Buonasera amici e bentornati tra le bianche pagine di questo blog!
Con il ritorno delle belle giornate e, soprattutto, della tanto adorata ora legale, le passeggiate non mancheranno e con esse un buon libro per farci compagnia negli attimi di pausa.
Oggi vi parlo di "Tutti gli indirizzi perduti" di Laura Imai Messina, libro attorno a cui ho girato per alcuni mesi, finché non ho deciso di portarlo via con me.
Trama: Risa sbarca ad Awashima in un mattino freddo di primavera, con sé ha una sacca misteriosa gonfia di buste. L’isola è bellissima, piena di luce, ma si sta spopolando: le scuole chiudono e gli abitanti invecchiano. Eppure proprio lí c’è un minuscolo ufficio postale davvero unico. Raccoglie tutta la corrispondenza che, da ogni parte del Giappone e del mondo, viene imbucata ma non è possibile recapitare al destinatario. «Awashima è l’indirizzo che ha preso in carica tutti gli indirizzi perduti della terra». Risa si è offerta di catalogare le tantissime lettere arrivate in dieci anni all’Ufficio postale alla deriva (è questo il suo nome). Chi scrive al marito che non c’è piú, chi al proprio cuscino, chi chiede perdono a una lucertola a cui da bambino ha rubato la coda, chi si rivolge alla vecchia vicina di casa che gli leggeva libri quando era piccolo, chi manda cartoline alla madre che diventerà, augurandosi di saper trasmettere l’allegria. Un lavoro enorme, quello che si è presa in carico Risa, come setacciare l’oceano, ma lei lo fa per ragioni di cuore. Perché suo padre è un postino, e ha lavorato tutta la vita affinché neppure una lettera andasse perduta. Se dal padre ha imparato la dedizione e la tenacia con cui ci si può prendere cura delle cose e delle persone, l’eredità che le ha lasciato la madre è ben piú complicata. La sua è stata una madre intermittente, che conosceva parole magiche per evocare creature del bosco e il cui sguardo offuscato si accendeva all’improvviso su ciò che agli altri restava invisibile. Sua madre le ha insegnato la poesia e la curiosità verso ciò che è estraneo, perché «è dall’incontro con gli sconosciuti che può nascere lo straordinario». Ma ad Awashima Risa è venuta anche per un altro motivo, che finora ha tenuto segreto. Il sospetto – o la speranza – che tra quelle migliaia di parole d’amore, rimpianto, riconoscenza, biasimo e gioia, ce ne siano alcune indirizzate proprio a lei. Laura Imai Messina ha una capacità speciale, poetica e intensa, di cogliere la magia nascosta del mondo e raccontarcela. Ogni sua storia è un viaggio che ci porta lontanissimo, fin dentro i nostri piú intimi pensieri.
Risa è una docente universitaria e, seguendo un progetto di ricerca, approda all'isola di Awashima, luogo dalla forma particolare, abitato da poche persone e noto per il suo Ufficio postale alla deriva, dove giungono tutte quelle lettere speciali che non sono mai state recapitate: persone che, dopo anni, scrivono i propri sentimenti a chi non c'è più; altre che si rivolgono a quegli oggetti inanimati che hanno rivestito un ruolo importante nella propria vita; padri, madri e figli che si ritrovano solo tra le righe vergate in penna stilografica e inviate in quel posto dove forse nessuno le leggerà mai.
Risa, che è una ragazza molto sensibile, si è innamorata delle lettere grazie al lavoro del papà, postino, e di tutte quelle storie che solo poche righe possono contenere. Ma anche la madre l'ha profondamente influenzata sia con i suoi aspetti positivi, sia con quelli negativi... e si sa, certi traumi subiti da piccoli non si cancellano facilmente, nemmeno da adulti. Quella di Risa era una mamma poetica, una mamma che l'ha aiutata a credere anche in ciò che non poteva essere visto, ma solo percepito, eppure era al contempo una persona preda della follia che, pian piano, l'ha divorata, facendola diventare lo spettro di se stessa, fino a condurla alla morte.
Ad Awashima, Risa si immerge in un'altra dimensione: una famiglia accogliente e allargata composta dai pochi abitanti, un ufficio postale che diventa luogo di lavoro e seconda casa, un uomo che le restituisce la voglia di amare. Ma lei non si è recata sull'isola solo per condurre una ricerca universitaria. Risa deve individuare altro, qualcosa di ben più importante per il proprio animo, che forse la aiuterà a trovare la tanto agognata pace: le parole che la madre ha scritto per lei. Risa è certa che Marie le abbia spedito almeno una lettera, ma cosa voleva realmente dirle?
Foto di Margarita Kochneva da Pixabay
Laura Imai Messina introduce il lettore in una storia che sembra uscita da un drama giapponese e chi conosce la cultura nipponica sa bene di cosa stia parlando. Anche la protagonista, Risa, è una ragazza fragile, sensibile e allo stesso tempo resistente, come un bambù travolto da forti raffiche di vento.
"Tutti gli indirizzi perduti" fa riflettere molto sulle occasioni mancate, su quelle parole che si sono spezzate in gola e che non saranno più pronunciate, sui sentimenti rimasti celati e sul tempo che scorre inesorabile, rendendo ogni cosa effimera tranne per ciò che resta scritto. Quelle lettere giunte all'Ufficio postale alla deriva sono i tasselli mancanti dei mittenti, ciò che di loro rimarrà in eterno, catalogato e conservato. Si percepisce ancor più la bellezza della parola scritta, il fascino delle lettere su carta.
Infine, c'è il ruolo della famiglia. I genitori influenzano molto la psiche dei propri figli, anche in maniera inconsapevole e, una volta terminata la permanenza su questa Terra, lasceranno sempre un vuoto incolmabile nel loro cuore. Nonostante i ricordi non proprio piacevoli, Risa amava la sua mamma e avrebbe fatto di tutto pur di vederla serena. La ragazza, dopo aver vissuto di sensi di colpa e immense paure, riesce finalmente a ritrovare un equilibrio: nulla si può cancellare, ma si deve andare avanti, accettando ciò che è stato.
Questo romanzo non è per tutti. È rivolto agli animi sensibili, a chi tra punti, virgole e una calligrafia disordinata riesce a ricostruire lo sguardo e il vissuto dell'autore.
Vi lascio con qualche frase e ci rileggiamo qui, sempre sul blog, tra qualche tempo!
Foto di Eliselgm_15 da Pixabay
«Disponiamo dell'infinito per un tempo limitato. Dal primo momento sogniamo l'eternità, le crediamo, costruiamo sopra di essa i giorni a venire, progettiamo la nostra vita dando per scontato che non debba finire. Crescendo, parliamo di illusione, ci dichiariamo anzi certi che tutto sia destinato a terminare, quasi fosse sconveniente ammettere che siamo immortali e che nulla di ciò che ci riguarda più intimamente potrà mai scomparire. Poi però accade, anche a fronte delle nostre certezze e dello sconcerto che ci coglie quando succede, nulla rimane».
«Se le cose a un certo punto smetti di sceglierle, le detesti».
«Nelle lettere ci sono fatti minuscoli che vengono a galla tra le righe, accenni a vicende più grandi che compaiono a volte addirittura alla fine [...]».
«Però il pericolo della sofferenza è esattamente questo, ovvero pensare che il proprio dolore sia diverso, che niente lo possa eguagliare. Ci si richiude in una solitudine precipitosa, si perde persino la speranza tanto ci si convince che nessuno abbia mai vissuto un'esperienza simile alla propria».