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lunedì 16 settembre 2024

Recensione di "La collezionista di libri" di Elisabeth Beer

Buonasera a tutti amici! Avete già preso il vostro bel plaid, il libro preferito e una tazzona di thè? Bene, siete nella giusta modalità "lettore in autunno/inverno"!

E dato che su questo blog si parla di libri, vi porto a vivere un'avventura letteraria alla ricerca della Tabula Peutingeriana. Che cos'è? Lo scoprirete.


Trama: Sarah va a caccia di libri, ma non solo. Colleziona mappe, ama i manoscritti e le vecchie carte geografiche, e si trova decisamente più a suo agio con le pagine stampate che con le persone. Dalla morte della zia Amalia, che ha cresciuto lei e sua sorella, Sarah vive da sola nella sua villa circondata da un rigoglioso giardino in fiore e da tantissimi volumi antichi. Infatti, ha deciso di portare avanti la passione della zia, rilegando libri e prendendosi cura della sua sterminata biblioteca, con l'unica compagnia delle sue amate tartarughe Bonnie e Clyde. Ma tutto cambia improvvisamente quando Benjamin, un giovane bibliotecario della British Library, bussa alla sua porta: ha bisogno di aiuto per rintracciare un'antica mappa stradale romana, un incarico che la zia Amalia aveva accettato poco prima di morire, ma che non era riuscita a portare a termine. Così Sarah decide di partire con Ben all'avventura a bordo della sua vecchia auto, in compagnia delle due tartarughe, alcuni atlanti polverosi e tantissime domande in cerca di una risposta. Inizia un viaggio che li porterà in Francia e in Inghilterra, nell'incredibile mondo dei libri da collezione e delle mappe smarrite, e sulle tracce del passato di Amalia. Un viaggio che forse cambierà per sempre le loro vite.


Sarah è una restauratrice e collezionista di libri. Nella vecchia casa vicino Colonia, il suo laboratorio è pieno di carta, copertine e collanti, utili a far tornare in vita antichi testi. Tutto quel lavoro glielo ha trasmesso sua zia, Amalia, che è stata per lei e sua sorella Milena anche una madre e un padre, proprio quando i genitori morirono in un tragico incidente aereo in Brasile. Amalia si prese cura delle due bambine, finché divennero donne, entrambe con la propria strada: Milena si sposò, ebbe due figli e fece la mamma a tempo pieno (impiego imposto dal marito); Sarah, invece, decise di seguire le orme della zia.

Amalia ha, però, lasciato anche tanti debiti. Il solo modo per risanarli in parte è quello di vendere alcuni oggetti ed è nel corso di un’asta organizzata da Sarah presso la propria dimora che conosce Ben, il ricercatore della British Library, aspirante bibliotecario. Amalia, prima di morire, lo ha contattato perché voleva parlargli dell’ultimo frammento della Tabula Peutingeriana, una magnifica mappa romana dell’Impero, replicata in epoca medievale. Era convinta che Ben potesse essere interessato, ma la morte sopraggiunta aveva interrotto i rapporti epistolari. Sarah vede in Ben la possibilità di risanare le casse: se il frammento fosse stato trovato, la British Library avrebbe sborsato una bella cifra anche per lei in qualità di consulente. E allora perché non intraprendere quest’avventura alla ricerca dell’ultimo frammento della Tabula, provando a interpretare i pochi indizi lasciati dalla zia nei suoi taccuini? Il viaggio condurrà Sarah, Ben e le due tartarughe Bonnie e Clyde in Francia, poi a Londra e infine verso Audley End. Ma il prezioso documento sarà ancora lì, dove zia Amalia credeva?

Tabula Peutingeriana (Conradi Millieri, Public domain, via Wikimedia Commons)

Cosa ha attirato la mia attenzione in libreria? Ben due elementi. In primis, la Tabula Peutingeriana che, per un’archeologa, è documento noto. L’esame di cartografia alla triennale lasciò molti ricordi di questa riproduzione delle strade dell’Impero conservata in Austria, per non parlare degli anni di specializzazione e dottorato successivi che me la riportarono davanti più volte.

Il secondo elemento sono le tartarughe. Non ho potuto fare a meno di pensare alle tartarughe d’acqua di mia sorella, Achille e Tartina, che a soli 4 anni, sono già diventate enormi. Mi ha fatto simpatia questa ragazza che, provando a intraprendere una bella avventura, pensa anche a questi due esserini verdi, scivolosi, puzzolenti e troppo carini.


La narrazione, condotta da Sarah in prima persona, si divide tra presente e ricordi, dall’infanzia alla morte della zia Amalia. Oltre il fatto in sé, ovvero la ricerca del frammento perduto che è in stile Indiana Jones anche se molto più soft, con tanto di avversario, l’autrice ha provato a dar voce ad altre tematiche a partire dai due protagonisti. Ben, per esempio, è inglese, di origini africane. Ha la pelle nera e questo sembra essere sempre stato un elemento discriminatorio. Sarah, invece, è descritta come una persona altamente sensibile, fin troppo, molto intelligente, portata soprattutto per i calcoli matematici e per la chimica, diversa da tutti gli altri, con difficoltà a relazionarsi con il prossimo per via della timidezza e del suo carattere, incapace di sopportare troppa confusione, troppi stimoli, fino a rinchiudersi su se stessa. La ragazza sembra riflettere alcuni aspetti della sindrome di Asperger, rientrante nei disturbi dello spettro autistico. L’autrice, però, chiarisce alla fine del romanzo di aver accantonato l’idea di una Sarah con autismo perché trovava notevoli difficoltà nella narrazione. Sarah è divenuta, perciò, una protagonista particolare, non la solita ragazza brillante e tutta gioiosa, ma riflessiva, tanto da sembrare distaccata, con tante ferite e un cuore pronto ad amare davvero, a dispetto di coloro che l’hanno illusa.

Non si tratta sicuramente del romanzo del secolo, ma è una storia carina, con un filo rosa romantico che emerge in quella che è la tragedia iniziale – la morte dei genitori di Sarah e Milena – e quel pizzico di avventura storica che regala sempre qualche emozione. Chi non vorrebbe girare il mondo alla ricerca di qualcosa di perduto, seguendo indizi, decifrando scritture crittografate, scoprendo posti nuovi? A me batte il cuore solo a pensarci. Unica nota da migliorare, rivolta alla casa editrice: sono sfuggiti alcuni punti interrogativi in frasi affermative, probabilmente esito della traduzione, che andrebbero logicamente rimossi per rendere il tutto più leggibile.

Vi lascio con qualche frase e vi aspetto alla prossima recensione!


«Non è facile incontrare qualcuno che ti ami con la stessa intensità e nello stesso momento in cui lo ami tu. Ne ero consapevole. […] In base alla mia esperienza, l’amore era segnato da un girotondo infinito di desideri irrealizzati, occasione perse, asincronia e, non di rado, fraintendimenti».

«Ogni volta che vedo il mare, penso al cielo stellato. Ogni volta che vediamo qualcosa di bello, di chiaro e lucido ci dimentichiamo del buio, eppure è il buio a renderlo visibile. Mi domandai come fosse possibile che una carezza delicata, data con il pollice per asciugarmi la guancia, potesse ricordarmi che da troppo tempo nessuno mi toccava. Mi abbracciava, mi stringeva la mano, mi lambiva il braccio, il viso, le labbra, me».

«Forse le affinità elettive esistono davvero e due persone, in città a centinaia di chilometri di distanza con in mezzo il mare, girano la stessa pagina nello stesso istante, ridono e piangono negli stessi punti, gli occhi fissi sulle parole stampate in lingue diverse».

«I sentimenti non sono logici, Sarah. Molti ci sono e basta. […] A volte un sentimento è come un messaggio in codice per l’altra persona, ma l’altra persona non ha la chiave per decifrarlo e capire cosa le sta realmente accadendo». 

«Credo che quello che hai detto una volta sia vero, me ne rendo conto a mano a mano che mi spengo: l’amore è quel che resta quando tutto scompare».

venerdì 13 settembre 2024

Recensione di "Sogni romani" di Renato Mammucari

Buongiorno amici e bentornati! In questa mattina grigia di pioggia, torno per un attimo a un mese fa, quando il caldo, per alcuni asfissiante ma che a me rigenera, accompagnava le mie giornate vicino al mare.

Era un pomeriggio di agosto quando, passeggiando per le stradine del centro di Anzio, mi ritrovai davanti a una bancarella di libri usati. Da una parte vi era una montagna di fumetti, dai Topolino più antichi ai Diabolik, ai Dylan Dog; dall’altra romanzi dalle pagine ingiallite, esposti insieme a libri d’arte e storia. Spulciando tra le copertine variegate, ho estratto “Sogni romani” di Renato Mammucari, rimanendo attratta dallo sguardo della donna ritratta in copertina. Effettivamente si tratta di un noto dipinto conservato presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, “Sogni” di Vittorio Corcos, ma non avevo ricollegato immediatamente. In fin dei conti sono un’archeologa, non una storica dell’arte e qualcosa può sfuggirmi. Ad ogni modo, lo sguardo sognante della donna ritratta in copertina, nel suo vestito d’epoca, seduta su una panchina dove ha posato l’ombrellino, il cappello e tre libri impilati, hanno fatto sì che la mia scelta ricadesse su questo romanzo.

Al momento dell’acquisto, il signore della bancarella mi spiega che quello è l’unico romanzo di Mammucari che, invece, è noto per i suoi scritti storici, soprattutto su Velletri e l'Ottocento. Sempre più incuriosita, ho iniziato a leggerne le pagine.


Trama: Un viaggio nell'universo sentimentale di due innamorati e nei luoghi che, non mero fondale al loro peregrinare, hanno impedito che quell'amore che era in loro appassisse prima ancora di cominciare a fiorire. Da Sabaudia, la loro "conchiglia", fondata attorno ad un fazzoletto legato ad un albero più alto degli altri; al Circeo, quel fossile vivente affiorante da acque azzurrissime, copula di due infiniti, l'immensità del cielo in cui si staglia come un animale preistorico e l'incommensurabile distesa del mare da cui emerge; ed a Latina, una città dechirìchiana che conserva tali atmosfere metafisiche da far evocare "le città del silenzio" dannunziane. Da Roma, con quell'Accademia di Belle Arti edificata sul greto del Tevere ove un tempo c'era il "porto della legna"; a Velletri, fondata dai Volsci prima dell'Urbs, alla ricerca di ciò che resta di quel libero Comune; ed a Tivoli, con Villa d'Este ove si entra nei giardini incantati del Rinascimento e villa Adriana che spinge a vagare nei Campi Elisi dell'antichità. Da Parma, che ricorda quella "sindrome" stendhaliana per la quale l'arte può comprendersi solo con un po' di malinconia e d'infelicità; a Camerino, una cittadina così arroccata su un aprico colle da non dare "confidenza alla campagna"; sino a Livorno, in quel paese da favola nel quale si vorrebbe vivere per sempre.


Tutto inizia dalla solitudine e dalla malinconia di giorni passati sulle rive del Circeo, a Sabaudia. Chiara cammina triste sulla spiaggia, avvertendo il vuoto lasciato dalla morte del marito, Alberto, con cui aveva trascorso gli anni sin da quando era poco più che ventenne. E tutto ruota intorno a un dipinto, “Sogni” di Vittorio Corcos, che sembra tornare periodicamente nella vita di Chiara: riprodotto su una scatola di cioccolatini, poi su un calendario a scuola, nello studio di Alberto, il suo professore presso l’Accademia di Belle Arti dove Chiara si era iscritta grazie alla sua passione per il disegno e l’acquerello, infine l’originale alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Un dipinto che unisce e che, nei suoi elementi iconografici, riconduce simbolicamente ai vari elementi dell’esistenza di Chiara. Ma questo romanzo non è solo una storia d’amore, è anche un viaggio nei luoghi più belli del Lazio e d’Italia: Sabaudia, il Circeo, Latina, Cori, Roma (Trastevere e il centro storico), Velletri, Tivoli (Villa d’Este), Parma, Camerino, Livorno.

Foto di GianniJohn da Pixabay


Tra le righe di questa storia, emerge la passione storico-artistica dell’autore (che è avvocato di professione). Non può fare a meno di descrivere, quasi in poesia, i luoghi nominati.

“Sogni romani” è una storia d’altri tempi, un romanzo che non si fa fatica a leggere, trasportati dalla bellezza di città e paesaggi italiani, ma anche del candore del sentimento provato da Chiara che sboccia in un amore destinato a non spegnersi mai, nemmeno dopo la morte del marito.

Inutile specificare che sono rimasta molto soddisfatta dal mio acquisto, anzi, dall’aver scovato questo piccolo tesoro tra i libri dimenticati dell’ultima bancarella sulla via.

Vi lascio con due brevissimi estratti e vi aspetto alla prossima recensione!

Foto di summerstock da Pixabay

«I quadri non vanno guardati ma letti, altrimenti si rischia di far parte di quella massa di visitatori dei musei e delle gallerie che si accontenta più dell’ostensione che della visione» perché, concluse abbassando il tono della voce, come per parlare al loro animo prima ancora che alla mente, «solo in tal modo riuscirete a capire e quel che più conta a carpire il “segreto” del quadro stesso».

«Uscirono dalla Galleria in silenzio; lei aveva timore di guardarlo e fu Alberto a rompere quella tensione dicendole: «Solo così si può amare per sempre, perché non sono due corpi ad unirsi, che prima o poi come tutte le cose terrene finiscono per diventare cenere, ma sono due anime che si cercano per incendiarsi l’uno con l’altra, come le tegole di un tetto si danno l’acqua a vicenda senza chiedersi il perché, solo per il piacere di completarsi vicendevolmente».

giovedì 12 settembre 2024

Recensione di "L'amore non è mai una cosa semplice" di Anna Premoli

Buongiorno a tutti amici! Devo ammettere che il rientro è proprio traumatico, soprattutto in una città come Roma che si sta preparando al Giubileo... mi viene voglia di migrare in un borgo e rimanerci.

Ad ogni modo, vi porto a conoscere un'altra lettura che mi ha fatto compagnia durante il mese di agosto. Si tratta di "L'amore non è mai una cosa semplice" di Anna Premoli, vincitrice del premio Bancarella.


Trama: E se per ottenere un buon voto all’università dovessi fare amici­zia con qualcuno che proprio non ti piace? Lavinia pensava che nel­la vita avrebbe insegnato e inve­ce, dopo la maturità, si è lasciata convincere dai genitori a iscriversi a Economia. È ormai al suo quinto anno alla Bocconi, quando si trova coinvolta in un insolito progetto: uno scambio con degli ingegneri informatici del Politecnico. Lo sco­po? Creare una squadra con uno studente mai visto prima, proprio come potrebbe capitare in un am­biente di lavoro. Peccato che Lavi­nia non abbia alcun interesse per il progetto. E che, per sua sfortuna, si trovi a far coppia con un certo Se­bastiano, ancor meno intenzionato di lei a partecipare all’iniziativa. E così, quando la fase operativa ha inizio e le sue amiche cominciano a lavorare in tandem, Lavinia è sola. Ma come si permette quel tipo assurdo – a detta di tutti un fuori­classe dell’informatica – di piantar­la in asso, per giunta senza spiega­zioni? Lavinia non ha scelta: non lo sopporta proprio, ma se vuole otte­nere i suoi crediti all’esame, dovrà inventarsi un modo per convincerlo a collaborare…

In un pomeriggio romano, afoso ed estivo, mi sono ritrovata con mia mamma in un centro commerciale vicino casa. La tappa alla Mondadori è stata d’obbligo e mia madre, conscia del fatto che mi occupi sempre di roba cervellotica e di ricerca che, probabilmente, mi sta portando alla pazzia, ha scelto questo libro e me lo ha regalato, sostenendo che, ogni tanto, sia necessario leggere anche qualcosa di leggero e poco impegnativo. Ho quindi iniziato a sfogliare la storia di Lavinia, che studia Economia alla Bocconi, uno degli atenei “in” di Milano. Dire che abbia scelto il percorso dei suoi sogni, sarebbe una grande bugia perché Lavinia si è fatta scegliere il corso di laurea dai genitori.

Il suo carattere è evidentemente un problema, perché tende ad accontentare tutti e, soprattutto, a seguire non i suoi personali gusti, ma quelli altrui. Fortunatamente è circondata da un paio di amiche, Giada e Alessandra, che provano a farla ragionare. Nell’ambito degli studi, un suo prof decide di far fare un progetto ai suoi studenti insieme a quelli di Ingegneria informatica ed è risaputo che gli ingegneri siano persone molte strane, a volte poco socievoli e immerse nel loro mondo nel quale è difficile, se non addirittura impossibile, entrare (confermo per esperienza!).

Foto di donterase da Pixabay

A Lavinia viene assegnato, come compagno di progetto, Sebastiano, il più strano e geniale di tutto il corso. Basti dire che, ancora non laureato, già fa mille lavori come programmatore, ma trova anche tempo per i giochi di ruolo, per la moto e per il karate. Lavinia e Sebastiano non potrebbero essere più diversi: lui è timido, ma ha carattere e le idee molto chiare; Lavinia è terribilmente curiosa e, soprattutto, non sopporta di non stargli simpatica, proprio lei che, pur di essere accettata, si è sempre adattata.
Giorno dopo giorno, lavorando insieme a questo progetto, i due finiranno per odiarsi… anzi, per amarsi.
Non posso dire molto di più, perché rischierei di rivelare troppo, essendo la trama molto semplice.

Come ho trovato questo libro? Scialbo a dire il vero. Mi hanno fatto sorridere alcune reazioni di Lavinia e i commenti di Giada, ma è tutto talmente lineare e prevedibile che sono andata avanti a rallentatore almeno fino al capitolo 9. Poi c’è un po’ di “pepe”, generato dall’attrazione che si crea fra i due protagonisti, ma era assai scontato che finisse così.

Un piccolo commento su Lavinia: viene presentata come ragazza adattabile a tutto e quasi sottomessa. A me pare una gran gattamorta, con tanto di medaglia d’oro. Se sarete tra i lettori, capirete cosa intendo.

In sintesi, la storia non mi ha coinvolta più di tanto, rivelandosi una lettura da fare, senza impegno, sotto l’ombrellone. Alla fine mia madre aveva ragione.

Vi aspetto alla prossima recensione e chiudo con un piccolissimo estratto.

Foto di s1601064 da Pixabay

«Quindi, appurato che, per qualche misterioso motivo, tra tutta la gente che hai incontrato nella tua vita proprio quella persona specifica – magari la più imperfetta – è anche l’unica che ti fa battere il cuore, non rimane che seguire l’istinto e lottare. E non perché si è romantici o pratici. No. La verità è che spesso si segue il cuore perché ci si sente una vera schifezza senza quel pezzettino che ci hanno strappato via. Quindi non è questione di scelta. Proprio per niente».

domenica 1 settembre 2024

Recensione di "La felicità è una storia semplice" di Lorenza Gentile

Buonasera amici e buon 1° settembre! Al contrario di tutti quelli che già avvertono l'aria autunnale, io sento ancora una gran voglia di estate. Sarà che sono una persona che non si arrende alla fine delle belle giornate, della luminosità fino alle 21.00, degli aperitivi e dei gelati, ma penso che finché non arriva ottobre possiamo goderci gli ultimi bagliori estivi.

Detto ciò, vi porto a conoscere "La felicità è una storia semplice" di Lorenza Gentile.


Trama: Vito Baiocchi ha quarantasei anni, vive a Londra, è senza lavoro da sei mesi e la sua unica amica è un’iguana di nome Calipso. Sentendosi un inetto senza speranze, Vito ha deciso di togliersi la vita, e di farlo con stile. Ma proprio quando, lavato e vestito di tutto punto, sta per dire addio al mondo, il telefono squilla: è nonna Elvira. E quindi nulla da fare, il piano salta. Vito è da sempre incapace di sottrarsi all’autorità della dispotica ottuagenaria e si trova costretto a volare in tutta fretta a Milano, perché Elvira desidera essere accompagnata in Sicilia, al suo paese d’origine. Distrutta alla fine degli anni Sessanta da un terremoto che si è portato via i genitori e il nonno di Vito, Gibellina è ora ricostruita, e con essa la casa che la nonna ha deciso di rivedere. Affare di una giornata, pensa Vito, in aereo è un attimo. Ma la donna vuole viaggiare in treno e così i giorni si moltiplicano. Firenze, Roma, Assisi, Napoli, Palermo: il viaggio sembra infinito, le confessioni di nonna Elvira molte e inaspettate, e a ogni tappa Vito incappa in coincidenze improbabili e in nuove disavventure tragicomiche. Ma forse proprio grazie a questi ostacoli riuscirà a ritrovare l’energia perduta e a prendere finalmente in mano la propria vita. Perché la felicità ci può sembrare talvolta irraggiungibile, ma basta davvero pochissimo per riuscire ad avvicinarla.


Londra: Vito Baiocchi si è vestito di tutto punto per suicidarsi. Ha preparato ogni cosa, lasciato un biglietto, dato da mangiare alla sua iguana Calipso e ha la corda tra le mani. Dovrà solo dare un calcetto alla sedia in vimini e la morte sopraggiungerà in pochi secondi. Ma quel momento viene interrotto dallo squillo del cellulare. Vito prova a ignorarlo, poi squilla anche il telefono di casa e non riesce a fare finta di niente. Scende e va a rispondere: è sua nonna, la persona che lo ha cresciuto come una madre, che gli chiede aiuto. E così Vito si salva, per la seconda volta da quando è venuto al mondo. La nonna vuole tornare a Gibellina. La casa, danneggiatasi con il terremoto degli anni Ottanta, è stata riparata e ha una missione molto importante: deve comunicare una cosa a Santo, il fratello di suo marito Alfredo, quest’ultimo morto durante il sisma insieme alla figlia e ai genitori di Vito.

Vito è indeciso, non sa che fare. Lui vive a Londra e significherebbe rimettere piede in Italia, ma non può sottrarsi alla richiesta di aiuto della nonna. Il volo Londra-Milano lo riconduce a casa e da lì la nonna lo guida lungo un itinerario che farà tappa a Firenze, Roma, Napoli, Palermo e infine Gibellina.


A Firenze la nonna vuole assolutamente salire sulla cupola del Duomo. Bloccando tutta la fila di turisti, riesce nell’impresa, solo per guardare dall’alto la città. Fa la stessa cosa a Roma, sulla cupola di San Pietro, ma stavolta l’ascensore risparmia la fatica a tutti. La nonna Elvira osserva le città dall’alto, quasi fosse una missione. Durante il viaggio lungo alcune delle più belle mete italiane, Vito e nonna Elvira incontreranno persone nuove, capaci di aprire gli occhi su altre prospettive (anche divertenti), e persone “vecchie” in grado di far recuperare le radici e, talvolta, di mettere un punto su questioni passate che non avevano dato pace al nostro protagonista.

Ma soprattutto, Vito si è salvato e ha capito, grazie alla nonna e al suo ultimo viaggio, che la vita è composta di tanti momenti negativi alternati a istanti di felicità. È proprio per questi ultimi, del tutto inaspettati, che bisogna andare avanti: un nuovo lavoro, una nuova meta, un nuovo amore possono dare nuova linfa anche all’esistenza di una persona piuttosto sfortunata come Vito.

"Cretto" di Alberto Burri, Gibellina (foto di Boobax, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons)


Volete la verità? Io adoro la scrittura di Lorenza Gentile. Mi sono letteralmente innamorata di "Le piccole libertà" e del particolare legame familiare che rientra sempre nei suoi romanzi, ma… questo libro lo avevo scartato in libreria. Già visto molto tempo fa, avevo deciso di non intristirmi con la storia di un uomo che voleva suicidarsi. E invece, questo libro di triste ha molto poco. C’è tanta ironia e Vito ed Elvira che girano per l’Italia sembrano un po’ Carlo Verdone con la nonna, interpretata da Elena Fabrizi, ovvero la mitica Sora Lella. Certo, la conclusione vi strapperà una o più lacrime, ma vi assicuro che c’è un lieto fine.

Assolutamente consigliato! Me lo sono divorato in due giorni.
Vi lascio con qualche frase e vi aspetto alla prossima recensione!

p.s. Tra le altre cose, come resistere a un libro che include la descrizione della bella visuale da via Piccolomini? La prima citazione è proprio legata alla nota via romana, che la sottoscritta conosce molto bene.

p.p.s. Gibellina è legata al grande "Cretto" di Burri. Leggetene la storia.


«Prima di andare a casa Peppino ci tenne a fargli vedere Roma.
- Ti prende per il cuore e non ti molla più, - gli disse mentre correvano verso San Pietro. La basilica si ergeva sfarzosa proprio davanti a loro. Costeggiarono la piazza e presero una strada a sinistra. Dopo qualche minuto Peppino lo chiamò: - Vito, guarda dietro di te.
Baiocchi si girò. Vedeva la cupola di San Pietro, in lontananza.
- Non distogliere gli occhi, - continuò Peppino.
Man mano che si allontanavano, la cupola si ingrandiva. Arrivarono alla fine della strada che la cupola era enorme. Quando tornarono indietro si rimpicciolì a vista d’occhio».

«- Ognuno viaggia con la propria storia, stretta dentro di sé, - disse. – Pensa di essere unico, è giusto. La vita è nostra, siamo noi i protagonisti. Ma poi ci sono tante altre vite che si intrecciano, tanti protagonisti di altre storie… - Guardava lontano. – L’unico modo per incontrarsi è lasciare che l’altro entri dentro la nostra vita, che la modifichi. Capisci? – Fece una lunga pausa. – Solo adesso che la mia storia è quasi finita, Vito, mi rendo conto che sono stata l’unica protagonista».

«Che cosa significava aver amato un uomo per tutta la vita senza dirlo a nessuno, negandolo perfino a sé stessa?»
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