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sabato 26 ottobre 2024

Recensione di "La settima onda" di Daniel Glattauer

Buonasera amici lettori e bentornati sul blog! In questa serata di sabato, non c'è nulla di più rilassante che dedicarsi ai libri (peraltro, proprio oggi, ne ho comprato un altro... sono incorreggibile!).

Oggi torniamo alla storia di Emmi e Leo, emersi dalla penna di Daniel Glattauer, e al seguito di "Le ho mai raccontato del vento del Nord", ovvero "La settima onda".


Trama: Emmi e Leo: per chi ancora non li conosce, sono i protagonisti di un amore virtuale appassionante, che ha vissuto ogni sorta di emozione, a parte quella dell’incontro vero. Sì, perché dopo quasi due anni, Leo ha deciso di tagliare definitivamente i ponti con Emmi e partire per Boston, per ricominciare una nuova vita. Emmi però non si dà per vinta, e riesce nell’impresa di riallacciare i rapporti con Leo. Mentre lei è ancora felicemente sposata con Bernhard, per Leo in nove mesi le cose sono cambiate, eccome: in America ha conosciuto Pamela e finalmente ha iniziato la storia d’amore che ha sempre sognato. Si sa, però, l’apparenza inganna. Ritornano le schermaglie via e-mail che hanno tenuto col fiato sospeso i numerosi lettori di Le ho mai raccontato del vento del Nord, e anche stavolta promettono scintille.

La storia di Emmi e Leo non poteva di certo rimanere in sospeso. Una "relazione confidenziale" nata da un'email sbagliata è un segno del destino: doveva proprio andare così. Eppure, Emmi e Leo si erano un po' persi. Lui era partito per Boston con l'intento di raggiungere la sua nuova fidanzata, Pamela, mentre Emmi non aveva mai smesso di cercarlo.
"La settima onda" prosegue con lo stile epistolare, in un botta e risposta che è impossibile non leggere tutto di seguito: Emmi è ironica, Leo più pacato e romantico, ma i due non possono stare lontani l'uno dall'altro. E, piccolo spoiler, finiscono per incontrarsi, non una, ma più volte.
Ecco che l'immaginazione si scontra con la realtà: Emmi e Leo non si sono mai visti prima, nemmeno in foto. Si piaceranno? Si troveranno tanto diversi da come si erano pensati? La loro sintonia sarà rovinata dall'aspetto fisico, oppure no? 

Foto di Pexels da Pixabay

Glattauer restituisce, in questo passaggio, un "fenomeno" decisamente attuale data la modalità di incontro della gran parte delle persone al giorno d'oggi, ovvero tramite app. Se da un lato il mondo virtuale favorisce il contatto, dall'altra ci sono molti dettagli che si perdono attraverso un'email o un telefono: le frasi possono essere interpretate erroneamente, non si sente il tono, non ci sono le espressioni (e le emoticon non riescono a sostituirle), mancano totalmente gli sguardi.
E se anche i nostri protagonisti si piacessero, Emmi è comunque sposata, Leo ancora no, ma ha Pamela che lo aspetta per provare a costruire una vita insieme. Tutto diventa più complicato, forse è meglio smettere di sentirsi, forse è meglio non pensarsi, forse sarebbe stato meglio non conoscersi mai, forse ancora sarebbe bene allontanarsi. E i due continuano a scriversi, rincorrendosi ed evidenziando, in realtà, il desiderio di non lasciarsi più.
Daniel Glattauer doveva pur scrivere una degna fine per la storia di Emmi e Leo. Non vi narrerò i dettagli, ma è un romanzo che va letto, soprattutto se avete divorato le pagine del precedente.

Vi lascio con qualche piccolo estratto e vi aspetto alla prossima recensione, sempre qui su questo blog!

«[…]Sì, qui si narra la storia della settima onda, l'inflessibile. Le prime sei sono prevedibili e armoniose. Si condizionano a vicenda, sorgono una dopo l'altra, non fanno sorprese. Preservano la continuità. Sei assalti, che appaiono così diversi se osservati a distanza, sei assalti... e sempre lo stesso obiettivo. Occhio però alla settima onda! È imprevedibile. Passa a lungo inosservata, partecipa all'assalto monotono, si adegua a quante l'hanno preceduta. Talvolta, però, fugge via. Sempre e solo lei, sempre e solo la settima onda. Perché è spensierata, ingenua, ribelle, spazza via tutto, gli dà un'altra forma. Migliore o peggiore? Possono dirlo solo quanti, afferrati da lei, hanno avuto il coraggio di raccoglierne la sfida, di lasciarsi incantare dalla sua malia».

Foto di Enrique da Pixabay

«Non esistono istruzioni per l'uso con annessa planimetria per l'avvistamento e il salvataggio della felicità. Ognuno cerca la propria a modo suo, o ovunque creda di poterla trovare il prima possibile».

«Le esigenze, le intenzioni, gli obiettivi. Un'avventura vuole essere vissuta. Lo stare insieme vuole restare insieme, e magari un giorno vivere bene insieme».

domenica 13 ottobre 2024

Recensione di "Elisir d'amore" di Eric-Emmanuel Schmitt

Buongiorno e buona domenica amici e, come sempre, bentornati! Il traffico di Roma ha queste "qualità": è insopportabile, è troppo e, quindi, favorisce la lettura... perché durante quei 50 minuti/1 ora di mezzi per fare pochi chilometri bisognerà pur fare qualcosa per non impazzire, no? Ed ecco il motivo, direi positivo (almeno), per cui sono di nuovo qui a scrivere.

Ad ogni modo, qualche giorno fa, ho deciso di fare un rapido giro a un mercatino dell'usato che prevede anche una nutrita sezione dedicata ai libri. Vi dirò, mi piange il cuore a vedere tutte quelle storie accatastate, alcune delle quali dimenticate da anni, così come i bellissimi libri storico-artistici o archeologici che giacciono sugli scaffali. Notando un nome noto, ho alla fine deciso di "adottare" un libro (e mi sono dovuta trattenere perché avrei presi almeno una decina).

Il romanzo, che forse è preferibile definire racconto epistolare e di cui vi parlerò, è "Elisir d'amore" di Eric-Emmanuel Schmitt.


Trama: Dopo cinque anni di amore travolgente, Adam e Louise si lasciano. È una separazione dolorosa e straziante che porta Louise a trasferirsi a Montreal, in Canada, mentre Adam rimane a Parigi. Lontani migliaia di chilometri, e separati da un oceano, i due cominciano una corrispondenza volenterosamente improntata all'amicizia in quanto logica e saggia fine di un grande amore. Così si raccontano la nuova vita che stanno facendo, le nuove amicizie e soprattutto i nuovi amori, con quella confidenza intima e speciale che cinque anni di appassionata convivenza hanno conferito loro. Ma il gioco nasconde una trappola. È davvero possibile diventare amici di una persona con cui si è condivisa l'esperienza di un amore profondo, oppure passione e amicizia sono condannati a restare due mondi incompatibili?

Lui è uno psicanalista, lei una giurista presso uno studio internazionale. Sono stati insieme 5 anni, si conoscono perfettamente, si amano, eppure si lasciano. Le cose non funzionano più tra Louise e Adam. Louise si trasferisce persino da Parigi a Montreal, ponendo un oceano tra lei e Adam.
Perché si sono lasciati? Una storia già vista mille volte: mentre stava con Louise, Adam andava a letto con altre donne. Non erano storie importanti, non ne ricordava nemmeno i nomi, ma per una donna non è una pratica tollerabile.
A cosa preferisce ricorrere Adam, pur di non troncare i legami? All'amicizia, ritratto sbiadito e insipido dell'amore, che logicamente Louise non accetta: «L'amicizia dopo l'amore mi umilierebbe. Riconvertire una passione immensa in piccolo monolocale affettuoso non mi tenta, preferisco ritrovarmi direttamente in mezzo alla strada».

Foto di zhi wei yu da Pixabay

Louise e Adam, quindi, iniziano a scriversi, si pongono a vicenda domande e, infine, accade che una collega di Louise, Lily, diventa paziente di Adam, colui che sostiene di avere un "elisir d'amore" innato.
Si nota la gelosia, mascherata da nonchalance perché nell'esistenza di Louise c'è ormai Brice, ma la vita continua e la corrispondenza pure, anzi, non manca un colpo, rivelando il latente desiderio di riprendere il rapporto dove lo avevano lasciato.
Chissà come finirà... Io termino con le parole di Antonello Venditti: "Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano".
Attraverso le lettere (o forse email) di Louise e Adam il lettore si immedesima nelle pene d'amore che tutti (o quasi) viviamo: l'amarezza, la gelosia, la passione bruciante, l'affetto, l'amicizia, la lontananza, a volte (e per chi ci riesce) il perdono. Ed proprio questo, credo, l'obiettivo dello scrittore: tracciare una "psicologia" del sentimento tramite le frasi, a volte stringate, dei due protagonisti.

Vi lascio con qualche frase e vi aspetto alla prossima recensione!


«Oggi, per esempio, ho pensato tutto il giorno alle cose buffe che mi succedevano e che avrei voluto raccontarti, ho desiderato condividere il libro, il film o la musica appena scoperti, ti ho fatto domande, dato risposte, dedicato sorrisi, sospiri, esclamazioni. Insomma, siamo stati sempre insieme. [...] Sei solidamente piazzata dentro di me, più di quanto potrebbe esserlo una semplice anatomia gradevole, sei incisa nella mia immaginazione, nel mio futuro, nei miei ricordi».

«Adam, si può essere padroni di ciò che si pensa, ma mai di ciò che si sente».

«Credo che l'amore sia stato inventato per rendere poetica la vita».

«La bellezza del primo amore viene dal fatto che non è ancora stato minacciato dalla fine, crediamo che il presente sia eterno, ignoriamo che si inaridirà».

«Caro Adam, a questo punto la domanda è: siamo liberi di amare il tale o il talaltro? Scegliamo? Veniamo scelti?».

«L'amore è la dimostrazione che percepiamo la realtà unicamente attraverso il filtro delle nostre fantasie. Peggio, è la prova che la realtà non è poi gran cosa».

lunedì 7 ottobre 2024

Recensione di "Storia di una capinera" di Giovanni Verga

Buonasera a tutti, amici lettori, e bentornati sul blog! Sono reduce da una giornata trascorsa sui mezzi pubblici immersa nel traffico che a Roma sta esponenzialmente aumentando... tutti noi romani, anche se non lo diamo a vedere, siamo terrorizzati dall'avvicinarsi del Giubileo perché non riusciremo più a uscire di casa. Ad ogni modo, proviamo a non pensarci... Nella mia borsa, quindi, dati i tempi di percorrenza estremamente lunghi anche per fare 2 metri, non manca mai un libro.

Oggi ho terminato "Storia di una capinera" di Giovanni Verga, un classico.


ATTENZIONE: SPOILER

Correva l'anno 1869 e la giovane Maria, orfana di madre, viene costretta dal padre - che si era risposato e aveva avuto altri due figli - ad entrare in convento. La ragazza, una educanda, aveva trascorso il periodo di istruzione insieme a Marianna, l'amica cui scriverà le sue lettere, fino all'ultimo giorno di vita.

Durante il periodo estivo, complice anche l'imperversare del colera in città, Maria torna a casa dalla sua famiglia e, a Monte Ilice, conosce i vicini, i signori Valentini, che hanno un figlio, Nino, di cui Maria si innamorerà. L'amore ingenuo e puro di Maria si accontenta anche di un semplice sguardo di Nino inizialmente, poi il sentimento che lei avverte come crescente entra in contrasto con il suo destino. E' la stessa Maria che tende a evitare Nino, pur volendo incontrarlo. Eppure tra i due pare esserci una simpatia, che la povera Maria sembra amplificare fino a descriverlo come un amore bruciante.

Terminata l'estate vissuta con spensieratezza in mezzo alla natura, i due non si rivedono più perché ogni famiglia torna a casa propria. Maria riparte verso Catania, dove l'attende il convento di clausura. Proprio prima di prendere i voti (obbligati) definitivi, viene a sapere che la sorellastra Giuditta e Nino si sposeranno. Il suo povero candido cuore si spezza. Non si capacita di come Nino l'abbia potuta dimenticare così facilmente e di come Giuditta abbia potuto farle una cosa del genere, ma tuttavia, pur avvertendo la rabbia crescente, cerca di sopprimerla, sentendo il senso di colpa che si fa strada in lei, pregando e invocando il Signore che le dia forza.

Foto di Joshgmit da Pixabay

Maria diventa, perciò, monaca di clausura. Prigioniera di un luogo in cui pensava di trovarsi a proprio agio prima di conoscere l'amore, Maria si ammala, dimagrisce e scrive a Marianna con disperazione. Rimpiange i momenti trascorsi in libertà l'estate precedente, in mezzo alla natura e con il suo Nino accanto a sé, quello stesso Nino che tenta di scorgere dalle finestre del convento, facendosi ancora più male perché il ragazzo è sempre accompagnato da Giuditta.

Maria, quindi, vede in Giuditta se stessa: la vita della sorellastra avrebbe potuto essere la sua se il padre non l'avesse obbligata a quel triste destino da cui non poteva sottrarsi in alcun modo.

La ragazza, sull'orlo della follia, tenta persino la fuga, ma viene colta in flagrante dalle consorelle e, troppo debole per reagire, si lascia morire, come la capinera di cui Verga narra all'inizio del romanzo... una capinera cui era stata sottratta la libertà.


Giovanni Verga è forse il massimo rappresentante del realismo che, logicamente, si riscontra anche in questo romanzo epistolare, sottolineando con crudezza la vicenda di Maria. Si percepiscono i sentimenti della ragazza, sia la voglia di libertà, sia quell'amore crescente (probabilmente non pienamente ricambiato), ma anche la confusione che si genera nel proprio animo: gli obblighi spirituali si scontrano con l'estrema voglia di vivere, di respirare a pieni polmoni l'aria di campagna. E mentre supplica Dio di aiutarla, e si scusa per i propri pensieri peccaminosi, e recita preghiere, Maria in cuor suo non riesce a sopprimere quel vulcano di emozioni che premono insistenti, quasi a sussurrare una tenue speranza che qualcosa possa accadere e che il suo destino possa improvvisamente cambiare.

Le grida di dolore di Maria sono le stesse delle tantissime donne che, almeno fino ai primi decenni del Novecento, sono state costrette dalle proprie famiglie a entrare in convento senza avere la vocazione. Il perché di questa situazione? I figli da sfamare erano troppi e il convento avrebbe provveduto a dar loro un tetto e almeno un piatto di minestra la sera. Solitamente, questa tragica sorte toccava ai figli maggiori oppure a coloro che non si maritavano entro una certa età - le donne dovevano farsi suore e i maschi sacerdoti o frati -, mentre gli altri venivano impiegati nei campi e obbligati a sposarsi tramite matrimoni comunque combinati.


A volte mi chiedo come siamo riusciti a sopravvivere con questo modo di concepire l'esistenza. C'era una crudeltà di fondo inaudita. Non prenderò il discorso dei matrimoni (vogliamo parlare delle unioni per corrispondenza?), rimanendo sul tema conventuale... si parla oggi del calo delle vocazioni, ma siamo tutti pienamente consapevoli che quelle che un tempo erano definite "vocazioni" in realtà erano obblighi. Non c'era fede dietro, ma disperazione, povertà. La chiesa, bene o male, assicurava un futuro a quei ragazzi sfortunati... situazione che notiamo ancora oggi, quando la maggioranza delle suore e dei sacerdoti provengono da paesi del terzo mondo.
Sono certa che tra loro ci siano persone che avvertono realmente la vocazione, ma sono altrettanto sicura che siano in numero molto esiguo rispetto a coloro che, pur di non morire di fame al proprio paese, decidono attualmente di consacrare la propria vita, usufruendo di un'istruzione, di vitto e alloggio.
Si tratta di un mio personale pensiero, che non voglio in alcun modo generalizzare e con cui non intendo certamente offendere nessuno. Ma amo il realismo, quello stesso di Giovanni Verga e non possiamo, né dobbiamo bendarci gli occhi.
"Storia di una capinera" è certamente una lettura consigliata in quanto, come anticipato, si tratta di un classico. Aspettatevi però di uscirne devastati moralmente. Avrei tanto voluto abbracciare Maria e tirarla fuori di lì.

Vi auguro una buona serata e vi aspetto sul blog con la prossima recensione!

p.s. non dimenticate di leggere le precedenti e, quando capita, ricordatevi anche dei miei romanzi scritti "in gioventù". Sono sempre lì, ad attendere qualche lettore appassionato di fantasy puro (trilogia di Sàkomar: "Il Regno dell'Acqua"; "Il risveglio"; "Il Quinto Elemento"), o di licantropi e storia (eh sì, perché in "Chiaro di Luna" troviamo una cattedrale, un convento francescano, Friburgo, un cavaliere, un mago e una maledizione... insomma un mix).
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