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venerdì 17 novembre 2023

Recensione di "La verità è che non gli piaci abbastanza" di Greg Behrendt e Liz Tuccillo

Buongiorno amici e bentornati sul mio blog! Sono veramente contenta di riscontrare un interesse nelle mie recensioni. Mi scrivete e vi ringrazio tanto! Mi scuso solo con chi non riesco ad accontentare: ho molti libri in lista da leggere, sia consigliati, che regalati, oppure scelti da me stessa e dovrei avere il triplo del tempo libero per poter fare tutto.

Oggi vi parlo del libro di Greg Behrendt e di Liz Tuccillo, "La verità è che non gli piaci abbastanza". Ebbene sì, l'ho finalmente letto anche io!


Trama: Se lui non ti chiama, se lui non ti sposa, se lui non ti dice mai "ti amo", non farti illusioni... Se un uomo ti vuole, te lo fa capire. Se non ti vuole invece, cerca di svignarsela, si nasconde dietro mille scuse e magari è capace addirittura di dare la colpa a te! E se non ci pensa lui a giustificarsi, ci pensi tu, arrovellandoti, ossessionando le amiche, sprecando lacrime e sonno: «Forse non vuole rovinare la nostra amicizia», «Non è colpa sua, ma della sua famiglia», «È troppo preso dal lavoro», «Ha paura di soffrire ancora». Basta con le paranoie! Questo libro ti insegnerà a riconoscere le giustificazioni vere da quelle false e ti aiuterà a non perdere altro tempo con inutili illusioni. Un libro senza mezzi termini, divertente, ironico, acuto e di una franchezza salutare.

Quante volte abbiamo visto il film omonimo del 2009, tratto dal libro, in cui la protagonista Gigi incontra solo casi umani, innamorandosi e venendo puntualmente lasciata con l'amaro in bocca? Finché Gigi conosce Alex, il proprietario di un bar, che inizia a darle consigli riguardo il suo comportamento nei confronti degli uomini. Gigi, drasticamente romantica, si innamora anche di Alex che, in un primo momento la rifiuta, cinico com'è... poi torna da lei, letteralmente cotto. Se a un uomo piaci davvero, è lui a farsi avanti, questa la regola di fondo che unisce un po' tutti gli altri episodi che ruotano intorno a quello principale. Una regola che, in realtà, alle donne contemporanee (per fortuna) non piace affatto. Chi l'ha detto che la donna debba essere per forza l'oggetto di conquista dell'uomo? Perché è l'uomo a dover dirigere le danze? E se lui non si decidesse mai?
Gli uomini, d'altronde, funzionano in modo molto più semplice delle donne: se a loro interessa qualcosa, faranno di tutto pur di ottenerla; se non gli interessa, ignorano, spariscono, puff!


Il libro è strutturato come un manuale, diviso in capitoli a seconda del tipo di uomo: se non ti chiede di uscire, non gli piaci abbastanza; se non ti chiama, non gli piaci abbastanza; se non ti dice che state insieme, non gli piaci abbastanza; se non fa sesso con te, non gli piaci abbastanza; se fa sesso con un'altra, non gli piaci abbastanza; se vuole vederti solo quando è ubriaco, non gli piaci abbastanza; se non vuole sposarti, non gli piaci abbastanza; se ti lascia, non gli piaci abbastanza; se sparisce, non gli piaci abbastanza; se è sposato, non gli piaci abbastanza (e altre disdicevoli variazioni sul tema dell'uomo impegnato); se è uno stronzo egoista, un dittatore o un vero e proprio mostro, non gli piaci abbastanza; storie che non dovreste ascoltare; botta e risposta di Greg.

Greg, nel libro, è Alex del film. Lui è l'uomo che dà consigli alle lettrici, che sa come si comportano gli altri e tenta, talvolta disperatamente, rispondendo alle varie lettere, di aprire gli occhi alle donne che chiedono il suo aiuto.
Le scuse più quotate? In questo momento è impegnato, è un momentaccio, non se la sente di, è rimasto traumatizzato da una storia precedente, ha paura di una storia seria. Greg insiste: se a un uomo piaci davvero, non sentirai scuse. Vorrà stare con te. Non vedrà le altre, non avrà impegni troppo importanti, né traumi pregressi e non sarà nemmeno troppo sposato perché lascerà la moglie se con quest'ultima non funziona. L'uomo vive un po' come un interruttore: ON/OFF, non c'è una via di mezzo.
Le vie di mezzo se le creano le donne per giustificarli e per convincersi che esista ancora una possibilità, mentre gli uomini si ritrovano con il piede non su due, ma su dieci staffe.
E se Greg appare ragionevole, se leggendo il libro (con tanto di esercizi finali e riassunto su cosa una donna dovrebbe aver imparato dal quel capitolo) sembrerebbe tutto chiaro e ci verrebbe voglia di rimanere single a vita per non incappare in tutte le categorie di uomini descritte, Liz invece è la voce della donna, che con la sua elevata sensibilità, non riesce a vedere il mondo bianco o nero, ma a colori e le sfumature corrispondono a tutte le più disparate giustificazioni dovute alle altrettanto disparate situazioni che una persona può trovarsi a vivere, donna o uomo che sia.


"La verità è che non gli piaci abbastanza" è un libro ironico, a volte un po' ripetitivo a dire il vero, ma anche istruttivo per certi versi, però si sa, donne e uomini non cambieranno mai. L'importante è, comunque, non farsi prendere in giro, non perdere troppo tempo dietro a una persona che realmente non tiene a te, che non fa nulla per far mandare avanti un rapporto, che sia di amicizia o di amore.

Buona giornata e vi aspetto con il prossimo libro!

sabato 7 dicembre 2019

Recensione di "Frozen 2 - Il Segreto di Arendelle"

Eccomi qui, tornata sul mio blog, stavolta non con un libro, ma con un film d'animazione che aspettavo con ansia: Frozen 2 - Il Segreto di Arendelle.
Non ero molto d'accordo quando ho saputo di un seguito del film. Per me era piuttosto autoconclusivo, pur lasciando in curiosità riguardo la morte dei genitori di Elsa e Anna e del perché una sorella era nata con i poteri e una no. In realtà la Disney è molto metaforica su quest'ultimo punto... ma ci arriverò.


I fatti narrati si svolgono sei anni dopo il primo film. Elsa è una regina illuminata, amata dal popolo di Arendelle; Anna e Kristoff sono ancora insieme e il loro amore è maturato. Finalmente Anna non è più quella principessa superficiale che abbiamo conosciuto nel primo film: è sempre allegra, ma si vede una consapevolezza diversa in lei, una forza d'animo crescente. E poi ci sono Sven, la renna amica di Kristoff, e Olaf, con i suoi stacchetti divertenti e le massime filosofiche. Sì, perché anche Olaf parla di crescita, un po' come se riflettesse l'animo di Anna.


Ma mentre tutto scorre tranquillamente ad Arendelle, Elsa è strana. Sente una voce che sembra chiamarla, una voce che può ascoltare solo lei. E' prima flebile, poi sempre più insistente, tanto da non farla dormire la notte. Elsa non riesce a confessarlo ad Anna, ha paura di essere giudicata e di rovinare l'equilibrio che si è creato, ma contro i poteri che crescono non può fare nulla.
Una notte, infatti, segue la voce, esce dal palazzo e davanti a lei si manifestano, come in un sogno, visioni di personaggi, di un altro mondo, tanto vicino quanto distante, finché il ghiaccio che scaturisce dal suo profondo emerge e congela la realtà: le particelle sembrano immobili, suddivise in piccoli cristalli, con i simboli del fuoco, dell'acqua, della terra e dell'aria. Subito dopo, ecco la tempesta che spazza via Arendelle, il terremoto fa alzare le strade, i lampioni si spengono e una pioggia incessante investe il regno. Anna, Kristoff, Elsa, Sven e Olaf portano la popolazione in salvo sulle montagne intorno. Cosa sta accadendo?


Ecco lì che torna alla mente un breve flashback in cui Elsa e Anna, ancora bambine, sono con la madre e il padre all'interno del palazzo. E' il re a narrare la sua stessa storia, di quando era solo un ragazzo al seguito di suo padre (nonno di Elsa e Anna), che lo condusse insieme all'esercito nelle terre dei Northuldi, il popolo della Foresta Incantata. I Northuldi erano loro alleati e avevano uno stretto rapporto con la magia degli Elementi. Loro stessi non erano magici, ma gli Elementi erano legati ad essi. Arendelle costruì una diga nella Foresta, apparentemente con l'intenzione di fare del bene. Il re non ricordava poi molto... la memoria si faceva confusa fino a una battaglia tra i soldati di Arendelle e i Northuldi. Il padre era morto, lui era svenuto nella foresta ma qualcuno lo aveva salvato e riportato ad Arendelle di cui si era ritrovato sovrano. La nebbia aveva poi avvolto la Foresta per sempre, precludendo l'accesso a chiunque.
E' allora la madre di Elsa e Anna che prosegue con una ninna nanna che parla di tempi lontani, di magia e di qualcosa di misterioso che ha sempre affascinato le due sorelle. Ed è proprio in quella ninna nanna che si nasconde la verità.


La voce chiama Elsa al di là della cortina di nebbia ed il piccolo gruppo, accodandosi alla regina, varca la soglia, senza avere la possibilità di tornare indietro.
Dietro il mistero della nebbia, sono ancora vivi i Northuldi e i soldati di Arendelle rimasti intrappolati. Ma è proprio mentre iniziano le presentazioni che gli spiriti degli Elementi si manifestano immediatamente: il vento, denominato Zefiro, li avvolge in una tempesta che Elsa riuscirà a domare. E i primi ricordi si cristallizzano, indizi verso la verità. Ci sono statue che ricordano una battaglia...
Segue il fuoco, che avvolge la foresta, implacabile, rapido, e cercatore di pace. Il fuoco si rivela in forma di una piccola salamandra che ama tanto il ghiaccio.


E la terra è viva tramite i giganti che, furiosi, si risvegliano facendo tremare la Foresta. Infine vi è l'acqua, in forma di cavallo, la più indomabile, che cerca uno scontro. Solo Elsa riuscirà, raccogliendo la propria forza interiore, a tenerlo dalla sua parte. Ma vi è un quinto elemento, misterioso, il solo che ha il potere di domarli tutti, di farli stare in equilibrio.

Non racconterò tutto il film perché merita di essere visto, ma farò qualche considerazione.
Questo film è ancora tutto incentrato su Elsa, sulla sua missione. Nel primo ha preso coscienza di sé, ha imparato a non avere paura di se stessa e a non odiarsi; nel secondo, invece, cerca il proprio posto nel mondo. Ed è su questo punto che, credo, ci si dovrebbe soffermare perché la Disney ha creato un personaggio che riflette esattamente la donna di oggi.


La donna degli anni 2000 non vuole essere salvata, ma vuole salvarsi da sola. Certo, ha bisogno  dell'appoggio della famiglia (Anna) e degli amici (Kristoff, Sven e Olaf), ma necessita di trovare il suo equilibrio. La donna attuale non ha intenzione di essere solo e esclusivamente una madre di famiglia, ma vuole disperatamente affermarsi, capendo chi è, cosa è destinata ad essere, vuole realizzarsi.
Elsa non ha un fidanzato, ma non ne ha nemmeno bisogno al momento (ed evito tutte quelle sterili discussioni su fidanzato o fidanzata... rispondendo che una donna forte NON è necessariamente omosessuale e che nei film Disney, visti anche e soprattutto da bambini, certe cose bisognerebbe proprio evitarle perché non sono assolutamente contestuali).
Elsa è completa così com'è. Voleva trovare se stessa ed esserlo, capire il perché dei suoi poteri (in questo film la risposta sarà data) e cosa fosse destinata ad essere veramente.


Anna, invece, potrebbe sembrare un personaggio scontato: la classica principessa che cercava l'amore e trovava la propria realizzazione lì, nell'essere una brava moglie, avvolta da tanto romanticismo. In questo film, come dicevo, vediamo una Anna molto più matura. E' allegra, spontanea, sorridente, ma meno ragazzina. Anche lei ha raggiunto un equilibrio e ha sviluppato un coraggio notevole che la spinge ad affrontare da sola i giganti di terra. E chi si chiede perché Anna non abbia poteri, ha mai pensato che invece Anna di poteri ne abbia da vendere? Anna non possiede la magia come quella di Elsa, ma la custodisce all'interno del proprio cuore. Le due sorelle sono complementari.


Con questo termino, andando un po' controcorrente e dichiarando Frozen 2 davvero un bel film. Sulle canzoni farò un ultimo appunto: sicuramente "All'alba sorgerò" era più musicale, ma vi posso assicurare che "Verso l'ignoto" e "Mostrati" hanno il loro perché.
Riguardo le canzoni di Anna, Sven e Olaf mi è parsa un po' una ripetizione delle prime, una ripresa che nell'adattamento italiano non rende molto l'idea (l'inglese è più musicale in alcuni tratti).
Andatelo a guardare nei cinema: se vi è piaciuto Frozen, il numero 2 non vi deluderà.

venerdì 4 gennaio 2019

Recensione di "Il ritorno di Mary Poppins"

Buongiorno e buon anno amici! Come state? Vi siete ripresi da pranzi e cene in compagnia? Manca ancora l'Epifania, ve lo ricordo...

Torno sul mio blog per parlarvi del nuovo film Disney "Il Ritorno di Mary Poppins" che sono andata a vedere al cinema proprio qualche giorno fa.


Tutto incomincia dal magnifico viale dei ciliegi 17, Londra, negli anni della grande depressione, un periodo storico di crisi economica che condurrà alla Seconda Guerra Mondiale e parte dal 1929.
L'atmosfera è un po' cambiata da quella che ricordavamo nel primo film, dove carrozze e dame attraversavano le strade in una Londra molto curata. Adesso, invece, ci sono le automobili, il grigiore sembra essersi espanso e anche l'animo della famiglia Banks non è proprio quello allegro che avevamo lasciato.


Michael Banks si è sposato, ha avuto 3 figli, ma è anche rimasto vedovo in giovane età; sua sorella, Jane, è single e, sulla scia della madre che, all'epoca, era una suffraggetta, combatte per i diritti dei lavoratori sottopagati. Al numero 17 di viale dei ciliegi vive con i due fratelli Banks anche Ellen, la domestica, unico sostegno a un Michael che, confuso dalla perdita della moglie, non sa più come gestire i bambini e i suoi enormi problemi. L'uomo, infatti, dipendente della Banca di Credito, Risparmio e Sicurtà di Londra, riceve un giorno la visita degli avvocati: la sua casa sarà pignorata se, entro pochi giorni, non riuscirà a saldare il debito con la stessa banca cui aveva chiesto un prestito. Disperato, Michael chiede aiuto a Jane la quale si ricorda che il padre, in quanto membro anziano dell'istituto bancario, doveva aver lasciato delle azioni.
Parte la ricerca disperata di quel foglio in cui tutto era attestato, ma si sa Michael è sempre stato distratto... il documento era stato utilizzato per alcuni suoi schizzi. Stava per essere gettato via insieme alla roba vecchia e ad alcuni ricordi (tra cui la palla di neve con la Cattedrale di San Paolo), senonché il figlio minore, Georgie, lo recupera, usandolo poi per riparare il famoso aquilone.


Il film si apre perciò con i due Banks, ormai cresciuti, che devono affrontare le difficoltà della vita e tendono a voler dimenticare il loro passato, compresa la magia vissuta con Mary Poppins. Ma si sa, Mary arriva sempre nel momento del bisogno e non per salvare i bambini.... bensì per aiutare i genitori. Mary, com'era giunta sospinta dal vento dell'est per George Banks, torna per suo figlio Michael. Ed ecco che, in un giorno di vento, il piccolo e irrequieto Georgie porta con sè l'aquilone. Suo fratello e sua sorella, John e Annabel, tentano di aiutarlo insieme al lampionaio Jack (ex apprendista dello spazzacamino Bert) a riportarlo giù, ma all'improvviso l'aquilone si abbassa con Mary Poppins aggrappata alle sue estremità.
Jack la riconosce e la saluta: Mary è tornata! Ed ecco che la governante più famosa del mondo fantastico si ripresenta a casa Banks, provocando lo sgomento di Jane e stupore misto a irritazione di Michael.


Come per il film originale, i tre bambini vivranno con Mary delle avventure magiche: tornerà la borsa più capiente dell'universo da cui estrarre di tutto; il tocco delle dita per rimettere in ordine le camere; vi è un salto nella vasca da bagno che diventa improvvisamente una nuotata nel fondo dell'oceano e che, agli appassionati Disney, ricorderà certamente un altro film "Pomi d'ottone e manici di scopa"; senza dimenticare un viaggio nella decorazione del vaso - evocando il salto nel dipinto di Bert - con la presenza di molti animali animati che ricordano ancora il già citato film che aveva come protagonista Angela Lansbury; una visita alla cugina di Mary, Topsy (interpretata da Meryl Streep), il cui mondo è tutto sottosopra, un po' come lo era quello di zio Albert;



infine, un'avventura tra le strade e i tetti di Londra con i lampionai, esattamente com'era accaduto precedentemente con gli spazzacamini, che si configurano come i custodi della città, angeli silenziosi che controllano tutto, concludendosi con una corsa nella banca per tentare una lotta contro il tempo e il nipote cattivo di Mr. Dawes, interpretato da Colin Firth.



Il film vede la comparsa di Angela Lansbury, nelle vesti della signora che, al termine dell'avventura, regala palloncini magici al parco, in grado di far volare solo chi ancora riesce a sognare e dell'unico, mitico e irrepetibile Dick Van Dyke che, alla bella età di 93 anni, inscena un balletto evocando i vecchi tempi, nelle vesti di Mr. Dawes.


Cosa ne penso? Sono in preda a sentimenti contrastanti. Prima di tutto, il viaggio nel tempo verso la Londra di Mary Poppins mi è sicuramente piaciuto. Adoravo viale dei ciliegi e amavo il film. Ho consumato la cassetta quand'ero piccola e ho sfogliato il libro per bambini non so quante volte. Ancora oggi osservando un affresco con gessetti su strada o una giostra dei cavalli penso al film che mi incantava tanti anni fa (purtroppo non sono mai riuscita a far volare un aquilone perché nessuno me lo ha mai insegnato, ma è rimasto un mio sogno).
Per il resto, direi che il film è stato probabilmente pensato dai produttori Disney per affermarsi come un nuovo punto di riferimento, quello delle nuove generazioni, così come il primo Mary Poppins lo era stato per i bambini degli anni '70-'80-'90. Nonostante ciò, sono rimasti dei ganci con il passato (includo l'ammiraglio che non ha smesso di far tuonare il cannone), compresi i riferimenti a "Pomi d'ottone e manici di scopa", oppure a Peter Pan e Basil l'investigatopo (il Big Ben vi dice nulla?) che, evidentemente, i piccoli di oggi non potranno comprendere senza prima aver visionato opportunamente i precedenti classici.




"Il ritorno di Mary Poppins", almeno per quel che mi riguarda, mi è sembrata una brutta copia del primo e originale "Mary Poppins", una ripresa di ogni singolo passaggio reinterpretato: ecco che il salto nell'affresco diventa quello nella decorazione del vaso; la scena dei tre bambini che entrano nella banca è del tutto simile a quella di Michael e Jane nel primo film; zio Albert diventa Popsy; gli spazzacamini si trasformano in lampionai e Bert diventa Jack; Bert che, nella scena finale del primo film distribuiva aquiloni, è sostituito dalla signora dei palloncini; lo stesso Michael che, con una pallida imitazione dei baffi del padre, sembra somigliare al buon vecchio George Banks senza tuttavia riuscire.

La nuova Mary Poppins, alias Emily Blunt, è brava, certo, ma chi ha nella mente Julie Andrews capirà che non c'è paragone che tenga. A tratti l'ho trovata apatica, troppo seria, mentre nella prima e originale Mary Poppins traspariva dolcezza oltre la perfezione.


Lo stesso discorso vale per Jack: Lin Manuel Miranda ha alcune espressioni che ricordano Bert, evidentemente studiato alla perfezione dall'attore, ma nulla in confronto a Dick van Dyke, con quel sorriso inconfondibile e contagioso, arricchito dallo sguardo allegro e azzurro.
Per terminare, le canzoni: non ci sono più un "Supercalifragilistichespiralidoso" da canticchiare, un "Camin caminì" oppure "Una pillola che va giù", ma motivetti musicali che, purtroppo, nel loro adattamento italiano il più delle volte non ho trovato orecchiabili, nonostante i pinguini canterini siano sempre quelli dei vecchi tempi.


«Le persone praticamente perfette non si lasciano confondere dai sentimenti» diceva Mary al suo ombrello al termine del primo film. Io non sono praticamente perfetta e mi sono lasciata confondere da tanta nostalgia. Tuttavia, ne consiglio la visione: il film è carino per i più piccoli, mentre i più grandi faticheranno a lasciar andare la loro infanzia trascorsa "a canticchiare sui tetti" insieme alla Andrews e a Van Dyke.

giovedì 19 gennaio 2017

Recensione di "La Storia Infinita" di Michael Ende

Buon pomeriggio amici, anche se di buono in questa giornata c'è ben poco con tutto quel che è accaduto nelle ultime ore: terremoto, neve, slavina sul Gran Sasso e aiuti che non riescono ad arrivare in Abruzzo... nel mio tanto caro Abruzzo, cui rivolgo un grosso abbraccio e un invito a non arrendersi perché - purtroppo - bisogna sempre e solo contare sulle proprie forze, soprattutto in un'Italia come quella attuale.

Dopo questa doverosa premessa, torno al tema abituale del mio blog, ovvero letteratura contemporanea, nuovi romanzi e recensioni.
Ho terminato, solo da qualche minuto, di leggere "La Storia Infinita" di Michael Ende. Ricordo di aver iniziato a sfogliare alcune pagine quando ero piccola, spinta dall'onda dell'entusiasmo generata dal film (che avrò rivisto mille volte), ma di averlo poi abbandonato perché vi erano troppi passaggi per me surreali. Sono un bel po' più grande ora, l'ho letto e l'ho capito, riuscendo maggiormente ad apprezzarlo.


Trama: Bastiano è un giovane goffo, e non è quel che si dice comunemente un "ragazzo sveglio", ma la lettura (e il termine è improprio, perché egli passerà alternativamente dal ruolo di lettore a quello di personaggio e di protagonista) di questo libro lo farà cambiare e farà cambiare la Storia stessa. Gli farà capire che il "fa' ciò che vuoi" che sta scritto sull'amuleto ricevuto in dono non significa "fa' quel che ti pare", ma esorta a seguire la volontà più profonda per trovare se stessi. Che è la strada più ardua del mon do. Il libro e Bastiano la percorreranno insieme, e il ragazzo attraverserà tutti i suoi desideri e passerà dalla goffaggine alla bellezza, alla forza, alla sapienza, al potere, fino a quando dovrà fermarsi.

Bastiano Baldassarre Bucci, per gli amanti del film solo Bastian, è il vero protagonista di questa storia incredibile uscita dalla penna di Michael Ende. 


Non penso che questo romanzo/racconto possa essere descritto in poche parole. Ci sono elementi che derivano da ogni parte dell'immaginario umano, da quello antico a quello moderno, e che nella Storia Infinita si mescolano per dare vita a una dimensione a se stante.
Quante volte da bambini abbiamo immaginato di avere tra le mani quel libro che Bastian, nascosto nella soffitta della sua scuola e avvolto sotto una polverosa coperta, teneva così stretto a sé? Quante volte abbiamo desiderato di possedere quel magnifico ciondolo con i serpenti che si mordono la coda, anche detto Auryn? 


E quante volte avremmo voluto entrare nel libro e aiutare Atreiu a salvare Artax (nel romanzo, è un pony, non un cavallo bianco) dalla sua misera morte nelle Paludi della Tristezza?


Oppure cavalcare Falcor (nel romanzo, Fùcur che, tra l'altro, non ha l'aspetto di un cane, ma di un leone), il gigantesco Drago bianco della Fortuna e sorvolare la magnifica terra di Fantàsia?


Il romanzo è il portale d'accesso verso quel mondo che pian piano si crea grazie all'immaginazione del nostro piccolo e goffo protagonista. Ma chi non ha letto non può sapere che il primo film della Storia Infinita corrisponde solo a una piccola parte di tutto il racconto, perché le ben 446 pagine narrano di una Fantàsia restaurata e di Bastian che è divenuto parte di essa. 
Il ragazzo, con al fianco i suoi fedeli amici Atreiu e Fùcur, affronterà viaggi lunghissimi alla scoperta di assurde realtà che si avvicinano, in qualche modo, ai metafisici mondi del mondo delle meraviglie dell'Alice di Lewis Carroll, fino ad affrontare le insidie della maga Xayde.
Ricordo di aver visto un secondo film della Storia Infinita (e che, all'epoca, non mi era piaciuto particolarmente)... mi aspettavo di trovare un Bastian con la paura di nuotare e di affrontare il trampolino, mentre quella è tutta una parte inventata dalla cinematografia. 
Bastian, in realtà, non torna a casa sua quando riesce a dare un nome all'Imperatrice Bambina (Infanta Imperatrice, chiamata Fiordiluna dal ragazzo). 


Rimane lì e, grazie alla sua capacità di narrare storie e al potere conferitogli dall'Imperatrice, riesce a restaurare Fantàsia distrutta dal nulla. Il suo potere però è crescente, tanto che il ragazzo muta il suo aspetto, quello stesso che lo aveva fatto sentire sempre a disagio nel suo mondo, e inizia a comandare, senza rendersi conto di stare abusando del potere di Auryn. 


Atreiu, suo amico, tenta di farlo ragionare e prova a levargli il ciondolo con la forza, ma inutilmente. Bastian, infatti, non sa che potrebbe rimanere intrappolato in Fantàsia per sempre. Sta progressivamente dimenticando la sua esistenza sulla Terra... e il punto di non ritorno è vicino, ma l'amicizia per fortuna (almeno nei libri) ha un potere immenso.
L'opera di Michael Ende - come era prevedibile - mi è piaciuta moltissimo. Sono riuscita a leggerla dopo anni, ma ce l'ho fatta e la consiglio vivamente a tutti gli amanti della letteratura fantasy. 
Le idee che ebbe l'autore sono davvero straordinarie, così come la struttura di tutta la vicenda che, se letta comparandola con le opere contemporanee, viene apprezzata ancor di più. Proprio così. Perché quel sapore fantasiano che avevano i libri di Ende per l'appunto o di C. S. Lewis (per fare due esempi), non ce l'hanno i romanzi attuali classificati sotto il genere "fantasy". 
Adesso è fantasy un libro che parla di vampiri con quello spiccato tratto somigliante a Twilight (sembrano tutti suoi derivati); è fantasy un libro che narra esclusivamente di lotte per il potere in un mondo medievale con qualche spruzzo di magia; c'è persino il fantasy sociale, in cui vengono riflessi i problemi del mondo attuale e mascherati dietro a storie poco approfondite; e il fantasy ormai è bello esclusivamente se si leggono saghe infinite, con numerosi libri.
Ende, in un solo libro, è riuscito a creare una storia spettacolare, che la si legga in chiave metaforica (la crescita di Bastian) o in chiave prettamente narrativa.
E' quindi giunta l'ora per me di tornare a casa e di iniziare a seguire i miei desideri... "Ma questa è un'altra storia, e si dovrà raccontare un'altra volta". 

domenica 6 novembre 2016

Recensione di "Timeline: ai confini del tempo" di Michael Crichton

Buona domenica, cari lettori! E' una grigia e stranamente calda giornata di pioggia qua a Roma. Solo il calendario ci ricorda che è novembre e non marzo.
Stamattina, ho finalmente terminato di leggere "Timeline: ai confini del tempo" di Michael Crichton, autore conosciuto soprattutto per Jurassic Park.
Era un romanzo presente nella mia lista da qualche anno. Adesso, con un po' di calma, ho avuto tempo di leggerlo, su suggerimento di mio padre. Lui è un appassionato di viaggi nel tempo e di fisica quantistica. E nonostante sia archeologa, ho ricevuto una formazione scientifica (non proprio ottimale, ma comunque basata sulla scienza). La mia mente a volte si perde in complessi ragionamenti, interessata da Einstein e da tutte le teorie sulla relatività a lui successive.
Parliamo quindi di "Timeline". Conobbi la sua esistenza qualche anno fa, nel 2003, quando venne proiettato il film tratto dal romanzo. Tra gli attori c'erano Gerard Butler, Paul Walker, David Thewlis, il primo dei quali rimase impresso nel mio cuoricino di adolescente (andavo ancora al liceo).
Ecco perciò trama e copertina:


Nel deserto dell'Arizona un uomo vaga senza meta, pronunciando parole prive di senso. Dopo ventiquattr'ore è morto e il suo corpo viene cremato dalle uniche persone che sembrano conoscerlo. All'altro capo del mondo una squadra di archeologi è al lavoro sulle rovine di un villaggio medievale della Dordogna, dove scopre una stanza rimasta sigillata per oltre seicento anni. Ma nel quartier generale della società finanziatrice del progetto gli studiosi faranno una scoperta ancora più sorprendente: il capo della misteriosa multinazionale ha inventato una vera macchina del tempo, che nello spericolato tentativo di ritrovare il professor Johnson, il capo della spedizione precipitato in un tunnel spaziotemporale, li proietterà in uno dei periodi più avventurosi e violenti della storia. Da quel momento i nostri eroi dovranno riuscire a sopravvivere nel bel mezzo della guerra dei Cent'Anni - tra soldataglia e affascinanti castellane, assedi e cruente battaglie - per cercare di tornare sani e salvi nel XXI secolo.

Se c'è un film completamente diverso dal libro, ebbene, si tratta proprio di questo.
Ho trovato tante di quelle differenze che ho pensato "Mi sa che solo l'ambientazione è rimasta quella ideata dall'autore".
Il romanzo si svolge intorno a un esperimento condotto da una grossa società, la ITC, guidata da Robert Doniger, un uomo geniale, ma spregiudicato, un uomo che punta solo al guadagno e al successo. La ITC finanzia gli scavi di un sito medievale nella Dordogna. Nello specifico, l'équipe del prof. Johnston, composta da Chris Hughes, Kate Erickson, André Marek e David Stern, si sta occupando di indagini condotte all'interno dei resti della cittadella medievale, Castlegard, del castello e del monastero.


Un giorno però il prof. Johnston si reca all'ITC. Successivamente di lui non si hanno notizie per giorni, ma durante gli scavi viene fuori una scoperta alquanto strana: un appunto, scritto dallo stesso professore, e contestuale all'epoca di ritrovamento.
La ITC ha inventato una macchina del tempo e Johnston ha voluto provarla per tentare di recuperare informazioni sul sito che si stava indagando, ma purtroppo non ha fatto ritorno. Chris, Kate e Marek, accompagnati da due membri dell'ITC, partono volontariamente per il passato per andare a recuperare Johnston. Hanno un periodo di tempo molto limitato, dopodiché la comunicazione con il nostro tempo verrà interrotta per sempre. Non tutto procede come previsto. All'arrivo nei boschi della Dordogna, il gruppo viene accolto dai cavalieri di Sir Guy de Malegant che uccidono brutalmente i due membri dell'ITC, uno dei quali - ormai agonizzante - riesce a tornare nel presente. Con sé però aveva portato una granata (ovviamente proibita) che esplode, distruggendo la macchina del tempo.
Il gruppo è bloccato momentaneamente nel passato. All'ITC David Stern e gli altri tecnici lavorano per tentare di assemblare un dispositivo capace di riportare tutti a casa, mentre nel XIV secolo Chris, Kate e Marek dovranno affrontare battaglie e sotterfugi nel bel mezzo della Guerra dei Cent'anni che contrappone Francia e Inghilterra e, nel caso specifico, Lord Oliver ad Arnaud.


Inizialmente sono rimasta un po' delusa ed è totalmente colpa mia. Ho fatto le cose al contrario, vedendo prima il film e poi leggendo il romanzo. Mi sarei aspettata la storia d'amore tra Marek e Lady Claire, iniziata dopo l'arrivo del gruppo archeologico nel bosco,


e invece... mi ritrovo un impacciatissimo Chris che riesce miracolosamente a salvarsi dopo aver seguito una Lady Claire travestita da ragazzo e che riesce, grazie a Marek, a sopravvivere a una giostra medievale.
Chris Hughes, nel romanzo, è l'allievo preferito del prof. Johnston, mentre nel film è suo figlio, innamorato da sempre di Kate. Kate e Chris, nel romanzo, sembrano avere un rapporto quasi ostile inizialmente. Soltanto dopo le avventure nel passato capiscono di appartenersi.


André è l'eroe di sempre, il prototipo di archeologo che vive nel presente, ma alla stesso tempo sente di appartenere al passato che studia. André adora il Medioevo, il suo più grande desiderio è quello di vivere in una cittadina fortificata, cavalcando tra i boschi, indossando l'armatura e intraprendendo fantastici duelli. Proprio la sua abilità, sia in battaglia che con le lingue antiche, salverà spesso la vita agli altri membri del gruppo. Marek e Claire si incontrano, si notano, ma nel corso del romanzo non scatta null'altro che qualche sguardo tra loro. Chris aveva perso la testa per Claire, ma Claire si rivela non essere la tanto casta e pudica dama (come invece è nel film). La donna, per amore della propria patria, è disposta a fare di tutto. Tra l'altro, diversamente dal film, non è la sorella di Arnaud.
Nonostante tutte queste differenze, ho comunque amato la storia narrata in Timeline. Sono un'archeologa e ho sempre desiderato - esattamente come André - andare anche per solo un giorno nel passato (il Medioevo mi ha sempre affascinata, ma non posso tralasciare l'Antico Egitto o la Tarda Antichità) come spettatrice. Non so se sarei in grado di sopravvivere e prendere parte a una realtà che è comunque così diversa dalla mia. E poi... secondo le regole dei viaggi nel tempo, non si deve in alcun modo interagire con i personaggi del passato. La storia potrebbe cambiare, il viaggiatore potrebbe non nascere affatto e scomparire all'istante. Sono tanti i "pericoli" teorici dei viaggi nel tempo.


Ho notato però alcune imprecisioni che, talvolta, mi hanno fatto rabbrividire. L'autore non ha ben chiara la differenza tra Alto e Basso Medioevo. Si percepisce a pagina 124, in cui si dice che l'epoca immediatamente successiva al crollo dell'Impero Romano, si chiama Basso Medioevo, mentre il 1200 è convenzionalmente (ah sì?) considerato come l'inizio dell'Alto Medioevo. E' proprio un errore gigantesco sopra il quale, da archeologa, non sono riuscita a passare.
Inoltre - questo potrebbe essere un refuso/inversione, ma comunque dovrebbe essere controllato - spesso ho letto XVI secolo invece di XIV secolo. Si parla del Trecento? E allora è XIV secolo. Il XVI non c'entra proprio niente.
Per terminare, ogni volta che leggo un romanzo storico-archeologico scritto da un autore americano percepisco quanta curiosità e quanto senso del mistero si provi oltreoceano per la storia europea. Gli americani sono davvero affascinati dalle lingue antiche, specie latino e greco, dalle nostre battaglie, dai nostri siti. Ed è assurdo che loro li amino, mentre noi (parlo dell'Italia) li lasciamo al degrado.
Noto, infine, come non ci sia differenza all'estero tra la figura dello storico e quella dell'archeologo. Marek e Chris sono chiamati storici, che corrispondono ad archeologi medievisti qui da noi.
Va bene, lo so... so di essere un po' critica anche nelle letture di svago, ma noi archeologi siamo fatti così. André Marek mi darebbe ragione.
Consiglio di leggere il romanzo, se non lo avete già fatto (effettivamente, sono io ad essere in ritardo visto che è uscito nel 1999). Se siete come me appassionati della storia, delle rievocazioni medievali, dei viaggi nel tempo e vi piace anche un po' di ironia (Chris mi ha fatto ridere più volte), questo romanzo farà proprio al caso vostro. Vi lascio con un piccolo estratto che il mio cuore archeologico ha apprezzato:

<<Prima o poi, l'artificiosità del divertimento - incessante, onnipervasivo - porterà la gente a cercare ciò che è autentico. "Autenticità" sarà la parola chiave del XXI secolo. Che cosa è davvero autentico, però? Qualsiasi cosa non sia costruita ad arte per ricavarne profitto o controllata dalle grandi corporations. Che esista di per sé, autonomamente, e sia dotata di una sua originalità. E cosa c'è di più autentico del passato? (...) Il passato è vero, autentico. Ed è proprio questo che lo renderà incredibilmente attraente. Il passato è l'unica concreta alternativa al presente governato dalle grandi corporations>>.


p.s. credo non sia proprio cambiato nulla da parte mia nei confronti di André: l'ho adorato nel film (soprattutto se interpretato da Gerard Butler) e ho proseguito nel romanzo. Sono incorreggibile.

domenica 18 settembre 2016

Recensione di "Io prima di te" di Jojo Moyes (romanzo e film)

Buona domenica, amici lettori! Come state? Qui a Roma ha iniziato a soffiare un venticello fresco che porta con sé i nuvoloni e l'odore della pioggia. Lo spirito autunnale è alle porte, ma io proseguo a parlarvi dei romanzi che ho letto durante l'estate.
E' quindi l'ora della bellissima storia d’amore che prosegue a commuovere le fan di ogni parte del mondo, la storia di Louisa Clark e Will Traynor. Nei miei programmi di lettura vi era quello di leggere il romanzo già da parecchio tempo, ma la lista di libri era diventata interminabile e acquistare altre storie non sarebbe stato troppo saggio. Poi mi sono resa conto che, durante il mese di agosto, nonostante non fossi stata molto in casa, ho divorato letteralmente tanti di quei romanzi che credo di aver recuperato il mio “debito” letterario di un anno intero. Ho quindi fatto le cose al contrario con “Io prima di te”: prima il film e poi il romanzo (attenzione: NON. SI. FA!... però stavolta l'ho fatto pure io...)


Ho acquistato il romanzo con la copertina riferita al film in preda a un attacco di innamoramento adolescenziale dovuto al magnifico Sam Claflin, già notato e apprezzato in "Hunger Games" nel ruolo di Finnick Odair. Tralasciando però le mie follie, passiamo alla recensione.
Louisa Clark è una ventiseienne, impacciata, buffa e particolare. Ama vestirsi in maniera bizzarra, sta con Patrick da ben 7 anni e lavora in un piccolo bar alle pendici del castello che domina il paesetto inglese in cui vive. Il suo mondo ovattato sembra andar bene così: Lou è nata lì e lì morirà quando sarà vecchia, senza grandi ambizioni.


La sua vita cambia quando perde il lavoro e, dopo aver accettato un’orrenda e deprimente occupazione in un’industria notturna di pollame, Lou decide di provare a sostenere il colloquio presso la famiglia Traynor, nobile e proprietaria del castello. Di certo la ragazza non si sarebbe mai aspettata di vivere ogni giorno al fianco di Will, il brusco, sarcastico ma incredibilmente affascinante e intelligente figlio dei Traynor, ridotto su una sedia a rotelle all’età di 35 anni. 


Will è stato vittima di un incidente: una moto lo ha travolto mentre, in una giornata di pioggia, andava a prendere un taxi per recarsi al lavoro nella City londinese. Da allora è tetraplegico e ha bisogno di cure, ma soprattutto detesta la sua vita così limitata, tanto da aver tentato il suicidio e da aver preso accordi con una clinica svizzera per provvedere all’eutanasia. Ha dato 6 mesi di tempo ai suoi genitori e a sua sorella (che ha un ruolo davvero nullo) per fargli cambiare idea. Lou diventa l’unica speranza dei Traynor. 
Quella buffa ragazza senza aspirazioni si trasformerà, grazie a Will, in una fantastica donna capace di trarre forza, coraggio e allegria da qualsiasi cosa nel disperato tentativo di far rimanere Will… quell’uomo che pian piano ha imparato ad amare.


Il romanzo è consigliatissimo e il film – quasi completamente attinente al libro – è decisamente meraviglioso, ma preparatevi i fazzoletti. Ho pianto pure io che non lo faccio mai. È il secondo film in tutta la mia vita che riesce a commuovermi, affiancandosi a "Saving Mr. Banks".
Complimenti all’autrice, Jojo Moyes, e ai 2 attori protagonisti per il film, Emilie Clarke (il suo cognome e quello di Lou si pronunciano in ugual maniera… caso o destino?) e Sam Claflin.
Ora, qualche considerazione personale che posso fare solo dopo aver terminato il romanzo che integra alcuni aspetti descritti nel film.
La famiglia di Lou è tremenda. Ma come si fa a far quasi credere totalmente scema una figlia (la maggiore per di più) per far sì che la più piccola, inguaiata (si è fatta mettere incinta da non si sa nemmeno chi) e sempre considerata troppo intelligente, possa proseguire i suoi studi e la sua vita senza lavorare?


La sorella di Lou, Treena, è una prepotente viziata, che però ha un cuore sensibile, disposto ad ascoltare e aiutare Lou quando accade l’irreparabile. 
Il padre di Lou non capisco con quale coraggio (ovviamente quello dell’ignoranza) riesca a umiliare la figlia con continue prese in giro anche pesanti. No comment. Fa una coppia davvero insopportabile con sua moglie, che risulta una madre veramente troppo apprensiva e tropo dedita al suo ruolo di chioccia.
E Patrick è l’uomo più detestabile in circolazione. Mi sono chiesta perché diavolo Lou abbia tollerato di avere accanto un tizio così pieno di sé per 7 lunghi anni (indipendentemente dall’incontro con Will).


Patrick è un uomo cui non importano minimamente gli interessi altrui, men che meno quelli della sua ragazza, cui vuole imporre le sue abitudini e le sue passioni (corsa, sport, triathlon) sopprimendo quelle di lei.
Infine c’è Will, un raggio di sole in ogni senso, che ha però imparato ad essere più umile solo grazie alla conoscenza di Lou. Will amava la sua vita, era uno spirito libero e qui più che mai si comprende come il denaro non sia essenziale, ma possa fare la differenza.
Lou non è mai andata da nessuna parte anche perché è povera e deve lavorare per mantenere tutta la sua famiglia, mentre Will è colto e ha girato il mondo perché nato ricco. Allo stesso tempo, sono quegli stessi soldi che da tetraplegico gli permettono di condurre una vita almeno dignitosa e di potersi avvalere di cura e assistenza. Un Will Traynor povero, molto probabilmente, avrebbe considerato più di una volta la possibilità del suicidio, senza riuscire a resistere per anni.


Will, con il suo carattere difficile (come biasimarlo?), ma estremamente dolce, cambia Lou, fornendole gli strumenti per la conoscenza di un mondo che, fondamentalmente, la spaventava, facendole acquistare fiducia nelle sue capacità e risvegliando in lei la curiosità per il nuovo. Lou accantona finalmente un destino che non aveva scelto per sé e che aveva permesso agli altri di scegliere per lei.
Allo stesso tempo, è ancora Will a sottrarla da quel rapporto univoco, inutile e apatico che aveva con Patrick, facendole comprendere cosa voglia dire amare veramente e riuscendo a farle aprire infine le sue ali, quelle della sua vita e della sua libertà.


Jojo Moyes ha creato due personaggi complessi, complementari e affascinanti, andando a toccare il difficile tema dell’eutanasia che, forse, non è comprensibile, né totalmente giudicabile se non si provano certe sensazioni in prima persona. Libertà è anche quella di morire quando la tua esistenza è ridotta a quella di un vegetale, nonostante quella stessa libertà possa comportare assurdi dispiaceri. È forse una scelta egoista, ma l’uomo deve poter essere libero di ragionare ed effettuare le proprie autonome e consapevoli decisioni.
Ora ho timore di leggere “Dopo di te”. Sono curiosa di sapere cosa farà Lou, ma allo stesso tempo ho timore del suo futuro. Perché? Leggete il romanzo e capirete. Poi guardate il film e innamoratevi perdutamente di Will Traynor, in quella magistrale interpretazione di Sam Claflin che ha saputo essere affascinante, anche se confinato su una sedia a rotelle.

«Così stanno le cose. Sei scolpita nel mio cuore, Clark, fin dal primo giorno in cui sei arrivata con i tuoi abiti ridicoli, le tue terribili battute e la tua totale incapacità di nascondere ogni minima sensazione. Tu hai cambiato la mia vita…»


mercoledì 9 settembre 2015

Recensione di "Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo - Le storie segrete" di Rick Riordan

Buonasera amici! Sto riscoprendo il piacere di curare un blog. Non lo facevo da un'eternità, ma non credo durerà molto con altre ricerche che incombono. Intanto però, leggetevi la mia nuova recensione. Pronti? Via!



Ammetto di aver notato una miriade di libri che recitavano sopra la copertina il titolo "Percy Jackson etc." e di aver visto le locandine dei film in giro, ma non mi sono mai occupata delle avventure di Percy Jackson. Mi avevano detto che il film era carino (il primo), mentre dei romanzi non mi aveva ancora parlato nessuno. A dire il vero, non rientrava nei miei programmi leggere i romanzi di Rick Riordan perché avevo deciso di non cominciare altre saghe fantasy troppo popolari e troppo americane (gli italiani vengono "leggermente" snobbati dalle case editrici e la questione non mi va giù per niente, a prescindere dal fatto che io stessa tenti di scrivere fantasy). Inoltre, per la stesura di Sàkomar non volevo essere influenzata da nessuno, quindi avevo lasciato correre, ripromettendomi di recuperare – in caso fossi stata interessata – dopo la fine della mia saga.
"Percy Jackson e gli dei dell'olimpo – Le storie segrete" è stato però un regalo ricevuto per il mio onomastico, il 24 luglio, un pensiero. Io adoro i regali. Mi fanno sempre l'effetto "Ti ho pensata… e ho voluto comprarti questo per dirti che ti voglio bene". Ho un animo romantico in fondo… nel fondo più profondo, ma c'è.



Dicevo, un romanzo deve essere letto, sempre secondo la mia politica. Una volta che entra a far parte della tua collezione, in un modo o nell'altro, le sue pagine necessitano di essere sfogliate. Ho quindi intrapreso la lettura della raccolta di racconti di Rick Riordan. Ero titubante perché pensavo di dover leggere anche gli altri romanzi, ma quando ho aperto la prima pagina ho subito notato che non era necessario e che i tre racconti qui contenuti in realtà sono indipendenti.
Sono stata quindi catapultata nel mondo di Percy Jackson, semidio, figlio di Poseidone, che possiede straordinari poteri riguardanti ovviamente l'acqua e il suo controllo, affini alla mia Christine.



La ragazza con cui sta, Annabeth, è una semidea, figlia di Atena, dea della sapienza, e spicca per intelligenza e acume.



Ci sono poi due ragazzi, che praticano le arti magiche egizie, Carter e Sadie Kane.





Da quel che ho appreso, i quattro personaggi fanno parte di due saghe differenti, ma in questi racconti essi si incontrano e collaborano per provare a salvare il mondo da un coccodrillo gigante, dal dio Serapide e infine da un mago pazzo, figlio di Ramses il Grande, che vuole un potente talismano – la corona di Tolomeo – per diventare un dio.
Non è un caso che venga nominato Tolomeo e la sua discendenza che dominarono su un Egitto ellenizzato. I racconti si basano sull'unione dei poteri derivanti dalla mitologia greca e su quelli derivanti dalla mitologia egizia. Non rivelerò di più. La lettura è piacevole, essenzialmente per ragazzi. L'autore ha mescolato la realtà quotidiana con la mitologia, documentandosi anche su fatti storici.



Ho apprezzato molto questa linea un po' fantascientifica che attraversa la narrazione: è come se in un'unica realtà, la nostra, ne convivessero anche altre che però ai semplici umani sono invisibili. In tutto questo si inseriscono Percy e i suoi amici, con armi mortali camuffate sotto l'apparenza di oggetti d'uso comune (la spada di Percy è una penna biro ad esempio).
Premettendo che mi hanno coinvolta, i racconti sono però scritti con uno stile che a me pare un po' troppo cinematografico. A tratti mi è sembrato di leggere il copione di un film. Non è proprio il massimo per me, ma devo dire che a livello di narrativa per ragazzi credo che sia una tecnica molto in voga, che tenda a far appassionare i giovani lettori. Questo però non significa che sia lo stile corretto. Se io fossi stata bambina ad esempio e avessi letto Percy Jackson tra i romanzi a piacere che le tanto "adorate" maestre assegnano "amorevolmente" per l'estate, che cosa avrei imparato (contenuto a parte che è di pura fantasia)? Avrei imparato che un tema si può scrivere anche con un tono estremamente colloquiale, inserendo addirittura espressioni proprie solo di un discorso verbale e avrei magari iniziato a sviluppare i miei temi in questo modo erroneo. Ecco, vorrei sottolineare il mio punto di vista: carini i racconti, simpatico lo stile, ma è meglio usarlo solo ed esclusivamente per la cinematografia, non per la narrativa fantasy di ampia diffusione.
Per quanto riguarda i contenuti, ho trovato molte similitudini con la saga dell'alchimista Nicholas Flamel scritta da Michael Scott (Recensione del VI volume), pubblicato qualche anno prima di Percy Jackson. 
Il ritorno degli dei, l'addestramento nelle arti magiche, le parentele con gli dei stessi… tutti elementi che sono presenti già nella saga di Michael Scott. Ad ogni modo, ora mi sono incuriosita e probabilmente in futuro – dopo aver terminato le mie letture – sbircerò gli altri romanzi di entrambe le saghe. Valutazione positiva per Rick Riordan, in realtà più come "autore cinematografico" che per la narrativa vera e propria.

Buona serata a tutti e alla prossima!
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