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giovedì 14 novembre 2019

Recensione di "I pesci non chiudono gli occhi" di Erri De Luca

Buongiorno a tutti, lettori! Come state? In un attimo di pausa, voglio portarvi verso Napoli e la sua spiaggia, di preciso nel periodo dell'immediato dopoguerra, dove un bambino di 10 anni era in vacanza con la sua famiglia, in un caldo settembre italiano.


Trama: A dieci anni l'età si scrive per la prima volta con due cifre. È un salto in alto, in lungo e in largo, ma il corpo resta scarso di statura mentre la testa si precipita avanti. D'estate si concentra una fretta di crescere. Un uomo, cinquant'anni dopo, torna coi pensieri su una spiaggia dove gli accadde il necessario e pure l'abbondante. Le sue mani di allora, capaci di nuoto e non di difesa, imparano lo stupore del verbo mantenere, che è tenere per mano.


Perché quella ragazzina non gioca come gli altri, ma legge libri gialli? Il piccolo autore è fermo sulla spiaggia, cerca di completare la settimana enigmistica, eppure ogni tanto tira su lo sguardo e incrocia quello di una bambina che, altrettanto curiosa, ricambia.
Quell'estate è diversa per Erri che, compiuti 10 anni, si sente inadatto in un corpo che non lo rappresenta: anima e "involucro" non vanno d'accordo perché non crescono di pari passo. Mentre questo conflitto intimo è in atto, per la prima volta in vita sua, assapora qualcosa di nuovo, un sentimento. Mai prima di allora aveva potuto tollerare il verbo "amare" che è sempre presente tra le pagine dei romanzi, eppure adesso quello stesso verbo inizia ad assumere contorni che, seppur sfocati, gli danno consistenza, materializzandosi in quella ragazzina così diversa da tutti gli altri.


Tra un ghiacciolo e una chiacchierata sul comportamento degli animali, che la ragazzina adora osservare e studiare, i due bambini scopriranno cosa significa "mantenere", che comporta la promessa di "tenere per mano".
L'amore, però, fa conoscere anche il dolore. Per amore bisogna lottare. Ed è questo che quel ragazzino di 10 anni comprende quando gli altri bambini della spiaggia, invidiosi del suo rapporto con la ragazzina, lo prendono di mira, fino a pestarlo. Lui non è capace di reagire, né di fare del male, lui è bravo a nuotare, a fondersi con l'acqua, ma non ad usare violenza. La ragazzina, che non è come tutti gli altri, sceglie comunque lui. A lei non interessano gli stupidi.
Con una dolcezza stravolgente, accadrà anche il primo bacio, ad occhi aperti per il giovane Erri, come i pesci che non chiudono gli occhi.


L'episodio di un'estate è intervallato da ricordi di un'infanzia a tratti dolorosa, di un padre ormai assente, partito per l'America per cercare lavoro, e della madre, rimasta con Erri e la sorella che decide di rimanere a Napoli senza raggiungere il marito; un'infanzia che parla di mare, di pesca all'alba, di reti e di ami; e poi crescendo, ormai adulto, del lavoro in fabbrica.


Una trama semplice, composta di ricordi di una vita, eppure è lo stile di Erri De Luca ad essere particolarmente evocativo, direi poetico e delicato. Sfogliando le pagine si ode il suono del mare e dell'infrangersi tranquillo delle onde sugli scogli, della chiglia delle barche che atterra ritimicamente sulla superficie dell'acqua, il chiacchiericcio dei bagnanti, si avvertono i granelli di sabbia sotto i piedi, l'odore di salsedine e quello stampato della settimana enigmistica; ma anche le tenere carezze di una madre, una sordida nostalgia per il padre, le mani ruvide, callose e gentili del pescatore, il sapore di qualcosa di nuovo, come può essere il primo bacio di ognuno di noi. E infine, la malinconia per una vita che avrebbe potuto essere e non è stata... un'esistenza al fianco della ragazzina.

Non conoscevo Erri De Luca, pur avendone sentito parlare. Era tra gli autori che avrei voluto scoprire, i suoi libri tra quelli in lista, ma non avevo ancora sfogliato nulla realmente.

Vi lascio con qualche frase, anche se è difficile scegliere i pensieri più belli.

«Il volersi bene si costruisce. Ma l’amore quello vero, no. L’amore lo senti immediato, non ha tempo. È dire "ti sento". Un contatto di pelle, un abbraccio, un bacio. Mantenersi, il mio verbo preferito, tenersi per mano. Ti può bastare per la vita intera, un attimo, un incontro. Rinunciarvi è folle, sempre e comunque.»


«Quell’amore pulcino conteneva tutti gli addii seguenti. Nessuna si sarebbe fermata, non avrei conosciuto le nozze, niente fianco a fianco davanti a un terzo che domanda: “Vuoi tu?”. L’amore sarebbe stato una fermata breve tra gli isolamenti. Oggi penso a un tempo finale in comune con una donna, con la quale coincidere come fanno le rime, in fine di parola.»


«I baci spingevano dai talloni puntati nella sabbia. Risalivano le vertebre fino alle ossa del cranio, fino ai denti. Ancora oggi so che sono il più alto traguardo raggiunto dai corpi. Da lassù, dalla cima dei baci si può scendere poi nelle mosse convulse dell’amore.»


«Si amavano quei due, si regalavano libri.»




domenica 3 novembre 2019

Recensione di "102 chili sull'anima. La storia di una donna e della sua muta per uscire dall'obesità" di Francesca Sanzo

Buonasera a tutti, lettori! Eccomi qui, in una serata domenicale in cui fuori diluvia a scrivere il mio blog per proporvi la recensione di un libro molto particolare. Si intitola "102 chili sull'anima. La storia di una donna e della sua muta per uscire dall'obesità" di Francesca Sanzo. No, non sto cercando una guida per perdere i miei chili di troppo (che ci sono indubbiamente). Non è questo il punto, perché non si tratta di un libro per combattere l'obesità, bensì di un percorso verso il cambiamento.


Trama: Si può decidere di cambiare a qualsiasi età, anche a 40 anni: Francesca Sanzo, autrice e protagonista di questa storia lo fa nel 2013 quando intraprende una dieta per perdere 40 chili e passare dall'essere una persona gravemente obesa a rientrare nel corpo che si sente addosso. Il suo percorso è una vera e propria muta, perché per perdere molti chili bisogna prima di tutto capire perché. Questo libro non è un manuale di dieta ma il racconto di un processo di evoluzione, di una muta per volersi bene, per riflettere su quello che si è inceppato e provare a trovare una strada nuova, anche attraverso la narrazione. Proprio degli "inceppi" della sua vita racconta Francesca, attraverso salti e flashback tra presente e passato: ricerca di un nuovo stile di vita e riflessione su quello che l'ha portata a "mascherarsi" grazie all'obesità. Comprendere che a un certo punto della vita bisogna smettere di lottare ed accogliere la propria "anima nera" ovvero quella zona profonda di noi che ci spinge ad assumere comportamenti disfunzionali e a farci sentire inadeguati al mondo. Il rapporto con il cibo e con Francesca dal 2005 si narra sul suo blog panzallaria.com e lo ha fatto anche durante l'anno della sua muta raccogliendo, intorno alla sua, le storie di tante persone che l'hanno seguita e che prendendo spunto dal suo racconto, hanno deciso di attuare piccoli cambiamenti nella propria vita e cominciare a scendere a patti con la propria anima nera. Ed è proprio a tutte le anime nere del mondo che Francesca dedica il suo libro, nella speranza che possa essere di ispirazione per chi pensa che non sia mai troppo tardi per cambiare e per chi vuole cominciare a volersi bene davvero.

102 chili sull'anima... ma forse si tratta solo di un numero indicativo e di null'altro. Se l'anima si sente oppressa, schiacciata, soffocata i chili saranno molti di più. Chili di dolore, di rabbia, di tradimenti, di rivincite che non ci sono state, di delusioni, di ricordi, di parole che ancora scavano e fanno male, trovando il loro sfogo in qualcosa che si riflette in noi. I cosiddetti disturbi psicosomatici, ad esempio, sono esito di problemi interiori, invisibili, che ognuno porta con sé e di cui non riesce in alcun modo a liberarsi.
102 chili... era questo il peso raggiunto dall'autrice, Francesca Sanzo, prima del momento in cui, giunta a un momento di rottura con se stessa e con le situazioni in cui non si sentiva più a suo agio, decidesse di cambiare, di iniziare un percorso e di effettuare una muta.
E' questa la storia di una persona che, prima di ogni cosa, prende consapevolezza del problema, di quel che le causa disagio, di ciò che non la fa star bene con se stessa, di ciò che non le permette di amarsi. E' la storia di una riconciliazione con l'anima "nera" che grida silenziosamente, che vorrebbe ricevere affetto e che, ignorata, lasciata in un angolino, sfoga i suoi desideri inducendo il corpo a compiere azioni controproducenti. Come lo sfogo nel cibo. Francesca questo lo sa: ricorda quando faceva nuoto e si sentiva bene con se stessa, ma allo stesso tempo ricorda i dolori che si sono stratificati nel corso degli anni, dall'anoressia adolescenziale, alla depressione post-partum, all'obesità, al difficile rapporto con il padre, passando tuttavia per tanti successi. Perché Francesca è una vera guerriera. Ha fatto della sua passione una professione e già questo dovrebbe far comprendere chi sia questa donna, in un mondo in cui il lavoro non c'è mai per tutti. Lei si è reinventata, non si è arresa... e non si è arresa nemmeno nella battaglia con se stessa, andando in fondo a quella sorgente di dolore.
L'obesità, forse, è stato solo qualcosa di secondario, l'effetto visibile di qualcosa di più interno, di tutte quelle insicurezze che si erano accumulate nella sua mente e nella sua anima.
Ed è allora rivolgendosi prima a una nutrizionista, poi facendo proprie delle abitudini alimentari e sportive (la corsa) che indubbiamente hanno cambiato anche il suo modo di porsi, che Francesca è riuscita ad accettarsi, a parlare con se stessa e a curarsi nel corpo e nell'anima, due entità strettamente collegate.
Il libro di Francesca Sanzo è la storia di una persona che ha avuto coraggio di riprendere in mano la propria vita... di certo non è una guida per uscire dall'obesità, ma la narrazione dell'esperienza di una donna forte, seppur con le sue debolezze, quelle stesse che ha deciso di affrontare e arginare, ascoltandosi e amandosi.


Ma perché ho deciso di leggere questo libro? Non conoscevo l'autrice, non conoscevo i suoi scritti e non è il genere di letture che prediligo. Solitamente mi butto a capofitto in narrativa poco impegnativa perché, dovendo stare tutti i giorni a contatto con libri storici, archeologici, etc. che comunque richiedono una certa concentrazione, quando ho qualche minuto libero voglio provare a non pensare. A volte, però, riflettere fa bene e "102 chili sull'anima" ha compiuto il suo scopo, quello di far meditare anche me. Io pure, come Francesca, ho le mie insicurezze; io anche ho avuto e ancora oggi ho un rapporto complicato con il mio aspetto fisico e, nonostante i più mi dicano che sono molto bella così, non ci credo mai. Esito di ricordi che ancora fanno male... di persone che sono state crudeli, colpa mia che per adeguarmi al resto del mondo, per essere accettata, ho finito per non accettare me stessa e per dirmi "Sono intelligente e ciò che conta è quel che ho dentro. Tutto il resto non ha importanza". Che in generale è pure un discorso che fila, ma bisogna essere sinceri: si tratta di una giustificazione per circumnavigare il problema della non completa accettazione di sé.
Personalmente, sono una perfezionista e se non faccio le cose come dico io, inevitabilmente mi sento fallita. Mi capita nel lavoro, mi capita nel disegno (sono capace di distruggere le mie creazioni in 2 minuti se non mi piacciono), mi capita nella vita. Le ansie, le preoccupazioni, quei chili sull'anima derivano necessariamente da eventi che si sono stratificati, che magari non sono stati affrontati a tempo debito e che stanno lì, a pesare.
Mi riferisco a frasi, atteggiamenti, parole che mi hanno buttata giù, che mi hanno fatto perdere fiducia in me stessa, che mi hanno creato grossi problemi di autostima. Però devo dire una cosa in mio favore: mi piace sbagliare, non per il gusto di farlo (non sono una pazza), ma perché voglio imparare dai miei errori. Sbagliare non è una parolaccia, bensì il primo passo per migliorarsi.
Nella situazione di stallo, perciò, non ci si può crogiolare per tutta la vita perché quest'ultima è stata ingiusta. Bisogna prendere il coraggio e andare incontro a quel che ci ha tenuti bloccati. Io anche, come Francesca e come tutte le persone al mondo, riuscirò. Magari non subito, ma gradualmente. Una muta è necessaria... e forse non una sola, ma tante, facendolo in primis per se stessi, per volersi bene, per vivere, cambiare e migliorare. Non per il mondo esterno, si intende.
Questo è stato solo il primo passo per provare a prendere coscienza. La strada è in salita, ma non è impossibile. Nulla lo è se c'è forza di volontà. Io lo so bene, dopo le mille battaglie che ho dovuto affrontare, senza poter accantonare le mie due "sciabole" (sono ambidestra, combatto con entrambe le mani e su questo non si discute, in perfetto stile fantasy!). Ed è pur vero che un conto è dirlo a parole e un conto sono i fatti, ma a un certo punto si dovrà pur iniziare!
Poco tempo fa, una persona mi ha detto: «Se stai a pensare a chi ti ha realmente fatto del male, non andrai avanti. Ti porterai quel peso dietro e non riuscirai a liberartene. Tutti hanno ricevuto del male, ma bisogna scrollarselo di dosso e proseguire». Giusto. Si parlava di ambito professionale, ma è la stessa cosa. Allora ho annuito, non troppo convinta. Adesso invece posso dire di sì, permettendomi un lieve sorriso.


Termino con qualche pensiero tratto dalle pagine del libro di Francesca Sanzo, che logicamente consiglio a tutti, perché ognuno ha bisogno di riflettere seriamente ogni tanto.

«Cambiare costa fatica. E non mi riferisco al cambiare stile di vita, non è quella la fatica maggiore che deve fare una persona che ha un rapporto disfunzionale con il cibo. Cambiare costa fatica perché ci mette di fronte alle nostre paure e la paura tace solo nell'immobilità e nelle certezze».

«Smettere di giustificarmi è stato il più profondo atto d'amore che ho regalato a me stessa: prima o poi bisogna cominciare ad affrontare la paura e gli spettri, quelli del presente e quelli del passato».


«Il cambiamento ha bisogno di stanze tutte per sé: è impossibile metabolizzare periodi in cui decidi di superare i tuoi limiti se non ti ricavi uno spazio esistenziale di concentrazione, di amor proprio».

«Ho sempre temuto di non piacere, di non essere abbastanza simpatica, di non far divertire, di essere troppo sboccata, di non aver organizzato la gita perfetta, di non essere abbastanza di compagnia, di non ascoltare [...]. Ho scambiato per generosità atteggiamenti che erano solo frutto della mia insicurezza: volevo piacere e in questa ansia di non deludere nessuno, non guardavo davvero chi avevo di fronte, non calibravo le mie energie, non chiedevo mai niente in cambio (anche se in realtà stavo chiedendo fiducia assoluta)».

«Tanto sbagliano tutti. E ora so che gli sbagli non sono altro che il modo in cui imparo le cose».


«Ho cercato per anni approvazione e ho sempre improntato le mie giornate, la mia vita, alla ricerca del consenso. L'ho fatto attraverso ciò che pubblicavo online, l'ho fatto sul lavoro e con gli amici e i familiari».

«Sono una persona poco equilibrata che tende all'equilibrio, una persona depressa che tende alla felicità e una persona felice che tende alla depressione. Sono così. Non è una tragedia».
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