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martedì 8 marzo 2022

Recensione di "La chiave dei ricordi" di Kathryn Hughes

Ben ritrovati, cari lettori! Torno sul blog a distanza di poco tempo perché, durante il mio viaggio ad Assisi (di cui spero di riuscire a narrare prossimamente), un romanzo mi ha tenuto compagnia nei momenti di pausa. Si tratta del libro "La chiave dei ricordi" di Kathryn Hughes, autrice già conosciuta per "La lettera".


Trama: A trentotto anni, dopo un divorzio difficile, è tornata a casa dei genitori, convinta di non avere più un futuro. Per distrarsi dai suoi problemi, decide di scrivere un libro su Ambergate, l'ospedale psichiatrico in cui aveva lavorato il padre, ormai chiuso da anni e che verrà presto demolito. Girovagando tra i corridoi di quell'enorme edificio in rovina, Sarah s’imbatte in una vecchia, polverosa valigia, abbandonata lì chissà quando da una paziente. Dentro c'è un biglietto su cui sono scritte poche righe che, sorprendentemente, la riguardano molto da vicino… Rintracciare quella paziente diventa allora una missione. Spinta da una forza che credeva di aver perduto, Sarah insegue i labili indizi lasciati da quella donna, ricostruendo la storia di un dolore così grande da essere scambiato per follia, di un amore capace di rischiarare anche le tenebre più buie, di un segreto rimasto sepolto troppo a lungo. Un segreto che potrebbe cambiare anche la vita di Sarah.

Attenzione: SPOILER!!!

Un romanzo un po' particolare, non è vero? L'idea di iniziare una lettura che avesse per ambientazione un ospedale psichiatrico da una parte mi affascinava, ma dall'altra mi terrorizzava. Confrontarci con coloro che consideriamo diversi e, in questo caso, "pazzi" è difficile proprio perché, a volte, è sottile il confine tra quella comunemente ritenuta "normalità" e "anomalia".
Proprio su questo binomio si basa in realtà la vicenda principale narrata in questo romanzo. Sarah è una storica, una ricercatrice, che decide di svelare i segreti di Ambergate, l'ospedale psichiatrico in decadenza dove, un tempo, lavorava suo padre, il quale non ha mai voluto parlare della sua professione. Durante le esplorazioni, Sarah si imbatte in una soffitta colma di valigie, senza nomi, distinte da etichette con numeri. Partendo dall'intenzione di volerle catalogare, la donna scava nel passato di quelle pazienti che entrarono ad Ambergate tanti anni prima senza mai fare ritorno alle proprie dimore. C'è la valigia con il vestito da sposa, quella con pochi effetti personali e poi, la più interessante, quella con un acquerello firmato accompagnato da un orsacchiotto fatto a mano, una spazzola per capelli, un coprifasce per neonato e un vestito a fiori sicuramente appartenente a una ragazza solare e giovane. Insieme a tutto ciò vi è un biglietto che riporta il messaggio "Il tuo bambino è vivo" insieme a un indirizzo.
Da qui parte la ricerca di Sarah, decisa a saperne di più sulla proprietaria di quella valigia.


La storia, quindi, inizia negli anni Cinquanta del Novecento quando ad Ambergate arrivano in contemporanea l'allieva infermiera Ellen Crosby e la paziente psichiatrica Amy Sullivan, entrambe ragazze, quasi ventenni.
Lo scenario è raccapricciante: donne e uomini separati, alcuni dei quali chiusi in gabbie isolate, tutti con le stesse tute deformi, con i capelli tagliati corti, destinati a dormire in camerate. C'è chi non parla più da una vita, come l'anziana Gertie, rinchiusa da oltre quarant'anni; c'è chi crede di essere una regina, come Queenie; c'è chi ha subito abusi e ha conseguenti disturbi comportamentali come Belinda; c'è chi, come Amy, è stata rinchiusa dal padre, dopo aver tentato di suicidarsi e di portare con sé la figlia della sua matrigna.
Ma Amy quell'episodio non lo ricorda più. Lei crede di essere normale, di essere stata rinchiusa ingiustamente dopo la morte della madre. E forse la ragazza non sarebbe arrivata a tanto se non fosse stata perennemente abbandonata dagli affetti più cari. Di lei si occupa il dottor Lambourne che è stato ammaliato dalla ragazza sin dal primo momento. Si tratta però di una paziente... per farle recuperare la memoria, le prescrive l'elettroshock, pratica all'epoca in voga. I ricordi cominciano a riaffiorare, ma la voglia di Amy di evadere da lì permane. E Amy non è una ragazza stupida, anzi, tutt'altro: vuole puntare sul fascino che esercita sul medico.
Tra i due ci sarà qualcosa, ben più che una passeggiata in riva al lago. Amy rimarrà incinta, mentre il dottore cambierà ospedale preservando la carriera, abbandonando nuovamente quella ragazza a se stessa.
Ellen Crosby tutto questo lo vive come infermiera. Non riesce proprio ad essere fredda come la caposala, affezionandosi alle pazienti. Lei e Dougie sono gli unici a trattare le persone lì rinchiuse come esseri umani. Ed Ellen è la sola a credere ad Amy quando dice di essere incinta del medico scomparso nel nulla.
La morte del padre prima e l'egoismo del dottore poi condurrà Amy a vivere tutta la propria giovinezza reclusa tra le mura di Ambergate che, ormai, diventa per lei una casa.
Solo anni dopo, quando Sarah ritrova la valigia, per Amy riaffiora il passato... un passato duro da accettare, che la porterà a confrontarsi nuovamente con chi è andato via e con chi era stato creduto morto.


Il romanzo della Hughes è molto coinvolgente e, non negherò, angosciante. Nei cosiddetti "manicomi" venivano rinchiuse non solo persone con evidenti problemi psichiatrici, ma anche coloro che erano considerati "rifiuti della società": la ragazza abusata, quella abbandonata sull'altare, chi si era rifiutato di condurre una vita già decisa da altri, chi era stato vittima di qualche disgrazia, a volte chi era troppo povero e vagava come un clochard.
Avrei preferito, dopo tanta sofferenza, leggere un lieto fine per Amy che è stata sfortunata sin dal principio e, invece, nemmeno quello. Perché il dottor Lambourne che torna a trovarla dopo aver costruito la propria vita con un'altra donna solo per il fatto di aver scoperto di averla messa incinta, non è un bel finale. Non rivela romanticismo, anzi, la stessa natura del medico è sottolineata nelle sue parole: se avessi saputo prima che aspettavi il nostro bambino, non ti avrei mai abbandonata. Quindi il valore di una donna risiede solo nella capacità di contenere un figlio? E tutto il resto? Amy, come persona, non aveva alcun valore? Amy, al contrario, amava il dottore, ma non era realmente ricambiata, tanto che l'uomo sceglierà la carriera. E quel figlio, creduto morto, purtroppo rimarrà vivo: venuto al mondo con il cordone ombelicale intorno al collo, tornerà a respirare troppo tardi. L'ipossia lo renderà ritardato, rendendolo destinato a un istituto, se non fosse che una coppia preferì adottarlo. Lo scenario conclusivo è tutt'altro che allegro: un figlio ritrovato, ormai quasi cinquantenne, con evidenti problemi e ridotto su una sedia a rotelle.

Come dicevo, il romanzo è molto bello, ricco di dettagli, ma forse troppo crudo nel disegnare una realtà che riflette quanto accaduto a migliaia di persone negli anni passati.
Consigliato se ritenete di poter aver un animo capace di distaccarsi, di non entrare in totale empatia con i protagonisti del romanzo.

Recensione di "Storia di una famiglia perbene" di Rosa Ventrella

Buongiorno amici e bentornati sul mio blog! Oggi un bel sole splendente mi fa compagnia mentre scrivo su questa pagina bianca e il vento spira minaccioso, ricordandomi che sì, la giornata è bella, ma non è ancora primavera!

Qual è la recensione che vi propongo? Quella del romanzo di Rosa Ventrella, "Storia di una famiglia perbene", da cui è stata tratta la fiction omonima andata in onda sul Canale5.



Trama: Anni Ottanta. Le estati a Bari vecchia trascorrono tra i vicoli di chianche bianche, dove i ragazzini si rincorrono nei dedali di viuzze, in mezzo ai profumi delle lenzuola stese e all’aroma dei sughi. Maria cresce insieme ai due fratelli più grandi, Giuseppe e Vincenzo. È una bambina piccola e bruna, dai tratti selvaggi che la rendono diversa dalle coetanee: una bocca grande e due occhi quasi orientali che brillano come punte di spillo. Ha un modo di fare insolente, che le è valso il soprannome di Malacarne. Vive immersa in una terra senza tempo, in un rione fatto di soprusi a cui è difficilissimo sottrarsi. L’unico punto fermo, negli anni tra l’infanzia e l’adolescenza, è Michele, figlio della famiglia più disgraziata di Bari vecchia. L’amicizia tra i due si salda e rinforza, nonostante l’ostilità delle famiglie e i colpi bassi della vita. Finché quel sentimento, forte e insieme delicato, quasi fraterno, non diventerà amore. Un amore che, anche se impossibile, li preserva dal rancore verso il resto del mondo e dalla decadenza che li circonda.


Bari vecchia, o "Barivecchia" tutto attaccato, come pronunciano i locali, che bella che è! L'ultimo viaggio pre pandemia è stato proprio in Puglia e Bari l'ultima tra le mete di tre giornate magnifiche e rilassanti. Ma quel luogo che ora vediamo riqualificato e che costituisce il cuore della città, solamente qualche decennio fa era un intrico di stradine in cui viveva povera gente. Ed è proprio qui che è ambientata la storia di Maria, detta Malacarne, della sua famiglia e di Michele Straziota detto "Senzasagne", unico suo vero amico.
Quel quartiere non è semplicemente tale, ma influenza le vite di ognuno, anche quella di Maria. Episodi drammatici o ritenuti tali (che a volte fanno sorgere qualche sorriso), storie di pescatori e del loro infinito amore con il mare, racconti tessuti dalle comari, superstizioni che la "masciara" non fa altro che alimentare, devozione popolare, giochi scalmanati tra le strette vie assolate: questa è l'esistenza di Maria, che si sente allo stesso tempo a casa e intrappolata in una realtà che la classifica e non la riguarda.


Antonio De Santis, suo padre, è un brav'uomo, dal carattere difficile e purtroppo violento; Vincenzo, suo fratello, uno scapestrato senza obiettivi; Giovanni, il fratello maggiore, figlio modello che tutte le madri vorrebbero; sua madre, arresa da molti anni a una vita casalinga, dominata da un marito perennemente arrabbiato, che vede in Maria - ragazza brillante a scuola - l'unico suo riscatto verso la vita.
Maria è una ribelle, piena di vita, l'unica a proseguire gli studi fino all'università. Non può sentirsi costretta tra le strette mura dell'assolata Bari vecchia e si rifugia verso il mare, sempre in compagnia di Michele, suo migliore amico e bravo ragazzo, anche lui eccezione in una famiglia di trafficanti di sigarette e non solo. Lei è la narratrice che coinvolge il lettore all'interno di quelle dinamiche quotidiane che caratterizzano la vita di ogni personaggio nominato ed è proprio Bari vecchia la protagonista indiscussa, quel luogo decadente da cui nessuno sembra potersi sottrarre. Ma Maria e Michele forse ce la faranno: l'amicizia si trasforma in amore, possibile o impossibile non ha molta importanza, basta che dia una nota di colore e di speranza.


Cosa ho amato di questo libro? La capacità dell'autrice di portare il lettore per mano all'interno della realtà ben descritta della Bari di qualche decennio fa, facendolo camminare sui lastroni di pietra delle strade assolate in cui soffia la brezza marina; laddove le donne sono sedute fuori dalle proprie case e, tra una chiacchiera e l'altra, impastano le orecchiette; dove i pescatori tornano con le reti lasciando una scia d'acqua verso i negozi; nelle viuzze in cui, tra panni stesi ai fili volanti da un palazzo all'altro, i bambini giocano a pallone, ridendo e parlando in dialetto.


Non ho potuto fare a meno di immaginare i personaggi con i volti degli attori della fiction perché ho visto prima quest'ultima e poi ho letto il romanzo. Tra i due c'è gran differenza, quindi non fate l'errore di fermarvi all'una o all'altra! E, nel dubbio, scegliete sempre l'originale scritto.

«Così stavamo zitti ad ammirare lo sciabordio dell'acqua. Ogni onda mi portava un pensiero o una domanda. Fa così il mare. Senza che te ne accorga, fa venire gli occhi lucidi e un grumo duro proprio dentro la pancia Quando sopraggiungeva quella sensazione, cercavo di sfuggirvi. E Michele mi seguiva senza dire una parola.»
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