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martedì 10 giugno 2025

Recensione di "I cinque profumi del nostro amore" di Laure Margerand

Buongiorno a tutti amici e bentornati sul mio blog!

È bastato un viaggio in treno e qualche giorno lontana da Roma per terminare rapidamente un libro. Dovrei prendermi più frequentemente delle pause da questa città!


Trama: Osannato dal pubblico come una star, Pierre-Emmanuel è uno degli scrittori francesi più noti, sempre in testa alle classifiche. Ma ormai scrive come una macchina, e da tempo ha perso l’ispirazione e la stima della moglie. Quando Agathe lo lascia per un altro, Pierre vede crollare ogni certezza. Come riconquistare la donna che ama ricordandole tutte le emozioni vissute insieme? Nel pieno della crisi, finalmente ha un’illuminazione: scriverà un grande romanzo sul loro amore. Ma non un romanzo qualsiasi: dato che l’olfatto è il senso che più di ogni altro riesce a risvegliare i ricordi in modo immediato, Pierre incarica Gabriella, famoso “naso”, di creare una fragranza per ogni momento cruciale della storia con Agathe, per poi racchiuderla in un segnalibro. Il profumo del loro primo incontro, della passione, della vacanza a Cuba, della pelle del loro bambino. Però, per ritrovare il suo talento letterario ormai smarrito, Pierre ha bisogno di altro aiuto. Per questo contatta Charlotte, la migliore editor sulla piazza, chiedendole di assisterlo nella scrittura. Non può sapere che la giovane nasconde un segreto che la rende la persona meno adatta per quel compito: ha perso l’olfatto in seguito a un terribile trauma che ha distrutto la sua famiglia, e da allora conduce un’esistenza solitaria e appartata. Eppure la singolare proposta dello scrittore risveglia qualcosa in lei. Ma qualcuno che non riesce più a sentire gli odori e le emozioni può lavorare su un romanzo olfattivo? E se fosse proprio quello di cui ha bisogno?

Prima di Süskind non avevo mai letto un libro che parlasse di profumi, di odori, di sensazioni e ricordi ad essi legati. Laure Margerand nel suo “I cinque profumi del nostro amore” riprende, in un certo senso, proprio il celebre autore conferendo all’olfatto l’importanza che merita. Se ci pensiamo, infatti, ogni persona, ogni momento, ogni sensazione sono caratterizzati da un profumo o da un odore che il cervello ricorda, immagazzina. E ogni qualvolta in cui il nostro naso percepirà quel determinato profumo o odore, torneremo immediatamente a pensare a chi o a cosa è direttamente legato.

ATTENZIONE: SPOILER

Charlotte, la protagonista del romanzo, è anosmica, ovvero non sente più gli odori e, automaticamente, nemmeno i sapori. La sua vita non è sempre stata così. Tutto si è spezzato quando Nathan, suo figlio, è morto improvvisamente nel sonno. Non c’è stato modo di salvarlo. E insieme a Nathan, se n'é andato anche Julien, il marito, che non è più riuscito a sopportare il suo dolore e quello di Charlotte. L’ultimo odore che la donna ricorda per anni è proprio quello del suo bimbo, della sua pelle, dei suoi capelli. Poi il nulla.

Trascorre molto tempo prima che Charlotte provi a riprendere una vita normale. Era una scrittrice, ma la vena non scorre più in lei. Decide così di fare la coach letteraria ed è in questo modo che conosce un famoso autore, Pierre-Emmanuel Frank, con il suo nuovo progetto: far tornare sua moglie Agathe, da cui si è separato, attraverso un libro olfattivo che le ricordi tutti i profumi e gli odori legati alla vita trascorsa assieme.

Charlotte non ha il coraggio di rivelare che è anosmica e, dopo varie insistenze di Pierre-Emmanuel, accetta di lavorare per lui. Intanto l’autore ingaggia una bravissima profumiera, Gabriella, che avrà il compito di produrre il “lato olfattivo” del libro.


A un certo punto, però, persino questo equilibrio si spezza: Gabriella si accorge che Charlotte, critica e severa sia con le sue creazioni profumate, sia con le pagine scritte da Pierre-Emmanuel, non sente alcun odore. E se Gabriella lo dicesse allo scrittore? Cosa potrebbe pensare di Charlotte? Così la donna decide di confessare tutto: se in un primo momento il mondo sembra acquisire tonalità scure, improvvisamente tutto diventa più leggero, in particolare dopo aver annusato un profumo che Gabriella aveva creato affinché fosse associato al figlio di Pierre-Emmanuel. La mente e il corpo di Charlotte si sbloccano, permettendole di tornare a respirare a pieni polmoni.

Non rivelerò altro perché già ho parlato molto. L’intento di Laure Mergerand era probabilmente quello di scrivere un romanzo che denunciasse come un dolore molto forte, un vero e proprio trauma, possa congelare per tanti anni e a volte per sempre la persona che lo ha subito. Allo stesso tempo, però, la reazione più comune che è quella di chiudersi in se stessi è anche la peggiore perché non fa che aumentare l’isolamento e il dolore. Charlotte guarisce solo quando è costretta a dire la verità e successivamente ad annusare un odore che le ricorda incredibilmente quello del suo bambino. È come se il suo corpo avesse riallacciato i fili, tornando indietro nel tempo e recuperando quel che era perduto.

Nonostante avessi auspicato un bel finale per Charlotte, mai avrei immaginato che l’autrice decidesse di farla tornare con l’ex marito solo dopo aver recuperato l’olfatto. Non mi permetterò di giudicare le varie sfumature di amore tra due persone, ma il meccanismo che appare innescarsi non è proprio dei migliori. Sembra che Julien riabbracci la moglie solo ed esclusivamente perché lei è tornata normale, quando invece di andare via e farsi una nuova vita nel momento più duro (quello della morte del bambino), avrebbe dovuto rimanere accanto a Charlotte, affrontando e superando insieme il lutto. È troppo comodo così. Al contempo, Charlotte stessa, che non ha mai smesso di amare Julien, sbaglia a mio avviso a ricercare l’ex marito. Fossi stata nell’autrice, avrei fatto “risorgere” Charlotte spingendola a lasciare alle spalle il passato doloroso, seguendo i suoi sogni e iniziando una nuova vita con una persona in grado di amarla con tutto il pesante fardello.



Per concludere, il romanzo è sicuramente particolare, ma non mi ha entusiasmata più di tanto. Non sono riuscita a immedesimarmi nel personaggio di Charlotte come avrei voluto; di Julien si parla pochissimo, quando invece sarebbe stato bello capire davvero anche i suoi sentimenti (ne avrà avuti... spero); Gabrielle, pur giocando il ruolo fondamentale di profumiera per la “costruzione” del libro, non è un personaggio abbastanza approfondito perché di lei si sa pochissimo; Pierre-Emmanuel appare come un uomo piuttosto superficiale ed egoista, finché non decide di scrivere un libro effettuando una scelta romantica che, però, non era in linea con l’uomo che era stato fino a poco prima. Insomma, ritengo manchi quel focus necessario sui vari personaggi che avrebbe permesso di amarli maggiormente, entrando nella parte senza rimanere lettori distaccati e osservatori di una storia che si svolge con poco coinvolgimento.

Devo, mio malgrado, far rientrare "I cinque profumi del nostro amore" nella categoria delle "letture sotto l'ombrellone", senza tuttavia consigliarlo.
Vi aspetto sempre qui, sul blog, alla prossima recensione... anche perché ho già iniziato un nuovo libro!

venerdì 23 maggio 2025

Recensione di "L'uomo che portava a spasso i libri" di Carsten Henn

Buonasera amici lettori e bentornati per la seconda volta in un mese! Miracolo? Forse. Avevo tanto bisogno di tornare alle mie vecchie abitudini, ma a volte è necessario fare anche i conti con gli impegni quotidiani che non è possibile rimandare.

Ebbene, sono qui a parlarvi di "L'uomo che portava a spasso i libri" di Carsten Henn.


Trama: Nonostante i suoi settantuno anni, ogni giorno il libraio Carl Kollhoff parte per il suo “giro”; infatti è addetto alla consegna a domicilio dei libri ordinati dai suoi clienti più speciali. Lettori voraci che sono diventati suoi amici e che lui chiama come i personaggi dei grandi classici della letteratura: da Mr Darcy, un vecchio cliente che vive da solo in una grande villa, al dottor Faust, che legge solo saggi storici, passando per Jane Eyre, la signora Calzelunghe, Ercole e molti altri. Ma una sera, durante il suo percorso attraverso il centro della città, sbuca al suo fianco una bambina dai ricci scuri, col viso pieno di lentiggini. Ha nove anni e dice di chiamarsi Schascha, indossa un cappotto giallo e occhiali da aviatore su un casco di cuoio. Ignorando la reazione infastidita e un po’ burbera di Carl, lei continua a tornare e, ogni volta un po’ di più, comincia a incrinare la rigida routine dell’anziano e a fargli mettere in discussione le sue idee sulla vita. Quando Carl perde inaspettatamente il lavoro, servirà la forza delle storie e di una bambina un po’ petulante perché tutti i personaggi coinvolti, compreso lui, trovino il coraggio di superare i loro problemi e di aiutarsi a vicenda.

Foto di Ksenia Chernaya 
(https://www.pexels.com/it-it/foto/libri-negozio-biblioteca-interni-3952076/)

Nella mia lunga lista di libri da leggere, "L'uomo che portava a spasso i libri" era stato segnato da tempo, finché non mi è stato regalato. Come più volte esternato, i libri che parlano di libri sono forse tra i più belli. Le storie affascinano la gran parte di noi, sin dall'infanzia, ed è sempre magnifico quando c'è qualcuno - sia esso un lettore o uno scrittore - che sa raccontarle.
Carl lavora in una libreria da tanti anni. Le storie sono la sua passione, conosce un numero infinito di autori e di libri e ha un buon rapporto con i lettori. In realtà, il suo è un lavoro particolare: Carl "porta a spasso i libri", ovvero li consegna a domicilio. Questo gli consente di attraversare la città a piedi e di conoscere i clienti, molto più di quei pochi secondi trascorsi in negozio al momento dell'acquisto.
Così ogni affezionatissimo cliente, proprio per le sue caratteristiche, ha ottenuto un soprannome: c'è Mr. Darcy, un gentiluomo solitario che vive in una grande e bellissima casa, è innamorato dell'amore e vorrebbe una donna accanto a sé (perché ritiene che una donna che legge sia un bellissimo spettacolo); c'è la signora Calzelunghe, un po' bizzarra, che non mette piede fuori di casa da tanti anni; c'è Jane, che ama le storie tristi, forse perché riflettono la sua vita trascorsa accanto a un uomo violento da cui non riesce a fuggire; c'è suor Amaryllis, ultima del suo ordine che non vuole lasciare il monastero; infine, "Il Lettore", che in realtà è uno scrittore senza il coraggio di farsi leggere e conoscere.
Carl percorre le stradine della città ogni giorno, finché non incontra una bambina speciale, Charlotte, detta Schascha, che lo accompagnerà sempre nelle sue avventure. Questo duo così particolare - un signore di 71 anni con un cappello verde in testa e una bimba di 9 anni con un cappotto giallo e gli occhiali da aviatore - fa visita ai tanti lettori della città, regalando loro storie e cambiando anche le loro esistenze.
Infine, si sa la forza dei libri è tanta e chi non legge questo non può capirlo. Anche Carl, il vecchio e gentile libraio, avrà bisogno di vicinanza e di una scintilla che riaccenda in lui l'amore per quella missione che lo ha animato per tutta una vita.

Foto di Andrea Piacquadio
 (https://www.pexels.com/it-it/foto/ragazza-in-camicia-blu-che-indossa-occhiali-da-lettura-libro-di-lettura-3755716/)

Di questa fiaba ho amato la piccola Charlotte che, come un magico folletto, affianca Carl nella sua missione di regalare storie ai cittadini e, successivamente, a chi più ne ha bisogno. È una bimba fantasiosa e fuori dal mondo, intelligente e altruista, perfetta per diventare una libraia quando sarà adulta, ma anche una scrittrice (è brava a disegnare e a creare personaggi). Se ve lo state domandando, la risposta è sì, questa bimba mi ha ricordato me stessa quando avevo la sua età.

È sicuramente un libro consigliato a chi ama le storie, le fiabe, i libri, la gentilezza. I primi capitoli scorrerranno un po' lentamente, tanto da farvi domandare "Ma tutto il libro sarà così? Con lo stesso percorso di Carl, le stesse persone da incontrare, gli stessi gesti da compiere?"; poi, verso la metà, tutto inizia ad acquisire un senso e la quotidianità di Carl Kollhoff si trasforma nella fiaba ideata da Carsten Henn.

Vi lascio con qualche frase e vi aspetto alla prossima recensione!

«Sai, amo molto i libri, perciò non li brucio. Anche se penso che sia accettabile bruciarli, ma solo in via eccezionale, per riscaldarsi quando l'inverno è molto freddo e si rischia di morire congelati. In quel caso possono salvare delle vite. Possono farlo in più di un modo, riscaldandoci il cuore e, nelle emergenze, il corpo.»

«Sai, le persone dimenticano sempre più spesso di leggere. Eppure tra le copertine ci sono degli esseri umani con le loro storie. In ogni libro c'un cuore che inizia a pulsare mentre lo leggi, perché è legato a quello del lettore.»

«Sai, non esiste un libro che piaccia a tutti. E se esistesse, sarebbe un brutto libro. Non si può essere amici di tutti, perché ciascuno è diverso. Bisognerebbe essere senza personalità, senza angoli né spigoli. Ma anche in quel caso, molti non ti apprezzerebbero, perché hanno bisogno di angoli e spigoli. Capisci? Ciascuno necessita di libri diversi, perché ciò che una persona ama dal profondo del cuore ne lascia un'altra del tutto indifferente.»

«Naturalmente un libro si poteva strappare via, ma una persona che legge gode di una protezione speciale, come se fosse impegnata in un'attività sacra.»

«[...] penso non ci sia nulla di più bello di una donna che legge. Quando si immerge in un libro e dimentica tutto ciò che la circonda, perché è da tutt'altra parte.»

«La differenza tra un romanzo con il lieto fine e uno senza è solo quando si smette di raccontare la storia.»

«Perché i libri hanno bisogno di qualcuno che indichi loro la strada giusta.»

lunedì 19 maggio 2025

Recensione di "La tomba di san Pietro. La storia dimenticata di Margherita Guarducci" di Tiziana Lupi

Buon pomeriggio a tutti e bentornati nel mio piccolo spazio letterario!

Oggi vi porto nel cuore della cristianità, sotto la basilica di San Pietro in Vaticano, laddove trovò sepoltura il Principe degli Apostoli, Pietro.

Copertina del libro (foto di Cristina Cumbo, maggio 2025)

Trama: Per secoli la tradizione ci ha detto che la basilica di San Pietro era stata edificata sopra la tomba dell’Apostolo, morto a Roma durante la grande e feroce persecuzione contro i cristiani ordinata dall’imperatore Nerone nel 67 d.C., dopo il terribile incendio che aveva distrutto la città. Fino alla prima metà del secolo scorso, però, i suoi resti non erano ancora stati trovati. E, forse, non lo sarebbero mai stati se non fosse per la competenza e la tenacia di Margherita Guarducci, la più grande esperta di epigrafia greca della storia italiana nonché la prima a identificare il significato di un graffito trovato nelle Grotte Vaticane – «Πετρος ενι», cioè “Pietro è qui” – guadagnandosi la possibilità di scavare lì sotto, unica donna in un mondo esclusivamente maschile. È stata lei a consegnare alla Chiesa un dono “preziosissimo” e la storia del ritrovamento delle reliquie è uno dei gialli archeologici (ma anche geopolitici e religiosi) più rilevanti del XX secolo. Eppure Margherita non è mai stata celebrata appieno né ha mai avuto il riconoscimento mediatico meritato. Se fosse stata un uomo, probabilmente, le sarebbero state dedicate piazze, strade e scuole e, invece, non esiste nulla che la ricordi. Ripercorrendo la storia del suo straordinario lavoro e del ritrovamento delle ossa del Pescatore di Galilea in forma di romanzo, questo libro vuole restituire a Margherita Guarducci l’onore che le spetta.

Sono un'archeologa cristiana anche io ed è difficile parlare di una grande studiosa quale fu Margherita Guarducci. Quando nel 2011 mi iscrissi al Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, dove studiai per 5 anni conseguendo, dopo la laurea magistrale in Scienze dell'Archeologia, la Baccalaurea, la Licenza e, infine, il tanto agognato (e complesso) Dottorato, non conoscevo la professoressa Guarducci. Avevo evitato l'epigrafia come la peste perché ne avevo timore. Provenivo da un liceo scientifico e mi sentivo profondamente ignorante, assolutamente non idonea alla decifrazione del latino e del greco antico, nonostante queste lingue mi avessero sempre affascinata. Al Pontificio, gli esami di epigrafia furono obbligatori e, mio malgrado, iniziai a studiare. Fu una collega a suggerirmi di leggere (e acquistare) il volume di Margherita Guarducci (che lei chiamava "Margheritona", data la mole sostanziosa) per iniziare a capire qualcosa in più di epigrafia greca. Cominciò così la mia conoscenza, a posteriori, con la studiosa. Fu poi il momento di esaminare più nel dettaglio la necropoli Vaticana e la basilica costantiniana e, terminata la mia formazione, fui chiamata a svolgere uno studio specifico sulle Grotte, sul contesto archeologico vaticano e sui documenti archivistici preliminare a un'indagine che, purtroppo, non trovò mai luce essendo stata sospesa (e la sottoscritta non fu mai retribuita dall'architetto che aveva commissionato la ricerca).
Detto ciò, fu in particolare quest'ultima esperienza che mi portò a riprendere in mano il volume di L. Kaas, B. M. Apollonj Ghetti, A. Ferrua, E. Josi ed E. Kirschbaum, "Esplorazioni sotto la confessione di San Pietro in Vaticano eseguite negli anni 1940-1949", proprio per ricostruire i vari tasselli di un'indagine archeologica che aveva condotto certamente a un importante risultato, ma non a quello sperato.
Successivamente, mi occupai della figura di Padre Engelbert Kirschbaum, gesuita, che prima di me aveva studiato il personaggio di Balaam e che aveva fatto parte della spedizione sotto la basilica di San Pietro. Ne avevo letto i carteggi nell'Archivio della Pontificia Università Gregoriana, imbattendomi in una questione spinosa: le indagini di Margherita Guarducci e Adriano Prandi. Se la prima era stata in qualche modo ostacolata per il graffito e la questione delle ossa (sembra che fosse implicato lo stesso Ferrua), il secondo aveva condotto degli scavi nel campo P (la presunta area del sepolcro di Pietro), ma la cronologia non tornava con quanto ipotizzato dai precedenti scavatori. Se Prandi avesse avuto ragione (ma non lo sapremo mai), questo avrebbe rivoluzionato, almeno in parte, la scoperta annunciata dallo stesso Pontefice. Egli pubblicò un volume "La zona archeologica della Confessio vaticana: i monumenti del II secolo" (quasi introvabile nelle biblioteche) e ne propose una ristampa e una seconda parte, ma sia Kirschbaum che gli altri membri della prima spedizione si opposero: Prandi aveva effettuato, secondo loro, delle indagini eccessivamente distruttive. Non si poteva assolutamente proseguire su quella linea. Furono proposti scavi in altre aree delle Grotte, ma la questione della tomba di Pietro si chiuse lì. Era il 1960.

Piazza San Pietro e basilica (foto di Cristina Cumbo, maggio 2025)

La Guarducci, coinvolta anche nella decifrazione del graffito per cui fu criticata, proseguì nella pubblicazione di alcuni suoi contributi, ma tutto si spense rapidamente, destinando lei e i suoi studi all'oblio.
Nel suo libro, Tiziana Lupi ripercorre con gli occhi della professoressa Guarducci gli anni in cui era ancora un'allieva universitaria, fino a giungere a Creta e successivamente alla cattedra presso il prestigioso ateneo romano della Sapienza. Infine, l'epoca della Seconda Guerra Mondiale e di quegli scavi, voluti da Pio XII, sotto la confessio Vaticana. La Lupi parla delle difficoltà incontrate dagli operai, ma non di una in particolare: dell'acqua che, a ogni picconata, sgorgava fuori dal terreno. Le foto dell'epoca sono esaustive in merito (link). Furono quindi indagini complicate, sterri che riportarono alla luce il sepolcreto precedente all'edificazione della basilica costantiniana.
Poi ecco emergere i graffiti intorno a un sepolcro, il famoso "campo P": i pellegrini si sono concentrati in quel punto per scrivere invocazioni a Pietro, a Cristo, a Maria. Ogni archeologo che si rispetti sa che la concentrazione di tombe o di graffiti fa presagire di trovarsi nei dintorni della tomba di un martire, discorso che vale soprattutto per gli antichi cimiteri cristiani, le catacombe. Le Grotte Vaticane non facevano eccezione... e il martire per eccellenza che avrebbe potuto trovarsi sotto i vari altari della basilica era solo uno: Pietro.
La storia di Margherita Guarducci è legata, perciò, alla decifrazione del graffito che la studiosa aveva osservato in una foto in bianco e nero pubblicata su un giornale: "Pétros ení” , ovvero "Pietro è qui".
Tiziana Lupi narra, quindi, quelle tappe di una grande scoperta, seguita dalle indagini sulle ossa di Pietro... ossa che erano state, però, contrariamente a quanto la prassi vuole, rimosse e non opportunamente documentate nel loro contesto di ritrovamento. Una serie di elementi (appartenenza a un individuo di sesso maschile tra i 60 e i 70 anni e parti di tessuto purpureo con fili aurei) poteva, compatibilmente con il luogo di rinvenimento, far pensare all'appartenenza dei resti al corpo dell'apostolo Pietro.
Poi giunse il buio. La Guarducci sarà ricordata solo dagli studiosi (e nemmeno da tutti!), mentre progressivamente le fu impedito di entrare nelle Grotte e, persino, di pubblicare le foto del sito (ahimé, tale pratica è ancora in voga...).
Ci sono certamente elementi romanzati, altri inventati per evocare suspense e per far immergere il lettore all'interno di un periodo storico difficile, quale fu quello vissuto dalla studiosa, ma gran parte del libro è ricostruito sulle reali vicende che si susseguirono.
Come ho trovato questo libro? Appassionante, ma forse sono di parte. Mi auguro che Tiziana Lupi e Marco Spagnoli procedano nella realizzazione del film su Margherita Guarducci non solo per un intento "femminista" di riportare alla luce la storia di una donna osteggiata da un mondo del tutto maschile, ma anche per restituire dignità al lavoro incessante di un'archeologa che credeva nella propria missione. E poco importa che le sue indagini non siano state precisissime o che abbia "sbagliato". Lei ci ha provato. Questo è l'aspetto fondamentale della ricerca: porre un tassello e da quel tassello ripartire superando gli eventuali errori commessi dai precedenti studiosi, migliorandosi sempre più.

Grazie a Tiziana Lupi per questo libro. Grazie per avermi riportata nei luoghi che mi hanno fatto innamorare dell'archeologia cristiana.

Foto di Cristina Cumbo. Ne è vietata la diffusione senza l’esplicito consenso dell'autrice e/o l’indicazione dei credits fotografici, nonché del link relativo al presente post.
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