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domenica 4 febbraio 2024

Recensione di "Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano" di Eric-Emmanuel Schmitt

Buonasera e buona domenica, amici lettori! È così bello per me tornare sul blog un po' più di frequente. Significa che leggo molto e, quindi, rispetto i libri.

Oggi vi porto a Parigi, a Rue-Bleue, dove vive Mosé, un ragazzino ebreo, e dove lavora monsieur Ibrahim, il cosiddetto "arabo", che in realtà è solo musulmano.


Trama: Nel breve intreccio di strade di un popolare quartiere parigino dove i nomi delle vie hanno il sapore delle favole (rue Bleue, rue de Paradis), l'adolescente Momo vive con un padre sprofondato in una silenziosa e fosca depressione. Nello stesso quartiere vive anche monsieur Ibrahim, l'unico arabo in una via "ebrea", titolare della drogheria dove Momo si reca a fare la spesa quotidiana e non esita ogni tanto a sgraffignare qualche scatoletta di conserva... "È solo un arabo, dopo tutto!" pensa Momo, e, con suo grande stupore, il vecchio Ibrahim sembra leggergli nel pensiero: "Non sono arabo, vengo dalla Mezzaluna d'Oro". Così comincia la storia d'amicizia, intessuta di ironia, candore e profonda saggezza, del ragazzo ebreo e dell'anziano "arabo" nell'incanto di un angolo di mondo nel quale le puttane sono belle e cordiali e si accontentano di un orsetto di peluche in cambio dei loro favori e dove, come portata da un sogno, compare addirittura Brigitte Bardot. Come in una favola o un apologo che non pretende di dare lezioni morali ma soltanto proporre un sogno da decifrare, i due protagonisti si incamminano verso il grande mondo, acquistano un'auto che nessuno dei due sa guidare e si dirigono verso Oriente, oltre Istanbul, verso una libertà che li fa inerpicare verso l'alto, guidati da quell'arte di sorridere alla vita racchiusa nei preziosi fiori del Corano.

L'incipit lascia già senza fiato per la sua brutalità: «A undici anni ho rotto il porcellino e sono andato a puttane».
Un bambino di 11 anni che va con le prostitute, quando quella è ancora l'età dei giochi e della spensieratezza. Ma di Mosé si saprà qualcosa solo leggendo le pagine, andando avanti.
Mosé è stato abbandonato dalla madre alla nascita e affidato al padre, un avvocato, che non sembra interessato a lui e che riesce a fare paragoni solo con il figlio maggiore, Popol, andato via con la moglie tanti anni prima. Mosé è una creatura invisibile, un bambino alla disperata ricerca di amore.
Ogni giorno si reca alla drogheria di monsieur Ibrahim, chiamato l'arabo: è qui che compra qualcosa con i pochi soldi che il padre gli dà per fare la spesa, ma spesso ruba delle scatolette. Mosé e Ibrahim si parlano poco, poi sempre più spesso, finché tra i due non nasce una certa amicizia. Scopriremo che Ibrahim non è arabo, ma musulmano e ha un negozio sempre aperto; Mosé, che Ibrahim chiamerà Momo, si affeziona e chiede a Ibrahim tutto ciò che, in teoria, avrebbe dovuto chiedere a suo padre.

Foto di StockSnap da Pixabay

Il bambino impara così a sorridere, a stringere un rapporto con altri ragazzi della sua età, a sentire un pizzico di felicità anche quando la vita gliene concede molto poca. E Ibrahim, il musulmano, diviene di fatto il padre adottivo del ragazzo. Anche quando tutto va in frantumi e l'esistenza di Mosé viene nuovamente sconvolta, è monsieur Ibrahim a prendersi cura di lui. Insieme viaggiano attraverso l'Europa, diretti a Istanbul e il loro legame si fa sempre più bello, esattamente come quello di un padre con un figlio. E il compito di un genitore è proprio quello di accompagnare il proprio figlio durante il viaggio, lasciandogli a un certo punto la mano quando ormai è in grado di cavarsela da solo.
Ma da dove deriva tutta la saggezza di monsieur Ibrahim? Questo personaggio dice sempre di conoscere ciò che c'è nel suo Corano, che forse non corrisponde esattamente al libro, ma al proprio cuore.

Soprattutto in un momento come questo, in cui le guerre imperversano, questo romanzo di Schmitt ha molto da insegnare. Cosa importa essere nati ebrei, o musulmani? O cristiani? O buddisti? Non è la nostra fede a dirci chi siamo, ma il nostro cuore. Mosé ha scelto Ibrahim come padre e Ibrahim ha scelto Mosé come figlio. Non avrebbero potuto essere più differenti, ma tant'è. Quale ruolo ha la fede religiosa dei due? Nessuno, assolutamente nessuno. Ha importanza il loro ruolo come esseri umani, che si rispettano e si amano.
Schmitt si focalizza anche su un altro punto: quello dell'amore assente e dell'amore presente. Un bambino, senza una guida, cerca amore anche dove non dovrebbe. Triste è doverlo pensare a ricercare abbracci e baci nei letti delle prostitute, cui lui ingenuamente regala il proprio orsetto. Un orsetto che simboleggia la fanciullezza, l'innocenza buttata via.
E ancora, si vuol sottolineare la difficoltà di essere genitori. Non tutti riescono a mantenere un impegno che, prima di essere biologico, coinvolge l'animo.
Infine, Schmitt restituisce una speranza a Mosé tramite l'incontro con Ibrahim. Il bambino impara a sorridere, lui che non sapeva nemmeno come si facesse. Con il sorriso, il mondo sembra meno minaccioso e il prossimo meno crudele.
Un libro da leggere per imparare qualcosa, o sarebbe meglio dire, molte cose importanti.
Vi lascio con alcune frasi e vi aspetto alla prossima recensione!

P.S. di questo libro è stato girato un film. Se siete curiosi, guardate qui: (link)

Immagine tratta dal film

«È troppo bello qui, monsieur Ibrahim, davvero troppo bello. Non è per me, non me lo merito»
Monsieur Ibrahim ha sorriso.
«La bellezza è dappertutto, Momo. Dovunque tu giri lo sguardo. È scritto sul mio Corano, questo.»

«Tuo padre non aveva modelli. Ha perso i suoi genitori da piccolo, presi dai nazisti e morti in un campo di concentramento. Tuo padre non aveva mai superato il fatto di essersi salvato. Forse si sentiva in colpa per essere rimasto vivo [...].»

«Ferma la macchina. Lo senti? C'è odore di felicità, è la Grecia. Le persone se ne stanno immobili, si concedono il tempo di guardarci passare, respirano. Vedi, Momo, nella mia vita avrò anche lavorato molto, ma ho lavorato lentamente, prendendomi il mio tempo, senza dannarmi l'anima per incassare di più o accaparrarmi i clienti, no. Il segreto della felicità è la lentezza, proprio così. [...]»

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