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lunedì 9 marzo 2020

Recensione di "Tu, mio" di Erri De Luca

Buon lunedì amici e, anche se non è proprio un buongiorno con il clima che tutti avvertiamo, cerchiamo di osservare gli aspetti positivi in questa enorme difficoltà.
Stare in casa implica delle limitazioni: non vedere gli amici, non respirare aria nuova, non sgranchire le gambe con una bella passeggiata in centro. Eppure stare in casa ci permette di dedicarci ai nostri hobby, di stare vicino ai nostri familiari, di riposarci, studiare, guardare la tv, di leggere, insomma di rallentare il ritmo, di riprendere TEMPO, quello che molto spesso non troviamo. Non dico che sarà facile, ma sicuramente sarà utile a noi tutti.

Bene, visto che si accennava alla lettura, ho terminato "Tu, mio" di Erri De Luca, volumetto edito da La Feltrinelli, acquistato sull'onda di un pomeriggio un po' malinconico in realtà. Avevo letto già "I pesci non chiudono gli occhi" di De Luca, dal tono poetico e leggero, che riconduceva alla salsedine del mare e delle estati passate.



Trama: Il ragazzo e il mare: l'avventura estiva di un adolescente del dopoguerra, l'incontro con la pesca, e con una ragazza più grande, col suo segreto, con il suo dolore per la perdita del padre in guerra, prima della fine delle vacanze. C'è un'estate brusca nell'età giovane in cui s'impara il mondo di corsa. In un'isola del Tirreno, in mezzo agli anni cinquanta del secolo, un pescatore che ha conosciuto la guerra e una giovane donna dal nome difficile, senza intenzione trasmettono a un ragazzo la febbre del rispondere. Qui si racconta una risposta, un eccomi, decisivo come un luogo di nascita.

Erri De Luca riprende i suoi ricordi, portando per mano il lettore sull'isola di Ischia o Procida (non è ben specificato) in cui trascorse l'estate dei suoi 16 anni, durante gli anni Cinquanta, quelli di uno spietato dopoguerra che ha lasciato il terrore negli occhi di chi ha combattuto e un paradossale rallentamento nel riprendersi la propria normale esistenza. Poi c'è lui, il giovane Erri, che trascorre quel mese in compagnia di Daniele e dei ragazzi più grandi, di Nicola il pescatore e dello zio sulla barca, e infine di Caia, la ragazza ebrea romena, un amore impossibile, giovane donna tormentata da un recente terribile passato da cui è riuscita a fuggire.


Il mare, a volte calmo e trasparente, talvolta in burrasca, riflette esattamente lo stato d'animo del narratore che si trova d'un tratto a crescere, facendo i conti con i tormenti dell'adolescenza quando il corpo e le esigenze di un bambino lottano con crescenti e sconosciuti desideri di un uomo adulto.
Caia, Haiele (il cui diminutivo è Haia), gioca un ruolo importante: verso di lei il giovane Erri avverte un crescente desiderio di baciarla, ma allo stesso tempo prevale l'istinto protettivo dopo aver conosciuto la sua storia, quella di una ragazza sfuggita alle persecuzioni naziste, quella di una ragazza di 20 anni ormai orfana di ogni affetto. Mai dimenticherà il volto e gli occhi del padre prima di salire verso un treno che lo avrebbe portato via per sempre... e Caia sa che il suo "tate", ogni tanto, viene a trovarla, assumendo anche corpi e forme che non immaginava. La ragazza è infatti convinta che nel corpo di Erri ci sia suo padre. Ed Erri, forse, si convince per farle piacere, o forse è veramente quel fenomeno paranormale che avviene e che fa sovrapporre la sua personalità al padre di Haiele.
"Tu, mio" gli ripete la ragazza, mentre lui la bacia dolcemente all'attaccatura dei capelli, sulla fronte.


Non sono gesti da ragazzo innamorato, quanto da padre protettivo, in contrasto netto con quelle emozioni acerbe provate invece per la sua coetanea Eliana, un amore che sta sbocciando timidamente, compiendo il primo passo dell'amicizia.
Infine, vi è la curiosità verso la storia, nei confronti di quel passato accennato e mai completamente raccontato, della guerra appena trascorsa e trascritta nei libri, di tutti quegli eventi che il giovane Erri vorrebbe tanto poter cambiare... ma che, sull'onda della rabbia, alla fine replica. 
Un giorno a pesca cercando di tirar sulla barca quella grossa cernia, uno immerso in acqua aspirando l'odore di salsedine e respirando quello della resina di pino, fino ad avvertire i brividi scatenati dai nascenti sentimenti in contrasto con il caldo vento di Scirocco che fa terminare quella particolare estate: è qui che Erri ci trasporta nelle 114 pagine del suo libro.


Nonostante lo abbia trovato indubbiamente bello, a tratti riflessivo e coinvolgente (io adoro il mare e l'estate), sarò sincera, mi pare scorra troppo lentamente, talvolta in maniera macchinosa. Avevo apprezzato molto più lo stile poetico ed evocativo adottato per "I pesci non chiudono gli occhi" che divorai letteralmente.
Vi lascio con qualche breve estratto. Buone letture a tutti voi!

«Ci si innamora così, cercando nella persona amata il punto a nessuno rivelato, che è dato in dono solo a chi scruta, ascolta con amore. Ci si innamora da vicino, ma non troppo, ci si innamora da un angolo acuto un poco in disparte in una stanza, presso una tavolata, seduto in un giardino dove gli altri ballano al ritmo di una musichetta insulsa e decisiva che fa da colla di pesce per una faccia che si appunta a spilli sul diaframma del petto.»


«Gli innamorati pregano con una parola sola, un nome. Non lo scrivevo, non lo pronunciavo, non dovevo compromettere il segreto lasciando tracce.»

«Guardò in cielo il maestrale che strapazzava nuvole mostrando azzurro negli strappi.»


«"Voglio tentare di stare con te. Voglio credere che è possibile, anche se non per ora, anche da lontano. Ho bisogno di aspettare qualcuno che non somigli a nessuno e tu sei questo".»

«"Fai bene a informarti sul recente passato, è un tuo diritto e anche un interesse che altri tuoi coetanei non hanno. Però ho l'impressione che tu non lo faccia in modo sano. Insomma è buffo dirlo, ma mi sembra che tu voglia intervenire sul passato per correggerlo. Tu lo critichi con l'intento di cambiarlo, ma non si può. Nemmeno un Dio può più farci niente. E' già molto proteggere il presente dagli sbagli, non fare un male da dover riparare.»

lunedì 2 marzo 2020

Recensione di "Mancarsi" di Diego De Silva


Buongiorno amici e ben ritrovati in questo piccolo spazio personale e un po' letterario. Sono felice di poter dire che, dopo ormai qualche anno, la saga di Sàkomar continua ad avere lettori e questo non può che farmi piacere, in seguito alla notifica di vendita da parte di Youcanprint. Significa che, nonostante la poca esperienza, sono riuscita a dar vita ad alcuni personaggi della letteratura fantasy con un carattere e una storia ben definiti.

In questa giornata piuttosto ventosa, con tanto di cielo grigio che, invece di affacciarsi sul periodo primaverile, rinvia echi di un inverno che forse non c'è mai stato, mi ritrovo a scrivere qui di un ultimo libro che ho letto. Un libro composto di poche pagine, ma di molti concetti: si tratta di "Mancarsi" di Diego De Silva.
Non conoscevo l'autore, non conosco le altre sue opere, eppure il titolo ha attirato la mia attenzione. "Mancarsi", cosa evoca? Sicuramente nostalgia, assenza improvvisa di una persona che ha suscitato sentimenti forti.


Trama: Nicola e Irene non si conoscono e non sanno di avere almeno due cose in comune. La prima è il bistrot dove ogni giorno si concedono un po' di solitudine, per osservare la gente o semplicemente lasciarsi assorbire dai propri pensieri. La seconda è una mancanza, l'amore. Entrambi, infatti, si sono lasciati un matrimonio alle spalle: Irene ha capito di non amare più suo marito e se n'è andata, Nicola è rimasto vedovo prima che la distanza accumulata negli anni tra lui e la moglie li consegnasse a una tollerabile infelicità. Sarebbero perfetti l'uno per l'altra, se s'incrociassero anche solo una volta...
Attraverso il racconto die due esistenze che sembrano destinate a scorrere parallele, De Silva ci regala un'opera dai toni intimi, conducendoci nel territorio misterioso della nostalgia, dove il rimpianto per il passato si sovrappone al desiderio e alla speranza per ciò che deve ancora accadere.


"La perfetta storia d'amore di due persone che si sfiorano senza incontrarsi mai": questa la frase scritta sul retro della copertina, un concetto che mi ha conquistata.
Quante volte mi sono soffermata a pensare: "E se la persona giusta per me fosse nella mia stessa stanza, ma non riuscissimo ad avere un contatto? Quante volte ci siamo visti, senza soffermarci mai? Magari i nostri sguardi si sono persino incrociati... Le nostre vite continuano a scorrere, inconsapevoli l'uno dell'esistenza dell'altro, eppure con un granello di speranza racchiuso nei secondi che passano".
E' la probabilità, quel concetto che meraviglia, affascina, a volte stupisce. "Io e te... avresti mai pensato di essere qui, in questo momento, con me? Non ti avrei mai immaginato, ma d'improvviso è accaduto". Frasi simili, ascoltate solo nei film, eppure capita di pronunciarle a volte... in quelle volte in cui l'amore ti sfiora e ti suggerisce di lasciarti andare alle emozioni. Questa riflessione per introdurre alla recensione vera e propria. 
Irene, come già riportato nella trama, vive ormai quella monotonia del rapporto matrimoniale: un'infelice felicità abitudinaria, quasi una condanna. Si è anullata, i suoi desideri, i suoi obiettivi non esistono più, mentre recita la parte della moglie perfetta. Da quando accade neppure lo ricorda. 
Prova affetto verso il marito, ma un sentimento simile non basta a tenere in piedi un matrimonio. Alcune unioni procedono velate d'apparenza, spesso per non far ricadere tutto sui figli che finiscono che ricoprire il ruolo di collante. Non ridono più Irene e suo marito e nemmeno riescono a dirselo, pur essendone terribilmente consapevoli. Non si divertono, non c'è sintonia.


Nicola, invece, crede sia venuto il momento di chiedere a sua moglie di provare ad avere un figlio. Trova il coraggio, ci riesce e si sente rifiutato. Già la richiesta esclusiva da parte di Nicola fa riflettere: non è un desiderio condiviso e tanto basta per comprendere la totale mancanza di dialogo tra le due parti. Anche loro sono caduti nell'abitudine: si recano al bistrot, sempre lo stesso tavolo, solito menù, provano a scambiarsi i propri pensieri finendo per litigare. Non sono più sulla stessa lunghezza d'onda. E poi un giorno, la moglie di Nicola muore, investita mentre era in bicicletta e tutto rimane così sospeso a mezz'aria: parole spezzate tra i denti (citando Laura Pausini in "Bastava"), desideri mai realizzati, progetti rimasti incompiuti. Una strana mancanza assale Nicola, anche se è ben presente la consapevolezza di una vita che non avrebbe potuto proseguire così.
Intanto Irene vuole riprendersi la propria esistenza, provando a rimettersi in gioco. E' così che a volte fanno le donne: si lasciano tutto alle spalle e, stupidamente, si sentono in dovere di poter riassumere autostima giocando a fare le "conquistatrici seriali". In quel bistrot, lo stesso di Nicola, Irene si siede e attende. Attende quell'uomo che la guarda e ci prova ammiccando; l'altro - che nonostante la presenza della fidanzata - le detta il numero di cellulare; oppure il Valerio Valente della situazione, uomo scialbo, più giovane, impacciato, che alla fine è come tutti gli altri. E Irene ci sta, vuole provare a conoscere meglio se stessa, a comprendere se è una donna da "una storia leggera tanto per divertirsi e via". Ma quella sensazione di aver fatto una cosa che non le appartiene si fa strada in lei il mattino successivo, quando si sveglia accanto a un uomo che conosce a malapena e verso cui non prova assolutamente nulla.
Il bistrot la salverà, quel luogo la salva sempre. Ed è forse lì che il destino l'attende, con il volto di un uomo riflessivo, seduto al tavolo dove solitamente siede lei. Non alza subito lo sguardo, ma appena lo fa, accade qualcosa di diverso. E' allora che un'esistenza di possibilità si apre nuovamente, in un finale ancora da scrivere.


Il filo rosso del destino esiste, lo so anche io per certo da un po' di tempo. Prima non ci credevo. A volte unisce le persone apparentemente più sbagliate, o quelle che non potrebbero avere la minima probabilità di incontrarsi, se solo tutto scorresse in maniera monotona. Ma c'è sempre quel "quid", che non sappiamo definire, a mescolare le carte e le vite. 
Se Irene e Nicola si fossero incontrati molto prima, forse l'esistenza di entrambi sarebbe stata felice sin dal principio. Le cose, invece, sono andate diversamente: due matrimoni falliti alle spalle, sofferenze, incertezze, anche se indubbiamente ci saranno state parentesi di "accettabilità". Ma non è su quest'ultima che si fonda un legame.
Come si suol dire, Irene e Nicola erano forse le persone giuste al momento sbagliato; solo quando quell'istante è mutato, allora il destino le ha fatte incontrare... quel destino che era dietro l'angolo e attendeva paziente, quello stesso destino che, a volte, assume semplicemente fattezze umane. Bisogna solo saperlo riconoscere.

Un libro di 88 pagine carico di riflessioni, un libro che non mi pento di aver acquistato sull'onda dell'emozione. Grazie all'autore per aver condiviso tutto ciò con noi lettori.


"Vogliamo che la persona che amiamo ci dica d’essersi innamorata di noi perché un giorno, senza neanche pensarci, l’abbiamo toccata in un punto in cui non sapeva di essere sensibile, come certe carezze che arrivano molto in fondo per conto loro."

"E il peggio che ti può capitare, quando ti abitui a vivere in un mondo ridotto a una persona soltanto, è di pensare di avere abbastanza mondo per essere felice, addirittura diventarlo, e così raccontarti che nel resto del mondo, tutto quell'altro mondo che non è lei, non vuoi neanche più andarci; infatti non ci vai, e dopo un po' ti senti persino fiero di aver smesso di frequentarlo, quel mondo così vasto, anche se poi quando viene a girare dalle tue parti o lo vedi dalla finestra ti sale un po' di magone, e te ne torni dentro mordendoti le labbra."

"C'innamoriamo di minuzie, di riflessi in cui vediamo l'altra persona come pensiamo che nessuno l'abbia vista e mai la potrà vedere, e custodiamo questi attimi di unicità in forma d'immagine, anche se negli anni sbiadisce; ma è a quell'immagine che chiediamo aiuto quando il nostro sentimento vacilla e dubitiamo di amare, allora la richiamiamo, e ci basta (quando ancora l'immagine è viva) ritrovare quel modo di bere a canna, tenendo la bottiglia distante dalle labbra, perché l'amore torni a insinuarsi e si riaccenda, rimettendo a posto le cose, disponendole intorno a noi nell'ordine rassicurante in cui ci siamo abituati a vivere, e ci lasci dove siamo, reprimendo di schianto i progetti di fuga a cui avevamo già cominciato a lavorare".


venerdì 14 febbraio 2020

Recensione di "Perché l'amore qualche volta ha paura" di Guillaume Musso

Sono le 24.00 passate. E' tardi, lo riconosco... tardi per le "persone normali", non per la sottoscritta che ha sempre studiato e ricercato fino alle prime ore della notte, quando la luna era ormai alta nel cielo e le stelle rischiaravano la città silenziosa.
Sto ascoltando la nuova canzone di Francesco Gabbani, "Viceversa", portata sul parco dell'Ariston di Sanremo. Le sue parole mi risuonano in testa e non riesco a pensare altro se non a "questa è una poesia". Francesco Gabbani narra l'amore nel senso più ampio del termine, come un qualcosa di perfetto nella sua imperfezione, nei litigi che avversano una coppia, ma anche nello scambio di tenerezza e di dolcezza che nasce dai baci e si espande attraverso le carezze e gli abbracci. Parla di quell'amore che tutti, almeno una volta nella vita, dovrebbero provare a vivere... anche se non a ognuno, purtroppo, è concesso questo grande dono.

In ogni caso, buonasera o buonanotte, come preferite. Nel primo pomeriggio di ieri ormai, ho preso in mano l'ultimo libro che avevo in lettura e ho terminato di sfogliare le sue pagine. Si tratta di "Perché l'amore qualche volta ha paura" di Guillaume Musso. Mi aveva attratta il titolo... perché è vero, l'amore a volta ha paura, ma fa anche paura. E la paura di lasciarsi andare a un sentimento così raro (non parlo di infatuazione o di passione, ma di amore vero), spesso congela per sempre le migliori storie tra due persone plasmate l'una per l'altra.
Poi è accaduta un'altra cosa nel mio processo di "conoscenza" con il libro: ho deciso di leggere qualche riga random. Potevo rimanere indifferente alla storia di un ladro d'arte e di un poliziotto impiegato nell'OCBC francese, ovvero il reparto destinato a combattere i crimini contro il patrimonio culturale? Forse era semplicemente destino e l'ho acquistato.


Trama: Gabrielle ha due uomini nella sua vita. Uno è suo padre. L'altro il suo primo amore. Uno è un famoso poliziotto. L'altro un imprendibile ladro. Anni fa li ha persi entrambi. Ma il destino ha deciso di farglieli incontrare di nuovo. I due uomini si conoscono, si odiano e si sfidano a morte. Gabrielle si rifiuta di scegliere fra loro. Vorrebbe proteggerli, farli riappacificare e amarli entrambi. Ma ci sono duelli da cui non si può uscire vivi. A meno che. Dai tetti di Parigi alla romantica San Francisco, un primo amore che illumina una vita intera, una storia avvincente, piena di suspense e di magia.


Prima di cominciare, vorrei avvertire che, nonostante abbia fatto molta attenzione, potrebbe essere sfuggito qualche elemento considerabile come SPOILER.

Tutto ha inizio nel 1995. Gabrielle e Martin sono due studenti universitari. Si conoscono, innamorandosi perdutamente l'una dell'altra. Martin, però, è francese e deve tornare a Parigi. Pur avendo rimandato la partenza, alla fine arriva quel triste momento in cui dirsi addio. Mentre Gabrielle rimane a S. Francisco, Martin prosegue a pensare a lei, escogitando un solo modo possibile per rivederla: darle appuntamento, magari a New York, il 24 dicembre. Quel giorno, però, Gabrielle non si presenterà, segnando per sempre il futuro sentimentale del giovane.


Anni dopo, Martin è ormai un poliziotto. Dopo un periodo trascorso nella narcotici a combattere lo spaccio di droga, ha deciso di essere trasferito nell'OCBC - Office central de lutte contre le trafic de biens culturels - dove da anni dà la caccia ad Archibald, abile ladro di opere d'arte.
L'ultimo colpo, diretto all'autoritratto di Van Gogh, è stato completamente monitorato da Martin, fino ad arrivare a un inseguimento per le strade di Parigi che ha condotto il poliziotto a precipitare in acqua con una copia del dipinto, abilmente scambiata dal ladro.


Archibald è diventato per Martin il vero e proprio obiettivo e, allo stesso tempo, per Archibald è Martin ad essere il fine ultimo dei suoi furti: lui vuole farsi seguire. Ma perché?
La vita, a volte, è talmente assurda che, nonostante i mille giri che ti costringe a fare, riuscirà ad intrecciare i fili con quelli di altre persone che sembrano "destinate" ad incontrarti. Ed ecco che Archibald è in realtà il padre che Gabrielle non ha mai conosciuto. Questo Martin non lo sa quando, ancora sulle tracce del ladro, si ritrova a S. Francisco... tornando per caso a specchiarsi negli occhi della ragazza che, tanti anni prima, gli aveva fatto battere il cuore.
Il destino ha ancora in serbo per Gabrielle, Archibald e Martin ulteriori colpi di scena che termineranno con un finale in uno stile che echeggia Lost (chi ha visto la serie fino all'ultima puntata, sa di cosa stia parlando).


Complessivamente il romanzo non mi è dispiaciuto. E' stata una lettura scorrevole, ma a volte un po' scontata. Ho apprezzato molto il fatto che Martin fosse un poliziotto di un reparto speciale dedicato all'arte, cui di solito non si fa mai riferimento nella narrativa. Si nota anche quanto l'autore si sia informato a riguardo prima di costruire un background di uno dei suoi protagonisti... eppure come poliziotto dell'OCBC non è troppo credibile. Martin riesce a farsi scappare il ladro dopo aver monitorato le sue mosse per ore; riesce a farlo fuggire quando potrebbe farsi aiutare da una squadra di colleghi che era giunta sul posto; riesce persino a farsi "mollare" un grandioso dipinto falso... tant'è che mi sono ritrovata a dire "non era meglio che rimanessi nella narcotici, caro Martin? Forse l'OCBC non fa per te".
Critiche a parte sul mestiere, credo che la narrazione sia stata eccessivamente incentrata su Archibald, tralasciando un bel po' il passato di Martin ad esempio (si capisce bene come abbia trascorso un'infanzia e un'adolescenza difficili, ma il lettore non ha ulteriori dettagli in merito), così come quello di Gabrielle della quale vengono sottolineati solo pochi episodi salienti.
Il filo "rosa" che lega tutti loro, essendo io stessa una romantica di fondo, l'ho trovato molto intrigante. Il fatto che esista una sorta di "predestinazione" tra anime affini mi ha affascinata (probabilmente perché ho potuto effettuare confronti reali dentro di me...), così come l'esistenza di quella seconda possibilità che la vita a volte ci offre per poter raggiungere chi amiamo veramente.


Inoltre, l'autore propone una visione di quello spazio, o limbo, collocato a metà strada tra la vita e la morte (alcuni dei protagonisti si trovavano in uno stato di coma) che è del tutto particolare. Ripeto, mi ha ricordato Lost, ma è ancora diverso: Musso ipotizza un grande aeroporto da cui si può uscire esclusivamente imbarcandosi su un aereo diretto verso la vita, o verso la morte. In queste immense sale d'attesa si incontrano anime che, per un motivo o per l'altro, si sono incrociate nella realtà, ritrovandosi a condivere momenti decisivi per un futuro che nessuno conosce.  
Infine, l'amore tra Gabrielle e Martin che resiste al tempo, alle avversità, alle casualità e alle sfide mi sembra surreale, ma forse per questo magnifico; allo stesso modo, Archibald, ladro gentiluomo, ancora perdutamente innamorato di Valentine - madre di Gabrielle - mi ha trasmesso tanta tenerezza.
In sintesi, "Perché l'amore qualche volta ha paura" è un bel libro, ma sinceramente mi sarei aspettata qualcosa in più.
Termino con qualche estratto che ho amato particolarmente.

«Era scettico su molte cose, ma credeva nelle virtù terapeutiche dell'arte; era convinto che attraverso la cultura si potesse ricostituire l'immagine di sé e confidava nel potere resiliente della creatività».

«Martin comprese allora che né il tempo né la distanza avevano affievolito il suo amore. Ma un amore che fa soffrire da morire è davvero amore?».

«[...] Perché la propria anima gemella può essere nel contempo la propria anima dannata».

«Alla fine Martin aprì la bocca per dire quello che aveva in cuore: "Il guaio è la solitudine generata dal dolore. E' quella che ti uccide a poco a poco, che ti isola dagli altri e dal mondo. E che risveglia tutto ciò che c'è di peggio in te". Gabrielle non cercò di eludere la discussione. "Amare è sempre pericoloso, Martin. Amare significa sperare di vincere tutto rischiando di perderlo e significa anche, a volte, accettare il rischio di essere meno amati di quanto si ami"».

«[...] Perché fa paura essere amati. Perché la vita è complicata e troppo spesso si diverte a mandarti la persona giusta al momento sbagliato».


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