durante una turbolenza, stava insieme a Raquel. Ebbene sì, ma i due si erano separati per motivazioni difficilmente comprensibili tra ragionamenti filosofici di cui il libro è infarcito. Probabilmente perché Raquel vedeva Patrick eccessivamente concentrato sulla sua passione, la pittura, tanto da trascurarla (e qui dovrò fare una riflessione personale: la trascurava così tanto da arrivare a farle un ritratto... ecco, persino questo punto non è realistico).
Grazie al padre di lei, tale Miguel - che ha avuto tre figli, ovvero Raquel, Vince e Enrique, da tre donne diverse -, e a un bigliettino che il pittore si ritrova nella tasca (come?), nonostante l'amnesia, Patrick capirà di dover andare a Venezia a ritrovare la "Residenza Punto Feliz", dove poi riuscirà a imbattersi nuovamente in Raquel, a innamorarsi ancora una volta di lei e a recuperare la memoria. In tutto ciò, prima di prendere quell'aereo Roma-Venezia, si dovrà specificare che Patrick si era accorto che dal quadro che stava dipingendo era scomparsa la donna che era certo di aver ritratto... Raquel è quella donna, ma solo incontrandola di nuovo, la riconoscerà.


Foto di hitesh choudhary (da: https://www.pexels.com/)

La trama, estremamente povera, è oltretutto piena di passaggi banali. Uno in particolare, avrebbe dovuto essere, forse, un momento tragico, che a me ha fatto invece sorridere. A Santiago, Patrick entra nella cattedrale, mentre Raquel e Vivien (ex moglie di Vince, suo fratello) stanno al bar, dove lo aspetteranno. Quando Patrick esce dalla cattedrale, trova il bar chiuso, le due donne che ne sono andate e lui che non sa come rintracciarle perché si è perso il cellulare lasciandolo in un taxi. Cosa fa il nostro paladino? Comincia a girare a vuoto, finché trova un B&B da dove riesce a chiamare Miguel, che non gli risponde. Pensando di essere stato miseramente abbandonato, prenota un volo per Roma e torna a casa, dove un suo amico lo terrà a cena. Dopo una giornata, lo raggiunge Raquel, facendogli una sorpresa mentre era al bar a fare colazione, e spiegando che lei e l'altra donna lo avevano cercato senza trovarlo, che senza cellulare non sapevano come rintracciarlo e che Miguel non aveva risposto perché stava in ospedale. Una serie di sfortunati eventi direi!
Tutto ciò appare costruito esclusivamente per fare da cornice a una serie di frasi/pensieri - anche molto belli se presi singolarmente - che messi insieme avrebbero composto un puzzle denominato "romanzo".

Mi spiace sempre scrivere una recensione negativa, ma è uno dei libri che meno ho apprezzato in tutta la mia vita da lettrice. Si tratta di un testo semplicemente irrealistico: non è possibile che, in una conversazione, due persone si rispondano a stoccate poetiche. L'unico frammento di poesia che leggo, una volta al secolo, è quello contenuto nelle frasi dei Baci Perugina perché, per il resto (ma direi per fortuna!) nessuno a delle semplici domande mi risponde con digressioni poetiche sull'amore.
Frequento i social e Massimo Bisotti lo avevo sempre abbinato ad alcuni pensieri, devo dire meravigliosi (perché lo sono! Ma non vanno incollati tra loro per farne un romanzo!), che comparivano sotto immagini e post vari. Avevo poi notato in libreria alcuni volumi che riportavano il suo nome, ma non farò più l'errore di comprare un suo romanzo. A ognuno la sua professione: Bisotti, a mio avviso, può fare - e gli riesce bene - il poeta, non lo scrittore.
Vi lascio con qualche pensiero tratto dal libro che, se fosse stato presentato invece come una raccolta di poesie/riflessioni, sarebbe stato sicuramente più apprezzato.

«[...] se hai paura di amare qualcuno, è proprio con quel qualcuno che devi stare».

«Non ci stanchiamo mai di veder nascere sorrisi sul viso di chi amiamo, sono sempre una conquista».

«Le persone più incantevoli al mondo hanno sempre un vissuto complesso. Sono spesso le più difficili da amare ma anche quelle che sanno dare di più».

«Sai, c'è un momento nella vita di una persona in cui il suono abita lo spazio. E' il momento in cui si desidera essere una cosa sola, una sciocca, smielata e preziosa cosa sola. Allora capisci che il tuo tempo e il suo tempo si fermano in quel preciso momento. E in quel momento non c'è nessun altro posto in tutto l'universo in cui il tempo abbia voglia di fuggire».

«[...] l'amore ha un suo spirito, che lo si mette alla prova con la memoria, con i ricordi. Non importa che non esista più nulla di materiale, fin quando esistono i ricordi, finché la memoria non ci abbandona, le persone e le storie continuano a vivere».

lunedì 14 novembre 2022

Recensione di "Momenti di trascurabile felicità" di Francesco Piccolo

Buonasera, cari amici lettori! Vi è mai capitato di pensare, nell'arco di una giornata, quali siano quei momenti, o meglio, quei dettagli che vi fanno piacere, nonostante siano trascurabili?
Dopo aver letto il libro di Francesco Piccolo "Momenti di trascurabile felicità" mi sono soffermata a riflettere e, nella mia mente, ho stilato una breve lista:

- quando apro gli occhi la domenica mattina, sotto le coperte calde e posso girarmi dalla porta opposta, senza che il suono della sveglia mi metta fretta. Ancora casa è silenziosa, il sole filtra sotto le serrande, ma posso concedermi di rilassarmi;
- quando riesco a mettermi seduta in bus o in metro (o anche in piedi, senza folla intorno), per poter leggere tranquillamente un libro;
- quando, terminate le consuete ricerche in biblioteche, archivi, siti archeologici o chiese, posso ritagliarmi anche una mezz'ora di tempo per fare una passeggiata tra i vicoli di Roma e prendere un caffè;
- quando, raramente, mi concedo una colazione al bar con le mie sorelle;
- quando il sole estivo mi riscalda e mi fa venire i brividi;
- quando ricevo un regalo inaspettato;
- quando il barista, vicino al caffè, mette un cioccolatino;
- quando le persone incontrate casualmente mostrano gesti di gentilezza e di educazione, come un semplice "grazie", "buongiorno", oppure mi tengono la porta;
- la soddisfazione di trovare anche una sola riga che menzioni l'oggetto delle mie ricerche sempre complesse e considerate impossibili;
- quando ricevo un complimento, anche se non so mai cosa rispondere perché mi imbarazzo;
- quando le persone cui voglio bene mi sorridono;
- quando il cellulare squilla ed è la persona, quella persona, cui stavo pensando che pensa a sua volta a me.



Trama: Possono esistere felicità trascurabili? Come chiamare quei piaceri intensi e volatili che punteggiano le nostre giornate, accendendone i minuti come fiammiferi nel buio? Sei in coda al supermercato in attesa del tuo turno, magari sei bloccato nel traffico, oppure aspetti che la tua ragazza esca dal camerino di un negozio d'abbigliamento. Quando all'improvviso la realtà intorno a te sembra convergere in un solo punto, e lo fa brillare. E allora capisci di averne appena incontrato uno. I momenti di trascurabile felicità funzionano così: possono annidarsi ovunque, pronti a pioverti in testa e farti aprire gli occhi su qualcosa che fino a un attimo prima non avevi considerato. Per farti scoprire, ad esempio, quant'è preziosa quella manciata di giorni d'agosto in cui tutti vanno in vacanza e tu rimani da solo in città. Quale interesse morboso ti spinge a chiuderti a chiave nei bagni delle case in cui non sei mai stato e curiosare su tutti i prodotti che usano. A metà strada tra "Mi ricordo" di Perec e le implacabili leggi di Murphy, Francesco Piccolo mette a nudo i piaceri più inconfessabili, i tic, le debolezze con le quali tutti noi dobbiamo fare i conti. Pagina dopo pagina, momento dopo momento, si finisce col venire travolti da un'ondata di divertimento, intelligenza e stupore. L'autore raccoglie, cataloga e fa sue le mille epifanie che sbocciano a ogni angolo di strada. Perché solo riducendo a spicchi la realtà si riesce ad afferrare per la coda il senso profondo della vita.

Foto di Ekrulila (da: https://www.pexels.com/)


E ora la mia recensione: non sarà il libro del secolo, né il migliore che abbia mai letto, ma l'ho trovato carino, anche se a tratti, forse, un po' banale. Eppure, Francesco Piccolo riesce, attraverso la sua personale esperienza, a descrivere tutti quegli istanti, quelle particolarità di una giornata, che ci rendono felici, anche se passano totalmente inosservate. Così trovare il numero giusto di scarpa diventa ciò che davvero ti fa sorridere, soprattutto se hai il piede grande (nessuno meglio di me può capirlo... impossibile trovare scarpe da donna taglia 42); non dover più aspettare ben due passaggi a livello per arrivare dalla tua ragazza; quell'amico che, senza accorgersi del fuorigioco, fa il giro in tondo dell'isolato esultando come se la Nazionale avesse immediatamente vinto i Mondiali; le canzoni d'amore struggenti a Sanremo; uno scaffale di biscotti al cioccolato; e così via.
Si tratta di una lettura leggerissima, da fare a più riprese, quasi un dizionario da consultare. Sicuramente i romani si troveranno maggiormente a loro agio perché Francesco Piccolo inquadra gli episodi tra le stradine di una Roma estiva, di una Roma il sabato sera, di una Roma a volte caotica e disordinata che è pur sempre Roma.

domenica 6 novembre 2022

Recensione di "Le piccole libertà" di Lorenza Gentile

Buonasera a tutti dalla mia stanzetta gelida... cari amici, quanto mi manca l'estate! E qui, senza termosifoni, mi chiedo sempre se riuscirò a sopravvivere all'inverno. Una come me, che è un "animale a sangue freddo", necessita di sole, mare e tanto tanto calore. Non bastano le zuppe, le coperte, le bevande calde, quando i muri di casa sono impregnati di freddo e umidità, tanto da non permetterti di ragionare e i termosifoni resteranno spenti e/o tiepidi...

Ad ogni modo, una cosa sono riuscita a farla: leggere, avvolta sotto 5 strati di coperte, terminando il libro che avevo acquistato online con tanta ispirazione (e avevo ragione), dopo averlo cercato disperatamente nelle librerie fisiche di Roma, senza trovarlo.

Si tratta di "Le piccole libertà" di Lorenza Gentile. Lo conoscete?



Trama: Oliva ha trent'anni, una passione segreta per gli snack orientali e l'abitudine di imitare Rossella O'Hara quando è certa di non essere vista. Di lei gli altri sanno solo che ha un lavoro precario, abita con i genitori e sta per sposare Bernardo, il sogno di ogni madre. Nessuno immagina che soffra di insonnia e di tachicardia, e che a volte senta dentro un vuoto incolmabile. Fa parte della vita, le assicura la psicologa, e d'altronde la vita è come il mare: basta imparare a tenersi in equilibrio sulla tavola da surf. Ma ecco arrivare l'onda anomala che rischia di travolgerla. Dopo anni di silenzio, la carismatica ed eccentrica zia Vivienne – che le ha trasmesso l'amore per il teatro e la pâtisserie – le invia un biglietto per Parigi, dove la aspetta per questioni urgenti. Oliva decide di partire senza immaginare che Vivienne non si presenterà all'appuntamento e che mettersi sulle sue tracce significherà essere accolta dalla sgangherata comunità bohémienne che fa base in una delle più famose librerie parigine, Shakespeare and Company. Unica regola: aiutare un po' tra gli scaffali e leggere un libro al giorno. Mentre la zia continua a negarsi, Oliva capisce che può esserci un modo di stare al mondo molto diverso da quello a cui è abituata, più complicato ma anche più semplice, dove è possibile inseguire un sogno o un fenicottero, o bere vino sulla Senna con un clochard filosofo. Dove si abbraccia la vita invece di tenersene a distanza, anche quando fa male. E allora, continuare a cercare l'inafferrabile Vivienne o cedere al proprio senso del dovere e tornare a casa? E soprattutto: restare fedele a ciò che gli altri si aspettano da lei o a se stessa? Quando tante piccole libertà finiscono per farne una grande, rinunciarci diventa quasi impossibile.

Foto di Riccardo Bertolo (da: https://www.pexels.com/)

Una vita perfetta, in cui la più grande trasgressione consiste nel mangiare di nascosto snack orientali piccanti occultati in un cassetto; una vita in cui scegliere il corso di laurea voluto fortemente dai genitori, avere un lavoro apparentemente sicuro, stare con un uomo benestante con cui sposarsi, avere bambini e fare la mamma a tempo (quasi) pieno potrebbe essere per Oliva ciò che caratterizza la sua esistenza. Ma Oliva dentro di sé non ha mai voluto tutto ciò. Ha vissuto per accontentare gli altri e non se stessa. Ciò che aleggia nel suo animo è un perenne senso di colpa, accompagnato a una eterna insicurezza che la porta a non considerarsi mai all'altezza della situazione.
L'unica che l'ha sempre capita è zia Vivienne... scomparsa ormai da oltre 15 anni. Quando l'eccentrica donna - che vive periodi orientali, di meditazione, di avventura, indossa abiti colorati, ama l'arte e la libertà - le invia un biglietto del treno invitandola a raggiungerla a Parigi, Oliva non crede ai suoi occhi. I mille dubbi le affollano la mente - lascerò il lavoro per un po'? E Bernardo starà senza di me? Cosa dirò ai miei genitori, dato che mio padre ha litigato con zia Vivienne? -, ma alla fine parte per la Ville Lumière.
L'appuntamento è alla famosa libreria Shakespeare & Company, dove trova una bellissima compagnia di ragazzi ospitati lì da Sylvia Whitman, figlia di George, che in cambio di un alloggio, lavorano qualche ora immersi tra i libri, consigliando letture ai clienti curiosi. Tra questi c'è Victor, finlandese con occhi azzurrissimi e un basco sempre indossato, che si affianca ad Oliva come un angelo custode, guidandola per Parigi, tra vicoli e negozi, seguendo gli indizi lasciati dalla zia. Sì, perché Vivienne Villa non si è fatta trovare, sembra rimandare continuamente l'appuntamento con la nipote che, intanto, conosce Parigi... e conosce se stessa.


Oliva sa che le sue ansie erano causate da uno stile di vita che non le apparteneva, che non vuole essere perfetta, ma indossare un vestitino a fiori, scarponcini da Mary Poppins e dedicarsi alla pasticceria, che ama la libertà, non vuole necessariamente avere figli e sposarsi. E vuole rimanere a Parigi, in una città che ha sempre amato, con i suoi viali rosati in primavera e l'aria composta di sogni.
Oliva non lo sa, ma zia Vivienne le ha fatto il regalo più grande di tutti: quello di farle ritrovare la sua strada, riprendendo in mano la sua vita, seguendo i suoi desideri.
E dopo 15 anni le due riusciranno a incontrarsi?
Ho amato questa storia sin dalla sua copertina, dove una libreria colorata è abbinata a un curioso fenicottero rosa e agli alberi di ciliegio in fiore. La prima impressione è sempre quella giusta e il romanzo di Lorenza Gentile non mi ha delusa affatto, facendomi venir voglia di visitare Parigi in ogni suo angolo. Si tratta di una storia ironica e anche tanto dolce. Dietro Oliva potrebbe nascondersi ogni lettrice. E devo essere sincera, mi sono ritrovata tantissimo nella protagonista di "Le piccole libertà". Molte volte si dice "sì", invece di un bel "no" perché: potresti fare brutta figura; i tuoi genitori/amici/fidanzato/figli potrebbero offendersi; perché tutti fanno così; perché è consuetudine essere/fare così... ma poi i nostri desideri rimangono chiusi da qualche parte, bussando per emegere, mentre noi li forziamo a rimanere sigillati. Iniziano le ansie, le paure, le sedute dallo psicologo, quando bisognerebbe semplicemente ascoltarsi più a lungo, seguendo solo ed esclusivamente quel che dice il nostro cuore.
"Non si vive per accontentare gli altri" diceva la Regina Bianca ad Alice nel Paese delle Meraviglie. E tutti noi dovremmo tenerlo a mente, iniziando o riprendendo a volerci bene.

Foto di Ron Lach (da: https://www.pexels.com/)

Vi lascio con alcune frasi tratte dal libro e vi auguro buona serata!
«Potrebbe sembrare una tragedia, ma non lo è. Avere una passione ti fa sentire vivo, ti dà una ragione per stare al mondo, è una risorsa cui puoi attingere sempre. Credimi, è meglio avere una passione e non sentirsi all'altezza, piuttosto che non averne affatto e vivere una vita piatta, banale.»

«I libri sono ovunque: sugli scaffali che ricoprono le pareti, nelle nicchie del muro, impilati per terra, sul pianoforte al posto degli spartiti, sotto il pianoforte, sul davanzale della finestra. E' confortante l'idea di poterne prendere uno qualsiasi nel cuore della notte, divorarlo nella semioscurità, scoprire i pensieri di Shakespeare, Virginia Woolf, Yeats, Jane Austen... E' un luogo sicuro, penso, e sorrido senza un motivo preciso, solo perché ho davanti un altro giorno a Parigi.»

«Ogni amico rappresenta un nuovo mondo in noi, un mondo che non è ancora appparso finché egli arriva, ed è solo da questo incontro che nasce un nuovo mondo.»

«Perdersi fa bene, secondo la zia, aiuta a guardare le cose con occhi nuovi.»

«"Quello che voglio dirti", continua Vivienne, "è che abbiamo la possibilità di morire e rinascere in vita, tante volte quante vogliamo. Spesso ci capita di farlo senza neanche accorgercene: un grande dolore ci uccide e quando torniamo a vivere siamo persone diverse. Siamo persone altre, ma se nessuno intorno è disposto ad accettarlo, se nemmeno noi vogliamo questo cambiamento, ecco che lo soffochiamo e teniamo in vita una forma morta di noi. Ognuno di questi passaggi, invece, ognuna di queste rinascite, ci renderebbe più saggi, più umani".»

«C'è una sola cosa a cui sono rimasta sempre fedele: la mia libertà. Anche se voleva dire passare la vita da sola. Anche quando significava non essere capita, venire rifiutata, ferire gli altri. Non c'erano persone che avrei voluto, o potuto essere, se non chi ero io.»

domenica 16 ottobre 2022

Recensione di "I miei giorni alla libreria Morisaki" di Satoshi Yagisawa

Buongiorno amici e buona domenica! A Roma stiamo vivendo le "ottobrate": cielo azzurro, temperature miti che ci fanno tornare quasi alla primavera... poi probabilmente subiremo qualche vento gelido proveniente dalla Siberia, ma intanto ci godiamo questa breve coda soleggiata.
Oggi vi parlerò di un romanzo, la cui copertina mi aveva fatto innamorare al primo sguardo: "I miei giorni alla libreria Morisaki" di Satoshi Yagisawa.


Trama: Jinbōchō, Tōkyō: il quartiere delle librerie, paradiso dei lettori. Benché si trovi a pochi passi dalla metropolitana e dai grandi palazzi moderni, è un angolo tranquillo, un po' fuori dal tempo, con file di vetrine stipate di volumi, nuovi e di seconda mano. Non tutti lo conoscono, i più vengono attratti dalle mille luci di Shibuya o dal lusso di Ginza, e neppure Takako – venticinquenne dalla vita piuttosto incolore – lo frequenta, anche se proprio a Jinbōchō si trova la libreria Morisaki, che appartiene alla sua famiglia da tre generazioni: un negozio di appena otto tatami in un vecchio edificio di legno, con una stanza adibita a magazzino al piano superiore. È il regno dello zio Satoru, che ai libri e alla Morisaki ha dedicato la vita, soprattutto da quando la moglie lo ha lasciato. Entusiasta e un po' squinternato, Satoru è l'opposto di Takako, che non esce di casa da quando l'uomo di cui era innamorata le ha annunciato che sposerà un'altra. Ed è proprio lui, l'eccentrico zio, a lanciarle un'imprevista ancora di salvezza proponendole di trasferirsi al piano di sopra della libreria in cambio di qualche ora di lavoro. Takako non è certo una gran lettrice ma, quasi suo malgrado, si lascia sorprendere e conquistare dal piccolo mondo di Jinbōchō. Tra discussioni sempre più appassionate sulla letteratura moderna giapponese, un incontro in un caffè con uno sconosciuto ossessionato da un misterioso romanzo e rivelazioni sulla storia d'amore di Satoru, scoprirà pian piano un modo di comunicare e di relazionarsi che parte dai libri per arrivare al cuore. Un modo di vivere più intimo e autentico, senza paura del confronto e di lasciarsi andare.

Takako è una ragazza la cui vita sembra aver preso una brutta piega: il ragazzo con cui pensava di stare, decide di sposarsi con la sua vera fidanzata. Il suo d’animo terribile, generatosi dopo la notizia, fa sì che Takako consegni le lettere di dimissioni. Perde, così, amore e lavoro in un colpo solo. Qual è ora il suo posto nel mondo?
La sua esistenza sembra aver assunto il colore grigio dei cieli invernali, quando lo zio Satoru la chiama per proporle di aiutarlo con la sua libreria. Takako è un po’ spiazzata: non vede molto lo zio Satoru, nonostante gli sia grandemente affezionata, ma alla fine accetta. Cambiare luogo e occupazione per un po’ non potrà farle altro che bene.
Il quartiere di Tokyo in cui lavora Satoru, Jinbōchō, sembra uscito da una fiaba: è pieno di librerie. Tutte faranno affari? Chissà, quel che sorprende è l’atmosfera sospesa, quasi irreale. Takako si stabilisce quindi alla libreria Morisaki, che appartiene alla sua famiglia da tre generazioni, composta dal negozio vero e proprio e da un piccolo alloggio al piano superiore. Pian piano la ragazza entra nel ritmo della libreria: qualche cliente che entra ogni tanto, qualcuno vuole essere consigliato, qualcun altro osserva e basta senza acquistare, respirando solo l’aria intrisa di carta e inchiostro. E la stessa Takako inizia a sfogliare pagine su pagine, componendo nella sua stanza pile di libri.


In quella piccola libreria la sua anima sembra rifocillarsi: ritrova la calma perduta e capisce che quel che le è appena capitato non è la fine del mondo. Ci saranno un altro amore e un altro lavoro, forse migliori di quelli di prima. L’importante è sentirsi bene con se stessi. Ma prima deve liberarsi di una zavorra, di quel peso che la blocca. E in questa missione la aiuta lo zio Satoru, in un modo un po’ particolare e rischioso, eppure efficace.
Dopo un periodo alla libreria, Takako sboccia finalmente come un fiore di ciliegio, ritrovando la spinta per riprendere a vivere, individuando un lavoro più soddisfacente e facendo tappa, di tanto in tanto, dall’eccentrico zio amante dei libri.
Nella storia ruotano altri personaggi: il ragazzo del bar innamorato dell’amica di Takako, il misterioso uomo che si siede a prendere un caffè al Sabouru, la zia Momoko… sparita da anni e ricomparsa improvvisamente. Alla fine tutto ha una soluzione, tutto torna, ma quante complicazioni incontra l’animo umano…


“I miei giorni alla libreria Morisaki” è un tipico romanzo giapponese, dai toni rosati dei petali di ciliegio e leggermente malinconici. Tutto è incentrato sui sentimenti, soprattutto quelli della protagonista, che appaiono sfumati tra attimi di euforia e momenti di delusione. Takako è la tipica ragazza giapponese che la mia generazione è stata abituata a conoscere attraverso manga e anime che hanno letteralmente reso più belle e colorate le nostre giornate di bambini e di adolescenti.
E cos’altro insegna la lettura di questo romanzo? Un concetto molto importante che porto sempre dentro di me: i libri sono la vera cura per l’anima. Sono loro a sceglierti in un determinato momento e darti lo spunto giusto per poter proseguire nella tua esistenza.
Lettura leggera, ma non superficiale. Consigliata, soprattutto a chi è amante del Giappone, delle librerie e delle emozioni.
Vi lascio con qualche frase. Buon proseguimento e buona lettura!

Foto di Vlada Karpovich (da: https://www.pexels.com/)

“E alla fine l’hai trovato il tuo posto nel mondo?”
“Mah, penso di sì. Ma ci sono voluti anni.”
“E per caso… Quel posto è proprio qui?”
Lo zio annuì.
“Esatto, è qui. La nostra piccola, vecchia libreria Morisaki. Dopo aver spiccato il volo con il mio bagaglio di grandi illusioni, dopo aver girato il mondo, sono approdato nel posto a me più familiare, quello della mia infanzia: è buffo, no? Ma sì, dopo tutto questo tempo sono tornato. Ormai sapevo che non era un problema di luoghi, ma di cuore. Ovunque mi fossi trovato, in compagnia di chiunque, il mio posto sarebbe stato quello in cui ero certo di non stare mentendo al mio cuore. Quando l’ho capito, si è conclusa una fase della mia vita. Sono tornato al mio posto sicuro e ho gettato l’ancora. Per me questo è un santuario, il posto migliore dove riprendere fiato.”

«Avevo qualcuno che si preoccupava per me, che si arrabbiava per me. Fino ad allora mi ero sempre sentita sola, invece adesso c’era qualcuno pronto a difendermi e a prendersi cura di me. Ero felicissima.»

Lo zio mi disse una cosa che non avrei mai dimenticato. Esordì dicendo: “Voglio che tu mi faccia una promessa”, e poi: “Non aver paura di innamorarti. Cerca di amare più che puoi. Anche se rischi di soffrire, ricordati che una vita priva di amore è molto più triste. Mi tormenta il pensiero che per quello che ti è capitato tu possa chiuderti in te stessa. Amare è meraviglioso. Non dimenticarlo mai. Chi ti ha amato se ne ricorderà per tutta la vita. E quel ricordo scalderà il suo cuore. È una cosa che si capisce quando si arriva alla mia età. Allora? Me lo prometti?”. “Penso che se non fossi finita in quella libreria adesso starei vivendo ancora una vita a metà. Oltre ai libri, quel posto mi ha fatto conoscere tante persone, mi ha insegnato tante cose che mi hanno aperto gli occhi su ciò che conta davvero… Ecco perché il ricordo dei giorni trascorsi lì resterà sempre dentro di me”.

mercoledì 12 ottobre 2022

Recensione di "Equazione di un amore" di Simona Sparaco

Buonasera a tutti! Come state? In modalità nostalgica, ritorno a quei giorni di fine estate quando, nella libreria di fiducia e in un pomeriggio assolato, ho acquistato il romanzo di Simona Sparaco, ispirata proprio da quella formula riportata in copertina...


Trama: Singapore è una bolla luminosa a misura di gente privilegiata e Lea, che non indossa nemmeno un gioiello, ha lasciato Roma per vivere lì. Ha sposato un avvocato di successo e si è trasferita a Singapore, tempio finanziario dello sfarzo e del consumo. La ragione le dice che, anche se a tratti si sente malinconica, non avrebbe potuto scegliere compagno più affidabile di Vittorio. Ma nel suo cuore brucia ancora il ricordo di un amore così doloroso da indurla a fuggire. Si chiama Giacomo e l'ha conosciuto a quattordici anni, sui banchi di scuola. Asociale, tormentato e geniale, soprattutto in matematica, Giacomo è perennemente in fuga da un dramma misterioso che lo spinge verso amori distruttivi. Ma quando Lea è costretta a tornare a Roma per la pubblicazione del suo libro, il passato finirà per travolgerla con tutta la sua prepotenza. Secondo i princìpi della fisica che Giacomo stesso le ha insegnato, nulla può separare due particelle quantiche una volta che sono entrate in contatto. Saranno legate per sempre, anche se procedono su strade diverse, lontane e imprevedibili. Un romanzo che lascia senza fiato. Una storia appassionante e poetica, carica di emozione e colpi di scena. Una riflessione a tutto tondo sull'amore e sul destino, da una delle scrittrici più forti e amate della narrativa contemporanea.

Lea e Giacomo si sono rincorsi per anni, sin da quando le loro anime si sono incrociate tanto tempo fa. Lei era poco più che una bambina, lui una specie di genio incompreso della matematica; lei era innamorata, lui sembrava insensibile, ma nascondeva un trauma intriso di tanta tristezza, racchiuso in una misteriosa foto.
Anche quando Lea si sposa, le loro vite proseguono a incontrarsi, sembrerebbe per caso, eppure la fisica quantistica ha una motivazione a tutto ciò: “se due particelle interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separate, non possono più essere descritte come due entità distinte, perché tutto quello che accade a una continua a influenzare il destino dell’altra. Anche ad anni luce di distanza”.

 
E mentre Lea, trasferitasi prima a Londra, poi a Singapore con il marito, diventa scrittrice, Giacomo contro ogni pronostico lavora in una casa editrice, proprio quella che seleziona il libro di Lea per la pubblicazione. Le loro vite si incrociano di nuovo. Nulla sembra essere cambiato dall’ultima volta, in cui lui era assistente di Lettere all’università e Lea – ancora perdutamente innamorata – lo aveva seguito in Grecia, in vacanza, da dove era poi fuggita senza più voltarsi indietro.
Lea è ancora lì, con la sua ferita aperta, con il suo amore apparentemente non corrisposto. Eppure qualcosa le dice che Giacomo la ricambia, ma non può lasciarsi andare. Una rete lo tiene intrappolato, legato a qualcosa che lo ha sconvolto nel passato.
La revisione del libro si svolge a Roma e Lea torna in patria, a casa sua, quel luogo che tanto le è mancato. Si sente finalmente riagganciata alle proprie radici. Non può negare di avere un marito fedele, ordinatissimo e super organizzato, di vivere in una Singapore che è lontana anni luce da Roma per innovazioni, ma… tutta quella perfezione non le appartiene. Il suo è un mondo più colorato, più in movimento, libero e creativo. È un mondo che le manca terribilmente e di cui ha sempre fatto parte Giacomo, l’uomo complicato che le ha ingarbugliato l’esistenza.

Il finale mi ha lasciato dentro tanta malinconia e anche un bel po’ di tristezza, ma le equazioni hanno una risoluzione e tutta torna in un cerchio continuo.
Questa è una storia particolare, una storia di un amore che prosegue nello spazio e nel tempo, qualcosa di raro, di luminoso e di estremamente fragile.

Simona Sparaco unisce fisica, matematica e sentimenti, trasportando il lettore in un romanzo coinvolgente, complesso, antitetico. Ciò che è logico sembra sempre essere più sicuro, ma quanto sono belle l’imprevedibilità e l’imperfezione, che fanno di noi dei semplici essere umani, con un cuore che batte e ha una propria memoria. Una memoria che non mente mai.


Vi lascio con qualche frase. Mi sono dovuta limitare per non riportare tutto il romanzo. Consigliato assolutamente!

«Io e la letteratura: due particelle quantiche» riportava il titolo. Giacomo faceva riferimento a un fenomeno di fisica quantistica, l’entanglement, letteralmente groviglio, intreccio, per spiegare il rapporto che si era creato tra la sua vita e i libri che aveva letto. Nell’entanglement quantistico, due particelle elementari, come gli elettroni o fotoni, che costituiscono un insieme e che interagiscono per un certo periodo di tempo in esso, sono poi soggette a un legame indissolubile: se vengono separate, anche a distanza di chilometri o anni luce, si comportano come un tutt’uno.

«Sono i libri a sceglierci» scriveva. «Ci chiamano, come se sapessero di cosa abbiamo bisogno». Era questa, per Giacomo, la vera lettura. Qualcosa che si muove insieme a noi, che ci determina, e che qualche volta, se siamo fortunati, ci salva.

«Ci sono stati momenti, in tutti questi anni», gli disse «in cui mi sembrava di leggere il tuo nome dappertutto. Nelle strade, negli articoli di giornale, pareva che tutto il mondo si chiamasse come te. Forse è proprio questa la fisica quantistica, la possibilità di sentire presente nella tua mente qualcuno che fisicamente non c’è».

«E chissà che le coincidenze, nella vita reale invece, non siano proprio piccole distrazioni di chi, da lassù, tiene in mano la penna». «Noi siamo questo, Lea: due particelle supersimmetriche» e le stringe la mano, rivolge uno sguardo ai segni sulla loro pelle che ora sono vicini e quasi si sfiorano. «Qualunque cosa farai o dirai, ovunque deciderai di andare, continuerai a esercitare un’influenza sulla mia vita, che tu lo voglia o meno. Ma se decidi di restare, se decidi di amarmi, allora renderai tutto molto più semplice».

sabato 8 ottobre 2022

Recensione di "La casa nella nebbia" di Robert Bryndza

Buon pomeriggio amici lettori! Eccoci tornati a Sàkomar, stavolta con un romanzo che non vi aspettereste di trovare nella mia lista: un thriller. Esattamente. Si trattava di un regalo e i libri non si lasciano mai chiusi da una parte.
Con un certo timore, ho iniziato la lettura e... ve ne parlo tra un po'.


Trama: La professoressa di criminologia Kate Marshall è in gita con suo figlio, quando insieme fanno una scoperta scioccante: il corpo senza vita di un adolescente, impigliato sotto la superficie del bacino idrico di Shadow Sands. L’ipotesi di un tragico annegamento non quadra, e quando Kate comincia a indagare si trova a fare i conti con un'inquietante scoperta: la vittima potrebbe essere solo l’ultima di una serie di morti e scomparse legate alla brughiera. Nei dintorni di Shadow Sands, infatti, circolano strane voci a proposito di un sadico assassino che, come un fantasma, si nasconde nella nebbia, pronto a colpire.
Quando una giovane collega dell’università scompare senza lasciare traccia, Kate sa che è solo questione di tempo prima che venga uccisa. Per lei e il suo socio Tristan Harper ha così inizio una drammatica corsa contro il tempo. Ma l’inafferrabile serial killer a cui Kate sta dando la caccia non è l’unico a esserle un passo avanti. Qualcun altro è interessato a fare in modo che i segreti di Shadow Sands rimangano sepolti…

Kate Marshall è una ex poliziotta, il cui passato, tutto da dimenticare, rivive ogni volta negli occhi di suo figlio Jake. Proprio durante una giornata di vacanza, i due decidono di fare un’immersione nel bacino idrico di Shadow Sands, ritrovando casualmente il corpo di un ragazzo.
Kate non può esimersi dall’investigare, nonostante non faccia più parte della Polizia da anni. Insieme al suo brillante assistente universario, Tristan, inizia a ripercorrere tracce che collocano Ashdean – il paesino inglese in cui è ambientata la vicenda – al centro di oscuri misteri, riconducendo a una potente famiglia locale che possiede la maggior parte degli edifici intorno al lago.
Le indagini si fanno più intense soprattutto quando Magdalena, giovane professoressa italiana, scompare misteriosamente durante una serata nebbiosa. Nessuno sembra averla vista mentre prestava soccorso a un anziano lungo il ciglio di una strada… è rimasto solo il suo scooter giallo gettato in un fosso.


Rivelare il finale di un thriller non è un’idea geniale ed io non lo farò, nemmeno avvisando con la scritta “Spoiler”. Quel che dovete sapere è che non ho dormito per una notte intera, soprattutto nel momento in cui i fatti diventano più interessanti e il ritmo si fa incalzante. Non leggo quasi mai thriller, gialli e via dicendo perché so di essere particolarmente sensibile (idem per i film), ma posso assicurarvi che è un romanzo che vi terrà incollati alle pagine. 
Chi è il serial killer che si annida a Shadow Sands? Perché tortura le sue vittime, prima di gettarle nel lago? Quante persone ha ucciso?

Mi è piaciuta anche la caratterizzazione dei personaggi. Kate è un’investigatrice, ex poliziotta, connotata da un passato burrascoso e criticabile dai più. Nonostante sia una professionista brillante, è il suo trascorso a prevalere: giudicata per essersi messa insieme al capo, essere rimasta incinta… e poi per aver scoperto la sua identità da serial killer. Da qui derivano anche le debolezze della stessa Kate che, dopo il trauma, è caduta nel vortice dell’alcolismo, da cui prova ad uscire.

Tristan è un giovane assistente di ricerca universitario. Molto affezionato a Kate, con cui ha già svolto altre indagini, è desideroso di imparare. Al contempo, appare come un ragazzo introverso, che deve combattere un altro tipo di battaglia: quello del pregiudizio nei suoi confronti avanzato dalla sua stessa famiglia perché omosessuale.

Ho particolarmente ammirato Magdalena, la prof italiana, perché in lei è racchiuso tutto lo spirito combattivo, mai arrendevole, delle donne. E poi perché, nel bel mezzo della nebbiosa Ashdean, la nostra italianissima Magdalena porta un raggio di sole, con la sua pelle olivastra, i capelli lunghi e neri, la passione per la ricerca in storia, religione e tradizioni, lo scooter giallo e i ricordi della sua famiglia a farle compagnia nei momenti difficili.


Consiglio “La casa nella nebbia” a chiunque sia appassionato del genere, ma anche a chi preferisce altre letture. Variare può essere interessante… a patto che non siate troppo impressionabili! 

P.S. Unico appunto rivolto alla Newton Compton che ha curato l’edizione italiana: sarebbe opportuno effettuare maggiori controlli. È sfuggito un “hanno” che invece avrebbe dovuto essere “anno”. Dettagli del genere fanno letteralmente rabbrividire… non per la trama, ma per l'ortografia!

sabato 1 ottobre 2022

Recensione di "Ogni giorno un miracolo" di Alberto Simone

Buongiorno e buon 1° ottobre, amici lettori! Le foglie di mille colori iniziano a volteggiare sospinte dal vento... non vi viene voglia di avvolgervi in una bella copertina calda, sorseggiando un té, mentre sfogliate un buon libro? A me sì!
Proprio per questo, vi propongo un'altra recensione, sperando di darvi spunti o suggerimenti per le vostre letture.


Ho letto questo volumetto non per mia diretta scelta. Non rientra propriamente nel genere di libri che preferisco, ma la promozione Tea prevedeva di associare due pubblicazioni (questo l’ho acquistato insieme a “Il museo delle promesse infrante”).

Alberto Simone fa un excursus filosofico, psicologico, motivazionale sulla bellezza della vita e sul perché dovremmo sempre e comunque apprezzarla. È molto evidente l’avvicinamento dell’autore alle filosofie orientali, nonché a un certa visione della vita, devo dire incentrata su un certo positivismo. La vita è un dono e bisogna amarla, cercando di superare tutto quel che è negativo, tutto ciò che è superfluo e che potrebbe condurre a uno status depressivo (come la pandemia ci ha “insegnato”). Bisogna cercare di ascoltarla, lasciandosi a volte guidare dai “segnali”, o forse sarebbe meglio dire dal cuore, dai sentimenti, da ciò che avvertiamo dentro di noi, senza avversarla.

Foto di Ksu&Eli (da: https://www.pexels.com/)

Il libro di Alberto Simone offre una serie di riflessioni, basate anche sulla vita dell’autore, per apprendere “l’arte di amare la vita”, che non è affatto semplice. Chi di noi non ha mai pensato di aver sbagliato tutto, di aver fatto scelte errate, di non essere più in tempo per trasformare almeno qualche aspetto della propria esistenza in quel che sognava? A tutti noi è capitato, ma ognuno reagisce in modo diverso: c’è chi combatte e si rimbocca le maniche, cercando di guardare e sfruttare i lati positivi, c’è invece chi viene sommerso dalla depressione, fino a odiare la propria esistenza. Non è una colpa, non esiste ciò che è giusto o ciò che è sbagliato e bisogna imparare a perdonarci. 
Tutto però può condurre il lettore stesso a riflettere: come sto affrontando il mio percorso? Posso migliorare? Posso smetterla di sentirmi colpevole per qualcosa e provare ad andare avanti? Sono sempre stato me stesso? La mia vita è attinente con le mie scelte o con quelle altrui?

Consigliato se state cercando una lettura riflessiva, che punti anche sull’autostima e sul miglioramento di sé stessi.

martedì 27 settembre 2022

Recensione di "Donna Francisca. Il Segreto. La mia vera storia"

Buon pomeriggio, amici! Con questo cielo plumbeo che, ormai, annuncia la persistenza dell'autunno (ahimé), provo a portarvi nella calda e soleggiata Spagna, a Puente Viejo, dove "regna" Donna Francisca Montenegro.


Un salto indietro nel tempo, a qualche anno fa, quando dopo pranzo mi sedevo sul divano per una mezz’oretta – prima di iniziare lo studio matto e disperatissimo – sognando un amore intenso come quello di Pepa e Tristàn, nonché cercando di capire le trame di Donna Francisca Montenegro, la ricca possidente che risiedeva a Puente Viejo.
I fan del Segreto si saranno chiesti, fino all’ultimo, cosa avesse spinto Donna Francisca ad essere così fredda, talvolta distaccata e malvagia con alcuni degli abitanti del paese, compreso lo stesso Raimundo Ulloa. Ma Francisca era una ragazza normale, romantica e selvaggia, innamorata proprio di quel Raimundo che non riuscì a sposare, finendo per essere la moglie del crudele Salvador Castro.

Fu questo il primo degli eventi che distrusse Donna Francisca Castro Montenegro, trasformandola nella persona manipolatrice che abbiamo conosciuto nei primi episodi del Segreto.
Questo romanzo ripercorre tutta la storia, sin dalle origini, passando per la scomparsa dei vari protagonisti – Pepa, Tristàn, Martìn, Bosco, etc. – fino a giungere al terribile incendio di Villa Montenegro che, apparentemente, sembrerebbe sancire una fine alle losche trovate di Donna Francisca.

Ma cosa voleva la “malvagia” per eccellenza della fiction spagnola? Si rivela spasmodica la ricerca di un erede che potesse prendere le redini della situazione, amando la villa così come l’aveva amata lei, gestendo le terre, le fabbriche e facendo un buon matrimonio che avrebbe garantito continuità. Tristàn, sposandosi prima con Angustias (psicopatica), poi con Pepa (che morirà di parto), infine con Candela (con cui non trascorrerà nemmeno un minuto da marito, venendo ucciso sul sagrato della chiesa), non riflette le aspettative che Donna Francisca aveva. Era il suo figlio adorato, frutto dell’unione clandestina con Raimondo Ulloa, ma si innamorava di donne che non erano al suo livello, soprattutto sociale.


Soledad, figlia avuta da Salvador Castro, non era mai stata amata da Donna Francisca. Era frutto di continue violenze e, la povera ragazza, visse all’ombra delle continue crudeltà che il padre aveva perpetrato su sua madre, provandole alla fine lei stessa. Anche Soledad, innamorata follemente di Juan Castañeda – semplice bracciante –, lo sposerà, venendo tradita e contraendo un nuovo matrimonio con un uomo di colore, prima di fuggire per sempre da Puente Viejo.

Donna Francisca non si dà per vinta. Trova in Maria, figlia di Emilia Ulloa, una bambina da proteggere e da allevare come una vera Montenegro, in seguito a un episodio di violenza. Maria cresce secondo gli insegnamenti di Francisca, ma finisce per innamorarsi e poi sposarsi – dopo lunghe peripezie – di Martìn Castro, figlio di Pepa e Carlos Castro (fratello di Salvador).

L’ultimo allevato da Francisca è Bosco, figlio di Pepa e Tristàn, gemello di Aurora. Il ragazzo era stato cresciuto nei boschi, dove una famiglia di taglialegna lo aveva trovato appena nato. Era un selvaggio, ma grazie a Francisca diventerà un uomo. Purtroppo anche lui darà delusioni a Donna Francisca, finendo i suoi giorni trafitto da un proiettile.


Inutile dirvi che il volume mi sia piaciuto. Ero una fan di “Il Segreto”, nonostante non abbia seguito almeno gli ultimi due anni. Era una fiction divenuta troppo lunga e ingarbugliata, a volte ripetitiva, ma ripercorrere i fatti che mi hanno appassionata, aggiungendo tutto ciò che nella serie era stato taciuto (oppure detto/non detto), è stato un bel salto indietro nel recente passato. Consigliato ai fan di Donna Francisca Montenegro.

giovedì 22 settembre 2022

Recensione di "Tutto a posto tranne l'amore" di Anna Premoli

Buongiorno a tutti e ben ritrovati su Sàkomar blog! Con questo tempo autunnale in avvicinamento, io - che sono nostalgica - ripenso all'estate appena trascorsa e al fatto che, appena qualche settimana fa, ero ancora al mare, a godermi i raggi di sole e il fragore delle onde sulla spiaggia. Vi porto, quindi, a Milano, dove Anna Premoli ha ambientato "Tutto a posto tranne l'amore".





Trama: Ludovico Paravicini è decisamente prevenuto in fatto di donne, ma chi non lo sarebbe, al posto suo? L'epilogo del suo grande amore è stato infatti davvero infelice. In una parola: divorzio. E per giunta non è stato nemmeno amichevole: Ginevra, la sua ex moglie, anni fa ha fatto armi e bagagli e preteso da lui un lauto assegno di mantenimento, autorizzandolo a pensare il peggio di lei. E adesso Ludovico sarebbe ben lieto di continuare a nutrire questa convinzione. Ma all'improvviso Ginevra ricompare e sembra molto determinata a fargli cambiare idea. A volte capita che le persone che si pensa di conoscere meglio riservino delle sorprese assolutamente imprevedibili. E non è detto che queste sorprese siano negative...

Tutti noi abbiamo vissuto i mesi apocalittici della pandemia, i giorni apparivano uguali tra loro, senza alcun interesse; abbiamo perso di vista i nostri obiettivi, i nostri sogni, pensando che, se già sarebbe occorso tempo per realizzarli in condizioni normali, figurarsi dopo il blocco complessivo causato dal virus. Alcuni di noi non ne hanno risentito, soprattutto chi poteva lavorare in smart working, altri si sono trovati disoccupati. Quelli come me, che avevano necessità di andare in giro per biblioteche, archivi e siti archeologici, hanno forse avuto più tempo per elaborare le proprie ricerche, ma vi erano difficoltà notevoli, talvolta insuperabili, con mille regole da rispettare (compresi i libri in quarantena…).

In tempi di pandemia, essendosi ridotti i rapporti allo zero assoluto, molti si sono affidati alle app di dating (che, personalmente, non userò mai), senza purtroppo abbandonarle una volta tornati alla semi normalità.

Ci sono poi Ludovico e Ginevra, divorziati da 5 anni, che grazie al maledetto covid e alla quarantena, si sono ritrovati. Ne sono accadute di cose assurde e forse la loro storia rientra a pieno titolo in classifica. Ginevra, prima dell’arrivo del virus, aveva ottenuto anche la restituzione dell’assegno di mantenimento che Ludovico le aveva versato. Ma lei, “colpevole” di averlo tradito con un altro, si è messa a studiare, si è diplomata in interior design allo IED e ora è in grado di mantenersi autonomamente. Non ha bisogno di soldi versati dall’ex marito.


Lui è stupito, ma su quella storia che gli ha provocato immensa sofferenza non vorrebbe tornarci… non fosse per sua madre, ancora affezionata alla sua ex moglie, che prende contatti e decide che Ginevra dovrà in qualche modo arredare la casa di Ludovico. I rapporti sono ancora burrascosi, nessuno dei due sa come muoversi perché sembra di camminare sulle sabbie mobili: un passo falso e viene inghiottito. Eppure, tra le brevi uscite al supermercato e le videochiamate per l’assemblaggio dei mobili, Ludovico e Ginevra riescono a fare una cosa che avevano dimenticato e lasciato da parte nel loro matrimonio: parlare con sincerità. Si confessano le sensazioni, le paure, ridono insieme e affrontano le preoccupazioni… attraverso lo schermo del pc, finché il ritorno alla normalità non li costringe a confrontarsi di persona.

E cosa accadrà ai nostri protagonisti? Assurdo da credere, ma in un modo tutto loro, finiranno di nuovo insieme perché l’amore, quello vero, non si cancella mai. A volte ha bisogno di un aiutino laddove i problemi quotidiani minano la serenità, ma il dialogo è fondamentale.

“Tutto a posto tranne l’amore” è un romanzo divertente, con protagonisti ironici, scritto da entrambi i punti di vista, la cui storia è inserita in una cornice attualissima. Finale forse un po' scontato, ma piacevole per una lettura leggera.

Nota negativa: sono molto attenta ai dettagli e, quando mi ritrovo scritto più di una volta “pandemia mondiale” – che è una bella ripetizione – mi prende una fastidiosa sensazione.


Vi lascio con alcune frasi e appuntamento alla prossima recensione!

«È in quel particolare momento, mentre ce ne stiamo in coda su una polverosa strada cittadina, nel bel mezzo di una pandemia, in attesa di poter usufruire del grande privilegio di comprare qualcosa da mangiare nemmeno questo fosse il razionamento dell’epoca comunista, che mi rendo appieno conto della mutevolezza della condizione umana e dei suoi rapporti. Certe onde prima si allontanano e poi ritornano; qualche volta hai il tempo di prepararti al loro arrivo perché sono visibili e le sirene suonano per avvisarti, ma certe altre le onde sono molto più oblique e per questo potenzialmente più pericolose».

«Ma forse è esattamente questo il segreto dell’improvvisazione, mi ritrovo a ragionare: niente regole e zero aspettative. Possono nascere cose meravigliose quando non ci si aspetta nulla».

giovedì 15 settembre 2022

Recensione di "Il museo delle promesse infrante" di Elizabeth Buchan

Buonasera, amici lettori! Ben trovati su Sàkomar blog. Spero sempre che le mie recensioni siano di interesse e, soprattutto, che possano aiutare a scegliere i romanzi giusti per voi.
Oggi vi parlerò di "Il museo delle promesse infrante" di Elizabeth Buchan. Titolo e copertina interessanti, vero?


Trama: Esiste un museo, a Parigi, dove le persone non fanno la fila per ammirare i capolavori dell'arte. Dove non sono custoditi né quadri né statue. Un museo creato per conservare emozioni. Ogni oggetto in mostra, infatti, è il simbolo di un amore perduto, di una fiducia svanita. Un cimelio donato da chi vorrebbe liberarsi dei rimorsi e andare avanti. Come la stessa curatrice, Laure, che ha creato il Museo delle Promesse Infrante per conservare il suo ricordo più doloroso: quello della notte in cui ha dovuto dire addio al suo vero amore. Quando Laure lascia la Francia e arriva a Praga, nell'estate del 1986, ha l'impressione di essere stata catapultata in un mondo in cui i colori sono meno vivaci, le voci meno squillanti, le risate meno sincere. Laure lo capisce a poco a poco dagli sguardi spaventati della gente, dalle frasi lasciate in sospeso: questo è un Paese che ha dimenticato cosa sia la libertà. Eppure ci sono persone che ancora non si rassegnano. Come Tomas. Laure lo incontra per caso, a uno spettacolo di burattini. Ed è un colpo di fulmine. Per lui, Laure è pronta a mentire, lottare, tradire. Ma ancora non sa di cosa è capace il regime, né fin dove dovrà spingersi per avere salva la vita. Laure si è pentita amaramente della scelta che ha dovuto compiere tanti anni prima ed è convinta che non avrà mai l'occasione per aggiustare le cose. Eppure ben presto scoprirà che il Museo delle Promesse Infrante non è un luogo cristallizzato nel passato. È un luogo che guarda al futuro, in cui le storie circolano e spiccano il volo verso mete inaspettate. A volte raggiungono luoghi lontanissimi, ricucendo i fili strappati del destino. E a volte possono perfino giungere alle orecchie di un uomo cui non importa nulla degli sbagli e dei rimpianti, ma che aspetta solo un indizio per ritrovare il suo amore perduto...

È quindi durante le mattinate (e qualche mezzo pomeriggio) di agosto che ho deciso di dedicarmi alla sua lettura. Mi sono chiesta “Come sarà strutturato un museo delle promesse infrante”? 
Laure, la direttrice e fondatrice, ha aperto questo museo nella bella Parigi, città in cui l’arte, la storia, il romanticismo si fondono insieme per dare vita a un luogo spettacolare (che avrei voglia di tornare a visitare con molta più calma rispetto al 2010, anno del mio viaggio di studi universitario in Francia). Laure restaura un edificio abbandonato, restituendogli un nuovo obiettivo.
All’interno delle teche ci sono oggetti singolari: un velo da sposa, un dentino da latte, una marionetta, un tavolo, un telefono e due sedie. Sono oggetti che, osservati, sembrano non avere alcun significato. Sono le loro storie ad essere particolari: un matrimonio che, nonostante le promesse, non è andato a buon fine; la promessa di un padre fatta a un figlio riguardo il suo ritorno mai avvenuto; la promessa di una verità che non è mai stata rivelata. Numerose sono le richieste che arrivano a Laure, ognuna delle quali sarà valutata, e così il museo si arricchisce di quelli che sono ricordi condivisi, frammenti di esistenze trascorse nella speranza che qualcosa finalmente cambiasse. Si legge la delusione della gente dietro quegli oggetti, sentimenti feriti, soprattutto dolori e qualche piccolo ritaglio di felicità.


In quelle teche c’è anche un biglietto del treno da Praga a Vienna… Laure lo ricorda perfettamente. Riguarda la sua vita passata, quella che ha segnato la sua intera esistenza e che, ancora oggi, la spinge a sospettare delle persone. Quel biglietto la riporta al 1986, quando il comunismo vigeva ancora sovrano in Cecoslovacchia e lei era a Praga, al seguito di una famiglia ceca, come ragazza alla pari. In quel periodo Laure conoscerà Tomas, un musicista dissidente, un ragazzo che insieme ai suoi compagni cercava di combattere il regime, inseguendo disperatamente la libertà occidentale, celato nei palazzi abbandonati, negli scantinati sporchi e bui, e in un teatro delle marionette.


Il loro amore, ribelle, passionale e nascosto, è destinato a spezzarsi sotto le rigide imposizioni del regime, ma Laure non lo dimenticherà mai. Il timore di quegli anni scorre ancora nel suo sangue, le fughe con Tomas sono vivide, la violenza vista e subita torna a bruciare sulla pelle. Nemmeno la verità, emersa dopo tanti anni, riuscirà a regalare a Laure la tanto agognata serenità.

L’idea del museo delle promesse infrante è molto bella ed è proprio quella ad avermi attratta, così come la descrizione delle singole storie relativa agli oggetti contenuti nelle sale di quel particolare sito culturale. Mi sono domandata se un museo simile e partecipativo non fosse realmente possibile. Solo da pochi giorni ho scoperto l’esistenza del museo del diario, che raccoglie ricordi e confessioni personali della gente comune. Forse è proprio questo a fare la differenza tra un museo d’arte o di archeologia che riguarda tempi lontani e un museo che si propone, invece, come un luogo in cui narrare storie, a volte accomunandole al nostro stesso vissuto.
Non me la sento, però, di consigliarlo. I capitoli riguardanti il museo sono veramente pochi, quelli davvero interessanti sono i finali e più di metà del libro riguarda gli intrighi politici della Cecoslovacchia alla fine degli anni Ottanta. L’approfondimento storico, funzionale a fornire un inquadramento del clima diffuso dal regime comunista, è eccessivo, sottraendo in tal modo fascino all’esperienza di Laure che condurrà la protagonista all’istituzione del museo. Idea originale che avrebbe potuto essere sviluppata diversamente.

Vi lascio con alcune frasi tratte dal romanzo. Alla prossima!

«Stringere a sé una persona, essere stretti in un abbraccio, era la dimostrazione che si era vivi. Si era sentita una cosa muta e fredda per troppo tempo».

«Non avevo mai sognato che essere innamorati significasse essere entusiasti e sereni allo stesso tempo».

«Innamorarsi ancora di più, come le stava succedendo, significava liberarsi da se stessi. Era la libertà di fondersi con qualcun altro e farsi carico del suo mondo».


«Stranamente titubante, si fermò sulla soglia della Sala 3. Dove doveva mettere il biglietto ferroviario di Joseph Broad? Accanto alla bambola col volto sfasciato? Insieme con la scatola di fiammiferi col dentino da latte? Erano tutti legati da un filo conduttore, come aveva intuito velocemente anche May. La rabbia di Jamie e la disperazione infantile di Joseph si alimentavano entrambe del tradimento da parte di un adulto. Il pavimento della sala era sconnesso ed era stato necessario puntellare una gamba della vetrina all’interno della quale era esposto il biglietto ferroviario cecoslovacco. Sotto, c’era una didascalia che indicava la data, il luogo in cui era stato emesso e la sua destinazione. Era scritta in inglese, francese e ceco: Biglietto ferroviario per la linea usata negli anni ’80 dalle persone che scappavano in Austria dalla Cecoslovacchia. Era la via di fuga preferita da coloro che fuggivano dal regime. Molti non ce la fecero.»
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