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venerdì 13 settembre 2024

Recensione di "Sogni romani" di Renato Mammucari

Buongiorno amici e bentornati! In questa mattina grigia di pioggia, torno per un attimo a un mese fa, quando il caldo, per alcuni asfissiante ma che a me rigenera, accompagnava le mie giornate vicino al mare.

Era un pomeriggio di agosto quando, passeggiando per le stradine del centro di Anzio, mi ritrovai davanti a una bancarella di libri usati. Da una parte vi era una montagna di fumetti, dai Topolino più antichi ai Diabolik, ai Dylan Dog; dall’altra romanzi dalle pagine ingiallite, esposti insieme a libri d’arte e storia. Spulciando tra le copertine variegate, ho estratto “Sogni romani” di Renato Mammucari, rimanendo attratta dallo sguardo della donna ritratta in copertina. Effettivamente si tratta di un noto dipinto conservato presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, “Sogni” di Vittorio Corcos, ma non avevo ricollegato immediatamente. In fin dei conti sono un’archeologa, non una storica dell’arte e qualcosa può sfuggirmi. Ad ogni modo, lo sguardo sognante della donna ritratta in copertina, nel suo vestito d’epoca, seduta su una panchina dove ha posato l’ombrellino, il cappello e tre libri impilati, hanno fatto sì che la mia scelta ricadesse su questo romanzo.

Al momento dell’acquisto, il signore della bancarella mi spiega che quello è l’unico romanzo di Mammucari che, invece, è noto per i suoi scritti storici, soprattutto su Velletri e l'Ottocento. Sempre più incuriosita, ho iniziato a leggerne le pagine.


Trama: Un viaggio nell'universo sentimentale di due innamorati e nei luoghi che, non mero fondale al loro peregrinare, hanno impedito che quell'amore che era in loro appassisse prima ancora di cominciare a fiorire. Da Sabaudia, la loro "conchiglia", fondata attorno ad un fazzoletto legato ad un albero più alto degli altri; al Circeo, quel fossile vivente affiorante da acque azzurrissime, copula di due infiniti, l'immensità del cielo in cui si staglia come un animale preistorico e l'incommensurabile distesa del mare da cui emerge; ed a Latina, una città dechirìchiana che conserva tali atmosfere metafisiche da far evocare "le città del silenzio" dannunziane. Da Roma, con quell'Accademia di Belle Arti edificata sul greto del Tevere ove un tempo c'era il "porto della legna"; a Velletri, fondata dai Volsci prima dell'Urbs, alla ricerca di ciò che resta di quel libero Comune; ed a Tivoli, con Villa d'Este ove si entra nei giardini incantati del Rinascimento e villa Adriana che spinge a vagare nei Campi Elisi dell'antichità. Da Parma, che ricorda quella "sindrome" stendhaliana per la quale l'arte può comprendersi solo con un po' di malinconia e d'infelicità; a Camerino, una cittadina così arroccata su un aprico colle da non dare "confidenza alla campagna"; sino a Livorno, in quel paese da favola nel quale si vorrebbe vivere per sempre.


Tutto inizia dalla solitudine e dalla malinconia di giorni passati sulle rive del Circeo, a Sabaudia. Chiara cammina triste sulla spiaggia, avvertendo il vuoto lasciato dalla morte del marito, Alberto, con cui aveva trascorso gli anni sin da quando era poco più che ventenne. E tutto ruota intorno a un dipinto, “Sogni” di Vittorio Corcos, che sembra tornare periodicamente nella vita di Chiara: riprodotto su una scatola di cioccolatini, poi su un calendario a scuola, nello studio di Alberto, il suo professore presso l’Accademia di Belle Arti dove Chiara si era iscritta grazie alla sua passione per il disegno e l’acquerello, infine l’originale alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Un dipinto che unisce e che, nei suoi elementi iconografici, riconduce simbolicamente ai vari elementi dell’esistenza di Chiara. Ma questo romanzo non è solo una storia d’amore, è anche un viaggio nei luoghi più belli del Lazio e d’Italia: Sabaudia, il Circeo, Latina, Cori, Roma (Trastevere e il centro storico), Velletri, Tivoli (Villa d’Este), Parma, Camerino, Livorno.

Foto di GianniJohn da Pixabay


Tra le righe di questa storia, emerge la passione storico-artistica dell’autore (che è avvocato di professione). Non può fare a meno di descrivere, quasi in poesia, i luoghi nominati.

“Sogni romani” è una storia d’altri tempi, un romanzo che non si fa fatica a leggere, trasportati dalla bellezza di città e paesaggi italiani, ma anche del candore del sentimento provato da Chiara che sboccia in un amore destinato a non spegnersi mai, nemmeno dopo la morte del marito.

Inutile specificare che sono rimasta molto soddisfatta dal mio acquisto, anzi, dall’aver scovato questo piccolo tesoro tra i libri dimenticati dell’ultima bancarella sulla via.

Vi lascio con due brevissimi estratti e vi aspetto alla prossima recensione!

Foto di summerstock da Pixabay

«I quadri non vanno guardati ma letti, altrimenti si rischia di far parte di quella massa di visitatori dei musei e delle gallerie che si accontenta più dell’ostensione che della visione» perché, concluse abbassando il tono della voce, come per parlare al loro animo prima ancora che alla mente, «solo in tal modo riuscirete a capire e quel che più conta a carpire il “segreto” del quadro stesso».

«Uscirono dalla Galleria in silenzio; lei aveva timore di guardarlo e fu Alberto a rompere quella tensione dicendole: «Solo così si può amare per sempre, perché non sono due corpi ad unirsi, che prima o poi come tutte le cose terrene finiscono per diventare cenere, ma sono due anime che si cercano per incendiarsi l’uno con l’altra, come le tegole di un tetto si danno l’acqua a vicenda senza chiedersi il perché, solo per il piacere di completarsi vicendevolmente».

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