book

mercoledì 29 novembre 2023

Recensione di "Cambiare l'acqua ai fiori" di Valérie Perrin

Buonasera, amici lettori! Bentornati tra le pagine virtuali del mio blog!

Orario piuttosto insolito per scrivere un post. Solitamente sto ancora studiando (non si finisce mai), ma sono stata letteralmente rapita dal romanzo di cui vi parlerò. Quale? "Cambiare l'acqua ai fiori" di Valérie Perrin.


Trama: Violette Toussaint è guardiana di un cimitero di una cittadina della Borgogna. Ricorda un po’ Renée, la protagonista dell’Eleganza del riccio, perché come lei nasconde dietro un’apparenza sciatta una grande personalità e una storia piena di misteri. Durante le visite ai loro cari, tante persone vengono a trovare nella sua casetta questa bella donna, solare, dal cuore grande, che ha sempre una parola gentile per tutti, è sempre pronta a offrire un caffè caldo o un cordiale.
Un giorno un poliziotto arrivato da Marsiglia si presenta con una strana richiesta: sua madre, recentemente scomparsa, ha espresso la volontà di essere sepolta in quel lontano paesino nella tomba di uno sconosciuto signore del posto. Da quel momento le cose prendono una piega inattesa, emergono legami fino allora taciuti tra vivi e morti e certe anime che parevano nere si rivelano luminose.

Eh sì, ultimamente ho letto ben due libri che trattano di cimiteri, ma è stato solamente un caso. Avevo sentito parlare di questo romanzo, un caso editoriale. Personalmente non mi sbilancio mai così tanto, ma devo ammettere che l'autrice è riuscita a tenere il filo di vari personaggi, ognuno con una propria complessa personalità, ognuno con un duro passato alle spalle e ognuno dei quali è cambiato con il tempo, subendo una vera e propria metamorfosi.

Violette è la protagonista, la guardiana del cimitero di Brancion, un camposanto estremamente vivo, colorato dalle mille corolle dei fiori e curato. Un cimitero che mi sono immaginata piccolo e ordinato, con le sue tombe terragne, le lapidi in marmo bianco e le più antiche in pietra con foto in bianco e nero.

Sarà forse azzardato avanzare un paragone ma è proprio quel luogo che riflette Violette: il cimitero appare nell'immaginario comune come un posto vuoto, desolato, dimora della morte, eppure fiori e colori sorgono al suo interno, talvolta nascosti. Fiori che dimostrano che anche da un luogo cupo può nascere la vita.

L'esistenza di Violette è stata indubbiamente disgraziata: abbandonata alla nascita, non ha mai avuto una famiglia. In cerca perenne di affetto, da ragazzina è stata sedotta da Philippe Toussaint e messa incinta. Così comincia la sua condanna, rasserenata solo dalla nascita di Léonine, una meravigliosa bimba. A Violette tocca lavorare perché Philippe, figlio nullafacente di una ricca coppia di ex impiegati statali, delega tutto a lei. Philippe si limita a giocare al Nintendo, a fare giri in moto e a tradirla con mille altre donne delle quali non conosce nomi, né ricorda i volti. La quotidianità di Violette ruota intorno al passaggio a livello, di cui deve abbassare manualmente la sbarra, e alla piccola Léo, che cresce allegra e dolcissima.

Eppure, Violette non ha ancora smesso di soffrire. La morte inaspettata della figlia, scomparsa a causa di un incendio all'interno di un castello in cui i nonni l'avevano inviata in vacanza, è un macigno che pesa sullo stomaco. Nulla ha più senso. I colori si spengono ed è tutto completamente dolore. Anche il marito, sempre assente, sembra quasi riscuotersi. Era lui il padre di Léonine, una figlia che non ha mai considerato perché avrebbe voluto un maschio, una figlia di cui conosceva molto poco. Entrambi, separati sentimentalmente da sempre, vengono accomunati dal dolore e dalla ricerca spasmodica della verità che, infine, sarà devastante.

Violette riesce a riemergere dal buio solo grazie a Sasha, il guardiano del cimitero in cui è sepolta sua figlia. Sasha vive lì, in una casetta che profuma di tè e spezie, biscotti e miele; una piccola struttura intonacata con un giardinetto e un orto rigogliosi. Anche Sasha nasconde una dolorosa storia, ma forse è proprio grazie alla condivisione del dolore che Violette si fiderà di quest'uomo, fino a farsi curare le ferite, facendo sì che, una volta in pensione, Sasha voglia lasciare il proprio incarico alla donna.


I giorni di Violette si susseguono in quel camposanto, dove impara a conoscere i becchini, i necrofori, i gatti e la cagnolina, le piantine, i visitatori. Non può sapere che tra questi ultimi c'è anche la mamma di Julien, Irène Fayolle, con la quale scambia alcune parole e dei fiori per la tomba dell'uomo che andava sempre a trovare, Gabriel Prudent, l'amante. Una storia contorta, passionale, piena di sensi di colpa quella di Irène e Gabriel che si sono ritrovati liberi di vivere il loro amore solo dopo la morte. E Julien, in possesso del diario di Irène, cerca la signora del cimitero, Violette, trovandola e facendo sì che i fiori nell'animo della donna tornino ad aprire le corolle, illuminando di colori quella vita aspra che tanto dolore le aveva provocato.

Mi risulta complesso aggiungere oltre senza rivelare dettagli di questa storia intrecciata, appassionante, devastante, a tratti amara e al contempo dolcissima, dai toni delicati ottenibili solo grazie al sapiente uso degli acquerelli.

Mi soffermerò sull'evento che scuote il lettore e i protagonisti: la morte della bambina, Léonine. Un piccolo angelo venuto a mancare troppo presto e con modalità ignote, apparentemente a causa di un incendio, insieme alle sue amichette. Quattro corpicini carbonizzati nella stanza di un vecchio castello.

Se per Violette la morte di Léo costituisce un baratro da cui riesce ad emergere solo grazie alle pazienti cure di un sapiente guardiano del cimitero, per Philippe è una presa di coscienza. Philippe Toussaint, un uomo spregevole, cerca la verità, deve capire perché quella giovane vita è stata spezzata e da chi. Soprattutto da chi... cerca vendetta, ma non l'avrà, non potrà averla. In questo percorso, Philippe capisce di aver sbagliato ogni cosa, facendosi trasportare dall'indolenza, dagli agi che la sua famiglia mai gli aveva fatto mancare, dalle cose futili, senza amare veramente. Che vita ha vissuto Philippe Touissant? Quale merito ha avuto? La sola cosa bella che era riuscito a fare non era una "cosa", ma sua figlia e l'aveva perduta perché - nella sua mente di padre - non era riuscito a proteggerla, a prendersi cura di lei.
Mette quindi una pietra sul passato e ricomincia una vita diversa, quella che aveva sempre desiderato e che non era riuscito ad avere. Lavora persino, finché il peso delle sue malefatte e quello della triste verità lo schiacceranno.
Una morte, quella di Léonine, che corrisponde quasi al trillo di una campana: fa riscuotere i cuori, fa cambiare entrambi i suoi genitori che, in modo diverso, cercano di "risorgere" da quelle ceneri lasciate indietro.


Il romanzo è piuttosto lungo, 94 capitoli, ma non ve ne accorgerete perché la scrittura è fluida, il ritmo incalzante e, al contempo, delicato come pennellate sulla carta. Un bellissimo libro di cui, non nego, mi piacerebbe una trasposizione cinematografica che rispetti la trama, senza stravolgerla.

Vi auguro una buona serata e vi aspetto qui con la prossima recensione!

«Succede sempre così con la morte: più è antica e meno presa ha sui vivi. Il tempo distrugge la vita. Il tempo distrugge la morte».

«Essendosi spenta la vita principale il vulcano era morto, ma sentivo crescere dentro di me ramificazioni e controviali, sentivo quel che seminavo. Mi inseminavo. Eppure la terra desertica di cui ero fatta era molto più povera di quella dell'orto del cimitero, ero una pietraia. Ma un filo d'erba può crescere ovunque, e io ero fatta di quell'ovunque. Sì, una radice può attecchiare anche nel catrame, basta una microfessura per far penetrare la vita all'interno dell'impossibile. Un po' di pioggia, un po' di sole, e spuntano germogli venuti da chissà dove, forse portati dal vento. Il giorno in cui mi sono chinata a raccogliere i pomodori che avevo piantato sei mesi prima Léonine ricopriva da un pezzo l'orto con la sua presenza, come se avesse portato il Mediterraneo fino al giardino del cimitero in cui era sepolta. Quel giorno ho capito che era all'interno di ogni miracolo che la terra produceva».

«Ogni tomba è una pattumiera. Si sotterrano i resti, le anime sono altrove».

«Finché, come i gatti del cimitero, anche il sole è entrato in camera mia, si è infilato sotto le lenzuola. Ho aperto le tende, poi le finestre. Sono scesa in cucina, ho messo a bollire l'acqua per il tè e fatto prendere aria alla stanza. Mi sono ridedicata al giardino, ho ricominciato a cambiare l'acqua ai fiori, ho di nuovo ricevuto le famiglie e offerto loro qualcosa di caldo o di forte da bere».

venerdì 17 novembre 2023

Recensione di "La verità è che non gli piaci abbastanza" di Greg Behrendt e Liz Tuccillo

Buongiorno amici e bentornati sul mio blog! Sono veramente contenta di riscontrare un interesse nelle mie recensioni. Mi scrivete e vi ringrazio tanto! Mi scuso solo con chi non riesco ad accontentare: ho molti libri in lista da leggere, sia consigliati, che regalati, oppure scelti da me stessa e dovrei avere il triplo del tempo libero per poter fare tutto.

Oggi vi parlo del libro di Greg Behrendt e di Liz Tuccillo, "La verità è che non gli piaci abbastanza". Ebbene sì, l'ho finalmente letto anche io!


Trama: Se lui non ti chiama, se lui non ti sposa, se lui non ti dice mai "ti amo", non farti illusioni... Se un uomo ti vuole, te lo fa capire. Se non ti vuole invece, cerca di svignarsela, si nasconde dietro mille scuse e magari è capace addirittura di dare la colpa a te! E se non ci pensa lui a giustificarsi, ci pensi tu, arrovellandoti, ossessionando le amiche, sprecando lacrime e sonno: «Forse non vuole rovinare la nostra amicizia», «Non è colpa sua, ma della sua famiglia», «È troppo preso dal lavoro», «Ha paura di soffrire ancora». Basta con le paranoie! Questo libro ti insegnerà a riconoscere le giustificazioni vere da quelle false e ti aiuterà a non perdere altro tempo con inutili illusioni. Un libro senza mezzi termini, divertente, ironico, acuto e di una franchezza salutare.

Quante volte abbiamo visto il film omonimo del 2009, tratto dal libro, in cui la protagonista Gigi incontra solo casi umani, innamorandosi e venendo puntualmente lasciata con l'amaro in bocca? Finché Gigi conosce Alex, il proprietario di un bar, che inizia a darle consigli riguardo il suo comportamento nei confronti degli uomini. Gigi, drasticamente romantica, si innamora anche di Alex che, in un primo momento la rifiuta, cinico com'è... poi torna da lei, letteralmente cotto. Se a un uomo piaci davvero, è lui a farsi avanti, questa la regola di fondo che unisce un po' tutti gli altri episodi che ruotano intorno a quello principale. Una regola che, in realtà, alle donne contemporanee (per fortuna) non piace affatto. Chi l'ha detto che la donna debba essere per forza l'oggetto di conquista dell'uomo? Perché è l'uomo a dover dirigere le danze? E se lui non si decidesse mai?
Gli uomini, d'altronde, funzionano in modo molto più semplice delle donne: se a loro interessa qualcosa, faranno di tutto pur di ottenerla; se non gli interessa, ignorano, spariscono, puff!


Il libro è strutturato come un manuale, diviso in capitoli a seconda del tipo di uomo: se non ti chiede di uscire, non gli piaci abbastanza; se non ti chiama, non gli piaci abbastanza; se non ti dice che state insieme, non gli piaci abbastanza; se non fa sesso con te, non gli piaci abbastanza; se fa sesso con un'altra, non gli piaci abbastanza; se vuole vederti solo quando è ubriaco, non gli piaci abbastanza; se non vuole sposarti, non gli piaci abbastanza; se ti lascia, non gli piaci abbastanza; se sparisce, non gli piaci abbastanza; se è sposato, non gli piaci abbastanza (e altre disdicevoli variazioni sul tema dell'uomo impegnato); se è uno stronzo egoista, un dittatore o un vero e proprio mostro, non gli piaci abbastanza; storie che non dovreste ascoltare; botta e risposta di Greg.

Greg, nel libro, è Alex del film. Lui è l'uomo che dà consigli alle lettrici, che sa come si comportano gli altri e tenta, talvolta disperatamente, rispondendo alle varie lettere, di aprire gli occhi alle donne che chiedono il suo aiuto.
Le scuse più quotate? In questo momento è impegnato, è un momentaccio, non se la sente di, è rimasto traumatizzato da una storia precedente, ha paura di una storia seria. Greg insiste: se a un uomo piaci davvero, non sentirai scuse. Vorrà stare con te. Non vedrà le altre, non avrà impegni troppo importanti, né traumi pregressi e non sarà nemmeno troppo sposato perché lascerà la moglie se con quest'ultima non funziona. L'uomo vive un po' come un interruttore: ON/OFF, non c'è una via di mezzo.
Le vie di mezzo se le creano le donne per giustificarli e per convincersi che esista ancora una possibilità, mentre gli uomini si ritrovano con il piede non su due, ma su dieci staffe.
E se Greg appare ragionevole, se leggendo il libro (con tanto di esercizi finali e riassunto su cosa una donna dovrebbe aver imparato dal quel capitolo) sembrerebbe tutto chiaro e ci verrebbe voglia di rimanere single a vita per non incappare in tutte le categorie di uomini descritte, Liz invece è la voce della donna, che con la sua elevata sensibilità, non riesce a vedere il mondo bianco o nero, ma a colori e le sfumature corrispondono a tutte le più disparate giustificazioni dovute alle altrettanto disparate situazioni che una persona può trovarsi a vivere, donna o uomo che sia.


"La verità è che non gli piaci abbastanza" è un libro ironico, a volte un po' ripetitivo a dire il vero, ma anche istruttivo per certi versi, però si sa, donne e uomini non cambieranno mai. L'importante è, comunque, non farsi prendere in giro, non perdere troppo tempo dietro a una persona che realmente non tiene a te, che non fa nulla per far mandare avanti un rapporto, che sia di amicizia o di amore.

Buona giornata e vi aspetto con il prossimo libro!

mercoledì 1 novembre 2023

Recensione di "Malinverno" di Domenico Dara

Buongiorno, amici lettori! Siamo ormai entrati in pieno autunno, l'aria inizia a rinfrescare e le foglie a cambiare colore, creando manti arancioni e gialli lungo le strade. E' il tempo del golf, della copertina sulle gambe la sera e di un buon té.

Dove vi porto oggi? A Timpamara, un posto immaginario, ma estremamente reale, dove vive Astolfo Malinverno, bibliotecario e custode del cimitero. Strano abbinamento, no? Eppure tutto ha un perché...


Trama: Ci sono paesi in cui i libri sono nell’aria, le parole dei romanzi e delle poesie appartengono a tutti e i nomi dei nuovi nati suggeriscono sogni e promesse. Timpamara è un paese così da quando, tanti anni fa, vi si è installata la più antica cartiera della regione, a cui si è aggiunto poco dopo il maceratoio. E di Timpamara Astolfo Malinverno è il bibliotecario: oltre ai normali impegni del suo ruolo, di tanto in tanto passa dal macero per recuperare i libri che possono tornare in circolazione. Finché un giorno il messo comunale gli annuncia un nuovo impiego: il pomeriggio continuerà a occuparsi della biblioteca, ma la mattina sarà il guardiano del cimitero.
Lettore dalla vivida immaginazione, Astolfo mescola le storie dei romanzi – per i quali inventa nuovi finali – con quelle dei compaesani, dei forestieri, dei lettori della biblioteca e dei visitatori del cimitero, dei vivi e degli estinti. A incuriosirlo è soprattutto una lapide senza nome e senza date: solo una fotografia, una donna dallo sguardo candido e franco, i capelli divisi in due bande liscissime e l’incarnato pallido. Per lui è da subito la sua Madame Bovary, la sua Emma. Attratto dal mistero racchiuso in quel volto, Astolfo si trova a seguire il filo che sembra dipanarsi dalla fotografia: tra i viottoli e le campagne di Timpamara, complice l’apparizione di una giovane sconosciuta nerovestita, prende forma a poco a poco una storia che mai Astolfo avrebbe saputo immaginare.
Domenico Dara unisce il talento dei narratori orali a una scrittura sospesa nel tempo: Malinverno è un romanzo pieno d’incanto sui libri, sul potere delle storie, dell’immaginazione, dell’amore.

Astolfo Malinverno è un personaggio un po' particolare: fa il bibliotecario e ha una gamba più corta dell'altra, caratteristica questa che lo ha sempre fatto sentire difettoso. E' innamorato dei libri, delle storie, ed essendo un lettore, ha una fervida fantasia.
Vive a Timpamara, un paesetto che, nella mia mente, ha sempre avuto l'aspetto di uno dei piccoli centri rocciosi interni alle nostre regioni. E a Timpamara tutto ruota intorno ai libri, anzi, al loro ultimo viaggio: qui infatti c'è il macero, con mucchi di volumi accatastati e fogli volanti lungo le vie della città, ma anche i nomi degli abitanti derivano da quello di personaggi letterari. Astolfo, con la sua biblioteca, rianima in qualche modo i libri, dà loro una seconda opportunità. Un giorno, però, il pensionamento del custode cimiteriale induce il sindaco ad affidare ad Astolfo Malinverno quell'incarico rimasto scoperto.

Foto di Wälz da Pixabay

Astolfo si ritrova quindi ad aprire il cimitero dalla mattina fino al pomeriggio, per poi andare in biblioteca. Tutti i suoi giorni si svolgono così. Quello che sembrava, però, un incarico macabro e anche un po' triste, si rivela diverso. Astolfo, con la sua grande fantasia, riesce ad attribuire storie alle persone che si recano in visita al cimitero, facendo sì che letteratura e realtà si incontrino. E poi c'è lei, quella bellissima donna la cui lapide è totalmente vuota: non c'è nome, non c'è data di nascita, né di morte. Ogni tanto qualcuno le porta dei fiori, i cardi. Scelta particolare... il cardo è un fiore spinoso, che nasce in luoghi selvatici e aridi. Chi sarà quella fanciulla? Astolfo, che sta leggendo Madame Bovary, la chiama Emma, proprio come la protagonista del romanzo di Flaubert, e immagina una storia anche per lei che, apparentemente, non ha un passato, provando un sentimento crescente, quasi reale.

Finché un giorno, proprio come in un romanzo, Emma sembra comparire davanti a lui, emergendo dalla sua fantasia. Chi è quella misteriosa donna avvolta in un abito nero e dallo sguardo così malinconico? Possibile che Emma sia viva e abbia inscenato la propria morte?
Malinverno, un po' detective e un po' uomo di un romanticismo dal sapore ottocentesco, scoprirà la vera, triste storia di Emma, prendendosi cura di quella donna sola e ammantata di nero di nome Ofelia, cui ha consacrato il proprio cuore. E con la sua grande sensibilità condurrà egregiamente il lavoro di custode cimiteriale, senza aver paura della morte, ma quasi accompagnando quelle anime perdute, così come i libri vecchi destinati al macero, cui darà (ebbene sì) degna sepoltura.


Questa lettura si è collocata a cavallo tra Halloween e il 2 novembre, giorno della commemorazione dei defunti, e la definirei quasi tematica per l'atmosfera che avvolge l'intero racconto. La copertina mi ha subito ricordato il film di Tim Burton, "La sposa cadavere", anche se "Malinverno" tocca tasti totalmente diversi.

Domenico Dara ha creato un personaggio che suscita tenerezza ed è estremamente empatico. Proprio grazie alla sua elevata sensibilità, Astolfo è in grado di percepire lo stato d'animo di coloro che incontra al cimitero e che ruotano intorno ad esso. Si prende cura di tutti, dal cane nero che accompagna i defunti in chiesa, ad Emma senza una storia, ad Elea il risorto, a Caramante con le sue registrazioni, e ad Ofelia... un nome che non dimenticherà mai.

La scrittura è scorrevole, gli intrecci suscitano curiosità spingendo il lettore ad andare avanti, a conoscere meglio Timpamara, i suoi abitanti e soprattutto il mistero che avvolge la tomba di Emma. Il tutto è immerso in quest'aura malinconica, a tratti dolcissima e riflessiva.
Decisamente un bel libro "che parla di libri", di sentimenti e molto altro: consigliato.

Vi lascio con qualche frase tratta da "Malinverno" e vi aspetto con la prossima recensione!


«Perché non nasciamo il giorno in cui vediamo la luce, nell’attimo in cui braccia sconosciute ci trascinano nell’infinito e indecifrabile corso della storia, ma molto prima, quando il pensiero di noi si è insinuato nella mente ancora libera di uomini e donne, quando il nome d’un essere inesistente appare nell’orizzonte sfumato d’una vita possibile».

«[…] perché chi ama, appena scopre nell’altro un cedimento o una manchevolezza, non ha altro scopo che apparare e livellare, che forse a questo serve l’amore, a sentirci necessari, a essere lo stucco sulle incrinature dei vetri, la toppa sugli strappi dei tessuti, il punto tra le pelli lacerate».

«[…] questi amori impossibili che si sfioravano senza mai incontrarsi, che sbagliavano luoghi, che mancavano tempi, e adesso era come se avessi la possibilità anche solo per un momento - e certo per un'illusione - di far coincidere spazi e attimi, come se un finale diverso potesse essere un buon auspicio per la mia storia».

«[…] l’amore eterno non è quello condiviso dei baci, degli abbracci, delle carezze, ma quello solitario e inviolabile degli sguardi, dei sogni, delle immaginazioni».

«”Questi li ho conservati per te”, aveva detto indicando un piccolo scaffale di ferro. “Prendi il romanzo che vuoi e portatelo a casa, e quando finisci di leggerlo vieni a prenderne un altro, e poi un altro ancora, farò in modo che non finiscano mai. Uno alla volta, così sono sicuro che tornerai da me.”
Fu una dichiarazione d’amore che a Catena parve dettata da uno scrittore. Quel giorno portò con sé le Tragedie di Shakespeare, zoppe degli ultimi due atti del Troilo e Cressida. Dopo quattordici libri, Vito chiese ai miei nonni la mano di Catena. Dopo ventisette libri si amarono per la prima volta, di notte, sotto una luna piena e sopra un letto di volumi scaricati quel pomeriggio e provenienti da una biblioteca di testi classici, si amarono per la prima volta sopra le opere complete di Seneca, mentre il collo di lei poggiava sul Simposio di Platone e le sue mani nei momenti di piacere stringevano le Odi di Catullo e la Cynthia di Properzio. Dopo quarantadue libri si sposarono».

«Gli amori veri, credevo, potevano solo essere scritti, o anche sognati, che era un po’ la stessa cosa, e dovevano restare così, intatti come reliquie dentro le teche, come l’amore di Chisciotte per Dulcinea, quello di Werther o di Ortius, come il mio per Emma».

Foto di StockSnap da Pixabay

«Niente che è esistito anche solo un attimo scompare mai completamente, nemmeno i pensieri, nemmeno le preghiere, nemmeno i sogni».

«”Noi siamo più di quello che ricordiamo”. Spesso le cose importanti che ci sono accadute non sono quei ricordi ma il filo sottile che li lega, ciò che avevamo solo intravisto, la carta velina tra una pagina e l’altra che non serve solo a proteggere le foto, dividendole, ma a mascherarle, a farne ogni volta scoperta».

«Perché è questo uno dei grandi paradossi dell’uomo: il senso alla vita viene dato dalla morte. È da lì che nascono il rimpianto, il senso del tempo, la nostalgia, la tristezza, la bellezza di alcuni sguardi, la dolce malinconia di certe carezze, i gesti d’amore che portano il peso inconsapevole della perdita perché quando si bacia qualcuno perché davvero si vuole baciarlo, dentro di noi temiamo che quella cosa potrebbe non più essere, e per questo è bello farlo, perché potrebbe scomparire, potremmo non più baciare, non più accarezzare, e sono queste le gioie che rimangono, le tristezze che nutrono».

«Quando non abbiamo le persone che amiamo ce le inventiamo. Ma tutto, nella vita, funziona così. C’inventiamo sempre ciò che ci manca».

«Perché se il destino dei libri è morire come esseri viventi, anche gli uomini, quando smettono di respirare, non diventano che storie».
sito