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lunedì 18 settembre 2023

Recensione di "Come un romanzo" di Daniel Pennac

Buonasera amici, torno su questo blog sempre più spesso ed è un bene. Finalmente, almeno in questo periodo, riesco a coltivare la mia passione per la lettura e la scrittura. Ed è proprio di un libro che parla di lettura e scrittura che voglio parlarvi. Si tratta di "Come un romanzo" di Daniel Pennac. Lo conoscete?


Trama: «Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere.»
È proprio attraverso l'analisi del comportamento, di come giorno dopo giorno interagiamo con l'oggetto libro e i suoi contenuti, che Pennac riesce a dimostrare alcune storture dell'educazione non solo scolastica, ma anche familiare. Laddove, normalmente, la lettura viene presentata come dovere, Pennac la pone invece come diritto e di tali diritti arriva a offrire il decalogo. Piena libertà dunque nell'approccio individuale alla lettura perché «le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere».

Ho acquistato questo libro nella libreria della località in cui sono andata in vacanza, esattamente come "Il caffè alla fine del mondo". L'ho aperto e ho capito che sarebbe stata la mia prossima lettura perché sono rimasta a scorrere diverse righe prima di accorgermi che non avrei potuto terminarlo in libreria prima di averlo pagato.

Ovviamente non si tratta di un romanzo, ma piuttosto di un saggio riflessivo sulla lettura. Da quando iniziamo a leggere? Perché lo facciamo? Perché si legge sempre meno? Colpa della TV? Daniel Pennac ripercorre i primi momenti di un bambino, quando sono i genitori a leggergli le favole prima di andare a dormire. La lettura diventa quasi un rito irrinunciabile. Con il trascorrere del tempo, le cose cambiano.


Il bambino cresce, può leggere da solo, i genitori si allontanano ed è in questo momento che inizia il declino: quel rito piacevole, ora è diventato un momento di solitudine. A volte sono gli stessi genitori a sbagliare: non ti faccio vedere la TV, se non leggi. Quindi il premio non è la lettura, bensì la TV. Il libro si configura, quindi, come un oggetto negativo, inconsapevolmente.

E poi c'è la scuola che, a volte, con l'obiettivo di far amare la lettura ai ragazzi, in realtà finisce per fargliela odiare. Come? Imponendo letture di libri, soprattutto classici, durante le vacanze. Cosa accade dunque? All'epoca in cui Pennac scrisse il libro, i ragazzi copiavano dai compagni più bravi, senza aver imparato nulla; oggi, invece, riassunti, recensioni, analisi dei testi sono tutti a disposizione sul web. Non c'è più bisogno di leggere un libro "imposto" per sapere di cosa parli. Ma è proprio qui il punto: non è l'imposizione che si dovrebbe seguire. I ragazzi dovrebbero essere incuriositi dalla lettura, dai romanzi, dalle storie in essi narrati. Lì sta la bravura del docente: i ragazzi vanno coinvolti, bisogna far sì che non possano fare a meno di leggere un libro perché vogliono saperne di più. Il libro si trasforma, così, da oggetto "pesante" e quasi "di tortura", a un oggetto indispensabile.

Foto di WOKANDAPIX da Pixabay

Alla fine di tutte queste riflessioni, in cui non manca qualche nota ironica, Pennac inserisce il decalogo dei diritti del lettore: quello di non leggere, di saltare le pagine, di non finire un libro, di rileggere, di leggere qualsiasi cosa, il diritto al bovarismo, di leggere ovunque, di spizzicare, di leggere a voce alta e, infine, il diritto di tacere.

Un lettore che si rispetti può non aver voglia di leggere; può saltare le pagine se le trova troppo noiose, senza per questo considerare noioso l'intero libro; può lasciare un libro a metà perché la storia non lo ha ispirato particolarmente; può rileggere un libro per capirne di più, o perché lo ha davvero amato; può leggere qualsiasi cosa, dai romanzi rosa ai gialli, fino ai saggi; può lasciarsi travolgere e ricordare per sempre le prime emozioni da lettore; può leggere dappertutto, sui mezzi pubblici, in camera da letto, persino al bagno; può "spizzicare", ovvero leggere pezzetti di testo di un determinato libro, lasciandolo poi per "spizzicarne" un altro; può leggere a voce alta per conferire più sentimento alle parole e per dare vita a quella storia fuori dalle pagine scritte; può infine tacere, non voler parlare della propria lettura, perché vuole assimilarla, tenerla per sé, custodirla.

Ecco, perciò, che Daniel Pennac riesce a farci osservare "la lettura" da punti di vista differenti, a farci riflettere sui meccanismi negativi e positivi che si generano da quelle che noi consideriamo come azioni normali perché radicate nella società. Amare la lettura è impossibile al giorno d'oggi? No, nulla è impossibile se ci sono lettori innamorati e scrittori desiderosi di essere letti.

Vi lascio con alcuni piccoli estratti e vi aspetto alla prossima recensione!


«Se dovessimo tener conto delle letture importanti che dobbiamo alla Scuola, ai Critici, a tutte le forme di pubblicità e, viceversa, di quelle che dobbiamo all'amico, all'amante, al compagno di scuola, vuoi anche alla famiglia - quando non mette i libri nello scaffale dell'educazione - il risultato sarebbe chiaro: quel che abbiamo letto di più bello lo dobbiamo quasi sempre a una persona cara. Ed è a una persona cara che ne parleremo. Forse proprio perché la peculiarità del sentimento, come del desiderio di leggere, è il fatto di preferire. Amare vuol dire, in ultima analisi, far dono delle nostre preferenze a coloro che preferiamo. [...] Quando una persona cara ci dà un libro da leggere, la prima cosa che facciamo è cercarla fra le righe, cercare i suoi gusti, i motivi che l'hanno spinta a piazzarci quel libro in mano, i segni di una fraternità».



«Il tempo per leggere è sempre tempo rubato. (Come il tempo per scrivere, d'altronde, o il tempo per amare.) Rubato a cosa? Diciamo, al dovere di vivere. [...] Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere».

«L'uomo costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale».

domenica 26 settembre 2021

Recensione di "Il momento giusto" di Danielle Steel

Buona domenica, amici! Siamo entrati nella stagione autunnale e io proseguirò ad avere nostalgia del caldo estivo. Sono un'inguaribile romantica, innamorata dei tramonti infuocati sul mare, delle letture in spiaggia, del sole sulla pelle, dell'abbronzatura dorata.
Per qualche minuto, quindi, vi riporto indietro di circa un mese, ad agosto, quando ho terminato la lettura di "Il momento giusto" di Danielle Steel.



Trama: Abbandonata dalla madre quando aveva appena sette anni, Alexandre Winslow cresce con l'adorato padre Eric, che infonde in lei un grandissimo amore per la lettura. Le sere passate a leggere insieme libri gialli portano Alex a cimentarsi nella scrittura, ed è già dai primi racconti che la ragazza dimostra di avere un talento innato. Eric, il suo primo sostenitore, la incoraggia a seguire la sua dote, mettendola però in guardia: pochi crederebbero che una giovane donna possa essere l'autrice di storie tanto terrificanti, e molti uomini ne sarebbero invidiosi. Per questo, se in futuro vorrà continuare a scrivere, le suggerisce di usare uno pseudonimo maschile. Nel tempo, Alex non abbandona mai la sua passione, e anche il dolore per la morte del padre trova sfogo sul foglio di carta. La ragazza scrive in ogni momento libero, dando vita a trame, temi e personaggi che popolano la sua mente. Così, a metà college finisce il suo primo romanzo, che incontra subito l'interesse di un editore. Ricordando il monito del padre, la ragazza sceglie di pubblicare sotto lo pseudonimo di Alexander Green, e il suo libro diventa subito un bestseller. Ma la fama attira anche le invidie di molti, e ogni uomo che Alex prova a fare entrare nella sua vita si rivela essere geloso del successo di Alexander. Troverà mai qualcuno a cui poter confidare la sua vera identità? La persona giusta arriverà al momento giusto, e sarà nel più inaspettato dei modi.

C'è un momento giusto per ogni cosa: per i propri sogni, per innamorarsi, per crescere. Questo Alex non lo sa ancora quando viene abbandonata dalla madre scapestrata e quando suo padre muore lasciandola sola al mondo. A farle compagnia c'erano unicamente i libri gialli che leggeva con il papà e la passione irrefrenabile per la scrittura. La vita ha in serbo per lei tante sorprese e un grande successo. Quella giovane ragazzina sfortunata, grazie a un avvocato e a un gruppo di suore, riuscirà a coronare il proprio sogno diventando un'affermata scrittrice di thriller.
La strada è soddisfacente, ma costellata di insidie, soprattutto a livello sentimentale. Gli uomini che Alex conosce sono invidiosi e soffrono di sindromi di inferiorità, lasciandola ogni volta ferita. La scrittura è la sua unica ragione di vita e, proprio quando non se lo aspettava, ecco giungere l'uomo giusto, quello capace di riattivare il cuore e rendere tutto più bello.


Danielle Steel "gioca" in casa: la protagonista vuole essere una scrittrice e ci riuscirà nonostante tutto; l'autrice, con ogni probabilità, inserisce elementi tratti dall'esperienza personale. Quello della scrittura è un mondo ambizioso, fatto di pregiudizi (le donne sono meno brave degli uomini a scrivere gialli) e di apparenze (ne è dimostrazione lo pseudonimo maschile adottato da Alex), però terribilmente affascinante.
Attraverso l'inchiostro prendono vita personaggi, storie, sentimenti che esistono solo nella mente dell'autore, condivisi poi con ogni lettore.
"Il momento giusto" è un romanzo dedicato a chi ha un sogno e farebbe di tutto pur di realizzarlo; a chi non si arrende mai, a chi spera sempre che domani sarà un giorno migliore.

lunedì 27 luglio 2015

Scrittura creativa e archeologia sono conciliabili?

Cari lettori, chiunque voi siate, mi fa sempre piacere notare il numero di visualizzazioni, così come suscita un pizzico di felicità leggere su Amazon che ogni mese ci sono altri di voi pronti a darmi fiducia entrando nel mondo di Sàkomar.
Questo mese sono stata finalmente occupata con una collaborazione, seppur a tempo determinato, inerente il mio campo, quello archeologico, che spero vivamente possa essere l'inizio di un futuro anche per me.
Le mie indagini e i miei studi non si sono mai fermati, anzi proseguono e acquistano nuovo vigore ad ogni tassello di ricostruzione che viene assemblato nel grande puzzle della storia dell'umanità. Il bello dell'archeologia è proprio questo. Ho numerosi approfondimenti in atto, collaborazioni con colleghi e una tesi di dottorato sulla quale sto veramente spendendo molto del mio tempo perché si tratta di una ricerca in cui credo e che amo.
Quest'oggi però voglio affrontare un discorso che per troppo tempo ho evitato, pensando che al mondo le persone siano pensanti e ragionevoli, quindi non ne abbiano bisogno. Ecco, purtroppo mi sbagliavo e inizio perciò con il mio argomento.
Come molti di voi sanno - e se non lo sanno, lo sapranno in questo momento - sono un'archeologa, attualmente dottoranda.



Questa è stata la mia scelta anni fa, ma probabilmente già dall'infanzia il mondo del passato aveva cominciato a far parte di me, da sempre curiosa e studiosa. La mia camera sembra più una piccola biblioteca che una vera e propria stanza di una ragazza di 28 anni. Tra non molto uscirò io per far spazio ad altri volumi. Ma non posso farci nulla. Adoro leggere, amo la materia dei miei studi e sarà così fino alla fine. L'archeologia è parte di me.
Questa è la premessa. Il nucleo del discorso è un altro: voi avete delle passioni? Degli hobby? Ecco, io ne ho tantissimi: disegnare, leggere, dipingere, fotografare, giocare a calcio e a pallavolo, fare lunghe passeggiate immersa nella natura, studiare il comportamento di animali e insetti (sì mi piace la biologia), osservare le piante e analizzarle catalogandole e raccogliendo foglie, giocare alla Play Station e al PC, suonare la chitarra, ascoltare la musica, cantare e tantissimo altro davvero. Non riuscirei mai ad elencare tutti i miei interessi perché certamente ne dimenticherei qualcuno.
E poi c'è la scrittura creativa, quella che mi ha condotto alla pubblicazione della saga fantasy di Sàkomar, nata tra l'altro da una delle mie passioni, il disegno.



Ma concentriamoci sulla scrittura.
Voglio porvi un'ulteriore domanda: secondo voi lavoro e scrittura possono conciliarsi?
Credo che ogni persona dotata di buonsenso risponderebbe "Ovvio che sì".
A mio avviso, sono due attività assolutamente compatibili tra loro. Spesso gli scrittori non lo sono di professione. Sono medici, avvocati, astrofisici, storici, etc. con la passione per la scrittura e per proprio diletto creano romanzi che saranno poi letti da un pubblico più o meno vasto.
Io sono archeologa e scrivo fantasy, traendo dal passato anche ispirazione per le mie storie. La scrittura è una mia PASSIONE. Non sono famosa, non ho una casa editrice. Sono una self-publisher, significa quindi che ho pubblicato in proprio. All'estero è una pratica diffusa e soprattutto considerata come vera e propria editoria (perché questo è); in Italia, come sempre, ancora non siamo arrivati a pensarla come gli altri, ma sono certa che in futuro ce la faremo. Anyway, prima di tutto scrivo per me, perché mi piace farlo. Non lo faccio per vendere, non lo faccio per gareggiare con qualcuno. Se poi ciò che scrivo piace e se in un futuro immaginario riuscissi a diventare famosa, tanto meglio.
All'interno di Sàkomar non ho racchiuso alcun tipo di messaggio se non quelli canonici delle fiabe: fiducia nell'amore, nell'amicizia e in tal caso nel rapporto di fratellanza.
Ora, tutto questo non vuol assolutamente dire che la mia professione archeologica venga in qualche modo intaccata negativamente dalla scrittura. Si può tranquillamente fare entrambe le cose.
Volete un esempio? Valerio Massimo Manfredi è un noto archeologo, ma è anche uno scrittore affermato. Ha scelto di trattare romanzi storici, ma non per questo la sua professionalità svanirà. Sono due suoi aspetti, a mio avviso ammirevoli.



Licia Troisi che io adoro tanto, è astrofisica. Collabora con l'Università di Roma Tor Vergata e intanto ha scritto tre saghe fantasy e un volume singolo. La sua passione, che è appunto la scrittura di cui ha fatto anche un lavoro, intaccherà l'oggetto principale dei suoi studi, ovvero l'astrofisica? No, assolutamente no.



Alberto Angela è paleontologo, ma scrive di archeologia e conduce programmi televisivi. Io lo stimo molto. Fa tutte e tre queste cose insieme, eppure è un gran personaggio.



Ne ho nominati solo tre, perché sono alcuni dei miei autori preferiti, ma come loro ci sono tantissimi altri casi. Non voglio assolutamente paragonarmi a loro, ma li prendo come esempio.
Scrittura e professione insieme: due realtà possibilissime. E dalla scrittura talvolta si trae un lavoro complementare a quello principale per il quale si è studiato. Non ci trovo proprio niente di strano in tutto questo.
Poco tempo fa (ma l'antifona l'avevo già intuita da molto), sono stata criticata per queste mie attività. Se fai l'archeologa, ricerca nello specifico, non puoi essere anche scrittrice, per di più fantasy.
Non mi è stato detto in modo diretto (quando mai la gente parla "occhi negli occhi"?), ma mi è stato fatto capire tramite "giri di parole" degne di un poeta.
Normalmente, ci avrei fatto una risata su e avrei detto "ma chissene, pensasse quel che vuole", se fosse stato un tizio qualunque a fare questa osservazione; purtroppo non è così.
Queste parole sono spuntate, poi, soltanto perché i miei libri hanno avuto una certa diffusione. Se li avessi tenuti in un cassetto, nulla di tutto ciò sarebbe accaduto. A questo "signore" però voglio ricordare una cosa: ho alcune colleghe che oltre ad essere archeologhe e storiche dell'arte si dilettano in pasticceria, a creare dolcetti, etc. La loro è una passione. Anche loro sono archeologhe e storiche dell'arte incapaci? Perché a questo punto il ragionamento dev'essere universale per qualsiasi tipo di hobby, no?
Con ciò che scriverò non voglio comunque giustificarmi, non ne ho bisogno perché ripeto è una critica insensata, ma sono una persona precisa e voglio spiegare la mia attività. Per quanto mi riguarda, gran parte dei romanzi li ho scritti da mezzanotte in poi, quando studiare mi era umanamente impossibile avendo trascorso la giornata a lezione e a preparare gli esami, e durante le vacanze nei pochi ritagli di tempo.
Mai ho trascurato la tesi e/o altri approfondimenti visto che i risultati ci sono stati e ci saranno. Inoltre altri colleghi hanno sempre apprezzato il mio impegno nella professione e il fatto che io scriva non ha minimamente intaccato l'opinione che avevano di me.
Ora, se mi si vuole criticare per il contenuto del romanzo, per il mio stile, per alcune scelte effettuate o altro inerente la storia in sé, d'accordo, lo accetto. Non a tutti può piacere il genere, non tutti condividono il mio modo di scrivere, non tutti avrebbero svolto il racconto nella mia maniera.
Ma criticarmi perché scrivo e sono archeologa insieme, non lo tollero.
Voglio dire, la libertà dov'è finita? E' come se io cominciassi a dire di un collega che è un perfetto imbecille perché oltre a studiare archeologia, partecipa a gare di campionato di uno sport qualsiasi.
E' un suo hobby, una sua passione ed è giusto che la coltivi. Questo però non gli precluderà l'opportunità di essere un bravo archeologo.
Tutto qui. Sono una persona abbastanza forte, ma quando certe parole vengono scagliate ferocemente da gente che in un modo o nell'altro ha influenzato la mia vita, non nego di rimanerne ferita.
A mente fredda invece penso solo una cosa: probabilmente non diventerò mai una grande scrittrice. Ci vuole una gran dose di fortuna, molta bravura e ahimè, nella gran parte dei casi, anche delle conoscenze (inutile bendarsi gli occhi). Io non sono fortunata, non sono bravissima e non conosco nessuno. Ho sempre fatto tutto con le mie sole forze e ciò che ho conquistato (molto poco) lo devo soltanto a me stessa. Non voglio che mi si facciano i complimenti per questo. L'ho fatto per me e basta, per una questione di dignità e di soddisfazione personale.
Scrivere rientra tra le mie passioni; l'archeologia invece è il mio amore più grande. Entrambe occupano un posto importante nel mio cuore, ma non sono le uniche ad essere presenti.
Questa persona, come certamente tante altre, ha operato un ragionamento chiuso, puramente accademico che non porta da nessuna parte se non a chiacchiere da bar. Mi spiace dirlo, ma è così.
Accetterò, e lo sottolineo, critiche solo e soltanto da lettori che abbiano esaminato la storia, il mio stile e tutto il resto. Allora potrò dire "aveva ragione" oppure "per me non ne aveva affatto, ma è una sua opinione e la rispetto".
Al prossimo chiuso di mente che mi dirà, con un ragionamento da ante-guerra, che archeologia e scrittura non sono conciliabili perché la seconda fa perdere credibilità alla professione scelta, nel migliore dei casi non risponderò e probabilmente non gli rivolgerò nemmeno più la parola. Nel peggiore dei casi, la mia indole mi spingerà a ricamarlo con i fiocchi e non mi tratterrò.
Perché, signori miei, il problema dell'Italia di oggi siete proprio voi, le persone con una mente talmente serrata che il progresso lo vedono come qualcosa da demonizzare, coloro che proseguono a fare qualcosa solo perché "è tradizione e si è sempre fatto così" anche se sbagliato, quelli che hanno le proprie caste da far andare avanti, mentre gli altri sono dei poveri falliti senza speranza a prescindere dalle loro capacità. Siete gli stessi che quando si è piccoli e si va a scuola dicono ai genitori "O il ragazzo studia, o gioca a calcio. Non può fare entrambe le cose." Se prosegue a giocare a calcio, automaticamente sarà un deficiente; se lascia lo sport, sarà invece un genio, ma l'umore del ragazzo calerà in maniera spaventosa. E tutto questo capita solo in Italia. Provate a fare questo ragionamento all'estero, in America magari. Vi prenderanno per pazzi retrogradi, perché lì sport e studio si conciliano alla perfezione.



Io al modo di pensare "italiano" non ci sto. Sono convinta che una professione portata avanti con impegno e passione sia molto produttiva, soprattutto se accompagnata da un passatempo che lasci libero il cervello di fare anche altro.
Infine, voglio solo annunciare che a settembre uscirà il terzo e conclusivo volume di Sàkomar. Ci ho impiegato molto a terminarlo, anni addirittura, perché volevo che ci fosse una fine degna di questo nome per la saga dei miei cinque fratelli e anche perché avevo da studiare. Quest'ultima attività non ho voluto tralasciarla, al contrario di ciò cui alcuni pensano in maniera immotivata e totalmente infantile.
Dopo Sàkomar, ho in cantiere il mio paranormal. Forse l'ho già detto, ma lo scrissi quando ero liceale. Inizialmente era solo un racconto per un concorso di cui non conobbi mai l'esito (eh sì, scuola Italiana...), poi lo allungai e con il tempo divenne un vero e proprio romanzo.
Per terminare, ho in mente una nuova idea per un romanzo totalmente diverso, più romantico, forse anche un po' storico, tanto per cambiare genere. E sì, darò libero sfogo alla mia fantasia.
Da dove prendo questo spirito? Beh, una parte importante la gioca l'esperienza acquisita combattendo in questa vita. Non sempre le persone che sorridono sono quelle più spensierate. E poi ho un discreto numero di lettori che mi spingono a proseguire.
Ce ne sono tanti altri sempre entusiasti di seguirmi sui vari social network e sono davvero contenta di avere dei fan che hanno visto, tramite le mie parole, il mondo di Sàkomar e apprezzato i suoi personaggi. Ora, anche se non ci conosciamo, condividiamo certamente qualcosa.
Alla persona che mi ha tanto criticato, voglio solo dire in conclusione che se lui decidesse di iniziare a dipingere ad esempio e diventasse pittore (oltre che archeologo... ma probabilmente lo fa già) la mia stima aumenterebbe, di questo può esserne certo; allo stesso modo può essere sicuro che se continuerà ad avere opinioni insensate sulle mie attività "supplementari" all'archeologia, la mia stima nei suoi confronti calerà a picco. La discesa è già in parte iniziata, ma sono disposta a fermarla.

A tutti coloro che stanno incontrando le mie stesse difficoltà voglio dire di non arrendersi. Se si ha un sogno, un obiettivo, una passione, è giusto andare avanti, in primis per se stessi. I sogni sono tutto e si deve almeno provare a realizzarli, con o senza l'approvazione altrui.
Buona giornata!



giovedì 5 dicembre 2013

Sorrisi e nuove letture: Ladra di sangue

Buongiorno amici! Oggi mi sento più euforica del solito ed era da tanto che mi mancava questa bellissima sensazione. Sorridevo da sola in metro, il che è tutto dire. No, non sono matta. E' che forse ho deciso di prendere le cose diversamente, in maniera più leggera, oppure è semplicemente perchè oggi è una bella giornata di sole invernale e mi mette buon umore. Non lo so. Tanto sono una ragazza così lunatica che potrei cambiare da un momento all'altro, quindi non cerco nemmeno troppe spiegazioni.
Segno della mia ripresa è sicuramente stato il fatto che ieri, dopo tantissimo tempo occupato dai miei studi di "perfezionamento", ho finalmente ricominciato a scrivere Sàkomar 3. Yeaaah! Ed era proprio una parte riguardante Christine e la sua battaglia.
Non ricordo se l'abbia già scritto in passato, ma ho deciso di suddividere, così come ho fatto per il secondo volume, il libro in vari capitoli alternati che narrano le gesta dei cinque Principi e dei loro nemici. Ieri quindi è toccato all'esercito dell'Acqua che è veramente in difficoltà perchè il Cavaliere le sta provando tutte.
Non voglio dire null'altro, altrimenti finisco per autospoilerarmi e non sarebbe una cosa bella.
Probabilmente l'input di scrittura lo ha dato anche la mia visita alla Biblioteca Vallicelliana. Ora, in generale adoro girare per biblioteche. Ognuna ha una propria caratteristica architettonica e organizzativa, ma ciò che le accomuna è sicuramente il silenzio unito all'odore di carta antica che semplicemente amo.
Alla Vallicelliana sono riuscita ad entrare in un'atmosfera passata, aiutata dai racconti della bibliotecaria, dai volumi dalla copertina color beige, dai legni e dai manoscritti in esposizione, per non contare la storia di Borromini (lo adorerò sempre per il suo caratteraccio, esattamente come adoro San Girolamo. Non posso farci niente... forse in loro rivedo un po' me stessa) e della struttura architettonica edificata per i Padri Filippini dell'Oratorio di S. Filippo Neri.
E dove mettiamo Cesare Baronio? E la "Roma Sotterranea" del Bosio? Sarò pure matta, ma tutto ciò è la mia passione e non c'è niente di più bello che occuparsi ogni giorno di ciò che si ama. E' vero, a volte sono nervosa (spesso) perchè i problemi ci sono, ma se tornassi indietro credo rifarei le stesse identiche cose che mi hanno condotta fin qui. E' forse sbagliato ma io sono nata per l'archeologia cristiana e non intendo separarmene.



Quindi, un grande applauso alla Vallicelliana e a tutta la sua storia per avermi fatto riprendere la scrittura del mio terzo libro!
Infine, il prossimo libro in lettura è "Ladra di Sangue" di Cherie Priest. Me lo regalarono tempo fa ma per vari motivi lo lasciai indietro. E' arrivato il momento di sfogliare le sue pagine! Inserisco la trama:



A Raylene Pendle non piace essere una vampira e, soprattutto, lei non vuole avere niente a che fare con i suoi simili. Ecco perché i suoi clienti sono esclusivamente esseri umani, sebbene si tratti sempre di personaggi poco limpidi. Raylene, infatti, è una ladra professionista: su commissione, ruba opere d’arte d’inestimabile valore e rarissimi gioielli antichi. Il giorno in cui viene contatta da Ian Scott, un vampiro, Raylene è quindi molto diffidente. E i suoi dubbi si moltiplicano quando Ian le racconta di essere stato la cavia di un progetto segreto finanziato dal governo per scoprire l’origine dei poteri dei vampiri e sfruttarli in ambito militare. Purtroppo gli esperimenti a cui è stato sottoposto lo hanno reso cieco e ora, grazie all’aiuto di Raylene, lui si vuole vendicare, recuperando alcuni documenti che proverebbero i crimini commessi dal responsabile del progetto, il maggiore Bruner. Non appena accetta l’incarico, però, la vampira entra nel mirino di spietati agenti speciali, disposti a tutto pur di fermarla. E anche il dottor Keene, il medico che ha preso in cura Ian dopo la fuga dal laboratorio dell’esercito, sembra nascondere troppi segreti: capire di chi si può fidare non è semplice, ma per Raylene potrebbe rivelarsi l’unico modo per restare in vita.

Sì mi ispira. Direi che non vedo l'ora di intraprendere questa nuova avventura.
Bene, per oggi è tutto. Buona serata bloggersssss!
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