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domenica 13 luglio 2025

Recensione di "Il caffè della pazza gioia" di Emma Hamberg

Buongiorno a tutti e bentornati tra le pagine virtuali del mio blog!

Di ritorno da un viaggio in Egitto (a volte i sogni si avverano, anche quando non ci credi più), ho terminato di leggere un romanzo iniziato qualche settimana fa. Si tratta di "Il caffè della pazza gioia" di Emma Hamberg, edito dalla Giunti.


Trama: A quarantanove anni, Agneta ha tutto ciò che si può desiderare dalla vita: una bella casa, i figli ormai grandi che vivono fuori, un lavoro stabile e Magnus, un marito serio e affidabile. Peccato che niente corrisponda davvero ai suoi sogni e che nessuno sembri capirla davvero, come se parlasse una lingua incomprensibile. Magnus, poi, non ha mai tempo per lei, dato che deve prima dedicarsi al ciclismo, al nuoto, al birdwatching, a seguire un'alimentazione sana e noiosa. In questa esistenza composta, Agneta ha imparato a fare benissimo un'unica cosa: adeguarsi ai dettami degli altri fino a diventare invisibile. E anche a sorseggiare vino di nascosto, mentre guarda compulsivamente programmi televisivi sulla ristrutturazione di vecchi casali francesi. Non sa ancora che la sua esistenza sta per essere stravolta per sempre. Quando per puro caso le cade l'occhio sul bizzarro annuncio di un giornale, qualcosa dentro di lei si risveglia: uno sconosciuto che si definisce “ragazzo cresciuto” cerca aiuto in casa per cucinare e fare le pulizie. Unico requisito, parlare svedese. Ma c'è un piccolo particolare: il luogo di lavoro è in un paesino sperduto nel cuore della Provenza. Tra personaggi indimenticabili, scomodi segreti, balli in punta di piedi e caffè che si trasformano in appuntamenti, Agneta scoprirà che a volte partire significa ricominciare. E che non è mai troppo tardi per dire di sì alla vita che si desidera davvero. Un bestseller al femminile pieno di ironia che mescola amore, amicizia e colpi di scena: il perfetto comfort book per tutti gli animi coraggiosi che sanno che non c'è vera felicità senza un pizzico di follia.

Devo ammettere che la copertina gioca un ruolo fondamentale nella scelta dei libri. I colori, in particolare, mi hanno ispirata e spinta all'acquisto del romanzo nell'ambito di una promozione Giunti che prevedeva in regalo una bellissima borsa all'uncinetto.
Detto ciò, la storia è incentrata su Agneta, quarantanovenne svedese, sposata con Magnus, e madre di due figli ormai adulti che, nonostante vivano lontani da casa, proseguono a chiedere soldi ai genitori (un classico). Agneta ha un lavoro stabile, che non la soddisfa nemmeno un po', e in generale tutta la sua vita, seppur apparentemente perfetta, le causa un profondo disagio interiore. Tutti sembrano imporle di essere quel che non è. Trascorrono gli anni e, a forza di nascondersi dietro una maschera di felicità illusoria cui contribuiscono pressioni sociali da ogni parte, Agneta non si sente più se stessa. Il suo corpo e la sua mente le chiedono disperatamente di dare una svolta alla sua vita prima che sia troppo tardi.
Così, complice l'atteggiamento decisamente insopportabile del marito (un soggetto salutista, fissato con lo sport, il movimento, il cibo senza grassi e impegnato esclusivamente a fotografare uccelli rari), Agneta inciampa in un annuncio di lavoro come ragazza alla pari in un paesino sperduto della Francia.
Senza pensarci due volte, la donna prepara i bagagli e parte. Sono molte le domande che si pone, i dubbi che sorgono dentro di lei, ma (fortunatamente) vince quel pizzico di amore rimanente per se stessa.
Agneta giunge, quindi, a Saint Carelle dove Fabien, proprietario del piccolo bar in paese e autore dell'annuncio, la accoglie, insieme a una dolce signora di nome Bonnibelle.


Entrambi la guidano verso un monastero divenuto residenza di un anziano signore, Einar.
E quindi dove sono i bambini cui fare da babysitter? In realtà la barriera linguistica e il traduttore Google hanno fatto sì che l'annuncio si presentasse leggermente "diverso" da quanto richiesto: la persona cui badare è proprio Einar.
Agneta è spaventata. Non si aspettava di lasciare la propria vita, seppur con tutte le difficoltà e i disagi, per andare a fare da badante a un anziano signore con la demenza senile. Si dà come limite una settimana, dopodiché sarebbe tornata indietro. E invece, Agneta inizia a rinascere proprio tra le mura di quell'eclettico monastero, parlando con Einar e riscoprendo quella parte di lei rimasta celata sotto una spessa coltre di prepotenza altrui.

Foto di Marie da Pixabay

Come ho trovato questo romanzo? Prima di tutto, scorrevole, si legge facilmente grazie all'ironia di Agneta che ne impregna le pagine. Anche gli episodi che si susseguono sono narrati dalla protagonista con così tanto humor che è impossibile non volerle bene. Ho apprezzato di meno il passato di Einar: l'anziano signore, omosessuale, viene caratterizzato da un comportamento totalmente sessualizzato (es. lui e il suo amante si fanno erigere due statue in casa in cui sono ritratti completamente nudi con gli attributi in bella vista, oppure la piscina che è stata concepita a forma di fallo). L'intento dell'autrice era probabilmente quello di creare attorno ad Agneta una situazione surreale che, nonostante tutto, l'ha aiutata ad uscire dalla prigione in cui era rinchiusa, nonché di comunicare come ognuno debba essere se stesso, pur nelle sue "sregolatezze". Tuttavia, la storia di Einar, così come presentata, rischia di fornire - almeno secondo il mio parere - una visuale del tutto distorta e grottesca sulla reale esistenza delle persone omosessuali.
Per il resto, il messaggio di fondo è un inno alla libertà, a non limitare i propri desideri per compiacere chi ci circonda e ad essere, quindi, sempre se stessi per venir apprezzati così come siamo. E coloro che non ci apprezzano? Molto semplicemente non sono persone adatte a noi.

Se vi state chiedendo infine se mi sia venuta voglia di mollare tutto e di trasferirmi in un paesino della Provenza, la risposta è sì. E chissà, magari l'occasione si presenterà veramente quando meno me lo aspetto.
Vi lascio con qualche frase e vi attendo sempre qui con la prossima recensione!

«Se per vivere la tua vita hai dovuto compiere un sacrificio enorme, allora devi celebrarla. Ogni singolo giorno. Ogni occasione deve essere buona per festeggiare, perdonare, ballare, ridere e stappare una bottiglia di champagne. Il dolore va affrontato col sorriso.»

«Chi sono io? Cosa è vero? Cosa è fantasia? Cosa è brutto, cosa è bello? Chi se ne frega! Credo che dovremmo farci una sola domanda: cosa ci piace?»

P.s. come ormai troppo spesso accade, il titolo non riflette assolutamente il contenuto del libro. Quello originale e, ovviamente, più attinente è: "Mi chiamo Agneta".

martedì 10 giugno 2025

Recensione di "I cinque profumi del nostro amore" di Laure Margerand

Buongiorno a tutti amici e bentornati sul mio blog!

È bastato un viaggio in treno e qualche giorno lontana da Roma per terminare rapidamente un libro. Dovrei prendermi più frequentemente delle pause da questa città!


Trama: Osannato dal pubblico come una star, Pierre-Emmanuel è uno degli scrittori francesi più noti, sempre in testa alle classifiche. Ma ormai scrive come una macchina, e da tempo ha perso l’ispirazione e la stima della moglie. Quando Agathe lo lascia per un altro, Pierre vede crollare ogni certezza. Come riconquistare la donna che ama ricordandole tutte le emozioni vissute insieme? Nel pieno della crisi, finalmente ha un’illuminazione: scriverà un grande romanzo sul loro amore. Ma non un romanzo qualsiasi: dato che l’olfatto è il senso che più di ogni altro riesce a risvegliare i ricordi in modo immediato, Pierre incarica Gabriella, famoso “naso”, di creare una fragranza per ogni momento cruciale della storia con Agathe, per poi racchiuderla in un segnalibro. Il profumo del loro primo incontro, della passione, della vacanza a Cuba, della pelle del loro bambino. Però, per ritrovare il suo talento letterario ormai smarrito, Pierre ha bisogno di altro aiuto. Per questo contatta Charlotte, la migliore editor sulla piazza, chiedendole di assisterlo nella scrittura. Non può sapere che la giovane nasconde un segreto che la rende la persona meno adatta per quel compito: ha perso l’olfatto in seguito a un terribile trauma che ha distrutto la sua famiglia, e da allora conduce un’esistenza solitaria e appartata. Eppure la singolare proposta dello scrittore risveglia qualcosa in lei. Ma qualcuno che non riesce più a sentire gli odori e le emozioni può lavorare su un romanzo olfattivo? E se fosse proprio quello di cui ha bisogno?

Prima di Süskind non avevo mai letto un libro che parlasse di profumi, di odori, di sensazioni e ricordi ad essi legati. Laure Margerand nel suo “I cinque profumi del nostro amore” riprende, in un certo senso, proprio il celebre autore conferendo all’olfatto l’importanza che merita. Se ci pensiamo, infatti, ogni persona, ogni momento, ogni sensazione sono caratterizzati da un profumo o da un odore che il cervello ricorda, immagazzina. E ogni qualvolta in cui il nostro naso percepirà quel determinato profumo o odore, torneremo immediatamente a pensare a chi o a cosa è direttamente legato.

ATTENZIONE: SPOILER

Charlotte, la protagonista del romanzo, è anosmica, ovvero non sente più gli odori e, automaticamente, nemmeno i sapori. La sua vita non è sempre stata così. Tutto si è spezzato quando Nathan, suo figlio, è morto improvvisamente nel sonno. Non c’è stato modo di salvarlo. E insieme a Nathan, se n'é andato anche Julien, il marito, che non è più riuscito a sopportare il suo dolore e quello di Charlotte. L’ultimo odore che la donna ricorda per anni è proprio quello del suo bimbo, della sua pelle, dei suoi capelli. Poi il nulla.

Trascorre molto tempo prima che Charlotte provi a riprendere una vita normale. Era una scrittrice, ma la vena non scorre più in lei. Decide così di fare la coach letteraria ed è in questo modo che conosce un famoso autore, Pierre-Emmanuel Frank, con il suo nuovo progetto: far tornare sua moglie Agathe, da cui si è separato, attraverso un libro olfattivo che le ricordi tutti i profumi e gli odori legati alla vita trascorsa assieme.

Charlotte non ha il coraggio di rivelare che è anosmica e, dopo varie insistenze di Pierre-Emmanuel, accetta di lavorare per lui. Intanto l’autore ingaggia una bravissima profumiera, Gabriella, che avrà il compito di produrre il “lato olfattivo” del libro.


A un certo punto, però, persino questo equilibrio si spezza: Gabriella si accorge che Charlotte, critica e severa sia con le sue creazioni profumate, sia con le pagine scritte da Pierre-Emmanuel, non sente alcun odore. E se Gabriella lo dicesse allo scrittore? Cosa potrebbe pensare di Charlotte? Così la donna decide di confessare tutto: se in un primo momento il mondo sembra acquisire tonalità scure, improvvisamente tutto diventa più leggero, in particolare dopo aver annusato un profumo che Gabriella aveva creato affinché fosse associato al figlio di Pierre-Emmanuel. La mente e il corpo di Charlotte si sbloccano, permettendole di tornare a respirare a pieni polmoni.

Non rivelerò altro perché già ho parlato molto. L’intento di Laure Mergerand era probabilmente quello di scrivere un romanzo che denunciasse come un dolore molto forte, un vero e proprio trauma, possa congelare per tanti anni e a volte per sempre la persona che lo ha subito. Allo stesso tempo, però, la reazione più comune che è quella di chiudersi in se stessi è anche la peggiore perché non fa che aumentare l’isolamento e il dolore. Charlotte guarisce solo quando è costretta a dire la verità e successivamente ad annusare un odore che le ricorda incredibilmente quello del suo bambino. È come se il suo corpo avesse riallacciato i fili, tornando indietro nel tempo e recuperando quel che era perduto.

Nonostante avessi auspicato un bel finale per Charlotte, mai avrei immaginato che l’autrice decidesse di farla tornare con l’ex marito solo dopo aver recuperato l’olfatto. Non mi permetterò di giudicare le varie sfumature di amore tra due persone, ma il meccanismo che appare innescarsi non è proprio dei migliori. Sembra che Julien riabbracci la moglie solo ed esclusivamente perché lei è tornata normale, quando invece di andare via e farsi una nuova vita nel momento più duro (quello della morte del bambino), avrebbe dovuto rimanere accanto a Charlotte, affrontando e superando insieme il lutto. È troppo comodo così. Al contempo, Charlotte stessa, che non ha mai smesso di amare Julien, sbaglia a mio avviso a ricercare l’ex marito. Fossi stata nell’autrice, avrei fatto “risorgere” Charlotte spingendola a lasciare alle spalle il passato doloroso, seguendo i suoi sogni e iniziando una nuova vita con una persona in grado di amarla con tutto il pesante fardello.



Per concludere, il romanzo è sicuramente particolare, ma non mi ha entusiasmata più di tanto. Non sono riuscita a immedesimarmi nel personaggio di Charlotte come avrei voluto; di Julien si parla pochissimo, quando invece sarebbe stato bello capire davvero anche i suoi sentimenti (ne avrà avuti... spero); Gabrielle, pur giocando il ruolo fondamentale di profumiera per la “costruzione” del libro, non è un personaggio abbastanza approfondito perché di lei si sa pochissimo; Pierre-Emmanuel appare come un uomo piuttosto superficiale ed egoista, finché non decide di scrivere un libro effettuando una scelta romantica che, però, non era in linea con l’uomo che era stato fino a poco prima. Insomma, ritengo manchi quel focus necessario sui vari personaggi che avrebbe permesso di amarli maggiormente, entrando nella parte senza rimanere lettori distaccati e osservatori di una storia che si svolge con poco coinvolgimento.

Devo, mio malgrado, far rientrare "I cinque profumi del nostro amore" nella categoria delle "letture sotto l'ombrellone", senza tuttavia consigliarlo.
Vi aspetto sempre qui, sul blog, alla prossima recensione... anche perché ho già iniziato un nuovo libro!

venerdì 23 maggio 2025

Recensione di "L'uomo che portava a spasso i libri" di Carsten Henn

Buonasera amici lettori e bentornati per la seconda volta in un mese! Miracolo? Forse. Avevo tanto bisogno di tornare alle mie vecchie abitudini, ma a volte è necessario fare anche i conti con gli impegni quotidiani che non è possibile rimandare.

Ebbene, sono qui a parlarvi di "L'uomo che portava a spasso i libri" di Carsten Henn.


Trama: Nonostante i suoi settantuno anni, ogni giorno il libraio Carl Kollhoff parte per il suo “giro”; infatti è addetto alla consegna a domicilio dei libri ordinati dai suoi clienti più speciali. Lettori voraci che sono diventati suoi amici e che lui chiama come i personaggi dei grandi classici della letteratura: da Mr Darcy, un vecchio cliente che vive da solo in una grande villa, al dottor Faust, che legge solo saggi storici, passando per Jane Eyre, la signora Calzelunghe, Ercole e molti altri. Ma una sera, durante il suo percorso attraverso il centro della città, sbuca al suo fianco una bambina dai ricci scuri, col viso pieno di lentiggini. Ha nove anni e dice di chiamarsi Schascha, indossa un cappotto giallo e occhiali da aviatore su un casco di cuoio. Ignorando la reazione infastidita e un po’ burbera di Carl, lei continua a tornare e, ogni volta un po’ di più, comincia a incrinare la rigida routine dell’anziano e a fargli mettere in discussione le sue idee sulla vita. Quando Carl perde inaspettatamente il lavoro, servirà la forza delle storie e di una bambina un po’ petulante perché tutti i personaggi coinvolti, compreso lui, trovino il coraggio di superare i loro problemi e di aiutarsi a vicenda.

Foto di Ksenia Chernaya 
(https://www.pexels.com/it-it/foto/libri-negozio-biblioteca-interni-3952076/)

Nella mia lunga lista di libri da leggere, "L'uomo che portava a spasso i libri" era stato segnato da tempo, finché non mi è stato regalato. Come più volte esternato, i libri che parlano di libri sono forse tra i più belli. Le storie affascinano la gran parte di noi, sin dall'infanzia, ed è sempre magnifico quando c'è qualcuno - sia esso un lettore o uno scrittore - che sa raccontarle.
Carl lavora in una libreria da tanti anni. Le storie sono la sua passione, conosce un numero infinito di autori e di libri e ha un buon rapporto con i lettori. In realtà, il suo è un lavoro particolare: Carl "porta a spasso i libri", ovvero li consegna a domicilio. Questo gli consente di attraversare la città a piedi e di conoscere i clienti, molto più di quei pochi secondi trascorsi in negozio al momento dell'acquisto.
Così ogni affezionatissimo cliente, proprio per le sue caratteristiche, ha ottenuto un soprannome: c'è Mr. Darcy, un gentiluomo solitario che vive in una grande e bellissima casa, è innamorato dell'amore e vorrebbe una donna accanto a sé (perché ritiene che una donna che legge sia un bellissimo spettacolo); c'è la signora Calzelunghe, un po' bizzarra, che non mette piede fuori di casa da tanti anni; c'è Jane, che ama le storie tristi, forse perché riflettono la sua vita trascorsa accanto a un uomo violento da cui non riesce a fuggire; c'è suor Amaryllis, ultima del suo ordine che non vuole lasciare il monastero; infine, "Il Lettore", che in realtà è uno scrittore senza il coraggio di farsi leggere e conoscere.
Carl percorre le stradine della città ogni giorno, finché non incontra una bambina speciale, Charlotte, detta Schascha, che lo accompagnerà sempre nelle sue avventure. Questo duo così particolare - un signore di 71 anni con un cappello verde in testa e una bimba di 9 anni con un cappotto giallo e gli occhiali da aviatore - fa visita ai tanti lettori della città, regalando loro storie e cambiando anche le loro esistenze.
Infine, si sa la forza dei libri è tanta e chi non legge questo non può capirlo. Anche Carl, il vecchio e gentile libraio, avrà bisogno di vicinanza e di una scintilla che riaccenda in lui l'amore per quella missione che lo ha animato per tutta una vita.

Foto di Andrea Piacquadio
 (https://www.pexels.com/it-it/foto/ragazza-in-camicia-blu-che-indossa-occhiali-da-lettura-libro-di-lettura-3755716/)

Di questa fiaba ho amato la piccola Charlotte che, come un magico folletto, affianca Carl nella sua missione di regalare storie ai cittadini e, successivamente, a chi più ne ha bisogno. È una bimba fantasiosa e fuori dal mondo, intelligente e altruista, perfetta per diventare una libraia quando sarà adulta, ma anche una scrittrice (è brava a disegnare e a creare personaggi). Se ve lo state domandando, la risposta è sì, questa bimba mi ha ricordato me stessa quando avevo la sua età.

È sicuramente un libro consigliato a chi ama le storie, le fiabe, i libri, la gentilezza. I primi capitoli scorrerranno un po' lentamente, tanto da farvi domandare "Ma tutto il libro sarà così? Con lo stesso percorso di Carl, le stesse persone da incontrare, gli stessi gesti da compiere?"; poi, verso la metà, tutto inizia ad acquisire un senso e la quotidianità di Carl Kollhoff si trasforma nella fiaba ideata da Carsten Henn.

Vi lascio con qualche frase e vi aspetto alla prossima recensione!

«Sai, amo molto i libri, perciò non li brucio. Anche se penso che sia accettabile bruciarli, ma solo in via eccezionale, per riscaldarsi quando l'inverno è molto freddo e si rischia di morire congelati. In quel caso possono salvare delle vite. Possono farlo in più di un modo, riscaldandoci il cuore e, nelle emergenze, il corpo.»

«Sai, le persone dimenticano sempre più spesso di leggere. Eppure tra le copertine ci sono degli esseri umani con le loro storie. In ogni libro c'un cuore che inizia a pulsare mentre lo leggi, perché è legato a quello del lettore.»

«Sai, non esiste un libro che piaccia a tutti. E se esistesse, sarebbe un brutto libro. Non si può essere amici di tutti, perché ciascuno è diverso. Bisognerebbe essere senza personalità, senza angoli né spigoli. Ma anche in quel caso, molti non ti apprezzerebbero, perché hanno bisogno di angoli e spigoli. Capisci? Ciascuno necessita di libri diversi, perché ciò che una persona ama dal profondo del cuore ne lascia un'altra del tutto indifferente.»

«Naturalmente un libro si poteva strappare via, ma una persona che legge gode di una protezione speciale, come se fosse impegnata in un'attività sacra.»

«[...] penso non ci sia nulla di più bello di una donna che legge. Quando si immerge in un libro e dimentica tutto ciò che la circonda, perché è da tutt'altra parte.»

«La differenza tra un romanzo con il lieto fine e uno senza è solo quando si smette di raccontare la storia.»

«Perché i libri hanno bisogno di qualcuno che indichi loro la strada giusta.»

giovedì 19 settembre 2024

Recensione di "Cannoli siciliani. Mare, amore e altre cose buone" di Roberta Corradin

Il libro letto a cavallo tra agosto e settembre è quello che lascia un po’ di malinconia: lo hai portato in spiaggia con te, profuma ancora di mare e di crema solare, ma allo stesso tempo è quello che terminerai di leggere sul bus, mentre tutto ricomincia.

È stato così per “Cannoli siciliani” di Roberta Corradin, acquistato in una piccola libreria Giunti, finalmente in edizione economica. Era da tempo che volevo leggerlo, che mi incuriosiva.
 

Trama: Mare, sole, amore: la Sicilia d’estate ha molte promesse, ma non per Arianna, che lavora senza sosta alla redazione di due libri in due lingue diverse. Si consola con le tante delizie che l’isola offre anche agli stacanovisti come lei: granite, gelati, cannoli e menu di pesce. Nel frattempo, seduta a cena col laptop aperto, guarda distrattamente Nisso, diminutivo di Dionisso, chef belloccio e un po’ arrogante che le ricorda un giovane Antonio Banderas e manda avanti due ristoranti. Lui ha vissuto sempre in Sicilia, lei è cittadina del mondo. Lui ha poco più di trent’anni, lei poco più di cinquanta. Nessuno dei due ha tempo e voglia di innamorarsi. Ognuno dei due ha un sogno. Diverso. Ma non così tanto. Il destino se ne frega della iniziale riluttanza dei due e tesse trame al posto loro, finendo per intrecciarli stretti in una storia che, anno dopo anno, li porta a confrontarsi e a costruire insieme case, menu, ristoranti, progetti reali e immaginari. Respireranno modi di pensare, stili di vita, cibi e spezie prima sconosciuti. E realizzeranno tante cose buone, da mangiare e non solo, per chi siede ai tavoli del loro ristorante sulla piazzetta di una borgata di mare e per tutta la comunità locale, a partire dalle molte donne a cui Arianna mostrerà che nella vita si può sempre scegliere, e cambiare vita è sempre un’opzione valida. Sullo sfondo, la bellezza mozzafiato della Sicilia barocca, il mare splendente e le colline degli Iblei. Una storia d’amore scritta con uno stile ironico e sagace e con un finale a sorpresa che vi farà ridere, pensare, piangere e sognare. E chissà, anche cambiare.

Questa è una storia ambientata in Sicilia, tra le distese degli Iblei e il mare. È il cibo a far incontrare Nisso (il cui nome deriva da Dioniso) e Arianna, l’uno chef, l’altra giornalista impegnata in vari progetti, tra cui quello di recensire ristoranti. Nisso non si è mai voluto legare, è uno spirito libero, con la sua moto e la nuova semplicissima casetta in campagna (dove non ha il bagno e il letto è una stuoia); Arianna ha visto il mondo, ha viaggiato a Parigi, New York, ha avuto alcune storie, ha anche provato ad avere una bambina, ma la vita l’ha portata poi nell’isola, dove tutto è cambiato; lui ama la montagna e detesta tutto quel blu marino, mentre lei ama il mare nonostante provenga dal Nord Italia. Nisso ha una trentina d’anni; Arianna una cinquantina. Ebbene sì, c’è una differenza di 20 anni tra i due, ma l’età non si rende conto della sintonia tra loro, dei desideri dell’uno che sono anche quelli dell’altra e viceversa. Arianna pone fine al suo peregrinare e si stabilisce con Nisso a Testa dell’Acqua (frazione di Noto), in una bella casa che si è fatta costruire; ad Avola (vicino Siracusa), invece, c’è il ristorante che Nisso conduce e che Arianna, prima per caso, poi per scelta aiuterà a gestire.

Foto di Peter H da Pixabay

I giorni si susseguono così, tra un piatto e l’altro, visitatori che rimangono più che soddisfatti ogni qualvolta entrano in quel ristorantino, camerieri e aiuti in cucina che si alternano, le vicende di casa con i tre cani adottati e qualche viaggio nei momenti di chiusura del locale. Ma se per tanti anni Arianna e Nisso sono legati da quel forte sentimento iniziale, con il trascorrere del tempo – che intanto diventano 15 anni – tutto sembra affievolirsi e una discussione li porta ad allontanarsi un po’. Lei ha lasciato la sua vita da viaggiatrice per stare con lui, ma lui ora ha bisogno di cambiare, di dare un’altra svolta alla figura di chef.

Il ristorantino sulla piazza sarà lì ad attenderli, oppure sarà stato il sogno di una vita insieme che, alla fine, è rimasto in sospeso?

La narrazione si svolge con un alternarsi di voci, ovvero quella di Nisso e Arianna, come se stessero scrivendo un diario a quattro mani. Mentre nella prima parte la storia procede spedita, da metà romanzo in poi diventa più lenta, più ripetitiva. Non nego di aver avuto (purtroppo) voglia di terminarlo perché non trovavo più elementi che tenessero accesa la mia attenzione.

Sicuramente un ruolo di spicco lo giocano i magnifici paesaggi della Sicilia. Sembra di stare in vacanza, in quei posti assolati, tra i fichi d’india, le buganvillea, le case costruite in pietroni color sabbia, il ristorantino sulla piazzetta di Avola e il mare che è una cornice azzurra. Sono stata tre volte in Sicilia, ne ho visitato la parte occidentale, quella centrale e l’orientale. Sono diverse tra loro, ma affascinanti e io ho ancora tanto da vedere e da conoscere.

Carina l’idea di inserire delle ricette. Mi è venuta voglia di provarne qualcuna, ma chissà se a Roma possono avere lo stesso sapore…

Foto di Leopictures da Pixabay

Detto ciò, ero incuriosita da questo libro e volevo leggerlo sin da quando è uscito, ma non mi ha soddisfatto appieno. Pensavo a una narrazione diversa, anche della quotidianità del ristorante, ma forse raccontata da un personaggio solo, lasciando spazio a sensazioni, riflessioni che facessero immedesimare il lettore. Mi sono sentita un po’ distaccata e, probabilmente, il problema è tutto qui.

L’epilogo e i ringraziamenti fanno comprendere come nella narrazione ci sia, sì, un pizzico di immaginazione, ma per il resto sia tutto vero. Arianna è un po’ la trasposizione dell’autrice, Roberta Corradin. Perché? Lo capirete solo leggendo.

Vi lascio con qualche piccola citazione e vi aspetto alla prossima recensione!

«Ho sempre pensato che le montagne dividano, chiudano visuali, rendano il tuo mondo più angusto. Il mare invece unisce tutti i luoghi, tutte le genti. Il mare ti lascia guardare lontano; e se guardi lontano, pensi lontano».

«Grandiosa Véronique. […] Ti guarda in faccia e vede i libri che devi leggere, te li impila tra le mani, e sì, è un atto commerciale, ma la cosa incredibile di Siddharta è che ha sempre ragione. Quei libri aspettavano te. I libri sono attori che sanno sempre quando entrare in scena nelle nostre vite».

«Una delle tante forme della felicità è quando quelli più bravi di te ti copiano. Il segreto, se volete saperlo a voi lo dico, è il cuore. Non ce lo mette più nessuno il cuore, e quando c’è si sente, e fa la differenza».

«Quando scegli, nella vita, non muori. Ti rinnovi ogni volta. Ogni scelta che fai è un nuovo pezzo di te che germoglia».

«La felicità è una casetta sulla spiaggia, svegliarsi la mattina e prima di ogni cosa andare a salutare il mare. Non ho resistito. […] Il mare per me è una terapia. Individuo un’onda lontana e non la perdo mai di vista, finché si scioglie sulla riva. Quell’onda è stata a Beirut, è stata a Istanbul, sarà a Gibilterra e poi nell’immensità dell’oceano».

domenica 21 luglio 2024

Recensione di "Il sogno di Cristina. La principessa di Belgioioso" di Angela Nanetti

Buonasera a tutti amici e bentornati, come sempre, sul blog! Questa sera vi porto a conoscere una donna straordinaria e poco nota: Cristina Trivulzio di Belgioioso.


Descrizione: Gli eventi che hanno segnato la nostra Storia, attraverso la vita di un personaggio affascinante e avventuroso: Cristina Trivulzio Belgioioso, giovane rampolla, bella e colta, della famiglia più facoltosa di Milano. Dai salotti di Parigi alle barricate di Roma, dalla Turchia a Gerusalemme, Cristina fonda giornali, scrive saggi, frequenta rivoluzionari, artisti e uomini di stato. Una principessa di grande personalità, che non esita a fare scelte coraggiose per coerenza con i propri ideali. Una vita ricca, avventurosa, un cuore libero sia in amore che nella vita, sullo sfondo dell'Italia risorgimentale.

A scuola, quando ho studiato la storia dei moti carbonari, di Giuseppe Mazzini, della Repubblica Romana e dell'Unità d'Italia, nessuno ha mai menzionato una principessa. Ho sempre sentito il nome di grandi uomini: Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini, il generale Oudinot, Pio IX, Goffredo Mameli, Napoleone III, e così via. Al massimo, si accennava ad Ana Maria de Jesus Ribeiro, meglio conosciuta come Anita (o Annita) Garibaldi, la cui statua equestre è posizionata al Gianicolo, rappresentata sì come rivoluzionaria, ma anche come madre. Perché è in quest'ultimo ruolo che sono sempre state "rinchiuse" le donne: unicamente come madri. Una donna non è solo questo, ma è molto di più e ancora oggi si fatica tanto a capirlo. Una donna ha dei desideri, delle ambizioni, dei sogni esattamente come un uomo. Quando cambieremo i libri di storia, includendo anche le donne che l'hanno scritta, saremo davvero un paese avanzato. Al momento dobbiamo ancora accontentarci di leggere delle imprese di eroi (uomini) che facevano la guerra.

Detto ciò, passiamo alla figura principale di questo libro: la principessa Cristina Trivulzio, coniugata Belgioioso, nata a Milano nel 1808. Orfana di padre, rifiutò il matrimonio con il cugino, per legarsi invece all'uomo che più ammirava a quel tempo, Emilio Barbiano di Belgioioso, attratto a sua volta dalla consistente dote di lei.
Ma qui cominciano i problemi. Una donna che amava la libertà di pensiero e di azione come Cristina si ritrova malata a causa del marito: sifilide, il morbo che William Hogarth raffigurava sempre sul volto dei nobili personaggi e delle prostitute. Emilio, infatti, dalla condotta sessualmente libertina, non nascondeva di avere un'amante (e non solo una) e, anzi, propose alla stessa Cristina di vivere insieme a lei.
La principessa ovviamente rifiutò, separandosi dal marito. Da questo momento, iniziano i viaggi di Cristina come esule fuori dalla Lombardia, a Genova, in Francia, poi a Roma, a Costantinopoli, a Gerusalemme, per tornare infine in Francia e a Milano dove morirà il 5 luglio 1871.
Ma quale ruolo ebbe la principessa nella storia? Un ruolo molto importante. Ella appoggiava le azioni di Giuseppe Mazzini, per combattere contro il dominio austriaco. Più di una volta i suoi beni furono vincolati dall'Austria a causa delle sue condotte rivoluzionarie, ma Cristina non si fermò, né si impaurì. Per guadagnare qualche soldo, insegnò disegno, si impegnò nelle traduzioni, scrisse sui giornali e riuscì ad acquistare un appartamento, che divenne uno dei salotti più frequentati, soprattutto dai patrioti italiani. In una delle occasioni che si presentarono, conobbe François Mignet, padre della sua unica figlia, Maria.
Dopo un periodo di relativa tranquillità, quando riuscì a recuperare i suoi beni, Cristina si dedicò ai poveri contadini lombardi, aprendo asili e fornendo assistenza e istruzione. Nel momento in cui scoppiarono i moti del 1848, organizzò un battaglione di volontari partenopei, tornò a Milano e la liberò temporaneamente, finché non tornò sotto il controllo austriaco.
A Roma, la Belgioioso diede ancora il suo contributo negli ospedali, dal Santo Spirito, al San Giacomo, fino all'Ospedale di Trinità dei Pellegrini, dove venne assegnata e dove prese in cura il giovane Goffredo Mameli. Le donne che prestavano servizio volontario erano parte della borghesia, ma non mancavano le prostitute. E fu proprio questo fatto che, quando la Repubblica Romana cadde qualche mese dopo riconsegnando Roma a papa Pio IX, i cardinali sottolinearono come la Belgioioso avesse affidato gli uomini feriti a donne dalla moralità indegna.
Da Civitavecchia, la principessa partì nuovamente esule, insieme alla figlia Maria e alla governante, per Costantinopoli dove la accolse un clima totalmente differente: bazar, pascià e gli orribili harem in cui le donne erano confinate. Ad ogni modo, Cristina si adattò, spostandosi fuori città e conducendo una vita contadina, fino al viaggio verso Gerusalemme dove la figlia Maria prese la prima comunione.

Ritratto di Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Collezione privata, Firenze (Francesco Hayez, Public domain, da Wikimedia Commons)

Ma era tempo di tornare in Europa. Doveva pensare al futuro di Maria. Nel momento in cui, ad Aleppo, cominciava a organizzare il viaggio di ritorno, la governante inglese, la signorina Parker, le denunciò atti di violenza che il magazziniere - con cui aveva una relazione - operava nei suoi confronti. La Parker aveva il naso rotto che proseguiva a sanguinare. Cristina affrontò l'uomo, invitandolo ad allontanarsi per sempre da casa sua e questo le costò molto caro. Il magazziniere le tese un aggguato, aggredendola con un coltello che la ferì quasi a morte.
Cristina, con la sua grande forza d'animo, si fece curare e, nonostante le ferite invalidanti - soprattutto quella al collo che la costrinse a una postura curva - intraprese il viaggio, per tornare in Lombardia, dove visse i suoi ultimi anni.
Riuscì a far riconoscere Maria al marito Emilio, facendo sì che il titolo e i possedimenti fossero ereditati dalla figlia. Il 17 marzo 1861 veniva proclamato il Regno d'Italia e Cristina si ritirò pian piano dalla scena politica, che l'aveva vista scambiarsi lettere con Mazzini, Cavour e i più potenti uomini di quel tempo.
I bersaglieri entreranno a Roma solo nel 1870, con la breccia di Porta Pia, confinando Pio IX in Vaticano e annettendo i territori dell'ex Stato Pontificio al Regno d'Italia. Cristina di Belgioioso, dopo un'esistenza ricca di colpi di scena, morirà nel luglio 1871.
Francesco Hayez la ritrasse nella sua veste di nobildonna generosa e coraggiosa, animata dal fuoco della libertà, della conoscenza e dell'altruismo.

Se vi consiglio il libro di Angela Nanetti? Lo avrete capito leggendo la recensione: assolutamente sì. Non vi fermate ai manuali di storia. Andate oltre. C'è molto altro dietro quelle scarne righe.

sabato 15 luglio 2023

Recensione "Piccoli desideri" di Michelle Adams

Buon pomeriggio amici lettori, bentornati tra le pagine virtuali del mio piccolo blog in questo caldissimo pomeriggio di luglio.

Proprio per cercare di "rinfrescare" la temperatura, vi porto a Porthsennen, sulla costa della Cornovaglia, dove le onde ruggiscono sulla scogliera e, in lontananza, risplende il faro di Wolf Rock.



Trama: Non è mai troppo tardi per vivere il grande amore.
Vorrei farti leggere il mio diario, in modo che tu sappia che ogni giorno di quest'anno ho pensato a te.

Elizabeth Davenport ormai ha pochissime ragioni per avventurarsi fuori dal suo cottage sulla ventosa costa della Cornovaglia e una di queste è Tom. Nel suo giorno preferito dell'anno, da quasi mezzo secolo, il suo grande amore di gioventù torna nella sua vita con l'unico scopo di lasciarle un regalo: un croco azzurro in un piccolo vaso di terracotta e un bigliettino legato con uno spago. Ci scrive sempre un desiderio, qualcosa che avrebbero potuto fare se fossero stati insieme, come poltrire a letto, bere champagne a colazione o guardar crescere i figli. Il fatto che in tutti questi anni non abbia mai mancato all'appuntamento indica che si amano proprio come il giorno del loro primo bacio, il 7 settembre. Eppure oggi, che sarebbe dovuto essere il loro cinquantesimo anniversario, il regalo non c'è. Per quanto cerchi di non darci peso, Elizabeth è sconvolta e in lei si fa strada la certezza che a Tom sia successo qualcosa. Spinta dalla preoccupazione, fa la valigia e si reca a Londra per scoprire cosa gli è accaduto. E se fossero ancora in tempo per un ultimo desiderio? Ma, soprattutto, cos'è che li ha tenuti separati per tutti questi anni? Alternando presente e passato, Michelle Adams ci regala due protagonisti indimenticabili per una storia d'amore tenera e commovente, che scalda il cuore e riempie l'anima.


Quando questo romanzo è uscito, la sua copertina colorata e il titolo mi hanno immediatamente incuriosita. Ho scaricato l'estratto e l'ho tenuto prima sul cellulare, poi sul tablet. Volevo leggerlo, dovevo. Ma non lo trovavo nelle librerie, finché a maggio scorso, entrando in una libreria Mondadori, ho provato di nuovo a chiedere.
"Ce n'è una copia sola". Quella divenne la mia copia.

Foto di Hans da Pixabay

Elizabeth ha più di cinquat'anni, l'artrite reumatoide ed è consumata dal fatto che sua figlia, Kate, non le rivolga più la parola. Nel giorno del suo compleanno, però, sa che fuori alla porta troverà sempre il regalo del suo unico grande amore, Tom, insieme a un croco e a un biglietto con un desiderio che avrebbe voluto realizzare se si fossero sposati e avessero vissuto assieme le rispettive vite.
Quell'anno, fuori dalla porta, non c'è proprio nulla. Tom non può essersi dimenticato, Elizabeth ne è certa. Nonostante sia malandata, la donna compie l'ennesimo atto di coraggio: chiude casa, affida il gatto (e le piante) alla sua amica Francine e parte per Londra, cercando Tom all'indirizzo che, un tempo, aveva provato a reperire.

Finalmente, dopo tanti anni, i due si ritrovano ed Elizabeth crede che sia giunto il momento di esaudire quei desideri, nonostante l'età, nonostante le debolezze. Ma il destino non è stato clemente e il tempo scorre velocemente, soprattutto quando l'amore, che tanto ha aspettato, sembra ormai non poter più essere vissuto. Sfidando la sorte, Elizabeth e Tom decidono di provarci comunque. Certo, entrambi hanno trascorso la propria esistenza con altre persone, entrambi hanno dei figli, ma non si sono mai dimenticati l'uno dell'altra e sempre avranno tatuato nel proprio cuore ricordi e desideri.

Foto di Tim Hill da Pixabay

Ho quasi pianto quando ho terminato di leggere "Piccoli desideri" e le riflessioni si sono affollate in me, particolarmente sensibile a una storia come questa.
Ho sempre creduto - e questo pensiero non cambierà - che se due persone hanno la fortuna, in questo mondo composto di finzioni, di trovarsi e di amarsi, debbano stare insieme. A volte occorrono dei sacrifici, a volte bisogna affrontare i pregiudizi della propria famiglia, degli amici e dei conoscenti, a volte bisogna superare le distanze, ma un sentimento autentico è cosa rarissima.

Elizabeth e Tom tutto questo lo avevano. Si erano incontrati a Porthsennen, ex compagni di scuola, e si erano innamorati. Elizabeth era promessa a un giovane medico, Tom faceva parte di una famiglia disagiata e lavorava come pescatore, pur avendo altre ambizioni. Ma né i limiti "sociali", né le "promesse" imposte, avevano potuto separarli. Si erano incontrati nelle onde del mare, nei crochi blu, nel vento che sfiorava la costiera, nei dipinti che Elizabeth amava tanto creare prendendo ispirazione da tutto il "bello" che riusciva a osservare.
Tom, il pescatore che leggeva "Orgoglio e pregiudizio" di Jane Austen, sognava di diventare architetto, Elizabeth di fare la pittrice. Ma i loro bellissimi sogni vengono infranti da altri eventi che contribuiscono a separarli... incluso il fatto che le loro rispettive lettere non giungeranno mai a destinazione.
L'amore, però, prosegue a vivere. Ne è dimostrazione il fatto che Elizabeth abbia cercato Tom; ne è dimostrazione il fatto che Tom abbia sempre pensato ad Elizabeth portandole un regalo, senza mai avere però il coraggio di bussare.
Quando i due si ritrovano, è tardi. La vita non è stata clemente. Quei desideri che, da giovani, apparivano tanto semplici da realizzare, si complicano, ma con un po' di impegno la lista si dimezza. Il problema è un altro: la malattia, contro cui l'uomo è davvero impotente.

Arrivare a pensare che due persone che avrebbero potuto e dovuto stare insieme e si ritrovino solo molto in là con gli anni, mi ha veramente spezzato il cuore. Non si può aspettare una vita intera per condividere solo pochi frammenti rubati di un'esistenza desiderata.



Di storie come quella di Elizabeth e Tom ce ne sono tante nella realtà, ma forse, mi dico, non vale la pena correre il rischio? Mettere da parte l'orgoglio, gli ostacoli e tutto il resto per essere davvero felici? Perché, è vero, la felicità può essere trovata anche in altre cose (lavoro, hobby, viaggi), ma se è stare con una determinata persona che può veramente farti tornare il sorriso e rendere la vita degna di essere vissuta, perché mai non stare insieme?
Tutto dipende da noi, da quel che vogliamo veramente. Io credo, e forse sarò sognatrice, che se è vero amore, due persone faranno di tutto per poter stare insieme; se ci sono scusanti, se i problemi si ingigantiscono al solo pensiero di fare un passo in più, forse quell'amore non è ancora maturo o non è vero amore. Vorrei sbagliarmi, anzi, spero vivamente di sbagliarmi in futuro.

Quello di Michelle Adams è un romanzo molto bello, una storia intensa che genera riflessioni in riva al mare della Cornovaglia e poi tra le vie di Londra. Lo consiglio assolutamente, ma preparate un pacchetto di fazzoletti se, come me, siete persone particolarmente sensibili.
Vi lascio con qualche frase e vi aspetto alla prossima recensione!



«Mi pare di ricordare che amavi dipingere. Lo fai ancora?»
«Sì» disse lei, sorpresa che lo sapesse e sollevata che la conversazione prendesse un’altra piega.
«E sei brava?»
«Qualcuno dice di sì, e a volte lo penso anch’io. Ma per mio padre è uno sciocco passatempo».
A quel punto calò il silenzio, finché Tom non appoggiò per terra la tazza. «Non c’è niente di sciocco nelle cose che ti rendono felice».

«Sogni mai una vita diversa, in cui nessuno si aspetta niente da te? Una vita in cui non sei costretto a pescare per aiutare i tuoi?» chiese a Tom.
«Sognare è un lusso da ricchi, Elizabeth» rispose lui, alzandosi.

«[…] Sono i sogni a renderci quello che siamo».

«Tom le aveva risvegliato qualcosa dentro. Le aveva acceso una scintilla, un’energia incredibile; le faceva venire voglia di incendiare il mondo intero. Da questo si poteva capire se una persona era quella giusta, pensò. Ti faceva sentire a posto con te stessa, ti rendeva consapevole delle tue doti e capacità; era in grado di tirare fuori il meglio di te».

«Ma se non puoi amare una persona per sempre, allora perché amarla?»

mercoledì 12 ottobre 2022

Recensione di "Equazione di un amore" di Simona Sparaco

Buonasera a tutti! Come state? In modalità nostalgica, ritorno a quei giorni di fine estate quando, nella libreria di fiducia e in un pomeriggio assolato, ho acquistato il romanzo di Simona Sparaco, ispirata proprio da quella formula riportata in copertina...


Trama: Singapore è una bolla luminosa a misura di gente privilegiata e Lea, che non indossa nemmeno un gioiello, ha lasciato Roma per vivere lì. Ha sposato un avvocato di successo e si è trasferita a Singapore, tempio finanziario dello sfarzo e del consumo. La ragione le dice che, anche se a tratti si sente malinconica, non avrebbe potuto scegliere compagno più affidabile di Vittorio. Ma nel suo cuore brucia ancora il ricordo di un amore così doloroso da indurla a fuggire. Si chiama Giacomo e l'ha conosciuto a quattordici anni, sui banchi di scuola. Asociale, tormentato e geniale, soprattutto in matematica, Giacomo è perennemente in fuga da un dramma misterioso che lo spinge verso amori distruttivi. Ma quando Lea è costretta a tornare a Roma per la pubblicazione del suo libro, il passato finirà per travolgerla con tutta la sua prepotenza. Secondo i princìpi della fisica che Giacomo stesso le ha insegnato, nulla può separare due particelle quantiche una volta che sono entrate in contatto. Saranno legate per sempre, anche se procedono su strade diverse, lontane e imprevedibili. Un romanzo che lascia senza fiato. Una storia appassionante e poetica, carica di emozione e colpi di scena. Una riflessione a tutto tondo sull'amore e sul destino, da una delle scrittrici più forti e amate della narrativa contemporanea.

Lea e Giacomo si sono rincorsi per anni, sin da quando le loro anime si sono incrociate tanto tempo fa. Lei era poco più che una bambina, lui una specie di genio incompreso della matematica; lei era innamorata, lui sembrava insensibile, ma nascondeva un trauma intriso di tanta tristezza, racchiuso in una misteriosa foto.
Anche quando Lea si sposa, le loro vite proseguono a incontrarsi, sembrerebbe per caso, eppure la fisica quantistica ha una motivazione a tutto ciò: “se due particelle interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separate, non possono più essere descritte come due entità distinte, perché tutto quello che accade a una continua a influenzare il destino dell’altra. Anche ad anni luce di distanza”.

 
E mentre Lea, trasferitasi prima a Londra, poi a Singapore con il marito, diventa scrittrice, Giacomo contro ogni pronostico lavora in una casa editrice, proprio quella che seleziona il libro di Lea per la pubblicazione. Le loro vite si incrociano di nuovo. Nulla sembra essere cambiato dall’ultima volta, in cui lui era assistente di Lettere all’università e Lea – ancora perdutamente innamorata – lo aveva seguito in Grecia, in vacanza, da dove era poi fuggita senza più voltarsi indietro.
Lea è ancora lì, con la sua ferita aperta, con il suo amore apparentemente non corrisposto. Eppure qualcosa le dice che Giacomo la ricambia, ma non può lasciarsi andare. Una rete lo tiene intrappolato, legato a qualcosa che lo ha sconvolto nel passato.
La revisione del libro si svolge a Roma e Lea torna in patria, a casa sua, quel luogo che tanto le è mancato. Si sente finalmente riagganciata alle proprie radici. Non può negare di avere un marito fedele, ordinatissimo e super organizzato, di vivere in una Singapore che è lontana anni luce da Roma per innovazioni, ma… tutta quella perfezione non le appartiene. Il suo è un mondo più colorato, più in movimento, libero e creativo. È un mondo che le manca terribilmente e di cui ha sempre fatto parte Giacomo, l’uomo complicato che le ha ingarbugliato l’esistenza.

Il finale mi ha lasciato dentro tanta malinconia e anche un bel po’ di tristezza, ma le equazioni hanno una risoluzione e tutta torna in un cerchio continuo.
Questa è una storia particolare, una storia di un amore che prosegue nello spazio e nel tempo, qualcosa di raro, di luminoso e di estremamente fragile.

Simona Sparaco unisce fisica, matematica e sentimenti, trasportando il lettore in un romanzo coinvolgente, complesso, antitetico. Ciò che è logico sembra sempre essere più sicuro, ma quanto sono belle l’imprevedibilità e l’imperfezione, che fanno di noi dei semplici essere umani, con un cuore che batte e ha una propria memoria. Una memoria che non mente mai.


Vi lascio con qualche frase. Mi sono dovuta limitare per non riportare tutto il romanzo. Consigliato assolutamente!

«Io e la letteratura: due particelle quantiche» riportava il titolo. Giacomo faceva riferimento a un fenomeno di fisica quantistica, l’entanglement, letteralmente groviglio, intreccio, per spiegare il rapporto che si era creato tra la sua vita e i libri che aveva letto. Nell’entanglement quantistico, due particelle elementari, come gli elettroni o fotoni, che costituiscono un insieme e che interagiscono per un certo periodo di tempo in esso, sono poi soggette a un legame indissolubile: se vengono separate, anche a distanza di chilometri o anni luce, si comportano come un tutt’uno.

«Sono i libri a sceglierci» scriveva. «Ci chiamano, come se sapessero di cosa abbiamo bisogno». Era questa, per Giacomo, la vera lettura. Qualcosa che si muove insieme a noi, che ci determina, e che qualche volta, se siamo fortunati, ci salva.

«Ci sono stati momenti, in tutti questi anni», gli disse «in cui mi sembrava di leggere il tuo nome dappertutto. Nelle strade, negli articoli di giornale, pareva che tutto il mondo si chiamasse come te. Forse è proprio questa la fisica quantistica, la possibilità di sentire presente nella tua mente qualcuno che fisicamente non c’è».

«E chissà che le coincidenze, nella vita reale invece, non siano proprio piccole distrazioni di chi, da lassù, tiene in mano la penna». «Noi siamo questo, Lea: due particelle supersimmetriche» e le stringe la mano, rivolge uno sguardo ai segni sulla loro pelle che ora sono vicini e quasi si sfiorano. «Qualunque cosa farai o dirai, ovunque deciderai di andare, continuerai a esercitare un’influenza sulla mia vita, che tu lo voglia o meno. Ma se decidi di restare, se decidi di amarmi, allora renderai tutto molto più semplice».

mercoledì 27 febbraio 2019

Recensione di "La lettera d'amore" di Lucinda Riley

Buongiorno amici! E' quasi terminato febbraio e qui, tra una cosa e l'altra, il tempo vola. Ma non ho intenzione di cadere in constatazioni ovvie, bensì vorrei notare che era una vita che non usavo più il blog seguendo il suo specifico scopo, quello di accogliere recensioni e quanto di letterario riesca a trovare interessante.
Il problema principale è stata propria la grande concentrazione di impegni che mi ha fatto davvero addormentare ancor prima di prendere in mano un libro. La stanchezza si avverte tutta insieme...

Ieri pomeriggio ho terminato di leggere "La lettera d'amore" di Lucinda Riley. Che sdolcinata, penserete. Sì, anche io lo avrei pensato prima di voltare l'ultima pagina e scoprire un romanzo diverso dal genere che la Riley predilige. "La lettera d'amore" è, invece, un libro che mescola amore, antiche lettere e soprattutto (è la parte preponderante) spionaggio. Lo avreste mai detto?


Trama: Ci sono segreti facili da smascherare e altri che restano sepolti per una vita intera. Come quello di Rose, l'anziana signora che Joanna, giovane reporter del Morning Mail, conosce durante la cerimonia di commemorazione del famoso attore Sir James Harrison. Pochi giorni dopo, Joanna riceve un plico contenente una vecchia lettera d'amore e un biglietto dalla grafia tremolante, ma è ormai troppo tardi per chiedere qualsiasi spiegazione: Rose è morta e la sua casa completamente svuotata, come se la donna non fosse mai esistita.Quando anche l'appartamento di Joanna viene messo sottosopra, la giornalista capisce che ha tra le mani una storia scottante, e la sua unica via d'uscita è scoprire la verità sui misteriosi amanti della lettera. Chi erano realmente? E perché è così importante che nessuno sappia di loro?
Sulle tracce di un enigmatico carteggio, Lucinda Riley ci trasporta in un mondo di pericolosi segreti, intrighi di Stato e sconvolgenti colpi di scena, in cui lasciarsi andare all'amore, a volte, è un rischio troppo grande.


Se mi fossi trovata al posto di Joanna, con il lascito di ricordi di quella enigmatica vecchina che era Rose, probabilmente anche io avrei fatto la stessa cosa: indagare. Una persona curiosa tenta inevitabilmente di andare fino in fondo alle storie, soprattutto se poi la donna anziana di turno viene a mancare in circostanze misteriose e tutta la sua roba sparisce all'indomani della sua morte. La vecchia Rose custodiva un segreto, legato a un noto attore e al contempo alla famiglia reale... ma si sa, i segreti prima o poi devono essere svelati. Nessuno porta tutto con sé nell'aldilà.
Joanna è proprio la destinaria di qualche indizio: una lettera e la raccomandazione di trovare una persona, una certa Lady bianca.


Joanna inizia così un'avventura che la condurrà a perdere il lavoro e a seminare una scia di morte dietro di sé... perché chiunque sia implicato anche marginalmente in quella faccenda finirà per non rimanere vivo abbastanza a lungo da poterlo raccontare. Quella di Joanna è una corsa contro il tempo e la paura, giocata tramite sotterfugi, tra i detti e non detti; una battaglia che spesso la contrappone al suo migliore amico, Simon, agente segreto dell'MI5; a Zoe, la nipote di James Harrison, il famoso attore, nonché sua cara amica; a Marcus, il suo grande amore e fratello di Zoe, verso cui prova un sentimento fortissimo e sbocciato inaspettatamente.


Ma cosa può esserci di così importante nella storia di una persona da far sì che la bocca di chiunque venga chiusa per sempre? Ebbene, vi è proprio uno scandalo che per la Corona d'Inghilterra potrebbe fare la differenza nella successione al trono, un evento che affonda le sue radici nel passato della Seconda Guerra Mondiale e che avrà le sue ripercussioni anni più tardi. 
Non mancano, ovviamente, nelle descrizioni di Lucinda Riley le magnifiche ambientazioni tra Londra, lo Yorkshire e l'Irlanda, nelle grande ville dal sapore vittoriano e nei cottage sulla spiaggia rocciosa, ma stavolta è il sospetto, il timore, la suspense che tengono legato il filo del discorso.


Una bella storia non c'è che dire, con lieto fine incluso, ma devo essere sincera: a volte ho perso il filo della narrazione. La storia di James Harrison era talmente ingarbugliata che richiedeva un alto grado di attenzione, in particolare verso i nomi dei vari personaggi (che non erano pochi).
Il mio giudizio è positivo perché la storia è raccontata in maniera avvincente, ma preferisco la classica Riley, sempre legata al ritrovamento di qualche cimelio del passato che scrive di storie e sentimenti di un'altra epoca.

E ora sotto con il prossimo romanzo!

sabato 2 giugno 2018

Recensione di "Il fiore d'inverno" di Corina Bomann

Eccomi tornata sul blog, tra un articolo e l'altro, un aggiornamento alle varie pagine Facebook che gestisco, le mie ricerche e i continui tentativi volti a trovare un lavoro retribuito.
Non si direbbe, ma appare sempre più difficile individuare un momento di tempo libero per rilassarsi. Mi mancano tanto il disegno e la pittura ad esempio: quel senso di pace e tranquillità che provo impugnando matite o pennelli per dar vita alle mie creazioni è impagabile. Oppure il suono della chitarra... da quanto tempo non accarezzo quelle corde di nylon, ascoltando il dolce suono amplificato nella cassa armonica lignea?
Dovrebbe essere un impegno quello di ritagliarsi frammenti di tempo solo per se stessi, per staccare dalla frenesia quotidiana, dai problemi e dalle arrabbiature, per poter fare solo che ciò che più ci aggrada. Ma l'estate si avvicina e, con essa, una pausa da tutto il contesto.

Intanto la lettura non posso abbandonarla. E' vero, ci sono quelle sere in cui sono tanto stanca da non riuscire nemmeno a sfogliare una pagina, quei momenti in cui mi bruciano gli occhi per aver letto troppe pubblicazioni archeologiche, ma in linea generale un romanzo è sempre con me. Mi fa compagnia nello zaino, nella borsa perennemente maltrattata e sul comodino.
Oggi vi voglio parlare di "Il fiore d'inverno" di Corina Bomann, autrice che avevo già conosciuto per "La signora dei gelsomini".



Trama: Nella notte tra il 4 e il 5 dicembre 1902, una violenta tempesta infuria sulle lunghe spiagge sabbiose di Heiligendamm, sul Mar Baltico. Intanto, nell'elegante albergo della famiglia Baabe, fervono i preparativi per un'occasione speciale: il ballo di Natale nel castello del granduca, che inaspettatamente ha inviato loro un invito.
Il momento ideale per annunciare in grande stile il fidanzamento della giovane Johanna con uno dei migliori partiti della città. Ma c'è un segreto che la ragazza non ha mai avuto il coraggio di rivelare a nessuno, nemmeno al fratello maggiore Christian, da sempre suo confidente: l'amore per Peter, la cui famiglia è nemica giurata dei Baabe da decenni. E a turbare i grandi progetti dei genitori arriva un altro evento inaspettato: durante una cavalcata sulla spiaggia, Christian trova una ragazza dai lunghi capelli neri riversa sulla battigia, priva di sensi. Fra le dita stringe ancora con forza il rametto di un ciliegio. Chi è questa donna che ha dimenticato perfino il suo nome? E perché l'unico ricordo che conserva è legato alla misteriosa leggenda dei ''fiori di santa Barbara''? Davvero un rametto tagliato il 4 dicembre può fiorire a Natale realizzando i desideri più nascosti?

All'interno della cornice tedesca degli inizi del Novecento, Corina Bomann narra una storia ambientata sulle coste del Mar Baltico, dove le onde spumeggiano in tempesta divorando la spiaggia su cui è abbandonato il corpo di una ragazza priva di sensi. 


Christian Baabe sta cavalcando, perso nei suoi pensieri, quando avvista la giovane dai capelli neri. E' molto debole, ma è ancora viva. Inizia qui la vicenda della ragazza senza nome, ritrovata con un brandello di vela impigliato a un piede e stretto nella mano un rametto con alcuni boccioli. Non ricorda nulla, ma riceve assistenza nella pensione dei Baabe, dove Ludwig e Augusta stanno effettuando i preparativi per il ballo, in cui due rampolli di nobili famiglie chiederanno la mano della figlia, Johanna. Da parte sua, però, Johanna è innamorata segretamente da anni di Peter Vandenboom, componente della famiglia avversaria.


Sono intessute trame e i segreti si susseguono, finché sarà proprio l'evolversi della situazione della misteriosa ragazza a rivelare, infine, che l'amore vero non può essere fermato, nemmeno da superficiali faide tramandatesi nel tempo.

"Il fiore d'inverno" può essere definito una fiaba contemporanea, ambientata tuttavia in una Germania che echeggia quei ritmi nobiliari di fine Ottocento, in cui balli, eredità, ricchezza e doveri monopolizzavano la scena famigliare.
E in questa fiaba non ho potuto fare a meno di notare richiami a note storie d'amore: la Sirenetta, quando Christian Baabe trova Helena - questo si rivelerà il suo vero nome - riversa sulla spiaggia; Cenerentola, quando Helena da ospite diventa inserviente, osteggiata da Augusta e da una cameriera pronta a spiarla; Romeo e Giulietta, un parallelo per Johanna e Peter.
In tutto ciò, la Bomann introduce - cosa che ho molto apprezzato da archeologa cristiana - la tradizione dei rametti di S. Barbara, inserendo un'appendice finale relativa al martirio della santa. Si tratta di rami di ciliegio (a volte di melo o di forsizia), tagliati il 4 Dicembre e messi in acqua. La loro fioritura il giorno di Natale farà, logicamente, avverare i desideri espressi.


E' una lettura poco impegnativa, romantica e scorrevole. Personalmente avrei preferito conoscere un po' meglio i protagonisti maschili, come Christian, il classico principe azzurro, e soprattutto Peter Vandenboom, figura misteriosa celata dietro le lettere inviate a Johanna. Sarebbe stata forse necessaria una descrizione più particolareggiata di luoghi, persone, pensieri, sacrificati in favore di più lunghi dialoghi che creano un effetto da scenario cinematografico. Nonostante ciò, è un romanzo consigliato soprattutto a quelle lettrici dall'animo sognatore, ancorato al tipico romanticismo ottocentesco (periodo che, all'epoca liceale, adorai letteralmente).


Con questo, si passa alla prossima lettura! Buon sabato e buona festa della Repubblica a tutti voi!


sabato 9 settembre 2017

Recensione di "La ragazza Italiana" di Lucinda Riley

Lucinda Riley rappresenta ormai per me una certezza: le sue storie mi coinvolgono, mi appassionano, i personaggi sono amici cari da cui è difficile separarmi quando terminano le pagine.
"La ragazza italiana" si presenta con una copertina che richiama l'opera e il teatro: una giovane donna mora dà le spalle al lettore, mentre si mostra con un ricchissimo vestito rosa sulla scena di un teatro. La lirica è il tema dominante in questo romanzo, in cui si intrecceranno le storie di Rosanna Menici e di Roberto Rossini, destinate a cambiare la vita di tantissime altre persone intorno a loro.


Trama: Napoli, 1966. E' una splendida giornata estiva e la casa dei Menici ferve di preparativi per la festa che si terrà quella sera. Rosanna ha solo undici anni e sogna di diventare bella e corteggiata come la sorella maggiore Carlotta, che con la sua pelle di velluto e i lunghi capelli scuri attira su di sé tutti gli sguardi.
Ma Rosanna ha un altro dono, che la rende davvero speciale: una voce straordinaria in grado di incantare chiunque la ascolti.
Soprattutto il giovane Roberto Rossini, brillante studente della Scala di Milano, che dopo l'esibizione di Rosanna propone a suo padre di farla studiare con uno dei più grandi maestri della lirica. Un incontro fatale, quello tra Roberto e Rosanna, che segnerà per sempre il loro destino.

Milano, 1973. Ormai una giovane donna sensibile e appassionata, Rosanna ha finalmente realizzato il desiderio di essere ammessa alla Scala. Inizia per lei un periodo inebriante: il ritmo della metropoli, le estenuanti prove di canto, i primi gloriosi passi sul palcoscenico.
E sarà proprio qui che le strade di Rosanna e Roberto si incroceranno di nuovo. Affascinata e intimorita da quell'uomo carismatico e sfuggente, sempre circondato da donne bellissime e acclamato nei teatri di tutto il mondo, Rosanna finisce per essere travolta da un sentimento potente e inarrestabile.
Ma un segreto nascosto nel passato di Roberto e le oscure trame di una donna senza scrupoli minacciano di infrangere tutti i suoi sogni...

Prima di tutto, l'ambientazione: stavolta siamo in Italia, nella magnifica e colorata Napoli, che ci avvolge con tradizioni, sapori e odori, vicoletti che si inoltrano nella città barocca, fino a sfociare sull'azzurro golfo dominato dall'imponente Vesuvio. 


È in via Piedigrotta che inizia la storia di Rosanna, terza figlia di Marco e Antonia, sorella della bellissima Carlotta e del mite Luca. La sua giornata si svolge nel bar/pizzeria del padre dove immagina, forse già in preda a una giovane rassegnazione, il suo futuro. Osserva con occhi di ammirazione e un pizzico d'invidia la sorella maggiore, così bella e spigliata, ma soprattutto libera. I genitori la prediligono in tutto, mentre Rosanna è solo la piccola di casa, un po' bruttina a detta loro, che deve ancora trovare il suo talento migliore. Quest'ultimo non tarderà ad emergere perché, in occasione dell'anniversario di alcuni amici di famiglia, Rosanna viene invitata a cantare l'Ave Maria. È emozionata, tutti gli occhi sono puntati su di lei quando sale su quello sgabello e inizia a dar voce a parole e melodia, ma si lascia andare e il canto irrompe dolce e potente in quella stanza. 


Roberto Rossini, promessa dell'opera e studente alla Scala di Milano, ne rimane estasiato: quella ragazzina undicenne ha talento e un dono come il suo non può essere ignorato. Le suggerisce quindi di studiare dal suo primo maestro, Luigi Vincenzi, che saprà allenare quella voce per farla diventare una stella. Ma nel cuore di Rosanna è appena germogliato qualcosa di molto forte: è la prima volta che incrocia lo sguardo di Roberto, eppure il suo stomaco è andato in subbuglio e sul diario segreto, quando la sera torna in camera sua, esprime il desiderio di sposarlo.
Quella stessa notte Carlotta torna molto tardi in camera. È stata con un uomo, anzi, con Roberto, e sembra felice, ma non sa cosa il futuro ha in serbo per lei.


Rosanna, ancora giovane per soffrire veramente d'amore, viene rapita invece da quello che è il suo vero sogno, la sua vocazione: cantare. Eppure i suoi genitori non hanno soldi per pagarle le lezioni e non le permetterebbero comunque di provare. Il suo destino è il bar. Luca, suo fratello, non può sopportare di vedere così triste la sorellina e fa di tutto per far sì che possa realizzarsi, almeno lei. È lui a condurla segretamente da Luigi Vincenzi, lui che le paga le lezioni con i risparmi di una vita chiuso in quel bar a impastare pizza. È sicuro che Rosanna avrebbe potuto coronare il suo sogno. Trascorrono così gli anni e Rosanna impara a domare la propria voce, allenarla, ad ascoltarla. Arriva anche la prima esibizione che le aprirà le porte alla scuola della Scala di Milano.


Lo scenario si sposta quindi dalla ridente e solare Napoli, alla elegante Milano (non mi piace definirla grigia, perché per me non lo è affatto) dove si recheranno lei e suo fratello, con il permesso del padre che, sentendo Rosanna cantare, ha capito quale fosse il suo vero destino. Ed è a Milano che si intrecciano le vite, che si segnano le storie, che sbocciano gli amori più passionali destinati a non spegnersi mai.


Rosanna incontra nuovamente Roberto, il quale ha fama di essere uno "sciupa femmine", un dongiovanni, eppure lui è il migliore, il suo talento eccezionale e insieme le loro voci fanno faville. Allo stesso tempo Luca, dal cuore buono e gentile, inizia a riflettere sul suo futuro, confuso tra l'amore divino e quello terreno. E poi ci sono gli intrighi (che non mancano mai), trame tessute da uomini e donne potenti ai quali sottrarsi è difficile, soprattutto quando la fama ti ha ormai investito. 


L'amore tra Rosanna e Roberto è talmente grande e passionale che non ci impiegherà molto prima di sbocciare, ma sarà veramente quello di cui entrambi avevano bisogno? È giusto annullare la propria vita, il proprio essere, la propria personalità, per amore?

Lucinda Riley trasporta il lettore in un vortice di emozioni, tra l'Italia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti, tra segreti e passione, in una cornice che è quella del mondo della musica.


Adesso i miei commenti. Ovviamente mi è piaciuto, molto, anzi, tantissimo. Ho terminato di leggerlo in tre giorni e mezzo (e solo perché a casa non ci sono stata, altrimenti avrei raggiunto il record di due giorni). C'è un "ma": i romanzi precedenti erano ricchi di minuziose descrizioni dei luoghi, cosa che invece e purtroppo non ho riscontrato qui. È un romanzo in cui prevalgono i dialoghi, come se il lettore stesse guardando un film. Intendiamoci, mi è piaciuto e, anzi, lo consiglio, ma apprezzo la Riley anche per quelle descrizioni così belle, così dettagliate che mi permettono di entrare all'interno dell'ambientazione. Conosco Napoli, così come Milano e non mi è stato difficile immaginare i luoghi; conosco Londra dai libri e dalle foto, così come New York e avrei voluto che mi aiutasse lei con le sue parole.


Per il resto, Rosanna è un personaggio straordinario: ha una forza spaventosa che la pervade, ma è allo stesso tempo tanto fragile. Proprio questa sua ultima caratteristica farà sì che, di fronte a una personalità egoista e invadente come quella di Roberto, lei perda se stessa, annullandosi, abbandonando sogni e aspirazioni, vivendo in funzione di lui. Ed è ciò che di più sbagliato possa esistere in un rapporto.
Allo stesso tempo, quella di Rosanna è la storia di come i sogni possano diventare realtà, perseguendoli anche nelle difficoltà… e magari con un po' di aiuto. È stata fortunata ad avere un fratello umile e generoso che ha fatto di tutto per lei; tre Maestri (Luigi, Paolo e Riccardo) con la M maiuscola non solo dal punto di vista professionale, ma anche umano; e una vera amica, Abi (Abigail) che le è stata sempre e comunque vicina.

Eppure, Rosanna cara, purtroppo sono al fianco di chi era contrario ad ogni rapporto con Roberto. Non dico che non me ne sarei innamorata perché l'amore è imprevedibile, ma non me lo sarei sposato conoscendo il vizio di cui soffriva. Il personaggio di Roberto Rossini mi ha ricordato – e qui forse qualcuno riderà – un uomo a metà tra Matthew McConaughey nel film "La rivolta delle ex" e Gabriel Garko in praticamente tutte le parti che interpreta: una persona egoista, accecata da se stesso, dalla passione che prova per OGNI donna, un bugiardo cronico che parla d'amore senza sapere cosa sia veramente.

Ho amato invece Stephen, il moro inglese con gli occhi azzurri, il vero bravo ragazzo (ovvero una chimera)… e mi è dispiaciuto nel profondo per il trattamento che gli è stato riservato.

Per terminare, Luca, pur essendo una persona dal cuore d'oro, è eternamente confuso… e io detesto la gente confusa, ma ho amato la storia che l'ha coinvolto, sperando che fosse infine veramente felice perché era questo quel che si meritava dopo tutte le buone azioni compiute, senza mai chiedere nulla in cambio.

Come definirei questo libro? Passionale e travolgente, come sappiamo essere noi Italiani quando rispolveriamo le nostre vere radici e il nostro essere più profondo.


«Col senno di poi mi sono resa conto che possiamo amare qualcuno con tutto il cuore, ma questo non significa che quella sia la persona giusta per noi».

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