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martedì 27 settembre 2022

Recensione di "Donna Francisca. Il Segreto. La mia vera storia"

Buon pomeriggio, amici! Con questo cielo plumbeo che, ormai, annuncia la persistenza dell'autunno (ahimé), provo a portarvi nella calda e soleggiata Spagna, a Puente Viejo, dove "regna" Donna Francisca Montenegro.


Un salto indietro nel tempo, a qualche anno fa, quando dopo pranzo mi sedevo sul divano per una mezz’oretta – prima di iniziare lo studio matto e disperatissimo – sognando un amore intenso come quello di Pepa e Tristàn, nonché cercando di capire le trame di Donna Francisca Montenegro, la ricca possidente che risiedeva a Puente Viejo.
I fan del Segreto si saranno chiesti, fino all’ultimo, cosa avesse spinto Donna Francisca ad essere così fredda, talvolta distaccata e malvagia con alcuni degli abitanti del paese, compreso lo stesso Raimundo Ulloa. Ma Francisca era una ragazza normale, romantica e selvaggia, innamorata proprio di quel Raimundo che non riuscì a sposare, finendo per essere la moglie del crudele Salvador Castro.

Fu questo il primo degli eventi che distrusse Donna Francisca Castro Montenegro, trasformandola nella persona manipolatrice che abbiamo conosciuto nei primi episodi del Segreto.
Questo romanzo ripercorre tutta la storia, sin dalle origini, passando per la scomparsa dei vari protagonisti – Pepa, Tristàn, Martìn, Bosco, etc. – fino a giungere al terribile incendio di Villa Montenegro che, apparentemente, sembrerebbe sancire una fine alle losche trovate di Donna Francisca.

Ma cosa voleva la “malvagia” per eccellenza della fiction spagnola? Si rivela spasmodica la ricerca di un erede che potesse prendere le redini della situazione, amando la villa così come l’aveva amata lei, gestendo le terre, le fabbriche e facendo un buon matrimonio che avrebbe garantito continuità. Tristàn, sposandosi prima con Angustias (psicopatica), poi con Pepa (che morirà di parto), infine con Candela (con cui non trascorrerà nemmeno un minuto da marito, venendo ucciso sul sagrato della chiesa), non riflette le aspettative che Donna Francisca aveva. Era il suo figlio adorato, frutto dell’unione clandestina con Raimondo Ulloa, ma si innamorava di donne che non erano al suo livello, soprattutto sociale.


Soledad, figlia avuta da Salvador Castro, non era mai stata amata da Donna Francisca. Era frutto di continue violenze e, la povera ragazza, visse all’ombra delle continue crudeltà che il padre aveva perpetrato su sua madre, provandole alla fine lei stessa. Anche Soledad, innamorata follemente di Juan Castañeda – semplice bracciante –, lo sposerà, venendo tradita e contraendo un nuovo matrimonio con un uomo di colore, prima di fuggire per sempre da Puente Viejo.

Donna Francisca non si dà per vinta. Trova in Maria, figlia di Emilia Ulloa, una bambina da proteggere e da allevare come una vera Montenegro, in seguito a un episodio di violenza. Maria cresce secondo gli insegnamenti di Francisca, ma finisce per innamorarsi e poi sposarsi – dopo lunghe peripezie – di Martìn Castro, figlio di Pepa e Carlos Castro (fratello di Salvador).

L’ultimo allevato da Francisca è Bosco, figlio di Pepa e Tristàn, gemello di Aurora. Il ragazzo era stato cresciuto nei boschi, dove una famiglia di taglialegna lo aveva trovato appena nato. Era un selvaggio, ma grazie a Francisca diventerà un uomo. Purtroppo anche lui darà delusioni a Donna Francisca, finendo i suoi giorni trafitto da un proiettile.


Inutile dirvi che il volume mi sia piaciuto. Ero una fan di “Il Segreto”, nonostante non abbia seguito almeno gli ultimi due anni. Era una fiction divenuta troppo lunga e ingarbugliata, a volte ripetitiva, ma ripercorrere i fatti che mi hanno appassionata, aggiungendo tutto ciò che nella serie era stato taciuto (oppure detto/non detto), è stato un bel salto indietro nel recente passato. Consigliato ai fan di Donna Francisca Montenegro.

giovedì 22 settembre 2022

Recensione di "Tutto a posto tranne l'amore" di Anna Premoli

Buongiorno a tutti e ben ritrovati su Sàkomar blog! Con questo tempo autunnale in avvicinamento, io - che sono nostalgica - ripenso all'estate appena trascorsa e al fatto che, appena qualche settimana fa, ero ancora al mare, a godermi i raggi di sole e il fragore delle onde sulla spiaggia. Vi porto, quindi, a Milano, dove Anna Premoli ha ambientato "Tutto a posto tranne l'amore".





Trama: Ludovico Paravicini è decisamente prevenuto in fatto di donne, ma chi non lo sarebbe, al posto suo? L'epilogo del suo grande amore è stato infatti davvero infelice. In una parola: divorzio. E per giunta non è stato nemmeno amichevole: Ginevra, la sua ex moglie, anni fa ha fatto armi e bagagli e preteso da lui un lauto assegno di mantenimento, autorizzandolo a pensare il peggio di lei. E adesso Ludovico sarebbe ben lieto di continuare a nutrire questa convinzione. Ma all'improvviso Ginevra ricompare e sembra molto determinata a fargli cambiare idea. A volte capita che le persone che si pensa di conoscere meglio riservino delle sorprese assolutamente imprevedibili. E non è detto che queste sorprese siano negative...

Tutti noi abbiamo vissuto i mesi apocalittici della pandemia, i giorni apparivano uguali tra loro, senza alcun interesse; abbiamo perso di vista i nostri obiettivi, i nostri sogni, pensando che, se già sarebbe occorso tempo per realizzarli in condizioni normali, figurarsi dopo il blocco complessivo causato dal virus. Alcuni di noi non ne hanno risentito, soprattutto chi poteva lavorare in smart working, altri si sono trovati disoccupati. Quelli come me, che avevano necessità di andare in giro per biblioteche, archivi e siti archeologici, hanno forse avuto più tempo per elaborare le proprie ricerche, ma vi erano difficoltà notevoli, talvolta insuperabili, con mille regole da rispettare (compresi i libri in quarantena…).

In tempi di pandemia, essendosi ridotti i rapporti allo zero assoluto, molti si sono affidati alle app di dating (che, personalmente, non userò mai), senza purtroppo abbandonarle una volta tornati alla semi normalità.

Ci sono poi Ludovico e Ginevra, divorziati da 5 anni, che grazie al maledetto covid e alla quarantena, si sono ritrovati. Ne sono accadute di cose assurde e forse la loro storia rientra a pieno titolo in classifica. Ginevra, prima dell’arrivo del virus, aveva ottenuto anche la restituzione dell’assegno di mantenimento che Ludovico le aveva versato. Ma lei, “colpevole” di averlo tradito con un altro, si è messa a studiare, si è diplomata in interior design allo IED e ora è in grado di mantenersi autonomamente. Non ha bisogno di soldi versati dall’ex marito.


Lui è stupito, ma su quella storia che gli ha provocato immensa sofferenza non vorrebbe tornarci… non fosse per sua madre, ancora affezionata alla sua ex moglie, che prende contatti e decide che Ginevra dovrà in qualche modo arredare la casa di Ludovico. I rapporti sono ancora burrascosi, nessuno dei due sa come muoversi perché sembra di camminare sulle sabbie mobili: un passo falso e viene inghiottito. Eppure, tra le brevi uscite al supermercato e le videochiamate per l’assemblaggio dei mobili, Ludovico e Ginevra riescono a fare una cosa che avevano dimenticato e lasciato da parte nel loro matrimonio: parlare con sincerità. Si confessano le sensazioni, le paure, ridono insieme e affrontano le preoccupazioni… attraverso lo schermo del pc, finché il ritorno alla normalità non li costringe a confrontarsi di persona.

E cosa accadrà ai nostri protagonisti? Assurdo da credere, ma in un modo tutto loro, finiranno di nuovo insieme perché l’amore, quello vero, non si cancella mai. A volte ha bisogno di un aiutino laddove i problemi quotidiani minano la serenità, ma il dialogo è fondamentale.

“Tutto a posto tranne l’amore” è un romanzo divertente, con protagonisti ironici, scritto da entrambi i punti di vista, la cui storia è inserita in una cornice attualissima. Finale forse un po' scontato, ma piacevole per una lettura leggera.

Nota negativa: sono molto attenta ai dettagli e, quando mi ritrovo scritto più di una volta “pandemia mondiale” – che è una bella ripetizione – mi prende una fastidiosa sensazione.


Vi lascio con alcune frasi e appuntamento alla prossima recensione!

«È in quel particolare momento, mentre ce ne stiamo in coda su una polverosa strada cittadina, nel bel mezzo di una pandemia, in attesa di poter usufruire del grande privilegio di comprare qualcosa da mangiare nemmeno questo fosse il razionamento dell’epoca comunista, che mi rendo appieno conto della mutevolezza della condizione umana e dei suoi rapporti. Certe onde prima si allontanano e poi ritornano; qualche volta hai il tempo di prepararti al loro arrivo perché sono visibili e le sirene suonano per avvisarti, ma certe altre le onde sono molto più oblique e per questo potenzialmente più pericolose».

«Ma forse è esattamente questo il segreto dell’improvvisazione, mi ritrovo a ragionare: niente regole e zero aspettative. Possono nascere cose meravigliose quando non ci si aspetta nulla».

giovedì 15 settembre 2022

Recensione di "Il museo delle promesse infrante" di Elizabeth Buchan

Buonasera, amici lettori! Ben trovati su Sàkomar blog. Spero sempre che le mie recensioni siano di interesse e, soprattutto, che possano aiutare a scegliere i romanzi giusti per voi.
Oggi vi parlerò di "Il museo delle promesse infrante" di Elizabeth Buchan. Titolo e copertina interessanti, vero?


Trama: Esiste un museo, a Parigi, dove le persone non fanno la fila per ammirare i capolavori dell'arte. Dove non sono custoditi né quadri né statue. Un museo creato per conservare emozioni. Ogni oggetto in mostra, infatti, è il simbolo di un amore perduto, di una fiducia svanita. Un cimelio donato da chi vorrebbe liberarsi dei rimorsi e andare avanti. Come la stessa curatrice, Laure, che ha creato il Museo delle Promesse Infrante per conservare il suo ricordo più doloroso: quello della notte in cui ha dovuto dire addio al suo vero amore. Quando Laure lascia la Francia e arriva a Praga, nell'estate del 1986, ha l'impressione di essere stata catapultata in un mondo in cui i colori sono meno vivaci, le voci meno squillanti, le risate meno sincere. Laure lo capisce a poco a poco dagli sguardi spaventati della gente, dalle frasi lasciate in sospeso: questo è un Paese che ha dimenticato cosa sia la libertà. Eppure ci sono persone che ancora non si rassegnano. Come Tomas. Laure lo incontra per caso, a uno spettacolo di burattini. Ed è un colpo di fulmine. Per lui, Laure è pronta a mentire, lottare, tradire. Ma ancora non sa di cosa è capace il regime, né fin dove dovrà spingersi per avere salva la vita. Laure si è pentita amaramente della scelta che ha dovuto compiere tanti anni prima ed è convinta che non avrà mai l'occasione per aggiustare le cose. Eppure ben presto scoprirà che il Museo delle Promesse Infrante non è un luogo cristallizzato nel passato. È un luogo che guarda al futuro, in cui le storie circolano e spiccano il volo verso mete inaspettate. A volte raggiungono luoghi lontanissimi, ricucendo i fili strappati del destino. E a volte possono perfino giungere alle orecchie di un uomo cui non importa nulla degli sbagli e dei rimpianti, ma che aspetta solo un indizio per ritrovare il suo amore perduto...

È quindi durante le mattinate (e qualche mezzo pomeriggio) di agosto che ho deciso di dedicarmi alla sua lettura. Mi sono chiesta “Come sarà strutturato un museo delle promesse infrante”? 
Laure, la direttrice e fondatrice, ha aperto questo museo nella bella Parigi, città in cui l’arte, la storia, il romanticismo si fondono insieme per dare vita a un luogo spettacolare (che avrei voglia di tornare a visitare con molta più calma rispetto al 2010, anno del mio viaggio di studi universitario in Francia). Laure restaura un edificio abbandonato, restituendogli un nuovo obiettivo.
All’interno delle teche ci sono oggetti singolari: un velo da sposa, un dentino da latte, una marionetta, un tavolo, un telefono e due sedie. Sono oggetti che, osservati, sembrano non avere alcun significato. Sono le loro storie ad essere particolari: un matrimonio che, nonostante le promesse, non è andato a buon fine; la promessa di un padre fatta a un figlio riguardo il suo ritorno mai avvenuto; la promessa di una verità che non è mai stata rivelata. Numerose sono le richieste che arrivano a Laure, ognuna delle quali sarà valutata, e così il museo si arricchisce di quelli che sono ricordi condivisi, frammenti di esistenze trascorse nella speranza che qualcosa finalmente cambiasse. Si legge la delusione della gente dietro quegli oggetti, sentimenti feriti, soprattutto dolori e qualche piccolo ritaglio di felicità.


In quelle teche c’è anche un biglietto del treno da Praga a Vienna… Laure lo ricorda perfettamente. Riguarda la sua vita passata, quella che ha segnato la sua intera esistenza e che, ancora oggi, la spinge a sospettare delle persone. Quel biglietto la riporta al 1986, quando il comunismo vigeva ancora sovrano in Cecoslovacchia e lei era a Praga, al seguito di una famiglia ceca, come ragazza alla pari. In quel periodo Laure conoscerà Tomas, un musicista dissidente, un ragazzo che insieme ai suoi compagni cercava di combattere il regime, inseguendo disperatamente la libertà occidentale, celato nei palazzi abbandonati, negli scantinati sporchi e bui, e in un teatro delle marionette.


Il loro amore, ribelle, passionale e nascosto, è destinato a spezzarsi sotto le rigide imposizioni del regime, ma Laure non lo dimenticherà mai. Il timore di quegli anni scorre ancora nel suo sangue, le fughe con Tomas sono vivide, la violenza vista e subita torna a bruciare sulla pelle. Nemmeno la verità, emersa dopo tanti anni, riuscirà a regalare a Laure la tanto agognata serenità.

L’idea del museo delle promesse infrante è molto bella ed è proprio quella ad avermi attratta, così come la descrizione delle singole storie relativa agli oggetti contenuti nelle sale di quel particolare sito culturale. Mi sono domandata se un museo simile e partecipativo non fosse realmente possibile. Solo da pochi giorni ho scoperto l’esistenza del museo del diario, che raccoglie ricordi e confessioni personali della gente comune. Forse è proprio questo a fare la differenza tra un museo d’arte o di archeologia che riguarda tempi lontani e un museo che si propone, invece, come un luogo in cui narrare storie, a volte accomunandole al nostro stesso vissuto.
Non me la sento, però, di consigliarlo. I capitoli riguardanti il museo sono veramente pochi, quelli davvero interessanti sono i finali e più di metà del libro riguarda gli intrighi politici della Cecoslovacchia alla fine degli anni Ottanta. L’approfondimento storico, funzionale a fornire un inquadramento del clima diffuso dal regime comunista, è eccessivo, sottraendo in tal modo fascino all’esperienza di Laure che condurrà la protagonista all’istituzione del museo. Idea originale che avrebbe potuto essere sviluppata diversamente.

Vi lascio con alcune frasi tratte dal romanzo. Alla prossima!

«Stringere a sé una persona, essere stretti in un abbraccio, era la dimostrazione che si era vivi. Si era sentita una cosa muta e fredda per troppo tempo».

«Non avevo mai sognato che essere innamorati significasse essere entusiasti e sereni allo stesso tempo».

«Innamorarsi ancora di più, come le stava succedendo, significava liberarsi da se stessi. Era la libertà di fondersi con qualcun altro e farsi carico del suo mondo».


«Stranamente titubante, si fermò sulla soglia della Sala 3. Dove doveva mettere il biglietto ferroviario di Joseph Broad? Accanto alla bambola col volto sfasciato? Insieme con la scatola di fiammiferi col dentino da latte? Erano tutti legati da un filo conduttore, come aveva intuito velocemente anche May. La rabbia di Jamie e la disperazione infantile di Joseph si alimentavano entrambe del tradimento da parte di un adulto. Il pavimento della sala era sconnesso ed era stato necessario puntellare una gamba della vetrina all’interno della quale era esposto il biglietto ferroviario cecoslovacco. Sotto, c’era una didascalia che indicava la data, il luogo in cui era stato emesso e la sua destinazione. Era scritta in inglese, francese e ceco: Biglietto ferroviario per la linea usata negli anni ’80 dalle persone che scappavano in Austria dalla Cecoslovacchia. Era la via di fuga preferita da coloro che fuggivano dal regime. Molti non ce la fecero.»

venerdì 9 settembre 2022

Recensione di “Innamorarsi in un giorno di pioggia” di Jojo Moyes

Buongiorno a tutti amici e ben ritrovati! Tornata alla base, vorrei fare marcia indietro con destinazione "qualsiasi località marittima". Se mi va di ricominciare? Credo di no, ma così funziona il mondo.
Durante questo mese, ho sfogliato parecchi romanzi in confronto alla mia media annuale, proprio perché ho chiuso il pc e non ne ho voluto sapere di stare ore e ore con le dita sulla tastiera.
Il primo romanzo che ho letto è stato "Innamorarsi in un giorno di pioggia" di Jojo Moyes. L'autrice è ormai conosciuta come l’autrice di “Io prima di te”, il bestseller che ha ottenuto ulteriore notorietà grazie al film con Emily Clarke e Tom Claflin. Eppure la Moyes ha scritto anche altri romanzi degni di nota, come "L'ultima lettera d'amore".

“Innamorarsi in un giorno di pioggia” è stata una mia scelta durante una passeggiata verso il centro di Roma. Non ricordo se piovesse o meno, ma so che era verso marzo e mi trovavo, per motivi di ricerca, in Largo Argentina.



Trama: Joy sa poco di sua figlia Kate, e ancora meno della nipote adolescente Sabine. Ma tutto cambia quando quest’ultima viene mandata dai nonni in Irlanda, proprio in quella casa da cui, anni prima, sua madre Kate era fuggita, portandosi via Sabine neonata. Le tre donne si ritrovano così per la prima volta riunite sotto lo stesso tetto, costrette ad affrontare i segreti del passato che hanno voluto tenere nascosti.

Il romanzo narra la storia di tre donne, Joy, Kate e Sabine, rispettivamente nonna, mamma e figlia. Tutto inizia in un’atmosfera anglo-cinese, nella Hong Kong occupata dai britannici. Joy, la sua famiglia e i suoi amici sono in fermento perché è il giorno dell’incoronazione di Elisabetta, che diventerà regina. La ragazza detesta con tutta se stessa i ricevimenti, ma i genitori sono quasi ossessionati da un solo semplice fatto: deve fidanzarsi con un ufficiale. Lei è uno spirito libero, vuole conoscere il mondo, studiare, andare via da lì… e sarà proprio il tanto detestabile party a farle incontrare Edward, l’ufficiale di Marina, che in pochi giorni deciderà di sposare, condividendo una lunga vita con lui, prima a Hong Kong, poi in Irlanda tra le verdeggianti pianure e gli amati cavalli.
La storia di focalizza quindi su Kate, figlia di Joy e Edward, con i quali non intrattiene più alcun rapporto da quando, diciannovenne e incinta, decide di andare via di casa, costruendosi una sua vita lontana da un ambiente che non le appartiene e da due genitori che non l’hanno mai fatta sentire all’altezza.
È proprio però in quel 1997 che, a Londra, Kate accompagna sua figlia sedicenne, Sabine, a imbarcarsi per l’Irlanda. Sta attraversando un periodo difficile: l’ennesimo uomo di cui credeva di essere innamorata l’ha lasciata e l’altro, che l’aveva prontamente “sostituito”, apparentemente interessato al cuore di Kate, voleva solo godersi una vita agiata. Kate deve fare chiarezza nei suoi pensieri, decidendo quindi di mandare Sabine dalla nonna.
Come Kate con Joy, Sabine non ha dialogo con la madre. Non capisce i suoi modi di comportarsi, quelli di cercare sempre un nuovo fidanzato e di spedirla nella remota Irlanda senza nemmeno averle chiesto se fosse d’accordo.
Dopo i primi giorni di assestamento, durante i quali conoscerà le rigide regole di sua nonna nel mandare avanti una tenuta e un allevamento di cavalli, senza tv, connessione internet e tecnologia, Sabine inizierà ad assaporare una nuova vita, lontana dalla frenetica Londra dove, anche con i coetanei, si era spesso sentita a disagio. Le piace cavalcare, adora la routine di campagna, il buon cuore delle persone che vivono in quel posto.
Uno spiacevole, ma prevedibile avvenimento farà sì che nonna, madre e nipote si ritrovino in quella grande casa immersa nelle natura, chiarendo questioni rimaste in sospeso e, finalmente, capendo l’una le ragioni dell’altra.



Al contrario degli altri romanzi della Moyes che ho avuto il piacere di leggere, “Innamorarsi in un giorno di pioggia” non è, a mio avviso, da 5 stelline. La motivazione non riguarda tanto la trama, quanto invece le interminabili digressioni descrittive che caratterizzano tutta la prima metà del romanzo che, solo dal capitolo 9/10, inizia a diventare avvincente. Confesso di aver volutamente accelerato i tempi di lettura perché non ne potevo più di leggere della routine legata ai cavalli (che amo peraltro), alla vicina di casa con evidenti problemi esistenziali (seppur ampiamente giustificati) e a tutto lo “staff” della tenuta.
Per quanto riguarda propriamente la storia delle tre donne, ci sono sicuramente alcuni dettagli da sottolineare, che possono suscitare riflessioni.

Joy, l’inflessibile, sembra tale, ma in realtà è una donna che, in un periodo di transizione, vorrebbe conquistare la propria indipendenza, senza essere ridotta al ruolo di madre e allevatrice di bambini. Vede in Edward la salvezza e, complice l’innamoramento lampo (su cui ho comunque i miei dubbi), si sposa rapidamente, girando il mondo dietro le trasferte del marito… ma altrettanto rapidamente, si avvera proprio quel che lei non avrebbe mai voluto affrontare: rimane incinta, per ben due volte. Il suo corpo è debilitato e Edward, che all’apparenza sembra essere un marito devoto che ha occhi solo per lei, decide di non poterla aspettare, di non potersi prendere cura di lei, divertendosi altrove. Joy serba dentro di sé questi sentimenti, che la spingeranno ad essere all’apparenza glaciale. Per salvare un matrimonio, la felicità dei figli e, soprattutto, l’immagine perfetta, proseguirà a stare accanto al marito, nonostante alcune ombre gravino su di lui.

Kate, la donna che persino sua figlia classifica come una “poco di buono”, è in realtà una persona insicura. I genitori, che mai hanno condiviso le sue scelte, ma che invece hanno imposto le loro, contribuirono a renderla una ragazza prima, e una donna poi, piena di emozioni traballanti. Kate cerca disperatamente amore e affetto negli uomini, quegli stessi che invece cercano in lei soltanto un modo per divertirsi. Nemmeno la figlia, avuta con un ragazzo “passeggero”, la apprezza come madre, ma nessuno si sforza di capirla, di aiutarla veramente e di starle vicino. Sono contenta che, almeno per lei, ci sarà il lieto fine che merita, insieme alla conquista di un po’ di amor proprio.

Sabine appare come una ragazzina viziata, la tipica adolescente capricciosa cui non sta mai bene niente. E in parte Sabine è proprio così come sembra, ma c’è anche altro. L’instabilità emotiva della madre, abituata a cambiare compagno, ha ovviamente influito su di lei. Anche Sabine nasconde insicurezze e paure, anche lei si sente nel posto sbagliato del mondo. Non appena avrà trovato quel che le occorre per maturare (tranquillità, una passione, l’affetto di una famiglia e degli amici), Sabine sboccerà come una ragazza dolce, comprensiva e piena di energia.


Se mi sento di consigliarlo? Se siete appassionate delle storie multiple (che, in realtà, non amo particolarmente), dello stile della Moyes e avete tempo (nonché voglia) di affrontare una lettura che scorra lentamente, allora questo romanzo fa per voi. Se siete come me, sempre in cerca di emozioni, allora vi propongo di dare la precedenza a un altro libro. Jojo Moyes rimane una delle mie autrici preferite, ma nessuno è perfetto.
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