Si tratta di "Tutto ciò che sappiamo di noi due", continuazione di "Tutto ciò che sappiamo dell'amore", già letto e recensito (http://sakomar.blogspot.it/2016/06/recensione-di-tutto-cio-che-sappiamo.html).
Non potevo lasciare in sospeso la storia di Lake e Will. Non potevo e basta perché li ho adorati. Il loro amore così dolce e al contempo forte aveva però ancora bisogno di maturare, essendo cresciuto in fretta, vittima di eventi spesso non piacevoli. Lake e Will si ritrovano ad essere tutori dei rispettivi fratelli a soli 19 e 25 anni, dovendo affrontare responsabilità e problemi di cui prima non si erano mai occupati. Ma una storia che sembra andare a gonfie vele può incrinarsi per una mancata verità e la fiducia è difficile da guadagnare nuovamente. Per fortuna c’è la poesia che ha il potere magico di arrivare dritta al cuore, evocando ricordi che costituiscono i piccoli tasselli di una storia tanto complicata, quanto meravigliosa.
In copertina c’è una frase tanto bella quanto riassuntiva dell’intero volume:
«A volte due persone devono perdersi per capire davvero quanto appartengono l’una all’altra»
… e non vi è più grande verità.
Si sottolinea l’importanza della famiglia, base della vita di ognuno, porto sicuro da cui partire e in cui tornare e che, quando viene a mancare, lascia la nave in preda alle tempeste.Si evidenzia il valore dell’amicizia, quella vera, che a volte si confonde con semplici conoscenze di comodo.
E poi è affrontata la tematica del bullismo e della lotta ad esso. Il bullismo rovina la vittima, la segna per sempre, lascia delle ferite che saranno aperte per tutta la vita, spiragli dolorosi verso l’animo. Tutto ciò deve essere combattuto, ma l’indifferenza è complice, sia quella dei ragazzi che, e soprattutto, quella dei professori.
Inserisco un estratto, tratto dallo slam di Kiersten:
«Ho qualcosa da dirvi, e non parlo ai bulli o a quelli che tormentano. Mi riferisco a chi sta a guardare, a chi non si schiera dalla parte di chi piange, a tutti quelli che tra voi che… semplicemente chiudono gli occhi. Dopotutto, non sta succedendo a voi, non siete voi quelli maltrattati dal bulletto di turno, e non siete nemmeno quelli che si comportano male, perché non è vostra la mano che lancia il cibo. Ma… è vostra la bocca che non parla. Sono vostre le gambe che non scattano in piedi. Sono vostre le braccia che non tendono la mano. Ed è vostro il cuore che se ne fotte. Quindi schieratevi per voi stessi, schieratevi per i vostri amici. Vi sfido ad essere persone che non si lasciano sottomettere. Non lasciatevi sottomettere. Non lasciateli vincere».
Colleen Hoover ci introduce nel piccolo complicato mondo di Lake e Will e, allo stesso tempo, di tutti gli altri personaggi: Eddie e Gavin, Reece e Vaughn, Sherry e Kiersten, Kel e Caulder.
La vita ci pone sempre davanti a ostacoli difficili, talvolta quasi insormontabili. Si deve però avere il coraggio di andare avanti, anche se tutto sembra fare schifo, anche se sembra non esserci una chance, perché la vita ha sempre in serbo la strada alternativa.Ho adorato il punto di vista di Will, più di quello di Layken presente nel primo volume.
I ragazzi, dietro il loro essere duri, sono invece così dolci e semplici. Will è proprio il ragazzo ideale – devo dirlo – e Lake è immensamente fortunata ad averlo incontrato.
L’autrice ha di nuovo usato il presente e, lo ripeto, non è il mio tempo preferito per una narrazione, anche se è stato un aspetto secondario di questa storia che mi ha rapita, provocandomi il batticuore e qualche lacrimuccia.
Il titolo è profondamente differente, ma stavolta posso affermare che è molto più bello quello italiano, molto più romantico e poetico. L’originale si chiama “La ritirata” ed è strettamente legato a un episodio della narrazione che, tra tutti, è secondo me il meno importante. Lo stesso nome verrà dato al titolo di una poesia che reciterà Will per Lake… ma non anticipo nulla, altrimenti svelerei alcune parti del romanzo.
Infine qualche riga mi ha colpita particolarmente perché mi ha fatto riflettere… leggendola ho sentito alcune parole che mi sono state rivolte e adesso ho sorriso. Qualche anno fa non le ho capite e mi sono arrabbiata molto. Crescendo e facendo esperienza, ho compreso che dietro quella che a me sembrava ostilità, forse c’era anche un buon consiglio.. presentato non proprio delicatamente, ma ognuno ha le sue maniere e bisogna accettare le persone così come sono. Il pezzo di cui parlo è una parte della poesia recitata da Edmund Davis-Queen e intitolata “Scrivi pure male”:
Infine qualche riga mi ha colpita particolarmente perché mi ha fatto riflettere… leggendola ho sentito alcune parole che mi sono state rivolte e adesso ho sorriso. Qualche anno fa non le ho capite e mi sono arrabbiata molto. Crescendo e facendo esperienza, ho compreso che dietro quella che a me sembrava ostilità, forse c’era anche un buon consiglio.. presentato non proprio delicatamente, ma ognuno ha le sue maniere e bisogna accettare le persone così come sono. Il pezzo di cui parlo è una parte della poesia recitata da Edmund Davis-Queen e intitolata “Scrivi pure male”:
«[…] E scrivi ancora. Scrivere è come ogni altra cosa. Non diventi bravo subito. È un mestiere, devi impararlo e migliorare piano piano. Non entri alla Julliard, se non ti eserciti. Se vuoi la Carnegie Hall, devi provarci e riprovarci… O sborsare un sacco di soldi. Come per ogni altra cosa, ci vogliono diecimila ore per diventare davvero bravo. Proprio come dice Malcom Gladwell. Perciò, scrivi. Sbaglia, metti su un foglio i tuoi pensieri. Poi lascia riposare. Lascia marinare. E solo dopo ti correggerai. Ma non farlo mentre scrivi. Ti rallenta soltanto i pensieri. Trova un modo quotidiano per esercitarti. Per me è scrivere in un blog. Ed è divertente. Più scrivi, più diventa facile. Più scorre liscio, meno te ne preoccuperai. Non è per la scuola, non è per i voti. È solo per far uscire i tuoi pensieri fuori. Tu sai che loro vogliono uscire fuori. Perciò vai avanti. Fa’ dello scrivere una pratica quotidiana. E scrivi pure male. Scrivi pure malissimo, scrivi con abbandono e potrebbe venire fuori qualcosa di molto, molto buono».
Io scriverò male, anzi malissimo, ma scriverò per diventare migliore di come sono e forse un giorno potrò dire di esser diventata brava. Forse un giorno potrò dare dei consigli anche io. Per ora mi impegnerò, come ho sempre fatto, nella scrittura e in qualsiasi altra cosa. Posso farcela.
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