book

martedì 16 settembre 2025

Recensione di "Amori e segreti al Pumpkin Spice Cafè" di Laurie Gilmore

Buon pomeriggio amici lettori e bentornati alla ricerca di qualche consiglio di lettura!
Visto che, ahimé, sta terminando l'estate, vi parlerò di un romanzo la cui copertina rimanda proprio al clima autunnale, dai toni gialli e arancioni. Si tratta di "Amori e segreti al Pumpkin Spice Cafè" di Laurie Gilmore. Sono certa che lo avrete avvistato tra gli scaffali della vostra libreria di fiducia.


Trama: Quando Jeanie riceve in eredità dalla zia l’amato Pumpkin Spice Cafè a Dream Harbor, decide di cogliere al volo l’occasione e di costruirsi un nuovo inizio lontano dal noioso lavoro d’ufficio. Tutti nella cittadina sembrano conquistati dal buon umore di Jeanie e dal suo strepitoso caffellatte speziato; tutti eccetto Logan, uno scontroso contadino che detesta i pettegolezzi e preferisce stare da solo. Ma l’esuberanza di Jeanie e un mistero che incombe sul Pumpkin Spice Cafè costringeranno Logan a passare molto tempo con la strana ragazza di città. Riuscirà a resistere a lei e al suo caffellatte speziato?

Foto di NoName_13 da Pixabay

Sono sincera, anche io vorrei ricevere in eredità una piccola libreria in un paese sperduto della Provenza, oppure un caffè letterario collocato in un borghetto, esattamente come le protagoniste di numerosi romanzi dalle copertine colorate. Peccato che non abbia questa fortuna! Detto ciò, Jeanie, la protagonista di “Amori e segreti al Pumpkin Spice Cafè”, gestisce il caffè a Dream Harbor che la zia, andata in pensione, le ha lasciato. Jeanie ha colto al volo l’occasione: dopo aver scoperto il proprio capo morto sulla scrivania dell’ufficio, ha deciso di condurre una vita più rilassata.

Dream Harbor è un paese molto piccolo, in cui tutti sanno tutto degli altri concittadini, ma Jeanie non fa fatica ad ambientarsi, anzi, sin dal primo momento, gestisce alla grande il caffè della zia. Tuttavia, alcuni rumori sinistri la svegliano nel cuore della notte. E qui mi sarei aspettata un romanzo che si articolasse più sulle persone che si recavano al caffè, sulle difficoltà e sui piaceri del nuovo lavoro, e sì, anche su una storia d’amicizia o di amore e su un vero mistero da risolvere, ma invece il romanzo è totalmente incentrato sull’intensa attrazione che Jeanie prova nei confronti di Logan, il contadino bello e burbero che le porta a casa una cassetta di zucche, proprio all’inizio della narrazione.

Sin dal primo sguardo cominciano le fantasticherie su addominali, pettorali e muscoli vari ben scolpiti; ovviamente Logan, riprendendo il filo che ormai collega ogni romanzo femminile sin dall’uscita delle “Cinquanta sfumature”, ha un passato tormentato: orfano, lasciato dalla precedente donna, teme incredibilmente il legame con un’altra persona e, in modo molto egoista, la prescelta deve voler rimanere a Dream Harbor. Fosse mai che il “principessino” si sposti dal paese per amore di lei, o che entrambi prendano una decisione comune!


Ad ogni modo, si capisce sin dalle prime pagine dove si vuol andare a parare: a notti spettacolari incentrate su un’attrazione cosmica e in cui il sentimento (se c’è, perché ne dubito) fa da sfondo. Nulla da ribattere, se il romanzo avesse avuto però un altro titolo, un’altra copertina e un’altra descrizione… E invece, il famoso “mistero” cui si allude sul retro del libro fa sorridere, il caffelatte speziato (che sinceramente mi incuriosiva) è solo accennato perché viene ordinato da una cliente del bar ed è ben chiaro dalle prime righe che Logan e Jeanie finiranno insieme senza alcuna difficoltà.

Ho letto svariate opinioni sul romanzo e molte lettrici erano concordi nel ritenerlo un buon libro leggero, da ombrellone, carino e con una bella storia d’amore. Mi chiedo sinceramente cosa leggano le persone. Pur apprezzando le storie leggere (le leggo anche io), non vedevo l’ora di terminare “Amori e segreti al Pumpkin Spice Cafè” perché incredibilmente noioso, ripetitivo e con una trama così banale da non suscitare nessun interesse. Peraltro, il romanzo fa parte di una trilogia composta dalle storie degli altri amici di Jeanie e Logan, ma non sono minimamente incuriosita dagli altri libri.

È carina solo la copertina, ben ideata per attrarre potenziali lettrici; per il resto è uno dei libri più scialbi che abbia mai letto. Non lo consiglio, nemmeno per una lettura leggera. Ce ne sono di migliori in giro.

martedì 9 settembre 2025

Recensione di "Ci vediamo in Cime tempestose" di Tessa Bickers


Buon pomeriggio e ben ritrovati! Oggi vi porto a conoscere un libro il cui titolo è ispirato al celebre romanzo di Emily Brontë: si tratta di "Ci vediamo in Cime tempestose" di Tessa Bickers.


Trama: Quando Erin si rende conto di aver dato via la sua vecchia copia di Il buio oltre la siepe, si sente crollare il mondo addosso. E non solo per il libro in sé, che già sarebbe una perdita incalcolabile, ma perché quelle pagine erano piene di note che lei aveva scritto per Bonnie, la sua migliore amica scomparsa troppo presto. Atterrita all’idea di aver perso quell’ultimo ricordo di lei, torna nella biblioteca di quartiere dove lo aveva lasciato per errore e si accorge che, nel frattempo, qualcuno lo ha preso in prestito e ha risposto a tutte le sue note, aggiungendo commenti personali e spunti di riflessione. E, alla fine, un invito: «Ci vediamo in Cime tempestose?» È l’inizio di una corrispondenza fatta di confidenze, critiche letterarie e confessioni a cuore aperto. È l’inizio di un legame forte così come può essere solo quello tra chi condivide la stessa passione per i libri. È l’inizio di un amore tenero e sorprendente, un raggio di luce in due vite che fino a quel momento erano state costellate di amarezza e delusioni. Ciò che Erin non sa, però, è che la persona cui sta aprendo la sua anima non è affatto uno sconosciuto, ma un fantasma del suo passato, il ragazzo di cui si era quasi innamorata, prima che lui rovinasse tutto, spezzandole il cuore. E adesso dovrà trovare il modo di superare i vecchi rancori e imparare a perdonarlo, se vuole che il loro amore di carta si trasformi in realtà…
Tenero, arguto e deliziosamente nostalgico, questo romanzo è un delicato inno all’amore per la lettura e al potere che hanno le grandi storie di farci superare i momenti difficili… e, a volte, persino di farci trovare l’anima gemella. Perché non c’è relazione più profonda di quella tra persone che amano gli stessi libri.


Come sempre, sarò sincera nelle recensioni che scrivo e pubblico sul mio blog. È raro che abbia letto un libro talmente noioso da avere voglia di sfogliare l’ultima pagina e salutarlo. Purtroppo, questo è il caso di “Ci vediamo in Cime tempestose”. Nonostante sia stato pubblicizzato come un caso editoriale, come una romantica storia d’amore, l’ho trovato davvero infinito e ripetitivo.
Tutto ruota attorno alla storia di due ragazzi che non si sono più rivisti dai tempi del liceo, Erin e James. Erin si è appena licenziata ed è alla ricerca di un lavoro che la soddisfi; James, invece, ha un’occupazione di successo, ma non ne è contento. Entrambi sentono di aver bisogno del loro posto nel mondo, hanno un disperato desiderio di trovarlo, ma devono prima individuare la strada giusta. Sia Erin che James sono traumatizzati, in qualche modo, dalle rispettive famiglie: la ragazza è “sopravvissuta” al divorzio dei suoi genitori e al fatto di aver scoperto che sua madre era l’amante del professore di letteratura, da lei ammirato alla follia; il ragazzo, invece, deve fare i conti con il bipolarismo della madre, che ritiene la sua nascita responsabile di tutte le sue disgrazie.
Erin e James al liceo erano legati da un’amicizia, mai sfociata in qualcos’altro poiché facevano in realtà parte di un trio: con loro c’era sempre Bonnie, cara amica poi morta di cancro, che sarà onnipresente in tutti i capitoli del libro. Erin, soprattutto, ricorda ogni minimo momento con lei, addirittura vede il suo fantasma seduto nella sua camera e ci parla. Seguendo il consiglio dell’amica di inseguire i propri sogni, Erin finisce però per agire e vivere pensando a cosa farebbe Bonnie in quella determinata situazione.
Nelle vite di Erin e James si inserisce, del tutto casualmente, il piccolo angolo bookcrossing dove Erin, disfandosi di alcune cose, ritrova “Il buio oltre la siepe”, libro cui era legata per via del biglietto contenuto al suo interno con le parole di Bonnie. Tutto inizia quando Erin sfoglia le pagine e trova, segnati ai margini, commenti alla narrazione. Così la “Ragazza dei margini” (Erin) e “L’Uomo del mistero” (che, casualmente, è James) iniziano a scambiarsi libri, scrivendosi commenti e messaggi proprio lungo i margini bianchi delle pagine. Ed è attraverso questa atipica corrispondenza che entrambi individueranno la strada giusta per andare avanti e quella per stare insieme una volta scoperte le rispettive identità.


Se l’idea del bookcrossing e dei messaggi scritti sui libri è l’elemento che più mi ha ispirata, facendo sì che scegliessi questo romanzo in libreria riponendovi alte aspettative, tutto il resto della narrazione mi ha totalmente delusa. Sin dalle prime pagine, la storia non mi ha coinvolta, rivelandosi con un ritmo estremamente lento e ripetitivo. Erin e James vivono il proprio presente pensando continuamente alla scuola, a quanto accaduto in passato, come se fossero rimasti eterni adolescenti alle prese con bullismo e problemi vari. Bonnie, descritta quasi come una santa, costella ogni singolo respiro di Erin e James, che appaiono invece come due appendici senza carattere. Gli elementi “tragici” – alias la malattia e la morte di Bonnie, il bullismo subito da James e la malattia mentale della mamma di James – avevano lo scopo di riportare la narrazione su un piano più riflessivo, ma il tutto andava sviluppato meglio…

In 352 pagine lo spazio c’era tutto per poter scrivere un romanzo degno di questo nome con un filo conduttore che fosse realmente quello di un amore letterario. Peccato per l’opportunità del tutto sfumata: il sentimento tra Erin e James si prospetta, infatti, come un legame adolescenziale acerbo e rimasto tale, ricco di risentimenti e mai maturato nel tempo.
Gli amori che “fanno dei giri immensi e poi ritornano” (per citare Antonello Venditti) devono essere tali, con la A maiuscola, senza essere confusi con le cotte liceali tra compagni di scuola che, a rifletterci dopo anni, ti fanno pure vergognare un po’.
Lettura sconsigliata a chi cerca un libro che parli di libri, come farebbero pensare sia il titolo italiano, sia quello inglese (“The Book Swap”) e la copertina.
Vi aspetto alla prossima recensione e vi lascio intanto con tre piccoli estratti che, invece, ho apprezzato.

«Se dovessi immaginare la mia vita nel futuro, sarebbe il prosieguo di ciò che ho appena iniziato. Insegnare alla gente ad amare i libri come li amo io.»

«Con questa storia di passarle i libri su cui le scrivi domande e annotazioni… in pratica le stai dicendo che la ami.»

«Non ignorare la voce del cuore dicendo sì a qualcosa solo perché sai di poterlo fare. Non sempre la strada più semplice è la migliore.»

 

lunedì 1 settembre 2025

Recensione di "Un'ora" di Christian Bergamo

Buonasera, amici lettori, e bentornati tra le pagine virtuali del mio blog! Qualcuno di voi sarà rientrato in ufficio, con tanti bei ricordi di tramonti e aperitivi; qualcun altro, invece, si preparerà ad andare in vacanza, in seguito a un agosto lavorativo. Ma sono certa che, a qualunque categoria apparteniate, solo per il fatto di essere qui, avrete almeno un libro con voi, da bravi appassionati lettori.

La recensione di questa sera riguarda "Un'ora" di Christian Bergamo. Ne avete sentito parlare?


Trama: Una volta all’anno il tempo si ferma, regalandoci un’ora in cui tutto è possibile. È ciò che succede a fine ottobre, nel passaggio dall’ora legale a quella solare, ed è in questo momento sospeso che nasce la storia di Diego e Camilla. I due si incontrano in un bar neanche ventenni, allo scoccare dell’ora solare, e sullo scadere del loro tempo insieme si fanno una promessa: ritrovarsi tutti gli anni nello stesso posto per vivere quell’ora che in realtà non esiste, senza vedersi mai oltre quello spazio sicuro e senza mai parlare di sé al passato e al futuro. Un qui ed ora in cui si annida l’affetto di cui hanno bisogno, in cui prendersi una pausa da un’esistenza che, nelle sfide quotidiane, può logorare anche i sogni e gli affetti più forti. Lucio, il proprietario del locale, da dietro il bancone è arbitro e testimone dell’accordo: anno dopo anno li osserva e li ascolta tra una sigaretta e un bicchiere, senza mai immischiarsi, provando a immaginare le loro vite e a indovinare chi siano davvero fuori da quelle quattro mura dove hanno deciso di prendersi una pausa da ciò che li aspetta tutti i giorni. E la loro relazione diventa così per lui un’occasione inattesa per riflettere sulla propria realtà. Christian Bergamo ci regala nel suo romanzo un’inedita storia di quasi amore, di due vite che si incontrano di rado, come le lancette di un orologio, e che, in un mondo che corre veloce, trovano uno strano modo per non perdersi mai.


Ho conosciuto questo romanzo perché, durante un pomeriggio dello scorso anno, ho incontrato l’autore all’interno della libreria Mondadori di piazza Cola di Rienzo. Mi ero rifugiata lì, in seguito a una riunione di lavoro, e volevo respirare aria pura, aria che odorasse di libri. Caso ha voluto che quel giorno avessi dimenticato a casa anche il portafogli perché avevo cambiato borsa e mi rimanevano solo pochi spiccioli per il caffè.
Il mio giro all’interno della libreria era, quindi, meramente esplorativo, così, tanto per osservare le nuove uscite e informarmi sulle novità editoriali. Ero l’unica persona che camminasse per il negozio e Christian Bergamo mi chiese se avessi avuto voglia di ascoltare qualcosa sul suo libro. Risposi di sì. Ero in cerca di novità editoriali, no? E così sono venuta a conoscenza della storia di Lucio, il proprietario di un bar, e di Diego e Camilla, due ragazzi che, durante una notte di fine ottobre (quando c’è il cambio dell’ora, dalla legale alla solare), si erano incontrati e, ogni anno, avevano deciso di incontrarsi alla stessa ora, nello stesso locale.

Lucio è il narratore esterno, legato al bar che ha aperto nel 1996 e alla sua famiglia composta da Roberta, la moglie e unica donna della sua vita, e Federico, figlio ribelle con cui si susseguiranno dissidi finché non metterà la testa a posto. La narrazione si divide tra la vita di Lucio e lo scorrere del tempo: ogni volta in cui si ripresenta la fatidica ora dell’incontro tra Diego e Camilla è già trascorso un anno. E così avanti per ben 24 ore che, riunite, fanno una giornata, ma disposte nel tempo scandiscono 24 anni. Un’ora, la loro, che diventa un sorso d’aria nel mezzo degli eventi che caratterizzano le rispettive vite, di cui nessuno sa nulla.

Diego e Camilla staranno mai insieme? È bene dire che i due stileranno un regolamento, scritto dietro la lista dei cocktail del locale conservata all’interno dello stesso, tra i dischi in vinile. E le regole prevedono che i due si incontreranno per ben 24 volte, mantenendo sempre una certa distanza, così come che si parli sempre e solo del presente che vivranno in quell’ora, mai del futuro, né del passato.
Sono regole difficili da rispettare, ma trascorrono 24 anni così. Intanto Lucio osserva i due ragazzi crescere, diventare un uomo e una donna, affrontare le difficoltà della loro esistenza, i mutamenti del loro aspetto fisico, la presenza o meno della fede al dito.

Alla fine, i due clienti del bar diventano una presenza fissa per Lucio, un appuntamento anche per lui che non mancherà mai di esserci. Sono due affezionati sconosciuti. Il lettore non può a fare a meno di chiedersi se, al di fuori del bar, i due si siano mai dati appuntamento trasgredendo le regole, oppure come sarebbe andata se avessero deciso di mettersi insieme sin da subito. 
È un romanzo dei “se”, del condizionale applicato a un’unica ora in 365 giorni ogni anno, che fa riflettere molto. A volte le occasioni vanno colte al volo, altrimenti sfuggono e si passa un’intera esistenza a rincorrerle, a rimpiangerle. Vivere il presente, quindi, senza pensare a quel che è stato e a quel che sarà. Il finale rimane, però, aperto e sta al lettore immaginare come proseguirà il rapporto tra Diego e Camilla dopo il termine della ventiquattresima ora.

Foto di StockSnap da Pixabay

Cosa è accaduto invece a me quel pomeriggio? Ho salutato Christian Bergamo, ringraziandolo di avermi illustrato il suo libro e dicendogli che sicuramente lo avrei letto. Era imbarazzante rivelare la verità… il libro lo avrei acquistato anche subito, ma non avevo un soldo con me, in quella borsa gigantesca che mi porto sempre dietro.

Come ho trovato il romanzo? Interessante all’inizio e alla fine: è curioso il patto tra i due e il lettore è incentivato a capire come proseguirà l’anno successivo. Ma sono sincera: a un certo punto, l’ho trovato un po’ ripetitivo. Ogni anno la giornata si ripresentava sempre identica, con poche descrizioni di Diego e Camilla proprio a causa del regolamento che avevano stilato, e alcuni capitoli sono stati piuttosto lenti.

La dinamica dei fatti mi ha ricordato “One Day” di David Nicholls e gli indimenticabili Emma e Dexter che, dopo anni trascorsi lontani, decidono però di stare insieme, nonostante il finale sia poi tragico.

Ho letto in due giorni e mezzo “Un’ora”, ma consiglio di assaporarlo gradualmente, riprendendolo in più giornate per evitare l’effetto “ripetizione” che ho subito nei capitoli centrali.

Vi aspetto, perciò, con la prossima recensione, sempre qui, sullo stesso blog!

Foto tratta da da Pixabay


«Sicuro che dovremmo farlo?»
«Sì, le cose belle sono quelle che a un certo punto finiscono.»
Allora non ero d’accordo, credevo in ciò che resiste, che si trattasse di persone o circostanze. Il resto era di passaggio, perché se termina, pensavo, è destinato a essere dimenticato. E la bellezza stava proprio lì, nell’eccezione di quel che resta. Diego e Camilla erano la mia eccezione, ma solo fino alla dodicesima ora. Poi è cambiato tutto.

«Quello che dura è perché si usa poco. Sennò il consumo è inevitabile: la macchina, le suole delle scarpe, le storie d’amore. Prendi invece la nostra amicizia. Ci sopportiamo solo perché non ci frequentiamo spesso».

«Vedere questi orologi ognuno con un’ora diversa non mi dà il senso del tempo che passa, ma che c’è sempre un momento giusto per poter cambiare qualcosa, basta capire quando».

«Eccoli fragili, ragazzini, imbranati, estranei. Vedi l’amore che giro fa per poi perdersi e scordarsi dove stava andando. Questo, pensavo, è quello che succede quando la fine non è una tappa del percorso, ma solo una conseguenza».

lunedì 25 agosto 2025

Recensione di "Il quaderno dell'amore perduto" di Valérie Perrin

Buongiorno amici, e bentornati sul mio blog in questa coda di fine estate! Sto finalmente leggendo tantissimo e mi rendo conto che dovrei dedicare sia alla lettura, sia alle altre mie passioni più tempo. Invece, molto spesso, si sacrificano i propri hobby per il lavoro quando c'è, o per cercarlo. Una migliore divisione della giornata potrebbe effettivamente giovare.

Arriviamo al dunque. Il romanzo di cui posterò la recensione è "Il quaderno dell'amore perduto" di Valérie Perrin.


Trama: La vita di Justine è un libro le cui pagine sono l’una uguale all’altra. Segnata dalla morte dei genitori, ha scelto di vivere a Milly – un paesino di cinquecento anime nel cuore della Francia – e di rifugiarsi in un lavoro sicuro come assistente in una casa di riposo. Ed è proprio lì, alle Ortensie, che Justine conosce Hélène. Arrivata al capitolo conclusivo di un’esistenza affrontata con passione e coraggio, Hélène racconta a Justine la storia del suo grande amore, un amore spezzato dalla furia della guerra e nutrito dalla forza della speranza. Per Justine, salvare quei ricordi – quell’amore – dalle nebbie del tempo diventa quasi una missione. Così compra un quaderno azzurro in cui riporta ogni parola di Hélène e, mentre le pagine si riempiono del passato, Justine inizia a guardare al presente con occhi diversi. Forse il tempo di ascoltare i racconti degli altri è finito, ed è ora di sperimentare l’amore sulla propria pelle. Ma troverà il coraggio d’impugnare la penna per scrivere il proprio destino?

Ho letto altri due romanzi di Valérie Perrin: il celebre “Cambiare l’acqua ai fiori” e “Tatà”.
E avendo letto ora “Il quaderno dell’amore perduto”, ovvero il romanzo d’esordio, trovo che le tematiche toccate nel primo si sono sviluppate in maniera più estesa sia in “Cambiare l’acqua ai fiori”, in cui tutto ruota intorno a un tragico incidente e a una morte mai dimenticata, sia in “”Tatà” dove i legami famigliari sono tutto, ma vi sono anche ricordi e gli esiti della Seconda Guerra Mondiale.

[ATTENZIONE: SPOILER!]

La protagonista di “Il quaderno dell’amore perduto” si chiama Justine, ha poco più di 20 anni, è orfana e lavora presso una casa di riposo, “Le Ortensie”. La ragazza vive con i nonni paterni, che l’hanno cresciuta, e suo cugino, Jules, anch’egli orfano. I padri di Justine e Jules erano gemelli ed entrambi, con le rispettive mogli, sono morti in un tragico incidente d’auto. Questo segnerà la vita sia di Justine, sia di Jules che hanno ricevuto attenzioni, ma non quell’amore genitoriale. Justine, soprattutto, avverte in maniera molto intensa questa assenza, che si riflette nel suo comportamento: di giorno accudisce amorevolmente gli anziani della casa di riposo, mentre di sera affoga i suoi vuoti nell’alcool, andando a ballare in discoteca e finendo a letto con ragazzi di cui non ricorda nemmeno il nome. Si percepisce la volontà di non volersi legare, la paura di essere amata.


Detto ciò, intorno alla morte dei genitori di Justine e Jules aleggia un mistero. Solo dopo anni, infatti, la polizia riprende in mano il fascicolo e riapre le indagini. Justine lo viene a sapere per caso, ma non lascerà cadere lì la questione. Andrà a fondo, rivelando una trama familiare complessa da cui nessuno è esente, nemmeno gli insospettabili nonni.

Ma a cosa si riferisce “Il quaderno dell’amore perduto”? Non alla storia della famiglia di Justine, bensì a quella di un’ospite delle “Ortensie”, Hélène Hel, di cui la ragazza si prende cura quotidianamente e con la quale chiacchiera. L’anziana Hélène ha raccontato la propria vita a Justine, in maniera frammentaria, proprio come farebbe una persona vittima di demenza senile. Lei si trova in quella casa di riposo, ma nella sua mente è seduta in spiaggia, in riva al mare, ad aspettare il suo Lucien, l’uomo che l’ha resa libera insegnandole a leggere (Hélène era dislessica e Lucien le insegnò a leggere, per una serie di vicissitudini, in braille) e ad amare. Lo stesso Lucien che, deportato dai nazisti per aver nascosto un ebreo, tornerà anni più tardi, quando ormai era stato dato per morto. In tutta la storia, vi è sempre un gabbiano che, come un angelo, veglia sull’esistenza di Hélène e Lucien.
 
Foto di Pexels da Pixabay

Justine appunta su un quaderno azzurro tutta la storia di Hélène e sarà proprio lei a leggerla all’anziana signora quando, per via dell’età e di una caduta, sarà ricoverata in ospedale entrando in coma, negli ultimi giorni della sua lunga esistenza.

Valérie Perrin, quindi, anche in questo romanzo punta molto sulla famiglia che, nonostante appaia come un porto sicuro e inattaccabile, talvolta nasconde aspetti molto oscuri; sull’amore incondizionato, un sentimento che forse al giorno d’oggi non c’è più, o è rarissimo da incontrare; sulla morte, come punto di fine, ma anche di inizio per le “indagini” di chi è rimasto. Non so perché questa autrice, infatti, sia così legata ai cimiteri che compaiono in ogni suo romanzo, giocando un ruolo certamente non secondario.

In questo periodo di pausa, l’ho letteralmente divorato terminandolo in soli due giorni (mentre a Roma, tra una cosa e l’altra, sarebbe andato avanti un mese).

Vi aspetto alla prossima recensione e vi lascio con un piccolo estratto. A presto!

«È come se il mio viso non avesse ancora scelto, come se non avesse ancora finito di disegnarsi. Mi ripeto che ciò che non trovo attraente in me un giorno piacerà a qualcuno. A qualcuno che mi amerà e che diventerà il mio pittore. Sarà lui a continuare il disegno. A trasformare lo schizzo in un capolavoro grazie a una grande storia d’amore. Ciascuno di noi è il Michelangelo di qualcun altro. Il problema è che bisogna trovarsi».

lunedì 14 luglio 2025

Recensione di "Il sogno del giro del mondo. Piccoli azzardi per cambiare la vita" di Romain Tuilier

Buon pomeriggio a tutti amici ed eccoci di nuovo qui. Incredibile ma vero sono riuscita a leggere ben due libri in pochi giorni. Il merito? Dei viaggi in aereo che ho dovuto affrontare. Leggere per me è l'unico modo per alleviare un tantino lo stress del volo.

Il secondo libro che ho terminato si intitola "Il sogno del giro del mondo. Piccoli azzardi per cambiare la vita" di Romain Tuilier. Si tratta di un volumetto tascabile, perfetto per la borsa o lo zaino, ed è anche tematico per chi ama viaggiare.

Descrizione: La collana «Piccola filosofia di viaggio» invita Roman Tuilier, regista e viaggiatore, a raccontarci i timori, l’euforia, le inquietudini e i sogni legati al Viaggio con la V maiuscola: il giro del mondo. Considerato un tempo “un’avventura che cambia la vita” è ancora oggi un’esperienza rivoluzionaria? Quale scia lasciamo nei paesi e nelle popolazioni attraversate? E cosa rimane in noi?


Foto di Laurent da Pixabay

A volte, sono quelle situazioni critiche che ci spingono a cambiare vita o a riesumare dal cassetto un sogno che non avevamo avuto il coraggio di realizzare. Per Romain Tuilier l'occasione si è presentata in forma di licenziamento. Da lì, il desiderio di partire per il giro del mondo si è concretizzato, assumendo l'aspetto di un treno, la Transtiberiana, che, attraversando la Russia, giungeva in Cina.
Osservare con i propri occhi luoghi di cui si è sempre sentito parlare è emozionante, ma lo è anche fare nuove esperienze, incontrare altre persone, espandere il proprio universo. Perché il viaggio in sé è il percorso, non solo la meta. E allora Tuilier si ritrova a bere birra con altri viaggiatori provenienti da paesi lontani, a condividere la cabina con altrettante persone con cui scambia chiacchiere anche senza conoscerne la lingua. Impara, soprattutto, a godersi le piccole cose: giungere in albergo e osservare il panorama da una finestra, sorseggiare una bibita, camminare per le strade così diverse dalle nostre e pullulanti di vita, percepire gli odori che caratterizzano alcuni luoghi (es. Tuilier cita il monastero di Gandan), capire anche che alcuni siti sono sopravvalutati (es. il Taj Mahal), sfogliare libri improbabili all'interno di librerie particolari e caratteristiche.

Foto di JLB1988 da Pixabay

Il viaggiatore vuole scoprire ciò che è altro rispetto al suo consueto mondo. Ma c'è anche chi considera il viaggio come una sfida da vincere. È il caso questo di coloro che, per esempio, intendono scalare grandi vette o attraversare distanze enormi. Ognuno di noi, in sintesi, cerca qualcosa durante il proprio cammino e il viaggio altro non è se non la metafora della vita stessa.
Consiglio il libro di Romain Tuilier. Non vi parlerà nello specifico dei luoghi che ha visitato come se fosse un diario di viaggio, ma descriverà sicuramente le sensazioni provate, condividendo con il lettore tutte quelle riflessioni che, almeno una volta nella vita, a bordo di un aereo, di un treno, di una macchina o di una nave, tutti abbiamo fatto, diretti verso la meta scelta.

Vi lascio con qualche frase e ci ritroviamo sempre qui con la prossima recensione!

«Alcuni fuggono dalle loro vite, altri cedono alla febbre di un oro ipotetico. Altri ancora cercano di mettere a tacere la noia, ma tutti inseguono una visione che sperano gli renda la vita più emozionante.»

«Volevo fare esperienza delle distanze reali e del tempo che richiedono. Il mondo non è una sequela di aeroporti. Va vissuto sia al ritmo tranquillizzante dei rotabili, sia a quello caotico delle sospensioni esauste. È così che si vede il meglio di ciò che gli uomini hanno costruito. Città e monumenti, campagne modellate da secoli di lavoro, templi e torri orgogliose: alla strada non sfugge niente.»

«Il paradosso del giro del mondo sta nel percorrere migliaia di chilometri per fare amicizia con persone che talvolta vivono a pochi minuti da casa nostra.»

«Quando aumenta la conoscenza di noi stessi, si presenta fatalmente quella dei nostri limiti e del nostro pudore.»

«Non ne possiamo più di girare a vuoto nel nostro mondo mai del tutto soddisfacente, e allora partiamo. Finalmente vedremo qualcosa di diverso, di costantemente stimolante, che non ci lascerà riposare; ogni giorno ci porterà il suo carico di novità. Dalle meraviglie alle difficoltà, il viaggio non ci darà tregua.»

«Le culture sono spesso un abisso invalicabile, eppure dappertutto le persone si assomigliano nella loro propensione a seguire la strada che più le porta a dilaniarsi fra loro - eppure dappertutto, quando ormai non te l'aspetti più, ecco la benevolenza di chi vede in noi, per un attimo, un fratello, un altro essere umano.»

«Il mondo è fragile, si dissolve nel tempo. Non partire sarebbe stata una sofferenza irreparabile. Ho avuto la possibilità di meravigliarmi.»

domenica 13 luglio 2025

Recensione di "Il caffè della pazza gioia" di Emma Hamberg

Buongiorno a tutti e bentornati tra le pagine virtuali del mio blog!

Di ritorno da un viaggio in Egitto (a volte i sogni si avverano, anche quando non ci credi più), ho terminato di leggere un romanzo iniziato qualche settimana fa. Si tratta di "Il caffè della pazza gioia" di Emma Hamberg, edito dalla Giunti.


Trama: A quarantanove anni, Agneta ha tutto ciò che si può desiderare dalla vita: una bella casa, i figli ormai grandi che vivono fuori, un lavoro stabile e Magnus, un marito serio e affidabile. Peccato che niente corrisponda davvero ai suoi sogni e che nessuno sembri capirla davvero, come se parlasse una lingua incomprensibile. Magnus, poi, non ha mai tempo per lei, dato che deve prima dedicarsi al ciclismo, al nuoto, al birdwatching, a seguire un'alimentazione sana e noiosa. In questa esistenza composta, Agneta ha imparato a fare benissimo un'unica cosa: adeguarsi ai dettami degli altri fino a diventare invisibile. E anche a sorseggiare vino di nascosto, mentre guarda compulsivamente programmi televisivi sulla ristrutturazione di vecchi casali francesi. Non sa ancora che la sua esistenza sta per essere stravolta per sempre. Quando per puro caso le cade l'occhio sul bizzarro annuncio di un giornale, qualcosa dentro di lei si risveglia: uno sconosciuto che si definisce “ragazzo cresciuto” cerca aiuto in casa per cucinare e fare le pulizie. Unico requisito, parlare svedese. Ma c'è un piccolo particolare: il luogo di lavoro è in un paesino sperduto nel cuore della Provenza. Tra personaggi indimenticabili, scomodi segreti, balli in punta di piedi e caffè che si trasformano in appuntamenti, Agneta scoprirà che a volte partire significa ricominciare. E che non è mai troppo tardi per dire di sì alla vita che si desidera davvero. Un bestseller al femminile pieno di ironia che mescola amore, amicizia e colpi di scena: il perfetto comfort book per tutti gli animi coraggiosi che sanno che non c'è vera felicità senza un pizzico di follia.

Devo ammettere che la copertina gioca un ruolo fondamentale nella scelta dei libri. I colori, in particolare, mi hanno ispirata e spinta all'acquisto del romanzo nell'ambito di una promozione Giunti che prevedeva in regalo una bellissima borsa all'uncinetto.
Detto ciò, la storia è incentrata su Agneta, quarantanovenne svedese, sposata con Magnus, e madre di due figli ormai adulti che, nonostante vivano lontani da casa, proseguono a chiedere soldi ai genitori (un classico). Agneta ha un lavoro stabile, che non la soddisfa nemmeno un po', e in generale tutta la sua vita, seppur apparentemente perfetta, le causa un profondo disagio interiore. Tutti sembrano imporle di essere quel che non è. Trascorrono gli anni e, a forza di nascondersi dietro una maschera di felicità illusoria cui contribuiscono pressioni sociali da ogni parte, Agneta non si sente più se stessa. Il suo corpo e la sua mente le chiedono disperatamente di dare una svolta alla sua vita prima che sia troppo tardi.
Così, complice l'atteggiamento decisamente insopportabile del marito (un soggetto salutista, fissato con lo sport, il movimento, il cibo senza grassi e impegnato esclusivamente a fotografare uccelli rari), Agneta inciampa in un annuncio di lavoro come ragazza alla pari in un paesino sperduto della Francia.
Senza pensarci due volte, la donna prepara i bagagli e parte. Sono molte le domande che si pone, i dubbi che sorgono dentro di lei, ma (fortunatamente) vince quel pizzico di amore rimanente per se stessa.
Agneta giunge, quindi, a Saint Carelle dove Fabien, proprietario del piccolo bar in paese e autore dell'annuncio, la accoglie, insieme a una dolce signora di nome Bonnibelle.


Entrambi la guidano verso un monastero divenuto residenza di un anziano signore, Einar.
E quindi dove sono i bambini cui fare da babysitter? In realtà la barriera linguistica e il traduttore Google hanno fatto sì che l'annuncio si presentasse leggermente "diverso" da quanto richiesto: la persona cui badare è proprio Einar.
Agneta è spaventata. Non si aspettava di lasciare la propria vita, seppur con tutte le difficoltà e i disagi, per andare a fare da badante a un anziano signore con la demenza senile. Si dà come limite una settimana, dopodiché sarebbe tornata indietro. E invece, Agneta inizia a rinascere proprio tra le mura di quell'eclettico monastero, parlando con Einar e riscoprendo quella parte di lei rimasta celata sotto una spessa coltre di prepotenza altrui.

Foto di Marie da Pixabay

Come ho trovato questo romanzo? Prima di tutto, scorrevole, si legge facilmente grazie all'ironia di Agneta che ne impregna le pagine. Anche gli episodi che si susseguono sono narrati dalla protagonista con così tanto humor che è impossibile non volerle bene. Ho apprezzato di meno il passato di Einar: l'anziano signore, omosessuale, viene caratterizzato da un comportamento totalmente sessualizzato (es. lui e il suo amante si fanno erigere due statue in casa in cui sono ritratti completamente nudi con gli attributi in bella vista, oppure la piscina che è stata concepita a forma di fallo). L'intento dell'autrice era probabilmente quello di creare attorno ad Agneta una situazione surreale che, nonostante tutto, l'ha aiutata ad uscire dalla prigione in cui era rinchiusa, nonché di comunicare come ognuno debba essere se stesso, pur nelle sue "sregolatezze". Tuttavia, la storia di Einar, così come presentata, rischia di fornire - almeno secondo il mio parere - una visuale del tutto distorta e grottesca sulla reale esistenza delle persone omosessuali.
Per il resto, il messaggio di fondo è un inno alla libertà, a non limitare i propri desideri per compiacere chi ci circonda e ad essere, quindi, sempre se stessi per venir apprezzati così come siamo. E coloro che non ci apprezzano? Molto semplicemente non sono persone adatte a noi.

Se vi state chiedendo infine se mi sia venuta voglia di mollare tutto e di trasferirmi in un paesino della Provenza, la risposta è sì. E chissà, magari l'occasione si presenterà veramente quando meno me lo aspetto.
Vi lascio con qualche frase e vi attendo sempre qui con la prossima recensione!

«Se per vivere la tua vita hai dovuto compiere un sacrificio enorme, allora devi celebrarla. Ogni singolo giorno. Ogni occasione deve essere buona per festeggiare, perdonare, ballare, ridere e stappare una bottiglia di champagne. Il dolore va affrontato col sorriso.»

«Chi sono io? Cosa è vero? Cosa è fantasia? Cosa è brutto, cosa è bello? Chi se ne frega! Credo che dovremmo farci una sola domanda: cosa ci piace?»

P.s. come ormai troppo spesso accade, il titolo non riflette assolutamente il contenuto del libro. Quello originale e, ovviamente, più attinente è: "Mi chiamo Agneta".

martedì 10 giugno 2025

Recensione di "I cinque profumi del nostro amore" di Laure Margerand

Buongiorno a tutti amici e bentornati sul mio blog!

È bastato un viaggio in treno e qualche giorno lontana da Roma per terminare rapidamente un libro. Dovrei prendermi più frequentemente delle pause da questa città!


Trama: Osannato dal pubblico come una star, Pierre-Emmanuel è uno degli scrittori francesi più noti, sempre in testa alle classifiche. Ma ormai scrive come una macchina, e da tempo ha perso l’ispirazione e la stima della moglie. Quando Agathe lo lascia per un altro, Pierre vede crollare ogni certezza. Come riconquistare la donna che ama ricordandole tutte le emozioni vissute insieme? Nel pieno della crisi, finalmente ha un’illuminazione: scriverà un grande romanzo sul loro amore. Ma non un romanzo qualsiasi: dato che l’olfatto è il senso che più di ogni altro riesce a risvegliare i ricordi in modo immediato, Pierre incarica Gabriella, famoso “naso”, di creare una fragranza per ogni momento cruciale della storia con Agathe, per poi racchiuderla in un segnalibro. Il profumo del loro primo incontro, della passione, della vacanza a Cuba, della pelle del loro bambino. Però, per ritrovare il suo talento letterario ormai smarrito, Pierre ha bisogno di altro aiuto. Per questo contatta Charlotte, la migliore editor sulla piazza, chiedendole di assisterlo nella scrittura. Non può sapere che la giovane nasconde un segreto che la rende la persona meno adatta per quel compito: ha perso l’olfatto in seguito a un terribile trauma che ha distrutto la sua famiglia, e da allora conduce un’esistenza solitaria e appartata. Eppure la singolare proposta dello scrittore risveglia qualcosa in lei. Ma qualcuno che non riesce più a sentire gli odori e le emozioni può lavorare su un romanzo olfattivo? E se fosse proprio quello di cui ha bisogno?

Prima di Süskind non avevo mai letto un libro che parlasse di profumi, di odori, di sensazioni e ricordi ad essi legati. Laure Margerand nel suo “I cinque profumi del nostro amore” riprende, in un certo senso, proprio il celebre autore conferendo all’olfatto l’importanza che merita. Se ci pensiamo, infatti, ogni persona, ogni momento, ogni sensazione sono caratterizzati da un profumo o da un odore che il cervello ricorda, immagazzina. E ogni qualvolta in cui il nostro naso percepirà quel determinato profumo o odore, torneremo immediatamente a pensare a chi o a cosa è direttamente legato.

ATTENZIONE: SPOILER

Charlotte, la protagonista del romanzo, è anosmica, ovvero non sente più gli odori e, automaticamente, nemmeno i sapori. La sua vita non è sempre stata così. Tutto si è spezzato quando Nathan, suo figlio, è morto improvvisamente nel sonno. Non c’è stato modo di salvarlo. E insieme a Nathan, se n'é andato anche Julien, il marito, che non è più riuscito a sopportare il suo dolore e quello di Charlotte. L’ultimo odore che la donna ricorda per anni è proprio quello del suo bimbo, della sua pelle, dei suoi capelli. Poi il nulla.

Trascorre molto tempo prima che Charlotte provi a riprendere una vita normale. Era una scrittrice, ma la vena non scorre più in lei. Decide così di fare la coach letteraria ed è in questo modo che conosce un famoso autore, Pierre-Emmanuel Frank, con il suo nuovo progetto: far tornare sua moglie Agathe, da cui si è separato, attraverso un libro olfattivo che le ricordi tutti i profumi e gli odori legati alla vita trascorsa assieme.

Charlotte non ha il coraggio di rivelare che è anosmica e, dopo varie insistenze di Pierre-Emmanuel, accetta di lavorare per lui. Intanto l’autore ingaggia una bravissima profumiera, Gabriella, che avrà il compito di produrre il “lato olfattivo” del libro.


A un certo punto, però, persino questo equilibrio si spezza: Gabriella si accorge che Charlotte, critica e severa sia con le sue creazioni profumate, sia con le pagine scritte da Pierre-Emmanuel, non sente alcun odore. E se Gabriella lo dicesse allo scrittore? Cosa potrebbe pensare di Charlotte? Così la donna decide di confessare tutto: se in un primo momento il mondo sembra acquisire tonalità scure, improvvisamente tutto diventa più leggero, in particolare dopo aver annusato un profumo che Gabriella aveva creato affinché fosse associato al figlio di Pierre-Emmanuel. La mente e il corpo di Charlotte si sbloccano, permettendole di tornare a respirare a pieni polmoni.

Non rivelerò altro perché già ho parlato molto. L’intento di Laure Mergerand era probabilmente quello di scrivere un romanzo che denunciasse come un dolore molto forte, un vero e proprio trauma, possa congelare per tanti anni e a volte per sempre la persona che lo ha subito. Allo stesso tempo, però, la reazione più comune che è quella di chiudersi in se stessi è anche la peggiore perché non fa che aumentare l’isolamento e il dolore. Charlotte guarisce solo quando è costretta a dire la verità e successivamente ad annusare un odore che le ricorda incredibilmente quello del suo bambino. È come se il suo corpo avesse riallacciato i fili, tornando indietro nel tempo e recuperando quel che era perduto.

Nonostante avessi auspicato un bel finale per Charlotte, mai avrei immaginato che l’autrice decidesse di farla tornare con l’ex marito solo dopo aver recuperato l’olfatto. Non mi permetterò di giudicare le varie sfumature di amore tra due persone, ma il meccanismo che appare innescarsi non è proprio dei migliori. Sembra che Julien riabbracci la moglie solo ed esclusivamente perché lei è tornata normale, quando invece di andare via e farsi una nuova vita nel momento più duro (quello della morte del bambino), avrebbe dovuto rimanere accanto a Charlotte, affrontando e superando insieme il lutto. È troppo comodo così. Al contempo, Charlotte stessa, che non ha mai smesso di amare Julien, sbaglia a mio avviso a ricercare l’ex marito. Fossi stata nell’autrice, avrei fatto “risorgere” Charlotte spingendola a lasciare alle spalle il passato doloroso, seguendo i suoi sogni e iniziando una nuova vita con una persona in grado di amarla con tutto il pesante fardello.



Per concludere, il romanzo è sicuramente particolare, ma non mi ha entusiasmata più di tanto. Non sono riuscita a immedesimarmi nel personaggio di Charlotte come avrei voluto; di Julien si parla pochissimo, quando invece sarebbe stato bello capire davvero anche i suoi sentimenti (ne avrà avuti... spero); Gabrielle, pur giocando il ruolo fondamentale di profumiera per la “costruzione” del libro, non è un personaggio abbastanza approfondito perché di lei si sa pochissimo; Pierre-Emmanuel appare come un uomo piuttosto superficiale ed egoista, finché non decide di scrivere un libro effettuando una scelta romantica che, però, non era in linea con l’uomo che era stato fino a poco prima. Insomma, ritengo manchi quel focus necessario sui vari personaggi che avrebbe permesso di amarli maggiormente, entrando nella parte senza rimanere lettori distaccati e osservatori di una storia che si svolge con poco coinvolgimento.

Devo, mio malgrado, far rientrare "I cinque profumi del nostro amore" nella categoria delle "letture sotto l'ombrellone", senza tuttavia consigliarlo.
Vi aspetto sempre qui, sul blog, alla prossima recensione... anche perché ho già iniziato un nuovo libro!

venerdì 23 maggio 2025

Recensione di "L'uomo che portava a spasso i libri" di Carsten Henn

Buonasera amici lettori e bentornati per la seconda volta in un mese! Miracolo? Forse. Avevo tanto bisogno di tornare alle mie vecchie abitudini, ma a volte è necessario fare anche i conti con gli impegni quotidiani che non è possibile rimandare.

Ebbene, sono qui a parlarvi di "L'uomo che portava a spasso i libri" di Carsten Henn.


Trama: Nonostante i suoi settantuno anni, ogni giorno il libraio Carl Kollhoff parte per il suo “giro”; infatti è addetto alla consegna a domicilio dei libri ordinati dai suoi clienti più speciali. Lettori voraci che sono diventati suoi amici e che lui chiama come i personaggi dei grandi classici della letteratura: da Mr Darcy, un vecchio cliente che vive da solo in una grande villa, al dottor Faust, che legge solo saggi storici, passando per Jane Eyre, la signora Calzelunghe, Ercole e molti altri. Ma una sera, durante il suo percorso attraverso il centro della città, sbuca al suo fianco una bambina dai ricci scuri, col viso pieno di lentiggini. Ha nove anni e dice di chiamarsi Schascha, indossa un cappotto giallo e occhiali da aviatore su un casco di cuoio. Ignorando la reazione infastidita e un po’ burbera di Carl, lei continua a tornare e, ogni volta un po’ di più, comincia a incrinare la rigida routine dell’anziano e a fargli mettere in discussione le sue idee sulla vita. Quando Carl perde inaspettatamente il lavoro, servirà la forza delle storie e di una bambina un po’ petulante perché tutti i personaggi coinvolti, compreso lui, trovino il coraggio di superare i loro problemi e di aiutarsi a vicenda.

Foto di Ksenia Chernaya 
(https://www.pexels.com/it-it/foto/libri-negozio-biblioteca-interni-3952076/)

Nella mia lunga lista di libri da leggere, "L'uomo che portava a spasso i libri" era stato segnato da tempo, finché non mi è stato regalato. Come più volte esternato, i libri che parlano di libri sono forse tra i più belli. Le storie affascinano la gran parte di noi, sin dall'infanzia, ed è sempre magnifico quando c'è qualcuno - sia esso un lettore o uno scrittore - che sa raccontarle.
Carl lavora in una libreria da tanti anni. Le storie sono la sua passione, conosce un numero infinito di autori e di libri e ha un buon rapporto con i lettori. In realtà, il suo è un lavoro particolare: Carl "porta a spasso i libri", ovvero li consegna a domicilio. Questo gli consente di attraversare la città a piedi e di conoscere i clienti, molto più di quei pochi secondi trascorsi in negozio al momento dell'acquisto.
Così ogni affezionatissimo cliente, proprio per le sue caratteristiche, ha ottenuto un soprannome: c'è Mr. Darcy, un gentiluomo solitario che vive in una grande e bellissima casa, è innamorato dell'amore e vorrebbe una donna accanto a sé (perché ritiene che una donna che legge sia un bellissimo spettacolo); c'è la signora Calzelunghe, un po' bizzarra, che non mette piede fuori di casa da tanti anni; c'è Jane, che ama le storie tristi, forse perché riflettono la sua vita trascorsa accanto a un uomo violento da cui non riesce a fuggire; c'è suor Amaryllis, ultima del suo ordine che non vuole lasciare il monastero; infine, "Il Lettore", che in realtà è uno scrittore senza il coraggio di farsi leggere e conoscere.
Carl percorre le stradine della città ogni giorno, finché non incontra una bambina speciale, Charlotte, detta Schascha, che lo accompagnerà sempre nelle sue avventure. Questo duo così particolare - un signore di 71 anni con un cappello verde in testa e una bimba di 9 anni con un cappotto giallo e gli occhiali da aviatore - fa visita ai tanti lettori della città, regalando loro storie e cambiando anche le loro esistenze.
Infine, si sa la forza dei libri è tanta e chi non legge questo non può capirlo. Anche Carl, il vecchio e gentile libraio, avrà bisogno di vicinanza e di una scintilla che riaccenda in lui l'amore per quella missione che lo ha animato per tutta una vita.

Foto di Andrea Piacquadio
 (https://www.pexels.com/it-it/foto/ragazza-in-camicia-blu-che-indossa-occhiali-da-lettura-libro-di-lettura-3755716/)

Di questa fiaba ho amato la piccola Charlotte che, come un magico folletto, affianca Carl nella sua missione di regalare storie ai cittadini e, successivamente, a chi più ne ha bisogno. È una bimba fantasiosa e fuori dal mondo, intelligente e altruista, perfetta per diventare una libraia quando sarà adulta, ma anche una scrittrice (è brava a disegnare e a creare personaggi). Se ve lo state domandando, la risposta è sì, questa bimba mi ha ricordato me stessa quando avevo la sua età.

È sicuramente un libro consigliato a chi ama le storie, le fiabe, i libri, la gentilezza. I primi capitoli scorrerranno un po' lentamente, tanto da farvi domandare "Ma tutto il libro sarà così? Con lo stesso percorso di Carl, le stesse persone da incontrare, gli stessi gesti da compiere?"; poi, verso la metà, tutto inizia ad acquisire un senso e la quotidianità di Carl Kollhoff si trasforma nella fiaba ideata da Carsten Henn.

Vi lascio con qualche frase e vi aspetto alla prossima recensione!

«Sai, amo molto i libri, perciò non li brucio. Anche se penso che sia accettabile bruciarli, ma solo in via eccezionale, per riscaldarsi quando l'inverno è molto freddo e si rischia di morire congelati. In quel caso possono salvare delle vite. Possono farlo in più di un modo, riscaldandoci il cuore e, nelle emergenze, il corpo.»

«Sai, le persone dimenticano sempre più spesso di leggere. Eppure tra le copertine ci sono degli esseri umani con le loro storie. In ogni libro c'un cuore che inizia a pulsare mentre lo leggi, perché è legato a quello del lettore.»

«Sai, non esiste un libro che piaccia a tutti. E se esistesse, sarebbe un brutto libro. Non si può essere amici di tutti, perché ciascuno è diverso. Bisognerebbe essere senza personalità, senza angoli né spigoli. Ma anche in quel caso, molti non ti apprezzerebbero, perché hanno bisogno di angoli e spigoli. Capisci? Ciascuno necessita di libri diversi, perché ciò che una persona ama dal profondo del cuore ne lascia un'altra del tutto indifferente.»

«Naturalmente un libro si poteva strappare via, ma una persona che legge gode di una protezione speciale, come se fosse impegnata in un'attività sacra.»

«[...] penso non ci sia nulla di più bello di una donna che legge. Quando si immerge in un libro e dimentica tutto ciò che la circonda, perché è da tutt'altra parte.»

«La differenza tra un romanzo con il lieto fine e uno senza è solo quando si smette di raccontare la storia.»

«Perché i libri hanno bisogno di qualcuno che indichi loro la strada giusta.»

lunedì 19 maggio 2025

Recensione di "La tomba di san Pietro. La storia dimenticata di Margherita Guarducci" di Tiziana Lupi

Buon pomeriggio a tutti e bentornati nel mio piccolo spazio letterario!

Oggi vi porto nel cuore della cristianità, sotto la basilica di San Pietro in Vaticano, laddove trovò sepoltura il Principe degli Apostoli, Pietro.

Copertina del libro (foto di Cristina Cumbo, maggio 2025)

Trama: Per secoli la tradizione ci ha detto che la basilica di San Pietro era stata edificata sopra la tomba dell’Apostolo, morto a Roma durante la grande e feroce persecuzione contro i cristiani ordinata dall’imperatore Nerone nel 67 d.C., dopo il terribile incendio che aveva distrutto la città. Fino alla prima metà del secolo scorso, però, i suoi resti non erano ancora stati trovati. E, forse, non lo sarebbero mai stati se non fosse per la competenza e la tenacia di Margherita Guarducci, la più grande esperta di epigrafia greca della storia italiana nonché la prima a identificare il significato di un graffito trovato nelle Grotte Vaticane – «Πετρος ενι», cioè “Pietro è qui” – guadagnandosi la possibilità di scavare lì sotto, unica donna in un mondo esclusivamente maschile. È stata lei a consegnare alla Chiesa un dono “preziosissimo” e la storia del ritrovamento delle reliquie è uno dei gialli archeologici (ma anche geopolitici e religiosi) più rilevanti del XX secolo. Eppure Margherita non è mai stata celebrata appieno né ha mai avuto il riconoscimento mediatico meritato. Se fosse stata un uomo, probabilmente, le sarebbero state dedicate piazze, strade e scuole e, invece, non esiste nulla che la ricordi. Ripercorrendo la storia del suo straordinario lavoro e del ritrovamento delle ossa del Pescatore di Galilea in forma di romanzo, questo libro vuole restituire a Margherita Guarducci l’onore che le spetta.

Sono un'archeologa cristiana anche io ed è difficile parlare di una grande studiosa quale fu Margherita Guarducci. Quando nel 2011 mi iscrissi al Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, dove studiai per 5 anni conseguendo, dopo la laurea magistrale in Scienze dell'Archeologia, la Baccalaurea, la Licenza e, infine, il tanto agognato (e complesso) Dottorato, non conoscevo la professoressa Guarducci. Avevo evitato l'epigrafia come la peste perché ne avevo timore. Provenivo da un liceo scientifico e mi sentivo profondamente ignorante, assolutamente non idonea alla decifrazione del latino e del greco antico, nonostante queste lingue mi avessero sempre affascinata. Al Pontificio, gli esami di epigrafia furono obbligatori e, mio malgrado, iniziai a studiare. Fu una collega a suggerirmi di leggere (e acquistare) il volume di Margherita Guarducci (che lei chiamava "Margheritona", data la mole sostanziosa) per iniziare a capire qualcosa in più di epigrafia greca. Cominciò così la mia conoscenza, a posteriori, con la studiosa. Fu poi il momento di esaminare più nel dettaglio la necropoli Vaticana e la basilica costantiniana e, terminata la mia formazione, fui chiamata a svolgere uno studio specifico sulle Grotte, sul contesto archeologico vaticano e sui documenti archivistici preliminare a un'indagine che, purtroppo, non trovò mai luce essendo stata sospesa (e la sottoscritta non fu mai retribuita dall'architetto che aveva commissionato la ricerca).
Detto ciò, fu in particolare quest'ultima esperienza che mi portò a riprendere in mano il volume di L. Kaas, B. M. Apollonj Ghetti, A. Ferrua, E. Josi ed E. Kirschbaum, "Esplorazioni sotto la confessione di San Pietro in Vaticano eseguite negli anni 1940-1949", proprio per ricostruire i vari tasselli di un'indagine archeologica che aveva condotto certamente a un importante risultato, ma non a quello sperato.
Successivamente, mi occupai della figura di Padre Engelbert Kirschbaum, gesuita, che prima di me aveva studiato il personaggio di Balaam e che aveva fatto parte della spedizione sotto la basilica di San Pietro. Ne avevo letto i carteggi nell'Archivio della Pontificia Università Gregoriana, imbattendomi in una questione spinosa: le indagini di Margherita Guarducci e Adriano Prandi. Se la prima era stata in qualche modo ostacolata per il graffito e la questione delle ossa (sembra che fosse implicato lo stesso Ferrua), il secondo aveva condotto degli scavi nel campo P (la presunta area del sepolcro di Pietro), ma la cronologia non tornava con quanto ipotizzato dai precedenti scavatori. Se Prandi avesse avuto ragione (ma non lo sapremo mai), questo avrebbe rivoluzionato, almeno in parte, la scoperta annunciata dallo stesso Pontefice. Egli pubblicò un volume "La zona archeologica della Confessio vaticana: i monumenti del II secolo" (quasi introvabile nelle biblioteche) e ne propose una ristampa e una seconda parte, ma sia Kirschbaum che gli altri membri della prima spedizione si opposero: Prandi aveva effettuato, secondo loro, delle indagini eccessivamente distruttive. Non si poteva assolutamente proseguire su quella linea. Furono proposti scavi in altre aree delle Grotte, ma la questione della tomba di Pietro si chiuse lì. Era il 1960.

Piazza San Pietro e basilica (foto di Cristina Cumbo, maggio 2025)

La Guarducci, coinvolta anche nella decifrazione del graffito per cui fu criticata, proseguì nella pubblicazione di alcuni suoi contributi, ma tutto si spense rapidamente, destinando lei e i suoi studi all'oblio.
Nel suo libro, Tiziana Lupi ripercorre con gli occhi della professoressa Guarducci gli anni in cui era ancora un'allieva universitaria, fino a giungere a Creta e successivamente alla cattedra presso il prestigioso ateneo romano della Sapienza. Infine, l'epoca della Seconda Guerra Mondiale e di quegli scavi, voluti da Pio XII, sotto la confessio Vaticana. La Lupi parla delle difficoltà incontrate dagli operai, ma non di una in particolare: dell'acqua che, a ogni picconata, sgorgava fuori dal terreno. Le foto dell'epoca sono esaustive in merito (link). Furono quindi indagini complicate, sterri che riportarono alla luce il sepolcreto precedente all'edificazione della basilica costantiniana.
Poi ecco emergere i graffiti intorno a un sepolcro, il famoso "campo P": i pellegrini si sono concentrati in quel punto per scrivere invocazioni a Pietro, a Cristo, a Maria. Ogni archeologo che si rispetti sa che la concentrazione di tombe o di graffiti fa presagire di trovarsi nei dintorni della tomba di un martire, discorso che vale soprattutto per gli antichi cimiteri cristiani, le catacombe. Le Grotte Vaticane non facevano eccezione... e il martire per eccellenza che avrebbe potuto trovarsi sotto i vari altari della basilica era solo uno: Pietro.
La storia di Margherita Guarducci è legata, perciò, alla decifrazione del graffito che la studiosa aveva osservato in una foto in bianco e nero pubblicata su un giornale: "Pétros ení” , ovvero "Pietro è qui".
Tiziana Lupi narra, quindi, quelle tappe di una grande scoperta, seguita dalle indagini sulle ossa di Pietro... ossa che erano state, però, contrariamente a quanto la prassi vuole, rimosse e non opportunamente documentate nel loro contesto di ritrovamento. Una serie di elementi (appartenenza a un individuo di sesso maschile tra i 60 e i 70 anni e parti di tessuto purpureo con fili aurei) poteva, compatibilmente con il luogo di rinvenimento, far pensare all'appartenenza dei resti al corpo dell'apostolo Pietro.
Poi giunse il buio. La Guarducci sarà ricordata solo dagli studiosi (e nemmeno da tutti!), mentre progressivamente le fu impedito di entrare nelle Grotte e, persino, di pubblicare le foto del sito (ahimé, tale pratica è ancora in voga...).
Ci sono certamente elementi romanzati, altri inventati per evocare suspense e per far immergere il lettore all'interno di un periodo storico difficile, quale fu quello vissuto dalla studiosa, ma gran parte del libro è ricostruito sulle reali vicende che si susseguirono.
Come ho trovato questo libro? Appassionante, ma forse sono di parte. Mi auguro che Tiziana Lupi e Marco Spagnoli procedano nella realizzazione del film su Margherita Guarducci non solo per un intento "femminista" di riportare alla luce la storia di una donna osteggiata da un mondo del tutto maschile, ma anche per restituire dignità al lavoro incessante di un'archeologa che credeva nella propria missione. E poco importa che le sue indagini non siano state precisissime o che abbia "sbagliato". Lei ci ha provato. Questo è l'aspetto fondamentale della ricerca: porre un tassello e da quel tassello ripartire superando gli eventuali errori commessi dai precedenti studiosi, migliorandosi sempre più.

Grazie a Tiziana Lupi per questo libro. Grazie per avermi riportata nei luoghi che mi hanno fatto innamorare dell'archeologia cristiana.

Foto di Cristina Cumbo. Ne è vietata la diffusione senza l’esplicito consenso dell'autrice e/o l’indicazione dei credits fotografici, nonché del link relativo al presente post.

lunedì 5 maggio 2025

Recensione di "La sconosciuta del ritratto" di Camille de Peretti

Buonasera a tutti amici e bentornati tra le pagine virtuali del blog!

Oggi vi porto a conoscere la storia del "Ritratto di signora" di Gustav Klimt, o meglio, di quella che Camille de Peretti ha creato attorno a questo straordinario dipinto.


Trama: “La tela vibrava di bellezza. Persa nell’occhio celeste picchiettato di verde, a Pearl mancava il respiro. Era davvero la sosia di quella donna?”.
Dipinto a Vienna nel 1910, il quadro di Gustav Klimt Ritratto di signora viene comprato da un anonimo collezionista nel 1916, rimaneggiato dal maestro un anno dopo e rubato nel 1997, per poi riapparire nel 2019 nel giardino di un museo italiano d’arte moderna. Nessuno ha potuto stabilire con assoluta certezza chi fosse la giovane donna raffigurata sulla tela né quali misteri avvolgano la movimentata storia del suo ritratto. Dalle strade di Viena del primo Novecento al Texas degli anni Ottanta, dalla Manhattan della Grande Depressione all’Italia contemporanea, Camille de Peretti immagina il destino della donna e dei suoi discendenti. Un affresco magistrale in cui si mischiano segreti di famiglia, clamorosi successi, amori contrastati, scomparse e drammi a fosche tinte.

Cosa ha attratto la mia attenzione secondo voi quando, entrando in libreria, ho notato questo volume? Esattamente: il dipinto che appariva in copertina era quello che, rubato dalla Galleria Ricci Oddi, era riapparso nel 2019, ritrovato dal giardiniere avvolto in un sacco della spazzatura e inserito all'interno di un alveo nel muro perimetrale dello stesso polo museale. Una storia che ha dell'incredibile, ma tant'è: il dipinto era forse rimasto sempre alla Galleria, ma nessuno sapeva dove fosse.
Il ritratto, però, nasconde anche un'altra particolarità: fu ridipinto poiché, precedentemente, appariva diverso. La donna, infatti, era abbigliata con un abito nero, un serpente di piume e un cappello a larga falda, apparendo come una prostituta. In seguito, Klimt effettuò una modifica (scoperta da Claudia Maga, all'epoca studentessa liceale): lo ridipinse, donando alla donna uno scialle colorato, che le conferiva un aspetto "fiorito", togliendo sia le piume che il cappello.


Ecco che, già di per sé, la storia del quadro di Klimt si prospetta come un romanzo. Camille de Peretti ha, però, deciso di costruire una trama attorno a questi elementi. La ragazza del quadro si chiama, perciò, Martha. E' povera, giovanissima e, durante i primi anni del Novecento, viene assunta dai ricchi Brombeere al servizio del figlio Franz, con l'intento di togliergli il vizio di frequentare le prostitute. Franz si innamora di Martha, ma una spiacevole vicenda farà sì che la ragazza debba essere allontanata dalla famiglia, tornando a vagare per Vienna nella totale povertà, con un figlio a carico, Isidore.

Vienna (foto di andreas N da Pixabay)

Quello stesso Isidore che, dopo una vita fatta di anni trascorsi in orfanotrofio, fughe, lavoretti rimediati, farà improvvisamente fortuna, proprio durante il crollo della borsa di Wall Street, e sposerà la figlia del proprietario della fabbrica di dentifrici, diventando uno degli uomini più ricchi d'America.
Sarà ancora Isidore ad accorgersi che la donna di quel dipinto conservato presso la Galleria Ricci Oddi di Piacenza somiglia incredibilmente a Pearl, la figlia avuta fuori dal matrimonio... quella stessa figlia che ha il medesimo sguardo dolce di sua madre, morta di spagnola quando era solo un bambino.

Camille de Peretti riesce ad elaborare una storia degna di nota partendo solo da un dipinto, attorno al quale aleggia ancora un'aura di mistero. Il finale, che giunge ai nostri giorni quando il dipinto viene ritrovato, non è troppo convincente ed l'unica nota stonata in un romanzo che mi ha appassionata.
Eppure, i quesiti rimangono: Gustav Klimt a chi si ispirò realizzando il "Ritratto di signora"? Chi fu la "Martha" della vita reale e perché l'artista pensò di modificare il dipinto?
Nel consigliarvi la lettura di questo libro, vi saluto con qualche citazione e vi aspetto alla prossima recensione!

«È facile ricordare le prime volte della vita, mentre le ultime hanno la terribile caratteristica di non annunciarsi».

«Nel mondo dell'arte esistono varie specie e sottospecie di ladri. Dal semplice conoscitore alle potenti mafie, dal mercante al trafficante, il passo è spesso breve. Poi ci sono gli affabulatori, i bugiardi e i rigattieri occasionali che imbrogliano le anziane facendo credere loro che il ritratto del nonno non valga il chiodoa cui è appeso. Molti gentili, liberano la signora di quella faccia allungata con gli occhi a mandorla neanche tanto simmetrici e se ne vanno fischiettando portandosi dietro il Modigliani. Ci sono gli antiquari, che hanno il bel negozio sulla strada e trafficano nel retrobottega. Ci sono i corsari, gli avventurieri, i cercatori di tesori, i saccheggiatori di tombe. Ci sono i falsari, gli artisti, gli appassionati».

lunedì 31 marzo 2025

Recensione di "Tutti gli indirizzi perduti" di Laura Imai Messina

Buonasera amici e bentornati tra le bianche pagine di questo blog!
Con il ritorno delle belle giornate e, soprattutto, della tanto adorata ora legale, le passeggiate non mancheranno e con esse un buon libro per farci compagnia negli attimi di pausa.

Oggi vi parlo di "Tutti gli indirizzi perduti" di Laura Imai Messina, libro attorno a cui ho girato per alcuni mesi, finché non ho deciso di portarlo via con me.


Trama: Risa sbarca ad Awashima in un mattino freddo di primavera, con sé ha una sacca misteriosa gonfia di buste. L’isola è bellissima, piena di luce, ma si sta spopolando: le scuole chiudono e gli abitanti invecchiano. Eppure proprio lí c’è un minuscolo ufficio postale davvero unico. Raccoglie tutta la corrispondenza che, da ogni parte del Giappone e del mondo, viene imbucata ma non è possibile recapitare al destinatario. «Awashima è l’indirizzo che ha preso in carica tutti gli indirizzi perduti della terra». Risa si è offerta di catalogare le tantissime lettere arrivate in dieci anni all’Ufficio postale alla deriva (è questo il suo nome). Chi scrive al marito che non c’è piú, chi al proprio cuscino, chi chiede perdono a una lucertola a cui da bambino ha rubato la coda, chi si rivolge alla vecchia vicina di casa che gli leggeva libri quando era piccolo, chi manda cartoline alla madre che diventerà, augurandosi di saper trasmettere l’allegria. Un lavoro enorme, quello che si è presa in carico Risa, come setacciare l’oceano, ma lei lo fa per ragioni di cuore. Perché suo padre è un postino, e ha lavorato tutta la vita affinché neppure una lettera andasse perduta. Se dal padre ha imparato la dedizione e la tenacia con cui ci si può prendere cura delle cose e delle persone, l’eredità che le ha lasciato la madre è ben piú complicata. La sua è stata una madre intermittente, che conosceva parole magiche per evocare creature del bosco e il cui sguardo offuscato si accendeva all’improvviso su ciò che agli altri restava invisibile. Sua madre le ha insegnato la poesia e la curiosità verso ciò che è estraneo, perché «è dall’incontro con gli sconosciuti che può nascere lo straordinario». Ma ad Awashima Risa è venuta anche per un altro motivo, che finora ha tenuto segreto. Il sospetto – o la speranza – che tra quelle migliaia di parole d’amore, rimpianto, riconoscenza, biasimo e gioia, ce ne siano alcune indirizzate proprio a lei. Laura Imai Messina ha una capacità speciale, poetica e intensa, di cogliere la magia nascosta del mondo e raccontarcela. Ogni sua storia è un viaggio che ci porta lontanissimo, fin dentro i nostri piú intimi pensieri.


Risa è una docente universitaria e, seguendo un progetto di ricerca, approda all'isola di Awashima, luogo dalla forma particolare, abitato da poche persone e noto per il suo Ufficio postale alla deriva, dove giungono tutte quelle lettere speciali che non sono mai state recapitate: persone che, dopo anni, scrivono i propri sentimenti a chi non c'è più; altre che si rivolgono a quegli oggetti inanimati che hanno rivestito un ruolo importante nella propria vita; padri, madri e figli che si ritrovano solo tra le righe vergate in penna stilografica e inviate in quel posto dove forse nessuno le leggerà mai.

Risa, che è una ragazza molto sensibile, si è innamorata delle lettere grazie al lavoro del papà, postino, e di tutte quelle storie che solo poche righe possono contenere. Ma anche la madre l'ha profondamente influenzata sia con i suoi aspetti positivi, sia con quelli negativi... e si sa, certi traumi subiti da piccoli non si cancellano facilmente, nemmeno da adulti. Quella di Risa era una mamma poetica, una mamma che l'ha aiutata a credere anche in ciò che non poteva essere visto, ma solo percepito, eppure era al contempo una persona preda della follia che, pian piano, l'ha divorata, facendola diventare lo spettro di se stessa, fino a condurla alla morte.

Ad Awashima, Risa si immerge in un'altra dimensione: una famiglia accogliente e allargata composta dai pochi abitanti, un ufficio postale che diventa luogo di lavoro e seconda casa, un uomo che le restituisce la voglia di amare. Ma lei non si è recata sull'isola solo per condurre una ricerca universitaria. Risa deve individuare altro, qualcosa di ben più importante per il proprio animo, che forse la aiuterà a trovare la tanto agognata pace: le parole che la madre ha scritto per lei. Risa è certa che Marie le abbia spedito almeno una lettera, ma cosa voleva realmente dirle?


Laura Imai Messina introduce il lettore in una storia che sembra uscita da un drama giapponese e chi conosce la cultura nipponica sa bene di cosa stia parlando. Anche la protagonista, Risa, è una ragazza fragile, sensibile e allo stesso tempo resistente, come un bambù travolto da forti raffiche di vento.

"Tutti gli indirizzi perduti" fa riflettere molto sulle occasioni mancate, su quelle parole che si sono spezzate in gola e che non saranno più pronunciate, sui sentimenti rimasti celati e sul tempo che scorre inesorabile, rendendo ogni cosa effimera tranne per ciò che resta scritto. Quelle lettere giunte all'Ufficio postale alla deriva sono i tasselli mancanti dei mittenti, ciò che di loro rimarrà in eterno, catalogato e conservato. Si percepisce ancor più la bellezza della parola scritta, il fascino delle lettere su carta.
Infine, c'è il ruolo della famiglia. I genitori influenzano molto la psiche dei propri figli, anche in maniera inconsapevole e, una volta terminata la permanenza su questa Terra, lasceranno sempre un vuoto incolmabile nel loro cuore. Nonostante i ricordi non proprio piacevoli, Risa amava la sua mamma e avrebbe fatto di tutto pur di vederla serena. La ragazza, dopo aver vissuto di sensi di colpa e immense paure, riesce finalmente a ritrovare un equilibrio: nulla si può cancellare, ma si deve andare avanti, accettando ciò che è stato.
Questo romanzo non è per tutti. È rivolto agli animi sensibili, a chi tra punti, virgole e una calligrafia disordinata riesce a ricostruire lo sguardo e il vissuto dell'autore.

Vi lascio con qualche frase e ci rileggiamo qui, sempre sul blog, tra qualche tempo!

Foto di Eliselgm_15 da Pixabay

«Disponiamo dell'infinito per un tempo limitato. Dal primo momento sogniamo l'eternità, le crediamo, costruiamo sopra di essa i giorni a venire, progettiamo la nostra vita dando per scontato che non debba finire. Crescendo, parliamo di illusione, ci dichiariamo anzi certi che tutto sia destinato a terminare, quasi fosse sconveniente ammettere che siamo immortali e che nulla di ciò che ci riguarda più intimamente potrà mai scomparire. Poi però accade, anche a fronte delle nostre certezze e dello sconcerto che ci coglie quando succede, nulla rimane».

«Se le cose a un certo punto smetti di sceglierle, le detesti».

«Nelle lettere ci sono fatti minuscoli che vengono a galla tra le righe, accenni a vicende più grandi che compaiono a volte addirittura alla fine [...]».

«Però il pericolo della sofferenza è esattamente questo, ovvero pensare che il proprio dolore sia diverso, che niente lo possa eguagliare. Ci si richiude in una solitudine precipitosa, si perde persino la speranza tanto ci si convince che nessuno abbia mai vissuto un'esperienza simile alla propria».

sito