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mercoledì 19 aprile 2017

Recensione di "Il nostro amore è per sempre" di J. Patterson e E. Raymond

Buonasera amici! E' tardi, è mezzanotte passata, ma dopo le feste sono (forse) un po' più riposata da riuscire a tenere gli occhi aperti almeno per qualche minuto oltre il consueto crollo in stile Bella Addormentata (senza Principe Filippo).
Eccomi qui, dunque, a scrivere la recensione di "Il nostro amore è per sempre" di James Patterson in collaborazione con Emly Raymond.
Ero uscita da una delle mie assurde mattinate di ricerca in biblioteca e le mie gambe mi hanno di nuovo condotta in una libreria. Non ne ho potuto fare a meno. Mi piace scorrere qualche titolo, vedere quali siano le nuove uscite, i romanzi più recensiti e consigliati, e anche quelli incartati (parlo di LaFeltrinelli). Come sempre, ero ispirata da una decina di titoli che si aggiravano tutti sui 15 euro di copertina, prezzo un po' elevato per i miei ultimi standard. Ho preferito guardare tra gli economici. Alla fine, copertina rigida o copertina morbida non fa differenza: quel che conta si trova tra le pagine.
Ed ecco qui che mi sono ritrovata tra le mani "Il nostro amore è per sempre".


Trama: Axi Moore è una «brava ragazza»: studia, è riservata e non dice a nessuno che il suo desiderio più grande è scappare da tutto. L’unica persona con cui si confida è Robinson, il suo migliore amico, di cui, anche se non lo ammetterebbe per nulla al mondo, è anche pazzamente innamorata. Senza di lui non avrebbe senso fare quel che sta per fare: partire per un viaggio on the road. Di nascosto dal padre, abbandonando la scuola a poche settimane dagli esami. Solo Robinson può capire veramente il senso di questa esperienza. E con Robinson il viaggio si trasforma in una grande avventura, al suono delle musiche che amano, alla luce delle strade che percorrono, al ritmo dei loro cuori che battono. Un’avventura che sfugge a ogni regola e anche al loro controllo. Un’avventura indimenticabile… Intenso, romantico, emozionante, «Il nostro amore è per sempre» parla al nostro cuore. Tutti conosciamo la forza dirompente del primo amore.

Non voglio passare per una persona insensibile o sempre critica, ma devo dire che da questo romanzo mi aspettavo: 1. un'altra storia; 2. qualcosa di meglio, almeno nella prima parte.
La storia è raccontata da Axi, la brava ragazza che decide di infrangere le regole e di partire alla scoperta di quei luoghi che ha sempre desiderato visitare. Nella sua avventura si fa accompagnare dal suo migliore amico, Robinson, che per nulla al mondo lascerebbe.


Inizia così un viaggio scatenato, che vede i due fuggire dalle catene di una piccola realtà, rubando moto, auto e pickup per poter attraversare più rapidamente quegli immensi stradoni americani.


Las Vegas, Detroit, San Francisco, il bosco di sequoie... tantissimi luoghi che Axi aveva solo sognato si materializzano sotto i suoi occhi. Ed è insieme a Robinson perché è questo che nel suo cuore conta davvero. 


Proprio quando però i sentimenti si rivelano in tutta la loro intensità, c'è qualcos'altro, infido e sotterraneo che rovina ogni cosa... il futuro e le speranze sembrano vane. Allora forse si comprende quell'ansia di vivere, quella voglia di libertà, di essere scalmanati e di non pensare troppo. Quella volontà di prendere al volo ogni occasione perché potrebbero non esserci molte altre probabilità per vivere tutto questo più di una volta.


Il romanzo è diviso in due parti. Nella prima non ho percepito molto, a parte l'irruenza tipica degli adolescenti. Quella voglia di fare, di andare, di lasciarsi tutto alle spalle tanto il mondo proseguirà a deludere... Avrei preferito però una maggior descrizione di luoghi visitati, una narrazione dettagliata delle sensazioni provate, cosa che invece non ho trovato tra quelle pagine. Sono sincera se dico che mi stavano anche un po' annoiando, se non fosse che ero pervasa dalla curiosità di conoscere l'interario completo.


La seconda parte si risolleva, esclusivamente perché il tragico avvenimento che coinvolge i due protagonisti conferisce senso alla fuga apparentemente immotivata della prima parte. E' allora che subentra il pathos, la sofferenza, la caducità della vita, la riflessione. Elementi questi che, a mio avviso, avrebbero potuto essere inseriti più armonicamente nello svolgimento della storia, senza effettuare un distacco così netto tra le due parti della narrazione. Nella seconda, infatti, ci sono pensieri e parole che appaiono di una maturità nettamente superiore e non attribuibile all'età dei due ragazzi.
Tuttavia, è un romanzo da leggere, certamente non il migliore di cui abbia sfogliato le pagine negli ultimi mesi, ma abbastanza bello. Ho segnato alcune frasi che mi sono piaciute... eh sì, perché anche io sono un un tantino romantica dietro questa scorza da dura.

<< Avrei avuto tutto quel che il denaro può comprare, ma non sarebbe stato come avere tutto quel che desideravo. Non ci sarebbe andato nemmeno vicino.>>


<<[...] non riuscivo nemmeno a trovare le parole per dire a un ragazzo che ero innamorata di lui. Che quando lo guardavo negli occhi mi sentivo annegare e salvare, nello stesso tempo. Che, se avessi dovuto scegliere tra morire domani e vivere il resto della mia vita senza di lui, avrei seriamente pensato di scegliere la morte immediata. Ero spaventata da quello che provavo. Ma era solo per questo che mi risultava così difficile dirglielo? Oppure temevo di non essere corrisposta? Sì, era decisamente questo a spaventarmi di più.>>


<<C'era un'altra cosa di cui non avevo tenuto conto ed era la possibilità di innamorarmi, velocemente e irrevocabilmente come si precipita da una scogliera, e accorgermi che amare qualcuno poteva significare aver voglia contemporaneamente di picchiarlo e abbracciarlo, e magari anche doverlo veder morire. No, di questo non avevo tenuto conto.>>

Al momento è tutto. La prossima lettura sarà "La signora dei gelsomini" di Corina Bomann. Vedremo dove mi condurrà stavolta l'autrice tedesca. Buona notte! 

martedì 11 aprile 2017

Ricercando... a Torino!

Buonasera lettori! Come state? Io sono tornata da un breve viaggio a Torino, mirato essenzialmente a consultare alcuni documenti in archivio. Certo, le ricerche sarebbero molto più belle se fossero pagate, ma in un momento come questo la "retribuzione" sembra essere il privilegio di pochi.
Ad ogni modo, si prosegue, non so per quanto ancora, ma si va avanti.
Ho avuto quindi l'occasione di visitare un po' Torino. Ho sicuramente perso i monumenti più belli e interessanti come Palazzo Madama e la Basilica di Superga, ho dovuto - mio malgrado - "saltare" il Museo del Cinema e il Lingotto, ma avrò un buon motivo per tornarci e visitare il tutto con calma.


Il primo giorno sono andata al Museo Egizio. Per un'archeologa e, soprattutto, appassionata dell'Egitto come me (alcuni sostanziosi scaffali della mia libreria sono occupati da volumi sulla terra dei Faraoni), è stata una tappa obbligata. L'ho trovato davvero splendido, sia per organizzazione che per esposizione; risulta, a mio avviso, magnifica l'apertura del magazzino musealizzato, seguendo FINALMENTE il modello estero.


Avevo studiato sui libri di museologia l'allestimento delle stanze buie con illuminazioni studiate ad hoc, in modo che le statue risaltassero e devo dire che, viste dal vivo, sono veramente spettacolari.


Ho però due piccoli appunti da fare:
- le didascalie bianche su sfondo trasparente (è il caso delle vetrine) sono completamente invisibili. Ho fatto molta fatica a leggere e mi sono dovuta avvicinare parecchio. Sarebbe più opportuno usare caratteri di un altro colore oppure inserire uno sfondo più scuro esclusivamente nella zona interessata dalla descrizione del reperto.
- il percorso visita mi è sembrato un po' troppo dispersivo. I reperti esposti sono tantissimi e le sale sono automaticamente numerose. La guida interattiva compresa nel prezzo di biglietto è un'ottima cosa, ma non basta selezionare il percorso tramite quello strumento. Si potrebbe creare un percorso fisico vero e proprio, con chiusure e frecce per far defluire il pubblico nella direzione desiderata.
Per il resto, nulla da dire. Solo tanti complimenti allo staff del museo e al direttore, Christian Greco, attualmente impegnato in missione. Il Museo Egizio di Torino è davvero uno splendore Italiano.


La prima giornata è poi proseguita con una lunga passeggiata verso via Garibaldi, ricca di negozi, dove ho potuto assaggiare gli agnolotti, specialità piemontese.


Durante la seconda giornata, ho dedicato la mattinata alle mie ricerche d'archivio, mentre fuori diluviava. Uscita di lì, però, la pioggia non ha accennato a diminuire. Sotto le gocce sempre più fitte, sono andata a visitare il Duomo, recandomi davanti la teca dove è conservata la Sindone, per poi uscire e dirigermi verso la Porta Palatina.




E' stata necessaria la pausa pranzo per riprendere energie utili a raggiungere la Mole Antonelliana.
Non ho visitato però il Museo del Cinema. Ci avrei impiegato tutto il pomeriggio e, con poco tempo a mia disposizione, avrei voluto vedere anche altri angoli della città, nonostante mi sia dispiaciuto molto.


Sono salita sull'ascensore e... beh, per una come me che soffre di vertigini la salita non è stata molto piacevole, anzi, direi di aver provato un misto di emozioni: paura e al contempo meraviglia per quell'architettura gigantesca all'interno della quale sembrava di volare. Forse potrei indicare il tutto con il concetto di "sublime", per dirlo alla Kant. La vista da lassù è stata però spettacolare: le Alpi innevate circondavano strade dritte e palazzi usciti da un'altra epoca, come se la realtà si fosse fermata; il giardino del Palazzo Madama spiccava stendendosi in una verdeggiante area palpitante nel cuore della città; il Po' era un corso argentato che luccicava sotto i timidi raggi di un freddo sole coperto dalle nuvole; infine, dall'alto, la Basilica di Superga sembrava vegliare in lontananza.


Dopo aver trascorso un bel po' di tempo a contemplare il panorama (neanche fossi il Viandante sul mare di nebbia di C. D. Friedrich), sono uscita dalla Mole e ho proseguito verso piazza Vittorio Veneto dove, in teoria, sarebbe dovuto passare un bus per arrivare alla chiesa di Santa Maria del Monte dei Cappuccini. La poca praticità ha fatto sì che il tram fosse quello sbagliato. Abbandonata perciò momentamente l'impresa, ho visitato la chiesa della Gran Madre di Dio, dalla cupola incredibilmente simile sia a quella del Pantheon che a quella della chiesa di San Bernardino alle Terme di Diocleziano a Roma. Al suo interno è ospitato il Larario dei caduti della prima guerra mondiale.


Si era ormai fatta una certa ora e se c'è una cosa che ho imparato è che è a Torino gli orari non sono affatto come quelli romani: verso le 19:30 i bar iniziano a proporre gli aperitivi e già verso le 21:30 molti locali sono chiusi, a meno che non si tratti di ristoranti un po' altolocati. Lo stesso Mc Donald's era praticamente vuoto già alle 21:15. Questo fatto mi ha sinceramente sopresa.
Passeggiando perciò nel giardino La Marmora, ricco di coloratissime viole, sono tornata in hotel.


Il terzo giorno, mappa alla mano e navigatore sul cellulare, ho preso il bus giusto per andare a visitare la chiesa dei Cappuccini.


La salita è veramente ripida, ma in compenso il panorama è magnifico. C'era pure una mongolfiera vicino alla Mole quella mattina.


All'interno della chiesa, ho notato un altare dedicato a S. Botonto, martire bambino, sepolto sulla via Nomentana nelle catacombe di S. Agnese. Ammetto la mia ignoranza perché non conoscevo proprio il suo culto. Accanto alla chiesa, vi è il museo Duca degli Abruzzi, dedicato alla montagna e direi per "specialisti" delle alture.
Un altro giro sul tram mi ha velocemente condotta fuori dal centro della città per visitare il magnifico Parco del Valentino, una vera e propria oasi di verde che si sviluppa sulle sponde del Po', pulite e valorizzate (qui a Roma, per il Tevere sembra ormai una pura utopia...).



Camminando, ho passeggiato per le viuzze del cosiddetto Borgo Medievale, una riproduzione molto carina di case medievali eseguita nel 1884 per l'Esposizione Generale Italiana.



Il treno ripartiva però alle 16:30 e mi sarebbe sinceramente piaciuto rimanere anche solo un giorno in più, ma Roma chiamava e gli impegni anche. Sono felice però di aver potuto visitare una città che merita sicuramente un secondo viaggio. Alla prossima, mia cara Torino!


p.s. le foto sono TUTTE di MIA esclusiva proprietà. Ne detengo perciò ogni diritto.

domenica 26 marzo 2017

Recensione di "Dopo di te" di Jojo Moyes

Buonasera a tutti amici e buona domenica!
E' tornata l'ora legale... non che sia felice di aver dormito un'oretta in meno, ma almeno le giornate sembrano più lunghe e, forse, regalano un briciolo di allegria in più.
La mia ultima lettura è stata "Dopo di te" di Jojo Moyes. E' difficilissimo esprimere la propria opinione dopo aver letto il primo romanzo, visto il film (con lacrime annesse... e a me non capita MAI!) e aver amato profondamente Will Traynor...
Andiamo a scoprire la copertina e la trama, poi intraprenderò quest'ardua impresa.


Quando finisce una storia, ne inizia un'altra. Come si fa ad andare avanti dopo aver perso chi si ama? Come si può ricostruire la propria vita, voltare pagina? Per Louisa Clark, detta Lou, come per tutti, ricominciare è molto difficile. Dopo la morte di Will Traynor, di cui si è perdutamente innamorata, si sente persa, svuotata. È passato un anno e mezzo ormai, e Lou non è più quella di prima. I sei mesi intensi trascorsi con Will l'hanno completamente trasformata, ma ora è come se fosse tornata al punto di partenza e lei sente di dover dare una nuova svolta alla sua vita. A ventinove anni si ritrova quasi per caso a lavorare nello squallido bar di un aeroporto di Londra in cui guarda sconsolata il viavai della gente. Vive in un appartamento anonimo dove non le piace stare e recupera il rapporto con la sua famiglia senza avere delle reali prospettive. Soprattutto si domanda ogni giorno se mai riuscirà a superare il dolore che la soffoca. Ma tutto sta per cambiare.
Quando una sera una persona sconosciuta si presenta sulla soglia di casa, Lou deve prendere in fretta una decisione. Se chiude la porta, la sua vita continuerà così com'è: semplice, ordinaria, rassegnata. Se la apre, rischierà tutto. Ma lei ha promesso a se stessa e a Will di vivere, e se vuole mantenere la promessa deve lasciar entrare ciò che è nuovo.
Questo romanzo appassionante e mai scontato è l'attesissimo seguito del bestseller internazionale Io prima di te. Jojo Moyes ha deciso di scriverlo dopo che per tre anni è stata letteralmente sommersa dalle lettere e dalle e-mail di lettori che le chiedevano che fine avesse fatto l'indimenticabile protagonista Lou.


Prendo un bel respiro e inizio scrivendo che è un romanzo che mi è piaciuto, l'ho amato (meno del precedente, ma ha fatto comunque centro nel mio cuore) nonostante il suo sapore agrodolce.
Louisa Clark, dopo un anno e mezzo dalla scomparsa dell'indimenticabile Will, non ha mantenuto la promessa fatta. Ha viaggiato, si è comprata una casetta a Londra, ma la sua vita non è cambiata più di così. Lavora in un bar dell'aeroporto e ogni giorno vede gente che parte e torna in patria, con una sorta di malinconia che la pervade. Lou non riesce ad andare avanti. Il passato, quel tremendo e scottante sentimento con nome e cognome, non c'è più, eppure lei sente ancora la sua voce, il suo profumo, percepisce la sensazione di averlo vicino. La verità è che Will ha lasciato un vuoto incolmabile nell'animo di Lou e lei ha timore di perdere il suo ricordo lasciandosi andare e aprendo il suo cuore a una qualsiasi altra persona.


Una sera, in cima alla terrazza di casa, Lou riflette, pensa, osserva Londra e si chiede il perché di tutto quel che è accaduto, ma ha bevuto troppo.. perde l'equilibrio e cade giù. L'ultima immagine che vede è quella di una ragazza sul terrazzo di casa sua... poi vi è l'ambulanza, il sangue e il paramedico dal sorriso rassicurante e dalle braccia forti.
Ho avuto paura a proseguire la lettura. Non volevo che anche a Lou capitasse, disgraziatamente, di rimanere su una sedia a rotelle, ma la nostra protagonista è forte e, nonostante le ossa rotte, si riprende. C'è solo da capire chi fosse quella ragazza, perché non è stato un miraggio o un'allucinazione. Quella ragazza era lì con lei e le aveva persino parlato. Nessuno sembra crederla, anzi, coloro che la circondano pensano si sia gettata volontariamente dalla terrazza a causa del dolore per Will, finché un giorno quella ragazza con le lentiggini e gli occhi azzurri si presenta alla sua porta sconvolgendole la vita. E a tutto ciò si aggiunge un uomo speciale che, con tanta dolcezza, forse farà tornare a vivere Louisa Clark.


Vorrei dire davvero molto di più, ma non posso. Rovinerei tutta la suspense. Quel che è certo è che lo consiglio assolutamente. Forse in un primo momento, qualche delusione l'avrete (anzi, ci sarà sicuramente se avete amato "Io prima di te"), ma imparerete ad apprezzare le svolte nella vita di Lou, la sua grande forza d'animo e la volontà di poter ricominciare nonostante tutto.
Lou è come una farfalla che improvvisamente aveva deciso di tornare nel proprio bozzolo, nascondendo i magnifici colori delle proprie ali. Eppure, l'inverno fortunatamente non è eterno, A volte la primavera bussa semplicemente alla porta di casa.
Una cosa però posso anticiparla: se avete avuto in antipatia Treena, sono sicura che la detesterete in questo volume. E' sempre più saccente, come se Lou dovesse fare da serva e portare a casa denaro... come se un figlio con uno sconosciuto fosse una disgrazia capitata dal nulla. Lou rimane sempre troppo buona. Una bella litigata con la sorella me la sarei fatta, solo per chiarire le cose: a ognuna la sua vita, a ognuna le proprie responsabilità.
Per il resto, godetevi questa lettura e tornate a far battere il cuore sulle frequenze giuste, tanto più che molto probabilmente l'autrice è pronta a regalarci la terza avventura di Louisa Clark.


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