L'altro ieri è stata una giornata di ripresa. Ho dormito fino alle 11.30. Ero stanchissima di ritorno dalla Sicilia, dove si è tenuto il convegno "Arti minori e arti maggiori. Relazioni e interazioni tra Tarda Antichità e Alto Medioevo" nella doppia sede del Monastero Benedettino di Catania e della Galleria Regionale di Palazzo Bellomo tra il 12 e il 14 maggio scorso.
Ovviamente è stata una bellissima occasione per visitare le due città e per mettere piede nella mia terra d'origine da parte paterna. Ancora una volta, questi anni di specializzazione e dottorato mi stanno mettendo alla prova ponendomi contro una delle mie paure maggiori. Soffro di vertigini e l'aereo è stato d'obbligo per non "invecchiare" in un viaggio in treno lungo 10 ore. Inutile sottolineare quanta agitazione potessi aver accumulato solo il primo giorno.
Arrivate a Catania, io e mia sorella, ci siamo subito dirette alla volta dell'esplorazione delle sue strade. Davanti ai nostri occhi si è aperto un mondo ancora inglobato in un'epoca barocca, una dimensione con palazzi di un cupo grigio scuro avvolti in merletti di stucco bianco. Se dovessi definire Catania la etichetterei come una città grigia. I suoi edifici sono di questo colore, così come le pietre con cui sono costruiti l'anfiteatro e il teatro, ovviamente di matrice vulcanica.
La Cattedrale di Sant'Agata riflette l'evidente dominazione spagnola. L'esterno mi ha ricordato tantissimo la Cattedrale di Siviglia. L'interno invece è un po' "misero" se confrontato con le basiliche romane cui sono abituata.
La strada per il Castello Ursino è stata lunga e tortuosa. Ci siamo ritrovate immerse nel mercato e, sinceramente, non ho amato molto quei momenti. A tratti la Stazione Termini di Roma mi è parsa più accogliente, per dire. Catania potrebbe effettivamente essere molto bella, se solo fosse un tantino più curata e ristrutturata in alcune zone che crollano a pezzi. Triste ammissione invece è il fatto che a terra fosse pulitissima in confronto a Roma. Non ho visto nemmeno un pezzo di carta. Ormai a Roma siamo tutti così abituati a vivere nella sporcizia che una città qualsiasi eccetto la nostra ci appare come il paradiso.
Ora, il Castello Ursino: bellissima architettura che richiama, per ovvi motivi di committenza (Federico II di Svevia, il mio amato), Castel del Monte ad Andria, e ospita attualmente una mostra grottesca.
Ma non è tanto la mostra sulla follia ad avermi sconvolta (o meglio, è inquietante e parecchio pure), bensì la fine che hanno fatto le opere d'arte della mostra permanente. Sono andata al Castello Ursino appositamente per esaminare gli affreschi staccati dalle catacombe romane e dove li trovo? Letteralmente occultati e invisibili nella zona dello scavo del castello, al di sotto di un'installazione con manichini e luci al neon (e attenzione! Le foto con il flash non si possono fare... ma per favore! I manichini non si rovinano mica e gli affreschi neppure considerando la loro posizione!).
Alla mia richiesta di poterli visionare (tramite apposita scala!), con tanto di tesserino che dichiara la mia appartenenza alla categoria archeologica, mi è stato risposto che non è possibile. Questo fatto mi ha profondamente irritata. Sono una studiosa, sono un'archeologa, per di più archeologa cristiana che si occupa di catacombe. Sono venuta da Roma, mi sono attraversata il mercato (esperienza da non ripetere assolutamente!), e non posso visionare l'oggetto delle mie analisi. Il fatto non mi è andato giù. Spero vivamente che lo staff del Castello Ursino riesca a trovare una collocazione IDONEA ad affreschi e altri reperti che giacciono in assoluta dimenticanza all'interno di sale semivuote e nei sotterranei.
Perdendoci di nuovo per la città, infine siamo giunte al teatro. E questo sì che ha meritato la mia attenzione per la sua conservazione e per il percorso opportunamente illuminato e illustrato con appositi pannelli.
La salita ci ha fatto arrivare (in ritardo) al Monastero dove si teneva il convegno e devo ammettere che ho invidiato tanto gli studenti di Catania. Una sede come quella, che ha un po' la magia di Hogwarts, è davvero magnifica per svolgere gli studi archeologici.
La sera le nuvole si sono dissipate e finalmente, sullo sfondo di via Etnea, è comparso il maestoso Etna nella sua sagoma azzurrina.
Lo stesso vulcano ci ha dato il buongiorno il mattino successivo, quando abbiamo preso il treno alla volta di Siracusa, passando per le stazioni di Augusta e Lentini, fino ad arrivare a Siracusa centrale.
Ho subito notato il distacco abissale tra le due città: Catania è una città caotica; Siracusa invece è solare, con quella brezza marina che ti accarezza i capelli... i quali sono ovviamente diventati crespi, soprattutto dopo la gita in barca per osservare l'isola di Ortigia e le grotte.
La granita buonissima ci ha rinfrescato il palato, seguita a ruota dall'immancabile arancino e dal cannolo. A tal proposito, dalle parti del Duomo ne abbiamo trovato uno particolare, quello da passeggio e devo dire che era fantastico.
Superato Corso Umberto I, il ponte e poi i resti del Tempio di Apollo, la fontana di Diana in Piazza Archimede ci ha dato il benvenuto tra le meraviglie del centro storico.
In un susseguirsi di chiesette - tra cui quella di S. Filippo, quella di S. Giovanni Battista (ex sinagoga)
- e di file di turisti siamo giunte davanti all'accecante bagliore emanato dal bianco calcare del Duomo, ex tempio di Minerva, di cui si conservano ancora le colonne.
La visita non è stata lunga... doveva essere celebrato un matrimonio, ma giusto il tempo necessario per apprezzare appieno la magia della piazza e del monumento stesso. Scendendo ci siamo ritrovate alla fonte Aretusa, sulle rive dell'azzurrissimo mare.
Ancora una passeggiata e un nuovo castello si è stagliato sulla costa. Era il Castello Maniace, di nuovo commissionato da Federico II. Infine, una breve visita alla Galleria Regionale di Palazzo Bellomo per capire quale fosse la sede della conferenza
e per terminare la discesa nel mikveh più antico d'Europa, sotto l'hotel Casa Bianca, nel quartiere della Giudecca.
Il mattino successivo, con il sole e il mare negli occhi, e la magia romantica di una piazza rosata di sera, sono andata ad esporre il mio intervento davanti agli sguardi attenti degli uditori. E, incredibile, per la prima volta in vita mia sono riuscita a mantenere totalmente la calma. Sono rimasta davvero contentissima.
I giri per Ortigia non sono terminati con il convegno. Una volta uscita dal Palazzo Bellomo - ovviamente visitato - mia sorella mi ha condotta (dopo essermi di nuovo persa... sono un caso patologico) al Museo dei Pupi Siciliani. E' piccolino e riflette una delle tradizioni e arti popolari. Alcuni pupi li ho trovati grotteschi, altri invece particolari, ma nel complesso ho apprezzato molto l'allestimento dell'esposizione. Ho appreso altre notizie.
Per terminare la giornata, ci siamo dirette verso la chiesa di S. Lucia al sepolcro, dopo una passeggiata molto lunga.
La sera ci ha permesso di osservare un'ultima volta le luci che illuminavano il piccolo scrigno di tesori che è Ortigia, affacciata sulle rive di quell'azzurro mare, con la promessa di tornare e di visitare meglio l'entroterra (catacombe e teatro con Orecchio di Dioniso compresi!).
E' stato un viaggio stancante per i chilometri che io e mia sorella abbiamo percorso a piedi e per l'ovvia tensione nervosa che avevo accumulato, ma al contempo è stato istruttivo e rilassante. Devo dire che mi è servito staccare la spina dal caos di Roma. E adesso, con più energie di prima, si prosegue questo tortuoso percorso archeologico!
A presto!
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