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venerdì 8 settembre 2017

Recensione di "La pietra del vecchio pescatore" di Pat O'Shea

Una copertina verde con un cane davanti ritratto in stile celtico è quel che mi ha attratto in una grande libreria di Roma.
Vi era poi il commento firmato Publishers Weekly:
"Se avete amato Harry Potter, provate a leggere questo libro".

Che dire? Ho una nostalgia pazzesca del mondo creato dalla Rowling. Chi, come me, è cresciuto leggendo i suoi romanzi, sa di cosa stia parlando (e magari attende ancora, alla veneranda età di 30 anni e passa, la famosa lettera). Ho letto la trama e mi sono fatta tentare. Ho scritto più volte di come non riesca più a trovare un fantasy coinvolgente degno di questo nome… e la speranza si è riaccesa.


Trama: Pidge e la piccola Brigit sono due giovani fratelli vivaci e spensierati che vivono in una verde vallata irlandese. La loro è una vita semplice, scandita dai rimproveri della zia Bina e dalle trepidanti attese dei ritorni del padre, spesso fuori casa per lavoro. Un giorno Pidge acquista un vecchio e malconcio libro e si trova a varcare, assieme alla sorella, la sottile soglia che separa il mondo reale da quello fantastico. Si ritrovano così a dover recuperare, per conto di un'antica divinità irlandese, una pietra macchiata di sangue prima che cada nelle grinfie della Morrigan, la Regina del Male a tre teste, dea celtica della guerra. Le guide che i ragazzi incontreranno nella loro ricerca prenderanno le forme dei più svariati e bizzarri animali e personaggi: la simpatica e saggia somarella Serena; il misterioso Vecchio Pescatore; Patsy e Boodie, simpatici amici prima, potenti forze poi; Cutu, l'astutissima volpe che accompagnerà i due eroi per gran parte del loro viaggio... Terrore, meraviglia, magia cristallina rasserenante e spaventosa, inganni, labirinti, porte magiche attraverso laghi infiniti, segugi malvagi, topi intrappolati in perfidi incantesimi: milioni di piccoli ingredienti che spalancano le porte sul regno della fantasia.

L'ambientazione è perfetta: la verdeggiante Irlanda, con le sue coste frastagliate e lambite dal mare, i boschi popolati di quella magia insita in storie che non hanno mai smesso di incantare intere generazioni.


E poi ci sono i due protagonisti fratelli: Pidge, un ragazzino di 10 anni che definirei responsabile e sulle sue; Brigit, la sorellina di 5 anni, che è invece una piccola peste già alla sua giovane età, una bimba senza peli sulla lingua.
Inizia così un'avventura che muove i primi passi da una libreria, in perfetto stile "La Storia Infinita". Pidge avverte i primi segnali di qualcosa di strano e di magico che serpeggia al suo interno: il librario è prima una persona, poi un'altra totalmente diversa e, inoltrandosi tra gli antichi volumi, il piccolo protagonista giunge in una stanzetta dove erano conservate cose da gettare. Tra queste vi era un libro, senza copertina, legato insieme solo da uno spago. Affascinato, Pidge lo tiene tra le mani e riceve il permesso di portarlo via con sé. Mai potrebbe immaginare che una di quelle pagine tenga in realtà imprigionato il serpente Olc-Glas, ricercato niente di meno che dalla Morrigan, la dea della guerra e della discordia, una e trina, che vuole impadronirsene per diventare molto potente.


E poi c'è il vecchio pescatore, colui che apre gli occhi di Pidge e Brigit verso un mondo altro, che scorre insieme al nostro; un mondo parallelo che si mescola a tratti, visibile solo da un numero ristretto di persone. I due fratelli, dopo aver imprigionato la pagina con Olc-Glas, devono recuperare la pietra con la goccia di sangue della Morrigan prima che lei stessa se ne impadronisca. È una missione che è stata affidata loro dal Dagda, il dio buono e onnipotente. Pidge e Brigit varcano quindi la soglia del mondo altro avvicinandosi a un circolo di pietre megalitiche e immergendosi nella magia della migliore mitologia celtica. Saranno aiutati da Cuchulain, dai Sette Maine, da Maeve, da Angus og e dalla dea Brigit, nonché dalla volpe Curu, dal ranocchio Puddeneen, da Serena l'asina parlante e da tanti altri personaggi, sfuggendo ai Segugi della Morrigan che valicando valli incantate, montagne, fiumi e laghi saranno sempre più vicini ai due ragazzi.


L'aiuto magico consiste anche in una serie di regali che i due ricevono: la sferetta di cristallo con la neve per vedere a quale distanza siano i Segugi; la spilla con arco e frecce; le nocelle che si schiudono quando è necessario facendo apparire ciò di cui si ha bisogno; le caramelle per il baratto. 

E a tratti questi aneddoti mi hanno ricordato il mondo di Narnia, con i doni che vennero affidati ai quattro fratelli Pevensie. Ma purtroppo di Narnia c'è solo l'ombra perché "La pietra del vecchio pescatore" o meglio, nel suo titolo originale "The Hounds of the Morrigan" (I Segugi della Morrigan), non è riuscito a farmi volare con la fantasia, a rapirmi dal mondo reale, a far sì che la voglia di proseguire la lettura fosse più forte di qualsiasi altra occupazione. Più volte mi sono persa e questo è forse dovuto anche al fatto che il linguaggio utilizzato sia abbastanza complesso, piuttosto arcaico e che la traduzione italiana non renda bene alcuni giochi di parole che in inglese forse sarebbero più comprensibili.
Il protagonista, Pidge, non ha una personalità interessante. Si limita a procedere piuttosto a caso, senza una meta precisa; Brigit, invece, è più curiosa e coraggiosa, eccessivamente però per una bambina di 5 anni… e questo fa sì che le descrizioni non siano realistiche.
Ho apprezzato molto la compenetrazione tra i mondi, il tempo e le dimensioni. È un concetto che adoro e su cui bisognerebbe riflettere maggiormente, anche se non si studia fisica quantistica.


In conclusione, il romanzo sembra essere la narrazione di un sogno, a tratti dalle caratteristiche grottesche di un incubo. Vi è il classico affidamento di un compito di fondamentale importanza a uno o più protagonisti umani che devono intraprendere un viaggio, approcciando con la magia e con elementi che nel mondo umano sono solo fantasia.
La Morrigan, una vera cattiva nell'animo, ha agito per il 90% del racconto con sotterfugi e attraverso i Segugi, ostacolando i due ragazzi tramite una scacchiera da lei comandata; la battaglia, di cui è protagonista, non descrive il massimo delle sue potenzialità (ricordo che nella saga di Melissa Marr, la Morrigan, o dea corvo, era una vera antagonista che aveva tutta la mia ammirazione).


Nonostante la storia sia indirizzata a lettori giovani, credo che questi ultimi potrebbero annoiarsi sia per lo stile adottato, che per l'eccessiva lunghezza. I lettori più grandi, magari appassionati di mitologia celtica, potrebbero apprezzare. La sottoscritta che ama l'Irlanda, la mitologia celtica, il fantasy e l'avventura non se la sente però di dare un giudizio completamente positivo. La storia c'era, ma era anche necessario riuscire a svolgerla nel migliore dei modi senza creare confusioni tra personaggi ed espressioni non comprensibili. 
Forse la versione del testo originale potrebbe dare più soddisfazione.


«[…] Siete sempre disposti a intraprendere questo viaggio di meraviglia e spavento?»


«Un'ombra ha bisogno della luce, per vivere.»


«L'acqua è così forte che consuma le rocce, le montagne. Un uomo può domare un cavallo, ma la fiumana non la doma nessuno. Se un paese fosse una persona, i fiumi e i fossi sarebbero le vene, con dentro il sangue che gli dà vita. Anche imbrigliata, non è mai domata. Fornisce l'elettricità, fa girare i mulini e, se si scaglia contro un paese, lo può scancellare come una scritta col gesso sulla lavagna. Questo può far l'acqua. E il mare, questo e altro.»

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