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sabato 26 ottobre 2024

Recensione di "La settima onda" di Daniel Glattauer

Buonasera amici lettori e bentornati sul blog! In questa serata di sabato, non c'è nulla di più rilassante che dedicarsi ai libri (peraltro, proprio oggi, ne ho comprato un altro... sono incorreggibile!).

Oggi torniamo alla storia di Emmi e Leo, emersi dalla penna di Daniel Glattauer, e al seguito di "Le ho mai raccontato del vento del Nord", ovvero "La settima onda".


Trama: Emmi e Leo: per chi ancora non li conosce, sono i protagonisti di un amore virtuale appassionante, che ha vissuto ogni sorta di emozione, a parte quella dell’incontro vero. Sì, perché dopo quasi due anni, Leo ha deciso di tagliare definitivamente i ponti con Emmi e partire per Boston, per ricominciare una nuova vita. Emmi però non si dà per vinta, e riesce nell’impresa di riallacciare i rapporti con Leo. Mentre lei è ancora felicemente sposata con Bernhard, per Leo in nove mesi le cose sono cambiate, eccome: in America ha conosciuto Pamela e finalmente ha iniziato la storia d’amore che ha sempre sognato. Si sa, però, l’apparenza inganna. Ritornano le schermaglie via e-mail che hanno tenuto col fiato sospeso i numerosi lettori di Le ho mai raccontato del vento del Nord, e anche stavolta promettono scintille.

La storia di Emmi e Leo non poteva di certo rimanere in sospeso. Una "relazione confidenziale" nata da un'email sbagliata è un segno del destino: doveva proprio andare così. Eppure, Emmi e Leo si erano un po' persi. Lui era partito per Boston con l'intento di raggiungere la sua nuova fidanzata, Pamela, mentre Emmi non aveva mai smesso di cercarlo.
"La settima onda" prosegue con lo stile epistolare, in un botta e risposta che è impossibile non leggere tutto di seguito: Emmi è ironica, Leo più pacato e romantico, ma i due non possono stare lontani l'uno dall'altro. E, piccolo spoiler, finiscono per incontrarsi, non una, ma più volte.
Ecco che l'immaginazione si scontra con la realtà: Emmi e Leo non si sono mai visti prima, nemmeno in foto. Si piaceranno? Si troveranno tanto diversi da come si erano pensati? La loro sintonia sarà rovinata dall'aspetto fisico, oppure no? 

Foto di Pexels da Pixabay

Glattauer restituisce, in questo passaggio, un "fenomeno" decisamente attuale data la modalità di incontro della gran parte delle persone al giorno d'oggi, ovvero tramite app. Se da un lato il mondo virtuale favorisce il contatto, dall'altra ci sono molti dettagli che si perdono attraverso un'email o un telefono: le frasi possono essere interpretate erroneamente, non si sente il tono, non ci sono le espressioni (e le emoticon non riescono a sostituirle), mancano totalmente gli sguardi.
E se anche i nostri protagonisti si piacessero, Emmi è comunque sposata, Leo ancora no, ma ha Pamela che lo aspetta per provare a costruire una vita insieme. Tutto diventa più complicato, forse è meglio smettere di sentirsi, forse è meglio non pensarsi, forse sarebbe stato meglio non conoscersi mai, forse ancora sarebbe bene allontanarsi. E i due continuano a scriversi, rincorrendosi ed evidenziando, in realtà, il desiderio di non lasciarsi più.
Daniel Glattauer doveva pur scrivere una degna fine per la storia di Emmi e Leo. Non vi narrerò i dettagli, ma è un romanzo che va letto, soprattutto se avete divorato le pagine del precedente.

Vi lascio con qualche piccolo estratto e vi aspetto alla prossima recensione, sempre qui su questo blog!

«[…]Sì, qui si narra la storia della settima onda, l'inflessibile. Le prime sei sono prevedibili e armoniose. Si condizionano a vicenda, sorgono una dopo l'altra, non fanno sorprese. Preservano la continuità. Sei assalti, che appaiono così diversi se osservati a distanza, sei assalti... e sempre lo stesso obiettivo. Occhio però alla settima onda! È imprevedibile. Passa a lungo inosservata, partecipa all'assalto monotono, si adegua a quante l'hanno preceduta. Talvolta, però, fugge via. Sempre e solo lei, sempre e solo la settima onda. Perché è spensierata, ingenua, ribelle, spazza via tutto, gli dà un'altra forma. Migliore o peggiore? Possono dirlo solo quanti, afferrati da lei, hanno avuto il coraggio di raccoglierne la sfida, di lasciarsi incantare dalla sua malia».

Foto di Enrique da Pixabay

«Non esistono istruzioni per l'uso con annessa planimetria per l'avvistamento e il salvataggio della felicità. Ognuno cerca la propria a modo suo, o ovunque creda di poterla trovare il prima possibile».

«Le esigenze, le intenzioni, gli obiettivi. Un'avventura vuole essere vissuta. Lo stare insieme vuole restare insieme, e magari un giorno vivere bene insieme».

venerdì 27 settembre 2024

Recensione di "Parigi è sempre una buona idea" di Nicolas Barreau

Buonasera amici lettori! Ben ritrovati tra i meandri del mio piccolo blog letterario!
Qualcuno di voi avrà probabilmente già cenato, qualcun altro starà aspettando ancora una manciata di minuti. Io invece vi parlo dell'ultimo libro che ho letto, anche questo iniziato quando ero ancora in modalità estiva. Si tratta di "Parigi è sempre una buona idea" di Nicolas Barreau.


Trama: Parigi è sempre una buona idea, si sa. Innamorati o no, vale sempre la pena di fare una passeggiata per le vie della Ville Lumière. Lì, in rue du Dragon, una deliziosa stradina nel cuore di Saint-Germain, ci si può imbattere in un piccolo negozio con una vecchia insegna di legno, un campanello d’argento démodé sulla porta e, dentro, mensole straripanti di carta da lettere e bellissime cartoline illustrate: la papeterie di Rosalie Laurent.
Talentuosa illustratrice, Rosalie è famosa per i biglietti d’auguri personalizzati che realizza a mano. Ed è un’accanita sostenitrice dei rituali: il café crème la mattina, una fetta di tarte au citron nelle giornate storte, un buon bicchiere di vino rosso dopo la chiusura della papeterie. I rituali aiutano a fare ordine nel caos della vita, ed è per questo che ogni anno, per il suo compleanno, Rosalie fa sempre la stessa cosa: sale i 704 gradini della Tour Eiffel fino al secondo piano e, con il cuore in gola, lancia in aria un biglietto su cui ha scritto un desiderio. Ma finora nessuno è mai stato esaudito. Tutto cambia il giorno in cui un anziano signore entra come un ciclone nella papeterie. Si tratta del famoso scrittore per bambini Max Marchais, che le chiede di illustrare il suo nuovo libro. Rosalie accetta felice e ben presto i due diventano amici, La tigre azzurra ottiene premi e riconoscimenti e si aggiudica il posto d’onore in vetrina. Quando, poco tempo dopo, un affascinante professore americano, attratto dal libro, entra in negozio, Rosalie pensa che il destino stia per farle un altro regalo. Ma prima ancora che si possa innamorare, ha un’amara sorpresa. Perché l’uomo è fermamente convinto che la storia della Tigre azzurra sia sua…


Sono stata a Parigi ormai tanti anni fa. Era il 2010, in viaggio di studi con la mia università e la capitale francese fu l'ultima tappa di un itinerario interessante, ma abbastanza faticoso. Ricordo che piovigginava, il cielo era grigio, il pullman ci lasciò davanti al Louvre, ma io non fui con il gruppo che entrò nel museo (lo avreste mai detto?). Decisi di dedicare la mia unica giornata a Parigi a conoscere la città, percorrendo le sue strade e osservando i suoi monumenti, qualcuno solo da lontano. Vidi dall'esterno la cattedrale di Notre-Dame dove, sono certa, mi sarei persa al suo interno, incantandomi sulle vetrate e rievocando il celebre romanzo di Victor Hugo, così come il bellissimo cartone animato Disney. Avrei persino cantato la canzone di Esmeralda.
Quando io e il mio gruppetto arrivammo sotto la Tour Eiffel, stavamo cercando disperatamente un posto economico in cui mangiare (una rarità praticamente!). Avevamo optato per Mc Donald's, ma pur avendo chiesto a ben 3 signori, tutti quanti ci avevano dirottato altrove. Simpatici i francesi... infine, chiedemmo a un signore che vendeva braccialetti di corda. Ci disse che dall'Africa era passato in Italia per raggiungere la Francia e parlava italiano. Ci indicò finalmente la direzione giusta. 
Nel pomeriggio, dopo aver ripreso un po' di energie, salimmo a Montmartre, visitando la Basilica del Sacro Cuore. Ricordo poco della serata. Ero stanca, ma certamente le foto avranno immortalato anche quei momenti.
Questa fu la mia unica volta a Parigi. Ci sarei voluta tornare, ma non nego che sia una meta piuttosto costosa e che, in questi anni, non me lo sia potuto permettere. Una mia amica, una volta, mi disse: "Ci tornerai per il tuo viaggio di nozze, che dici?". All'epoca mi misi a ridere, già disillusa su quell'opportunità futura che classificavo tra le cose "impossibili". E infatti, a Parigi non ci sono tornata, né da sola, né accompagnata... ma mai dire mai.


Detto ciò, passiamo alla storia vera e propria. Rosalie è un po' come me: mentre a tutte le bambine (o quasi) piaceva il rosa, a me affascinava l'azzurro, il colore del cielo e, di conseguenza, del mare. Anche gli occhi di Rosalie sono azzurri e si abbinano perfettamente a una lunga treccia castana. La nostra protagonista è un'artista, osteggiata dalla sua mamma (tipico) che avrebbe voluto per lei un futuro diverso. Ma Rosalie, una volta terminati gli studi, è felice così e riesce ad aprirsi una cartoleria "Luna Luna", dove vende deliziosi bigliettini che dipinge lei stessa, penne, matite, colori e tutti quegli oggetti bellissimi che si trovavano nelle cartolerie di qualche anno fa (a Roma, questo tipo di negozi sono quasi scomparsi).
Al suo negozio, un giorno, si presenta un tale Max Marchais che, molto goffamente, fa cadere un espositore. L'uomo, dai profondi occhi azzurri e dalla gentilezza di altri tempi, le chiede di illustrare il suo nuovo libro di fiabe, "La tigre azzurra". Rosalie rimane stupefatta: Max Marchais, l'autore di cui aveva letto tanti libri da bambina, le chiedeva una cosa del genere? La ragazza è al settimo cielo e inizia a lavorare per questo progetto, finché il libretto non va in stampa.
Ma la felicità non dura per sempre... perché un pomeriggio, mentre Rosalie è in negozio, un bellissimo uomo, biondo con occhi azzurri in cui perdersi, si è bloccato davanti alla vetrina e fissa "La tigre azzurra". Poi varca la soglia, ma sembra fuori di sé: è un professore americano di letteratura, si chiama Robert Sherman e ritiene che la storia della tigre sia sua. Vuole denunciare sia Rosalie che Marchais! Come finirà?

Vi posso anticipare che, tanto per citare il titolo, "Parigi è sempre una buona idea", che è una città romantica e che ci saranno altri colpi di scena. Sicuramente l'autrice - eh sì, perché Nicolas Barreau, in realtà, è Daniela Thele - è riuscita a farmi venire ancora più voglia di tornare nella ville lumière, descrivendo stradine, ristorantini, librerie e cieli sfumati che avvolgono la Torre.
E poi è una bella storia. Il sentimento c'è e si percepisce, nasce in maniera talmente spontanea da sembrare una fiaba o una storia d'altri tempi. Insomma, per animi romantici e sensibili come il mio, questo libro è un toccasana.
Certamente, alcuni elementi sono abbastanza prevedibili, ma c'è un dettaglio importante: alla fine vince sempre il cuore.

Foto di Dan Novac da Pixabay

Un romanzo leggero, tutto azzurro e consigliato a chi possiede la capacità di sognare e un cuore che, nonostante le delusioni, riesce ancora a battere forte.

Vi lascio con qualche citazione e vi aspetto alla prossima recensione!

«Fosse stato per Rosalie, si sarebbero spedite molte più lettere e cartoline. La piccola - e a volte anche grande - felicità che una lettera scritta a mano riesce a dare sia a chi la manda sia a chi la riceva non è paragonabile all'effetto di un'email o di un sms, che perdono subito importanza e vengono dimenticati in fretta. La piacevole sorpresa di trovare una lettera nella posta, la gioiosa attesa di voltare una cartolina, aprire con cura una busta o strapparla con impazienza. L'occasione di tenere tra le mani una parte della persona che ha pensato a noi, di studiarne la grafia, indovinarne l'umore, magari intuire perfino una traccia di tabacco o di profumo. È una cosa incredibilmente viva. E anche se ormai si scrive sempre meno perché a quanto pare non se ne ha più il tempo, Rosalie non conosceva nessuno che non ricevesse volentieri una lettera o una cartolina».

«Le macchie di colore sono la cosa più importante. Non bisogna mai smettere di sognare. E non bisogna mai smettere di credere ai propri desideri».

«Era così facile la vita da bambini. Come poteva quella vita così facile diventare tanto complicata? Sono le mezze verità, le frasi non dette, i sentimenti nascosti e tutte le cose che ognuno tiene per sé a offuscare la magnifica chiarezza dell'infanzia, a disorientarci perché un bel giorno abbiamo capito che nella vita non esiste un'unica verità?».

«In quel luogo nessuno sentiva il bisogno di stare al passo con i tempi: la piacevole calma che si respirava nella libreria si trasmetteva anche ai visitatori che, notò Robert sorridendo, sembravano muoversi con delicatezza e attenzione».

domenica 1 settembre 2024

Recensione di "La felicità è una storia semplice" di Lorenza Gentile

Buonasera amici e buon 1° settembre! Al contrario di tutti quelli che già avvertono l'aria autunnale, io sento ancora una gran voglia di estate. Sarà che sono una persona che non si arrende alla fine delle belle giornate, della luminosità fino alle 21.00, degli aperitivi e dei gelati, ma penso che finché non arriva ottobre possiamo goderci gli ultimi bagliori estivi.

Detto ciò, vi porto a conoscere "La felicità è una storia semplice" di Lorenza Gentile.


Trama: Vito Baiocchi ha quarantasei anni, vive a Londra, è senza lavoro da sei mesi e la sua unica amica è un’iguana di nome Calipso. Sentendosi un inetto senza speranze, Vito ha deciso di togliersi la vita, e di farlo con stile. Ma proprio quando, lavato e vestito di tutto punto, sta per dire addio al mondo, il telefono squilla: è nonna Elvira. E quindi nulla da fare, il piano salta. Vito è da sempre incapace di sottrarsi all’autorità della dispotica ottuagenaria e si trova costretto a volare in tutta fretta a Milano, perché Elvira desidera essere accompagnata in Sicilia, al suo paese d’origine. Distrutta alla fine degli anni Sessanta da un terremoto che si è portato via i genitori e il nonno di Vito, Gibellina è ora ricostruita, e con essa la casa che la nonna ha deciso di rivedere. Affare di una giornata, pensa Vito, in aereo è un attimo. Ma la donna vuole viaggiare in treno e così i giorni si moltiplicano. Firenze, Roma, Assisi, Napoli, Palermo: il viaggio sembra infinito, le confessioni di nonna Elvira molte e inaspettate, e a ogni tappa Vito incappa in coincidenze improbabili e in nuove disavventure tragicomiche. Ma forse proprio grazie a questi ostacoli riuscirà a ritrovare l’energia perduta e a prendere finalmente in mano la propria vita. Perché la felicità ci può sembrare talvolta irraggiungibile, ma basta davvero pochissimo per riuscire ad avvicinarla.


Londra: Vito Baiocchi si è vestito di tutto punto per suicidarsi. Ha preparato ogni cosa, lasciato un biglietto, dato da mangiare alla sua iguana Calipso e ha la corda tra le mani. Dovrà solo dare un calcetto alla sedia in vimini e la morte sopraggiungerà in pochi secondi. Ma quel momento viene interrotto dallo squillo del cellulare. Vito prova a ignorarlo, poi squilla anche il telefono di casa e non riesce a fare finta di niente. Scende e va a rispondere: è sua nonna, la persona che lo ha cresciuto come una madre, che gli chiede aiuto. E così Vito si salva, per la seconda volta da quando è venuto al mondo. La nonna vuole tornare a Gibellina. La casa, danneggiatasi con il terremoto degli anni Ottanta, è stata riparata e ha una missione molto importante: deve comunicare una cosa a Santo, il fratello di suo marito Alfredo, quest’ultimo morto durante il sisma insieme alla figlia e ai genitori di Vito.

Vito è indeciso, non sa che fare. Lui vive a Londra e significherebbe rimettere piede in Italia, ma non può sottrarsi alla richiesta di aiuto della nonna. Il volo Londra-Milano lo riconduce a casa e da lì la nonna lo guida lungo un itinerario che farà tappa a Firenze, Roma, Napoli, Palermo e infine Gibellina.


A Firenze la nonna vuole assolutamente salire sulla cupola del Duomo. Bloccando tutta la fila di turisti, riesce nell’impresa, solo per guardare dall’alto la città. Fa la stessa cosa a Roma, sulla cupola di San Pietro, ma stavolta l’ascensore risparmia la fatica a tutti. La nonna Elvira osserva le città dall’alto, quasi fosse una missione. Durante il viaggio lungo alcune delle più belle mete italiane, Vito e nonna Elvira incontreranno persone nuove, capaci di aprire gli occhi su altre prospettive (anche divertenti), e persone “vecchie” in grado di far recuperare le radici e, talvolta, di mettere un punto su questioni passate che non avevano dato pace al nostro protagonista.

Ma soprattutto, Vito si è salvato e ha capito, grazie alla nonna e al suo ultimo viaggio, che la vita è composta di tanti momenti negativi alternati a istanti di felicità. È proprio per questi ultimi, del tutto inaspettati, che bisogna andare avanti: un nuovo lavoro, una nuova meta, un nuovo amore possono dare nuova linfa anche all’esistenza di una persona piuttosto sfortunata come Vito.

"Cretto" di Alberto Burri, Gibellina (foto di Boobax, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons)


Volete la verità? Io adoro la scrittura di Lorenza Gentile. Mi sono letteralmente innamorata di "Le piccole libertà" e del particolare legame familiare che rientra sempre nei suoi romanzi, ma… questo libro lo avevo scartato in libreria. Già visto molto tempo fa, avevo deciso di non intristirmi con la storia di un uomo che voleva suicidarsi. E invece, questo libro di triste ha molto poco. C’è tanta ironia e Vito ed Elvira che girano per l’Italia sembrano un po’ Carlo Verdone con la nonna, interpretata da Elena Fabrizi, ovvero la mitica Sora Lella. Certo, la conclusione vi strapperà una o più lacrime, ma vi assicuro che c’è un lieto fine.

Assolutamente consigliato! Me lo sono divorato in due giorni.
Vi lascio con qualche frase e vi aspetto alla prossima recensione!

p.s. Tra le altre cose, come resistere a un libro che include la descrizione della bella visuale da via Piccolomini? La prima citazione è proprio legata alla nota via romana, che la sottoscritta conosce molto bene.

p.p.s. Gibellina è legata al grande "Cretto" di Burri. Leggetene la storia.


«Prima di andare a casa Peppino ci tenne a fargli vedere Roma.
- Ti prende per il cuore e non ti molla più, - gli disse mentre correvano verso San Pietro. La basilica si ergeva sfarzosa proprio davanti a loro. Costeggiarono la piazza e presero una strada a sinistra. Dopo qualche minuto Peppino lo chiamò: - Vito, guarda dietro di te.
Baiocchi si girò. Vedeva la cupola di San Pietro, in lontananza.
- Non distogliere gli occhi, - continuò Peppino.
Man mano che si allontanavano, la cupola si ingrandiva. Arrivarono alla fine della strada che la cupola era enorme. Quando tornarono indietro si rimpicciolì a vista d’occhio».

«- Ognuno viaggia con la propria storia, stretta dentro di sé, - disse. – Pensa di essere unico, è giusto. La vita è nostra, siamo noi i protagonisti. Ma poi ci sono tante altre vite che si intrecciano, tanti protagonisti di altre storie… - Guardava lontano. – L’unico modo per incontrarsi è lasciare che l’altro entri dentro la nostra vita, che la modifichi. Capisci? – Fece una lunga pausa. – Solo adesso che la mia storia è quasi finita, Vito, mi rendo conto che sono stata l’unica protagonista».

«Che cosa significava aver amato un uomo per tutta la vita senza dirlo a nessuno, negandolo perfino a sé stessa?»

giovedì 29 agosto 2024

Recensione di “Le ho mai raccontato del vento del Nord” di Daniel Glattauer


Buon pomeriggio amici! Qualcuno di voi sarà ancora al mare, qualcuno si appresterà ad andare in vacanza, ma sono certa che un buon libro vi farà comunque compagnia.

Oggi vi porto a conoscere il mondo di Emmi e Leo, protagonisti del romanzo di Daniel Glattauer "Le ho mai raccontato del vento del Nord".


Trama: Un'email all'indirizzo sbagliato e tra due perfetti sconosciuti scatta la scintilla. Come in una favola moderna, dopo aver superato l'impaccio iniziale, tra Emmi Rothner - 34 anni, sposa e madre irreprensibile dei due figli del marito - e Leo Leike - psicolinguista reduce dall'ennesimo fallimento sentimentale - si instaura un'amicizia giocosa, segnata dalla complicità e da stoccate di ironia reciproca, e destinata ben presto a evolvere in un sentimento ben più potente, che rischia di travolgere entrambi. Romanzo d'amore epistolare dell'era Internet, il romanzo descrive la nascita di un legame intenso, di una relazione che coppia non è, ma lo diventa virtualmente. Un rapporto di questo tipo potrà mai sopravvivere a un vero incontro?


Che storia quella di Emmi e Leo, quasi da non crederci. Nell’epoca di internet, dove ogni cosa, purtroppo anche le relazioni, passano per il web, Emmi e Leo si incontrano per caso, per colpa di un’email di disdetta inviata all’indirizzo sbagliato. È la curiosità a far proseguire la loro relazione epistolare, il mistero che si cela dietro il detto/non detto di qualche parola digitata velocemente sulla tastiera.

Ogni giorno, a distanza di pochi minuti, anche secondi a volte, i due si scrivono per sapere cosa fanno, come si sentono, e solo a un certo punto iniziano ad aprirsi per raccontarsi di fatti personali. Subentra un sentimento infido, la gelosia… ma è possibile provare gelosia per una persona mai incontrata?

Ci sono le paure, soprattutto quelle. Emmi è sposata con un uomo di 14 anni più grande di lei, vedovo, che ha con sé due figli. Leo è single ed è appena stato lasciato da Marlene. È molto dolce e romantico, nonostante proceda cautamente. Emmi è ironica, a volte sarcastica, disillusa… eppure non c’è nulla da fare quando serpeggia quella sensazione di aver trovato, tra 8 miliardi di donne e uomini, la persona giusta che ti capisce e che potresti riconoscere (pur non avendola mai vista) in una stanza affollatissima.

Si incontreranno mai Emmi e Leo? Daranno un lieto fine alla loro storia via email, anche solo per incrociare il reciproco sguardo? Si piaceranno, o si saranno idealizzati? In cosa sfocerà tutto questo? In amicizia, in un rapporto occasionale o in qualcosa di più? Ma è giusto incontrarsi? O forse è meglio continuarsi a scrivere?

Sono tutte domande che i due si pongono fino a poche pagine dalla fine del romanzo. Vi anticipo solo che c’è una continuazione… che ovviamente leggerò.



Il mistero dell’email, al giorno d’oggi, è già stato superato da WhatsApp: videochiamate, vocali, foto, abbiamo tutto subito, nell’immediato. E poi ci sono le app di incontri, cui abbiamo delegato la “fatica” di provarci con chi attrae la nostra attenzione. Siamo tutti troppo impegnati, tutti bombardati di immagini e, nel frattempo, abbiamo perso molte cose: le sensazioni che sorgono a tu per tu, o la bellezza della calligrafia nella scrittura di una lettera, anche l’attesa. Sì, l’attesa. Perché nell’epoca delle chat non si aspetta più che l’altro rifletta. Si scrive di getto, anche con il rischio di (tanti) fraintendimenti. Dovremmo imparare ad aspettare, a pensare, a prenderci quel tempo che ci occorre per non vanificare ogni cosa.

E io, che sono una “millenial”, ho vissuto l’era delle lettere, quella delle email, poi degli SMS, degli MMS, di Msn, infine di WhatsApp e non ho mai ceduto alle app di incontri (qualcuno dirà che sbaglio e che rimarrò sola, ma non mi interessa. Credo ancora nelle emozioni oltre uno schermo). Sapete cosa mi è accaduto? Che sono tornata a scrivere lettere ed email… WhatsApp lo lascio alle comunicazioni istantanee per questioni lavorative, o per mettermi d’accordo sulle mie rare uscite tra amici. Non mi piace chattare, anche se a volte non ho scelta per comunicare con amici lontani. Ma sostanzialmente, non voglio perdere il tempo dell’attesa, la bellezza della scrittura a mano (con penna stilografica), o il sorriso che mi suscita la notifica della posta per una email che rimane, che posso stampare e rileggere quante volte voglio. Delle chat che rimane? Nulla.

Vi lascio con due piccoli estratti e vi aspetto con la prossima recensione!

Foto di Pexels da Pixabay

«[…] Emmi, mi scriva. Scrivere è come baciare, solo senza labbra. Scrivere è baciare con la mente. Emmi, Emmi, Emmi».

«È già tornato dal teatro? Non riesco a dormire, stasera. Le ho mai raccontato del vento del Nord? Quando tengo la finestra aperta è insopportabile. Sarebbe bello se mi scrivesse qualche altra parola. Anche solo “Allora chiuda la finestra”. Al che ribatterei: Con la finestra chiusa non riesco a dormire».

«Ogni volta che ricevo una sua e-mail, mi batte forte il cuore. Mi succede oggi come ieri, come sette mesi fa».

mercoledì 1 novembre 2023

Recensione di "Malinverno" di Domenico Dara

Buongiorno, amici lettori! Siamo ormai entrati in pieno autunno, l'aria inizia a rinfrescare e le foglie a cambiare colore, creando manti arancioni e gialli lungo le strade. E' il tempo del golf, della copertina sulle gambe la sera e di un buon té.

Dove vi porto oggi? A Timpamara, un posto immaginario, ma estremamente reale, dove vive Astolfo Malinverno, bibliotecario e custode del cimitero. Strano abbinamento, no? Eppure tutto ha un perché...


Trama: Ci sono paesi in cui i libri sono nell’aria, le parole dei romanzi e delle poesie appartengono a tutti e i nomi dei nuovi nati suggeriscono sogni e promesse. Timpamara è un paese così da quando, tanti anni fa, vi si è installata la più antica cartiera della regione, a cui si è aggiunto poco dopo il maceratoio. E di Timpamara Astolfo Malinverno è il bibliotecario: oltre ai normali impegni del suo ruolo, di tanto in tanto passa dal macero per recuperare i libri che possono tornare in circolazione. Finché un giorno il messo comunale gli annuncia un nuovo impiego: il pomeriggio continuerà a occuparsi della biblioteca, ma la mattina sarà il guardiano del cimitero.
Lettore dalla vivida immaginazione, Astolfo mescola le storie dei romanzi – per i quali inventa nuovi finali – con quelle dei compaesani, dei forestieri, dei lettori della biblioteca e dei visitatori del cimitero, dei vivi e degli estinti. A incuriosirlo è soprattutto una lapide senza nome e senza date: solo una fotografia, una donna dallo sguardo candido e franco, i capelli divisi in due bande liscissime e l’incarnato pallido. Per lui è da subito la sua Madame Bovary, la sua Emma. Attratto dal mistero racchiuso in quel volto, Astolfo si trova a seguire il filo che sembra dipanarsi dalla fotografia: tra i viottoli e le campagne di Timpamara, complice l’apparizione di una giovane sconosciuta nerovestita, prende forma a poco a poco una storia che mai Astolfo avrebbe saputo immaginare.
Domenico Dara unisce il talento dei narratori orali a una scrittura sospesa nel tempo: Malinverno è un romanzo pieno d’incanto sui libri, sul potere delle storie, dell’immaginazione, dell’amore.

Astolfo Malinverno è un personaggio un po' particolare: fa il bibliotecario e ha una gamba più corta dell'altra, caratteristica questa che lo ha sempre fatto sentire difettoso. E' innamorato dei libri, delle storie, ed essendo un lettore, ha una fervida fantasia.
Vive a Timpamara, un paesetto che, nella mia mente, ha sempre avuto l'aspetto di uno dei piccoli centri rocciosi interni alle nostre regioni. E a Timpamara tutto ruota intorno ai libri, anzi, al loro ultimo viaggio: qui infatti c'è il macero, con mucchi di volumi accatastati e fogli volanti lungo le vie della città, ma anche i nomi degli abitanti derivano da quello di personaggi letterari. Astolfo, con la sua biblioteca, rianima in qualche modo i libri, dà loro una seconda opportunità. Un giorno, però, il pensionamento del custode cimiteriale induce il sindaco ad affidare ad Astolfo Malinverno quell'incarico rimasto scoperto.

Foto di Wälz da Pixabay

Astolfo si ritrova quindi ad aprire il cimitero dalla mattina fino al pomeriggio, per poi andare in biblioteca. Tutti i suoi giorni si svolgono così. Quello che sembrava, però, un incarico macabro e anche un po' triste, si rivela diverso. Astolfo, con la sua grande fantasia, riesce ad attribuire storie alle persone che si recano in visita al cimitero, facendo sì che letteratura e realtà si incontrino. E poi c'è lei, quella bellissima donna la cui lapide è totalmente vuota: non c'è nome, non c'è data di nascita, né di morte. Ogni tanto qualcuno le porta dei fiori, i cardi. Scelta particolare... il cardo è un fiore spinoso, che nasce in luoghi selvatici e aridi. Chi sarà quella fanciulla? Astolfo, che sta leggendo Madame Bovary, la chiama Emma, proprio come la protagonista del romanzo di Flaubert, e immagina una storia anche per lei che, apparentemente, non ha un passato, provando un sentimento crescente, quasi reale.

Finché un giorno, proprio come in un romanzo, Emma sembra comparire davanti a lui, emergendo dalla sua fantasia. Chi è quella misteriosa donna avvolta in un abito nero e dallo sguardo così malinconico? Possibile che Emma sia viva e abbia inscenato la propria morte?
Malinverno, un po' detective e un po' uomo di un romanticismo dal sapore ottocentesco, scoprirà la vera, triste storia di Emma, prendendosi cura di quella donna sola e ammantata di nero di nome Ofelia, cui ha consacrato il proprio cuore. E con la sua grande sensibilità condurrà egregiamente il lavoro di custode cimiteriale, senza aver paura della morte, ma quasi accompagnando quelle anime perdute, così come i libri vecchi destinati al macero, cui darà (ebbene sì) degna sepoltura.


Questa lettura si è collocata a cavallo tra Halloween e il 2 novembre, giorno della commemorazione dei defunti, e la definirei quasi tematica per l'atmosfera che avvolge l'intero racconto. La copertina mi ha subito ricordato il film di Tim Burton, "La sposa cadavere", anche se "Malinverno" tocca tasti totalmente diversi.

Domenico Dara ha creato un personaggio che suscita tenerezza ed è estremamente empatico. Proprio grazie alla sua elevata sensibilità, Astolfo è in grado di percepire lo stato d'animo di coloro che incontra al cimitero e che ruotano intorno ad esso. Si prende cura di tutti, dal cane nero che accompagna i defunti in chiesa, ad Emma senza una storia, ad Elea il risorto, a Caramante con le sue registrazioni, e ad Ofelia... un nome che non dimenticherà mai.

La scrittura è scorrevole, gli intrecci suscitano curiosità spingendo il lettore ad andare avanti, a conoscere meglio Timpamara, i suoi abitanti e soprattutto il mistero che avvolge la tomba di Emma. Il tutto è immerso in quest'aura malinconica, a tratti dolcissima e riflessiva.
Decisamente un bel libro "che parla di libri", di sentimenti e molto altro: consigliato.

Vi lascio con qualche frase tratta da "Malinverno" e vi aspetto con la prossima recensione!


«Perché non nasciamo il giorno in cui vediamo la luce, nell’attimo in cui braccia sconosciute ci trascinano nell’infinito e indecifrabile corso della storia, ma molto prima, quando il pensiero di noi si è insinuato nella mente ancora libera di uomini e donne, quando il nome d’un essere inesistente appare nell’orizzonte sfumato d’una vita possibile».

«[…] perché chi ama, appena scopre nell’altro un cedimento o una manchevolezza, non ha altro scopo che apparare e livellare, che forse a questo serve l’amore, a sentirci necessari, a essere lo stucco sulle incrinature dei vetri, la toppa sugli strappi dei tessuti, il punto tra le pelli lacerate».

«[…] questi amori impossibili che si sfioravano senza mai incontrarsi, che sbagliavano luoghi, che mancavano tempi, e adesso era come se avessi la possibilità anche solo per un momento - e certo per un'illusione - di far coincidere spazi e attimi, come se un finale diverso potesse essere un buon auspicio per la mia storia».

«[…] l’amore eterno non è quello condiviso dei baci, degli abbracci, delle carezze, ma quello solitario e inviolabile degli sguardi, dei sogni, delle immaginazioni».

«”Questi li ho conservati per te”, aveva detto indicando un piccolo scaffale di ferro. “Prendi il romanzo che vuoi e portatelo a casa, e quando finisci di leggerlo vieni a prenderne un altro, e poi un altro ancora, farò in modo che non finiscano mai. Uno alla volta, così sono sicuro che tornerai da me.”
Fu una dichiarazione d’amore che a Catena parve dettata da uno scrittore. Quel giorno portò con sé le Tragedie di Shakespeare, zoppe degli ultimi due atti del Troilo e Cressida. Dopo quattordici libri, Vito chiese ai miei nonni la mano di Catena. Dopo ventisette libri si amarono per la prima volta, di notte, sotto una luna piena e sopra un letto di volumi scaricati quel pomeriggio e provenienti da una biblioteca di testi classici, si amarono per la prima volta sopra le opere complete di Seneca, mentre il collo di lei poggiava sul Simposio di Platone e le sue mani nei momenti di piacere stringevano le Odi di Catullo e la Cynthia di Properzio. Dopo quarantadue libri si sposarono».

«Gli amori veri, credevo, potevano solo essere scritti, o anche sognati, che era un po’ la stessa cosa, e dovevano restare così, intatti come reliquie dentro le teche, come l’amore di Chisciotte per Dulcinea, quello di Werther o di Ortius, come il mio per Emma».

Foto di StockSnap da Pixabay

«Niente che è esistito anche solo un attimo scompare mai completamente, nemmeno i pensieri, nemmeno le preghiere, nemmeno i sogni».

«”Noi siamo più di quello che ricordiamo”. Spesso le cose importanti che ci sono accadute non sono quei ricordi ma il filo sottile che li lega, ciò che avevamo solo intravisto, la carta velina tra una pagina e l’altra che non serve solo a proteggere le foto, dividendole, ma a mascherarle, a farne ogni volta scoperta».

«Perché è questo uno dei grandi paradossi dell’uomo: il senso alla vita viene dato dalla morte. È da lì che nascono il rimpianto, il senso del tempo, la nostalgia, la tristezza, la bellezza di alcuni sguardi, la dolce malinconia di certe carezze, i gesti d’amore che portano il peso inconsapevole della perdita perché quando si bacia qualcuno perché davvero si vuole baciarlo, dentro di noi temiamo che quella cosa potrebbe non più essere, e per questo è bello farlo, perché potrebbe scomparire, potremmo non più baciare, non più accarezzare, e sono queste le gioie che rimangono, le tristezze che nutrono».

«Quando non abbiamo le persone che amiamo ce le inventiamo. Ma tutto, nella vita, funziona così. C’inventiamo sempre ciò che ci manca».

«Perché se il destino dei libri è morire come esseri viventi, anche gli uomini, quando smettono di respirare, non diventano che storie».

lunedì 18 settembre 2023

Recensione di "Come un romanzo" di Daniel Pennac

Buonasera amici, torno su questo blog sempre più spesso ed è un bene. Finalmente, almeno in questo periodo, riesco a coltivare la mia passione per la lettura e la scrittura. Ed è proprio di un libro che parla di lettura e scrittura che voglio parlarvi. Si tratta di "Come un romanzo" di Daniel Pennac. Lo conoscete?


Trama: «Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere.»
È proprio attraverso l'analisi del comportamento, di come giorno dopo giorno interagiamo con l'oggetto libro e i suoi contenuti, che Pennac riesce a dimostrare alcune storture dell'educazione non solo scolastica, ma anche familiare. Laddove, normalmente, la lettura viene presentata come dovere, Pennac la pone invece come diritto e di tali diritti arriva a offrire il decalogo. Piena libertà dunque nell'approccio individuale alla lettura perché «le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere».

Ho acquistato questo libro nella libreria della località in cui sono andata in vacanza, esattamente come "Il caffè alla fine del mondo". L'ho aperto e ho capito che sarebbe stata la mia prossima lettura perché sono rimasta a scorrere diverse righe prima di accorgermi che non avrei potuto terminarlo in libreria prima di averlo pagato.

Ovviamente non si tratta di un romanzo, ma piuttosto di un saggio riflessivo sulla lettura. Da quando iniziamo a leggere? Perché lo facciamo? Perché si legge sempre meno? Colpa della TV? Daniel Pennac ripercorre i primi momenti di un bambino, quando sono i genitori a leggergli le favole prima di andare a dormire. La lettura diventa quasi un rito irrinunciabile. Con il trascorrere del tempo, le cose cambiano.


Il bambino cresce, può leggere da solo, i genitori si allontanano ed è in questo momento che inizia il declino: quel rito piacevole, ora è diventato un momento di solitudine. A volte sono gli stessi genitori a sbagliare: non ti faccio vedere la TV, se non leggi. Quindi il premio non è la lettura, bensì la TV. Il libro si configura, quindi, come un oggetto negativo, inconsapevolmente.

E poi c'è la scuola che, a volte, con l'obiettivo di far amare la lettura ai ragazzi, in realtà finisce per fargliela odiare. Come? Imponendo letture di libri, soprattutto classici, durante le vacanze. Cosa accade dunque? All'epoca in cui Pennac scrisse il libro, i ragazzi copiavano dai compagni più bravi, senza aver imparato nulla; oggi, invece, riassunti, recensioni, analisi dei testi sono tutti a disposizione sul web. Non c'è più bisogno di leggere un libro "imposto" per sapere di cosa parli. Ma è proprio qui il punto: non è l'imposizione che si dovrebbe seguire. I ragazzi dovrebbero essere incuriositi dalla lettura, dai romanzi, dalle storie in essi narrati. Lì sta la bravura del docente: i ragazzi vanno coinvolti, bisogna far sì che non possano fare a meno di leggere un libro perché vogliono saperne di più. Il libro si trasforma, così, da oggetto "pesante" e quasi "di tortura", a un oggetto indispensabile.

Foto di WOKANDAPIX da Pixabay

Alla fine di tutte queste riflessioni, in cui non manca qualche nota ironica, Pennac inserisce il decalogo dei diritti del lettore: quello di non leggere, di saltare le pagine, di non finire un libro, di rileggere, di leggere qualsiasi cosa, il diritto al bovarismo, di leggere ovunque, di spizzicare, di leggere a voce alta e, infine, il diritto di tacere.

Un lettore che si rispetti può non aver voglia di leggere; può saltare le pagine se le trova troppo noiose, senza per questo considerare noioso l'intero libro; può lasciare un libro a metà perché la storia non lo ha ispirato particolarmente; può rileggere un libro per capirne di più, o perché lo ha davvero amato; può leggere qualsiasi cosa, dai romanzi rosa ai gialli, fino ai saggi; può lasciarsi travolgere e ricordare per sempre le prime emozioni da lettore; può leggere dappertutto, sui mezzi pubblici, in camera da letto, persino al bagno; può "spizzicare", ovvero leggere pezzetti di testo di un determinato libro, lasciandolo poi per "spizzicarne" un altro; può leggere a voce alta per conferire più sentimento alle parole e per dare vita a quella storia fuori dalle pagine scritte; può infine tacere, non voler parlare della propria lettura, perché vuole assimilarla, tenerla per sé, custodirla.

Ecco, perciò, che Daniel Pennac riesce a farci osservare "la lettura" da punti di vista differenti, a farci riflettere sui meccanismi negativi e positivi che si generano da quelle che noi consideriamo come azioni normali perché radicate nella società. Amare la lettura è impossibile al giorno d'oggi? No, nulla è impossibile se ci sono lettori innamorati e scrittori desiderosi di essere letti.

Vi lascio con alcuni piccoli estratti e vi aspetto alla prossima recensione!


«Se dovessimo tener conto delle letture importanti che dobbiamo alla Scuola, ai Critici, a tutte le forme di pubblicità e, viceversa, di quelle che dobbiamo all'amico, all'amante, al compagno di scuola, vuoi anche alla famiglia - quando non mette i libri nello scaffale dell'educazione - il risultato sarebbe chiaro: quel che abbiamo letto di più bello lo dobbiamo quasi sempre a una persona cara. Ed è a una persona cara che ne parleremo. Forse proprio perché la peculiarità del sentimento, come del desiderio di leggere, è il fatto di preferire. Amare vuol dire, in ultima analisi, far dono delle nostre preferenze a coloro che preferiamo. [...] Quando una persona cara ci dà un libro da leggere, la prima cosa che facciamo è cercarla fra le righe, cercare i suoi gusti, i motivi che l'hanno spinta a piazzarci quel libro in mano, i segni di una fraternità».



«Il tempo per leggere è sempre tempo rubato. (Come il tempo per scrivere, d'altronde, o il tempo per amare.) Rubato a cosa? Diciamo, al dovere di vivere. [...] Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere».

«L'uomo costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale».

giovedì 16 febbraio 2023

Recensione di "Oceano mare" di Alessandro Baricco

Buonasera a tutti, cari lettori di Sàkomar! Ci troviamo già a metà febbraio che sembra volato in un soffio. Tra impegni e corse mirate a inseguire gli autobus per non fare ritardo, ho sempre avuto una certezza: i miei libri in borsa. Sono loro che mi tengono compagnia sui mezzi pubblici e, vi dirò, riescono a farmi isolare dal caos quotidiano.

Oggi vi porto alla locanda Almayer, che si affaccia sul mare, dove le onde si infrangono sulla riva sabbiosa, luogo in cui un misterioso pittore sta lì, con la sua tela bianca, a dipingere. Ma cosa dipingerà?


Trama: «Ognuno di noi ha bisogno di sogni per vivere.» Sul mare, tanto tempo fa, naufraga una fregata francese. 147 uomini cercano salvezza su una zattera. Il mare massacro, da vicino. Il mare slavina, da lontano. Il mare che raccoglie e disperde vite. L'avventura di sopravvivergli e di raccontarlo.

È difficile descrivere questo libro che, in alcuni punti, ha rievocato quell'atmosfera strana, a tratti onirica della nota serie televisiva "Lost". Sarà il mare, sarà il naufragio, ma la locanda Almayer mi è parsa un po' come la famosa "isola", dove approdavano persone diverse, con storie complicate, ma tutte legate tra loro in un modo o nell'altro. E c'era il mare a fare da padrone, un mare che, in quel caso, era un confine quasi insormontabile.

Il mare è il filo rosso nel romanzo di Baricco: un mare che culla e accoglie, un mare che dà speranze e alimenta sogni, un mare impietoso che genera crudeltà e follia, o fa solo emergere la vera natura dell'essere umano. Un mare che riunisce una serie di personaggi alla locanda Almayer, luogo fuori da ogni luogo e tempo, collocato chissà dove, con vista sull'oceano mare.
Qui alloggia Plasson, il pittore che, ogni giorno, si reca in spiaggia per cercare di dipingere la vera essenza del mare. Tutte le sue tele, o quasi, sono bianche, perché l'acqua del mare è così, trasparente; è il cielo che si riflette in essa. Ma la natura del mare non può essere catturata, nemmeno attraverso l'arte.
Bartleboom, uomo curioso, ossessionato dall'idea di definire il mare, di capire persino dove inizia, e non solo: Ismael Bartleboom vorrebbe incontrare l'amore della sua vita, la donna destinata a lui. Sa che la incontrerà e, nell'attesa, le scrive, inserendo le lettere in una scatola di mogano che consegnerà, prima o poi, all'amata.


Elisewin, ragazza cresciuta in un mondo ovattato e protetto, da principessa. Non sa come sia il mondo fuori dalla sua "torre". L'unica persona con cui si rapporta è Padre Pluche, che la accompagna per volere di suo padre. Elisewin deve guarire, ma da cosa? Conoscerà il mare, Elisewin, una porta verso tutto ciò che è oltre i confini imposti e conoscerà l'amore, sentimento potente, a volte effimero, a volte intenso anche se di breve durata.
Ann Deverià si trova alla locanda perché deve scontare una pena: riflettere su ciò che ha fatto tradendo il marito. È un'adultera, una donna il cui cuore appartiene solo al suo amante. Il mare dovrebbe avere lo scopo di farla pentire, ma l'animo è come un oceano in balia della tempesta delle emozioni.
Adams, l'uomo misterioso, colui che attende con occhi da cacciatore. Sopravvissuto a un naufragio, a quel mare che improvvisamente gli ha sottratto ogni cosa, ha ancora un compito da portare a termine.
Infine, c'è la settima stanza alla locanda Almayer: tutti sanno da chi è abitata, ma solo in conclusione si conoscerà il misterioso uomo che non esce quasi mai. È uno scrittore, una persona che vive di racconti e che cerca un modo di "dire mare"; uno scrittore che potrebbe essere persino lo stesso autore del romanzo.

Foto di Joe da Pixabay

Il mare lega tutti e ogni personaggio è connesso all'altro. Si arriva alla fine del libro cercando di capire quale sia il mistero insito nelle vite di ognuno di essi, quale la verità, svelata solo e soltanto dal mare, ente quasi "divino", inarrivabile e incomprensibile nella sua totalità; mare che si può amare o detestare; mare che osserva e attende; mare che accoglie e culla dolcemente. Ma non è solo questo: ognuna delle persone capitata alla locanda porta con sé il suo più grande desiderio, in cui spera vivamente o che cerca di esaudire a ogni costo.

La scrittura di Baricco non è semplice: si trova a metà tra la narrazione e la poesia, con risvolti a tratti riflessivi, persino filosofici. Potrà, quindi, non piacere a ogni tipologia di lettore. Lo consiglio? Sì, se vi approcciate con un determinato stato d'animo, senza aspettarvi di trovare la storia lineare, ma cercando invece, come un marinaio, la luce oltre la linea blu dell'orizzonte.

«Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l'onestà, essere buoni, essere giusti. No. Sono i desideri che salvano. Sono l'unica cosa vera. Tu stai con loro, e ti salverai».

domenica 16 ottobre 2022

Recensione di "I miei giorni alla libreria Morisaki" di Satoshi Yagisawa

Buongiorno amici e buona domenica! A Roma stiamo vivendo le "ottobrate": cielo azzurro, temperature miti che ci fanno tornare quasi alla primavera... poi probabilmente subiremo qualche vento gelido proveniente dalla Siberia, ma intanto ci godiamo questa breve coda soleggiata.
Oggi vi parlerò di un romanzo, la cui copertina mi aveva fatto innamorare al primo sguardo: "I miei giorni alla libreria Morisaki" di Satoshi Yagisawa.


Trama: Jinbōchō, Tōkyō: il quartiere delle librerie, paradiso dei lettori. Benché si trovi a pochi passi dalla metropolitana e dai grandi palazzi moderni, è un angolo tranquillo, un po' fuori dal tempo, con file di vetrine stipate di volumi, nuovi e di seconda mano. Non tutti lo conoscono, i più vengono attratti dalle mille luci di Shibuya o dal lusso di Ginza, e neppure Takako – venticinquenne dalla vita piuttosto incolore – lo frequenta, anche se proprio a Jinbōchō si trova la libreria Morisaki, che appartiene alla sua famiglia da tre generazioni: un negozio di appena otto tatami in un vecchio edificio di legno, con una stanza adibita a magazzino al piano superiore. È il regno dello zio Satoru, che ai libri e alla Morisaki ha dedicato la vita, soprattutto da quando la moglie lo ha lasciato. Entusiasta e un po' squinternato, Satoru è l'opposto di Takako, che non esce di casa da quando l'uomo di cui era innamorata le ha annunciato che sposerà un'altra. Ed è proprio lui, l'eccentrico zio, a lanciarle un'imprevista ancora di salvezza proponendole di trasferirsi al piano di sopra della libreria in cambio di qualche ora di lavoro. Takako non è certo una gran lettrice ma, quasi suo malgrado, si lascia sorprendere e conquistare dal piccolo mondo di Jinbōchō. Tra discussioni sempre più appassionate sulla letteratura moderna giapponese, un incontro in un caffè con uno sconosciuto ossessionato da un misterioso romanzo e rivelazioni sulla storia d'amore di Satoru, scoprirà pian piano un modo di comunicare e di relazionarsi che parte dai libri per arrivare al cuore. Un modo di vivere più intimo e autentico, senza paura del confronto e di lasciarsi andare.

Takako è una ragazza la cui vita sembra aver preso una brutta piega: il ragazzo con cui pensava di stare, decide di sposarsi con la sua vera fidanzata. Il suo d’animo terribile, generatosi dopo la notizia, fa sì che Takako consegni le lettere di dimissioni. Perde, così, amore e lavoro in un colpo solo. Qual è ora il suo posto nel mondo?
La sua esistenza sembra aver assunto il colore grigio dei cieli invernali, quando lo zio Satoru la chiama per proporle di aiutarlo con la sua libreria. Takako è un po’ spiazzata: non vede molto lo zio Satoru, nonostante gli sia grandemente affezionata, ma alla fine accetta. Cambiare luogo e occupazione per un po’ non potrà farle altro che bene.
Il quartiere di Tokyo in cui lavora Satoru, Jinbōchō, sembra uscito da una fiaba: è pieno di librerie. Tutte faranno affari? Chissà, quel che sorprende è l’atmosfera sospesa, quasi irreale. Takako si stabilisce quindi alla libreria Morisaki, che appartiene alla sua famiglia da tre generazioni, composta dal negozio vero e proprio e da un piccolo alloggio al piano superiore. Pian piano la ragazza entra nel ritmo della libreria: qualche cliente che entra ogni tanto, qualcuno vuole essere consigliato, qualcun altro osserva e basta senza acquistare, respirando solo l’aria intrisa di carta e inchiostro. E la stessa Takako inizia a sfogliare pagine su pagine, componendo nella sua stanza pile di libri.


In quella piccola libreria la sua anima sembra rifocillarsi: ritrova la calma perduta e capisce che quel che le è appena capitato non è la fine del mondo. Ci saranno un altro amore e un altro lavoro, forse migliori di quelli di prima. L’importante è sentirsi bene con se stessi. Ma prima deve liberarsi di una zavorra, di quel peso che la blocca. E in questa missione la aiuta lo zio Satoru, in un modo un po’ particolare e rischioso, eppure efficace.
Dopo un periodo alla libreria, Takako sboccia finalmente come un fiore di ciliegio, ritrovando la spinta per riprendere a vivere, individuando un lavoro più soddisfacente e facendo tappa, di tanto in tanto, dall’eccentrico zio amante dei libri.
Nella storia ruotano altri personaggi: il ragazzo del bar innamorato dell’amica di Takako, il misterioso uomo che si siede a prendere un caffè al Sabouru, la zia Momoko… sparita da anni e ricomparsa improvvisamente. Alla fine tutto ha una soluzione, tutto torna, ma quante complicazioni incontra l’animo umano…


“I miei giorni alla libreria Morisaki” è un tipico romanzo giapponese, dai toni rosati dei petali di ciliegio e leggermente malinconici. Tutto è incentrato sui sentimenti, soprattutto quelli della protagonista, che appaiono sfumati tra attimi di euforia e momenti di delusione. Takako è la tipica ragazza giapponese che la mia generazione è stata abituata a conoscere attraverso manga e anime che hanno letteralmente reso più belle e colorate le nostre giornate di bambini e di adolescenti.
E cos’altro insegna la lettura di questo romanzo? Un concetto molto importante che porto sempre dentro di me: i libri sono la vera cura per l’anima. Sono loro a sceglierti in un determinato momento e darti lo spunto giusto per poter proseguire nella tua esistenza.
Lettura leggera, ma non superficiale. Consigliata, soprattutto a chi è amante del Giappone, delle librerie e delle emozioni.
Vi lascio con qualche frase. Buon proseguimento e buona lettura!

Foto di Vlada Karpovich (da: https://www.pexels.com/)

“E alla fine l’hai trovato il tuo posto nel mondo?”
“Mah, penso di sì. Ma ci sono voluti anni.”
“E per caso… Quel posto è proprio qui?”
Lo zio annuì.
“Esatto, è qui. La nostra piccola, vecchia libreria Morisaki. Dopo aver spiccato il volo con il mio bagaglio di grandi illusioni, dopo aver girato il mondo, sono approdato nel posto a me più familiare, quello della mia infanzia: è buffo, no? Ma sì, dopo tutto questo tempo sono tornato. Ormai sapevo che non era un problema di luoghi, ma di cuore. Ovunque mi fossi trovato, in compagnia di chiunque, il mio posto sarebbe stato quello in cui ero certo di non stare mentendo al mio cuore. Quando l’ho capito, si è conclusa una fase della mia vita. Sono tornato al mio posto sicuro e ho gettato l’ancora. Per me questo è un santuario, il posto migliore dove riprendere fiato.”

«Avevo qualcuno che si preoccupava per me, che si arrabbiava per me. Fino ad allora mi ero sempre sentita sola, invece adesso c’era qualcuno pronto a difendermi e a prendersi cura di me. Ero felicissima.»

Lo zio mi disse una cosa che non avrei mai dimenticato. Esordì dicendo: “Voglio che tu mi faccia una promessa”, e poi: “Non aver paura di innamorarti. Cerca di amare più che puoi. Anche se rischi di soffrire, ricordati che una vita priva di amore è molto più triste. Mi tormenta il pensiero che per quello che ti è capitato tu possa chiuderti in te stessa. Amare è meraviglioso. Non dimenticarlo mai. Chi ti ha amato se ne ricorderà per tutta la vita. E quel ricordo scalderà il suo cuore. È una cosa che si capisce quando si arriva alla mia età. Allora? Me lo prometti?”. “Penso che se non fossi finita in quella libreria adesso starei vivendo ancora una vita a metà. Oltre ai libri, quel posto mi ha fatto conoscere tante persone, mi ha insegnato tante cose che mi hanno aperto gli occhi su ciò che conta davvero… Ecco perché il ricordo dei giorni trascorsi lì resterà sempre dentro di me”.

domenica 7 febbraio 2021

Recensione di "La faccia delle nuvole" di Erri De Luca

A volte capita che ti innamori di un libro aprendone una pagina, magari di fretta, mentre stai uscendo dalla libreria perché sei in ritardo. A volte la copertina non ti attrae immediatamente, ma ti fa pensare e, solo dopo aver ben compreso il messaggio insito nella narrazione, riesci a decodificarla.
Mi è accaduto proprio questo con "La faccia delle nuvole" di Erri De Luca. Come scrissi tempo fa, non conoscevo questo autore, finché un caro amico non mi regalò "I pesci non chiudono gli occhi". Da allora, mi piace imbattermi in tematiche di riflessione che, molto spesso, riguardano pensieri diversi dai miei.


Trama: Continua il dialogo tra Miriàm e Iosèf. Continua con il loro esilio in Egitto, il bambino carico di doni e di pericoli. Oro, incenso, mirra e scannatori di Erode, il Nilo e il Giordano, la falegnameria e la croce: la famiglia più raffigurata del mondo affronta lo sbaraglio prestabilito. In ogni nuova creatura si cercano somiglianze per vedere in lei un precedente conosciuto. Invece è meravigliosamente nuova e sconosciuta. Ogni nuova creatura ha la faccia delle nuvole.

Ho quindi aperto il libro, sfogliato qualche pagina controllando l'orologio per essere sicura di non arrivare in ritardo al lavoro... e mi sono imbattuta in un dialogo tra Miriàm e Iosèf, Maria e Giuseppe, proprio quei due che ho sempre sentito nominare nel Nuovo Testamento. E si sa, un'archeologa cristiana, tanto più se iconografa, li conosce come se li avesse incontrati davvero.
Non sapevo che Erri De Luca avesse tradotto alcuni libri delle Scritture, ma effettivamente questa sua esperienza emerge palesemente dalle righe di questo volumetto, soprattutto quando si sofferma sull'etimologia di alcune parole, confrontando le traduzioni che sono giunte a noi e i testi ebraici.
Il dialogo tra Giuseppe e Maria inizia proprio dalla nascita di Gesù (Ieshu), un evento che il povero Giuseppe attendeva ma cui non riusciva a fornire risposte esaurienti. Eppure, si fida ciecamente di sua moglie Maria, saggia e dallo sguardo illuminato. Quell'esserino che tiene tra le braccia ha già una storia, ancor prima di iniziare a vivere, un destino di cui si parla da secoli.


Erri De Luca, però, non scrive un saggio in ottica esclusivamente cristiana: prende atto del ruolo che Gesù rivestirà per la religione, ma analizza il tutto da un punto di vista umano.
Maria, Giuseppe e Gesù sono ritratti come una normalissima famiglia. Preoccupati per quel che accade a causa di Erode (la strage degli innocenti), fuggono, sono profughi in cerca di un riparo sicuro.
E ancora, quel bambino speciale - cui Giuseppe insegna il mestiere di falegname - si ritrova a parlare con i saggi nel Tempio, stupendo sia il padre che la madre.
Ho letto i Vangeli Apocrifi e molti degli aspetti in essi esposti vengono rielaborati e inseriti da De Luca in questo libro: l'umanità di Cristo, quella stessa umanità che viene lasciata sempre in secondo piano rispetto alla divinità. E allora tutto si ricollega con la copertina in cui si notano i dettagli dell'epidermide, della carne. In Cristo sono unite divinità e umanità, in una duplice natura. La mia essenza di studiosa non potrà far altro che ricollegare il tutto a un fatto storico, quello del Concilio di Efeso del 431, in cui veniva proclamata e stabilita - combattendo l'eresia di Nestorio - l’unità e l’unicità della Persona divina di Cristo e così anche la maternità di Maria, estesa a tutta la sua persona non umana ma divina.
Erri De Luca si pone all'esterno, un narratore che guarda i fatti svolgersi con umanità e con un punto di vista terreno. Gesù si pone anche in un periodo particolare, quello delle rivolte giudaiche. Si aspettava un Messia, qualcuno che venisse a liberare il popolo ebraico dall'oppressione di Roma. I romani lo osservavano con sospetto, eppure Gesù non fece mai nulla di equivoco; il suo era un messaggio di pace, ma forse il destino che, da sempre, lo aveva rivestito era riuscito, infine, ad avverarsi.
«Basta con questa favola, nostro figlio non ha la faccia delle nuvole che cambiano forma e profilo secondo il vento». Gesù non somiglia a nessuno, solo a se stesso, eppure pesava l'aspettativa della gente su di lui, di chi credeva nelle profezie, cui alla fine si trovò una corrispondenza.


In queste pagine c'è conoscenza della storia romana, di quella ebraica, della cultura di quel tempo e ovviamente delle Scritture; c'è una mentalità tipica che scorre sotterranea ed emerge attraverso profezie e credenze tramandate nel tempo; c'è la storia di una famiglia, vissuta in armonia fino a un certo punto, quando tutto il resto ha preso il sopravvento; c'è la storia di un uomo, che aveva in sé un aspetto divino, compreso da alcuni, invisibile a molti, manifestatosi solo dopo la morte.
Erri De Luca, infine, collega gli episodi salienti della vita di Gesù e della sua famiglia con un messaggio sociale e contemporaneo, forse con qualche parallelismo, che ogni lettore sarà libero di commentare a modo suo.
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