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lunedì 2 marzo 2020

Recensione di "Mancarsi" di Diego De Silva


Buongiorno amici e ben ritrovati in questo piccolo spazio personale e un po' letterario. Sono felice di poter dire che, dopo ormai qualche anno, la saga di Sàkomar continua ad avere lettori e questo non può che farmi piacere, in seguito alla notifica di vendita da parte di Youcanprint. Significa che, nonostante la poca esperienza, sono riuscita a dar vita ad alcuni personaggi della letteratura fantasy con un carattere e una storia ben definiti.

In questa giornata piuttosto ventosa, con tanto di cielo grigio che, invece di affacciarsi sul periodo primaverile, rinvia echi di un inverno che forse non c'è mai stato, mi ritrovo a scrivere qui di un ultimo libro che ho letto. Un libro composto di poche pagine, ma di molti concetti: si tratta di "Mancarsi" di Diego De Silva.
Non conoscevo l'autore, non conosco le altre sue opere, eppure il titolo ha attirato la mia attenzione. "Mancarsi", cosa evoca? Sicuramente nostalgia, assenza improvvisa di una persona che ha suscitato sentimenti forti.


Trama: Nicola e Irene non si conoscono e non sanno di avere almeno due cose in comune. La prima è il bistrot dove ogni giorno si concedono un po' di solitudine, per osservare la gente o semplicemente lasciarsi assorbire dai propri pensieri. La seconda è una mancanza, l'amore. Entrambi, infatti, si sono lasciati un matrimonio alle spalle: Irene ha capito di non amare più suo marito e se n'è andata, Nicola è rimasto vedovo prima che la distanza accumulata negli anni tra lui e la moglie li consegnasse a una tollerabile infelicità. Sarebbero perfetti l'uno per l'altra, se s'incrociassero anche solo una volta...
Attraverso il racconto die due esistenze che sembrano destinate a scorrere parallele, De Silva ci regala un'opera dai toni intimi, conducendoci nel territorio misterioso della nostalgia, dove il rimpianto per il passato si sovrappone al desiderio e alla speranza per ciò che deve ancora accadere.


"La perfetta storia d'amore di due persone che si sfiorano senza incontrarsi mai": questa la frase scritta sul retro della copertina, un concetto che mi ha conquistata.
Quante volte mi sono soffermata a pensare: "E se la persona giusta per me fosse nella mia stessa stanza, ma non riuscissimo ad avere un contatto? Quante volte ci siamo visti, senza soffermarci mai? Magari i nostri sguardi si sono persino incrociati... Le nostre vite continuano a scorrere, inconsapevoli l'uno dell'esistenza dell'altro, eppure con un granello di speranza racchiuso nei secondi che passano".
E' la probabilità, quel concetto che meraviglia, affascina, a volte stupisce. "Io e te... avresti mai pensato di essere qui, in questo momento, con me? Non ti avrei mai immaginato, ma d'improvviso è accaduto". Frasi simili, ascoltate solo nei film, eppure capita di pronunciarle a volte... in quelle volte in cui l'amore ti sfiora e ti suggerisce di lasciarti andare alle emozioni. Questa riflessione per introdurre alla recensione vera e propria. 
Irene, come già riportato nella trama, vive ormai quella monotonia del rapporto matrimoniale: un'infelice felicità abitudinaria, quasi una condanna. Si è anullata, i suoi desideri, i suoi obiettivi non esistono più, mentre recita la parte della moglie perfetta. Da quando accade neppure lo ricorda. 
Prova affetto verso il marito, ma un sentimento simile non basta a tenere in piedi un matrimonio. Alcune unioni procedono velate d'apparenza, spesso per non far ricadere tutto sui figli che finiscono che ricoprire il ruolo di collante. Non ridono più Irene e suo marito e nemmeno riescono a dirselo, pur essendone terribilmente consapevoli. Non si divertono, non c'è sintonia.


Nicola, invece, crede sia venuto il momento di chiedere a sua moglie di provare ad avere un figlio. Trova il coraggio, ci riesce e si sente rifiutato. Già la richiesta esclusiva da parte di Nicola fa riflettere: non è un desiderio condiviso e tanto basta per comprendere la totale mancanza di dialogo tra le due parti. Anche loro sono caduti nell'abitudine: si recano al bistrot, sempre lo stesso tavolo, solito menù, provano a scambiarsi i propri pensieri finendo per litigare. Non sono più sulla stessa lunghezza d'onda. E poi un giorno, la moglie di Nicola muore, investita mentre era in bicicletta e tutto rimane così sospeso a mezz'aria: parole spezzate tra i denti (citando Laura Pausini in "Bastava"), desideri mai realizzati, progetti rimasti incompiuti. Una strana mancanza assale Nicola, anche se è ben presente la consapevolezza di una vita che non avrebbe potuto proseguire così.
Intanto Irene vuole riprendersi la propria esistenza, provando a rimettersi in gioco. E' così che a volte fanno le donne: si lasciano tutto alle spalle e, stupidamente, si sentono in dovere di poter riassumere autostima giocando a fare le "conquistatrici seriali". In quel bistrot, lo stesso di Nicola, Irene si siede e attende. Attende quell'uomo che la guarda e ci prova ammiccando; l'altro - che nonostante la presenza della fidanzata - le detta il numero di cellulare; oppure il Valerio Valente della situazione, uomo scialbo, più giovane, impacciato, che alla fine è come tutti gli altri. E Irene ci sta, vuole provare a conoscere meglio se stessa, a comprendere se è una donna da "una storia leggera tanto per divertirsi e via". Ma quella sensazione di aver fatto una cosa che non le appartiene si fa strada in lei il mattino successivo, quando si sveglia accanto a un uomo che conosce a malapena e verso cui non prova assolutamente nulla.
Il bistrot la salverà, quel luogo la salva sempre. Ed è forse lì che il destino l'attende, con il volto di un uomo riflessivo, seduto al tavolo dove solitamente siede lei. Non alza subito lo sguardo, ma appena lo fa, accade qualcosa di diverso. E' allora che un'esistenza di possibilità si apre nuovamente, in un finale ancora da scrivere.


Il filo rosso del destino esiste, lo so anche io per certo da un po' di tempo. Prima non ci credevo. A volte unisce le persone apparentemente più sbagliate, o quelle che non potrebbero avere la minima probabilità di incontrarsi, se solo tutto scorresse in maniera monotona. Ma c'è sempre quel "quid", che non sappiamo definire, a mescolare le carte e le vite. 
Se Irene e Nicola si fossero incontrati molto prima, forse l'esistenza di entrambi sarebbe stata felice sin dal principio. Le cose, invece, sono andate diversamente: due matrimoni falliti alle spalle, sofferenze, incertezze, anche se indubbiamente ci saranno state parentesi di "accettabilità". Ma non è su quest'ultima che si fonda un legame.
Come si suol dire, Irene e Nicola erano forse le persone giuste al momento sbagliato; solo quando quell'istante è mutato, allora il destino le ha fatte incontrare... quel destino che era dietro l'angolo e attendeva paziente, quello stesso destino che, a volte, assume semplicemente fattezze umane. Bisogna solo saperlo riconoscere.

Un libro di 88 pagine carico di riflessioni, un libro che non mi pento di aver acquistato sull'onda dell'emozione. Grazie all'autore per aver condiviso tutto ciò con noi lettori.


"Vogliamo che la persona che amiamo ci dica d’essersi innamorata di noi perché un giorno, senza neanche pensarci, l’abbiamo toccata in un punto in cui non sapeva di essere sensibile, come certe carezze che arrivano molto in fondo per conto loro."

"E il peggio che ti può capitare, quando ti abitui a vivere in un mondo ridotto a una persona soltanto, è di pensare di avere abbastanza mondo per essere felice, addirittura diventarlo, e così raccontarti che nel resto del mondo, tutto quell'altro mondo che non è lei, non vuoi neanche più andarci; infatti non ci vai, e dopo un po' ti senti persino fiero di aver smesso di frequentarlo, quel mondo così vasto, anche se poi quando viene a girare dalle tue parti o lo vedi dalla finestra ti sale un po' di magone, e te ne torni dentro mordendoti le labbra."

"C'innamoriamo di minuzie, di riflessi in cui vediamo l'altra persona come pensiamo che nessuno l'abbia vista e mai la potrà vedere, e custodiamo questi attimi di unicità in forma d'immagine, anche se negli anni sbiadisce; ma è a quell'immagine che chiediamo aiuto quando il nostro sentimento vacilla e dubitiamo di amare, allora la richiamiamo, e ci basta (quando ancora l'immagine è viva) ritrovare quel modo di bere a canna, tenendo la bottiglia distante dalle labbra, perché l'amore torni a insinuarsi e si riaccenda, rimettendo a posto le cose, disponendole intorno a noi nell'ordine rassicurante in cui ci siamo abituati a vivere, e ci lasci dove siamo, reprimendo di schianto i progetti di fuga a cui avevamo già cominciato a lavorare".


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